Omoerotismo come fallocrazia nel mondo greco

11 aprile 2011 ore 22:25 segnala
Nella mia ultima conversazione ho fatto cenno all'omosessualità maschile passiva che, in qualche modo abbassava un uomo al ruolo femminile, ricordando che a Lesbo era insegnata la fellatio e che quando questo comportamento era richiesto all'uomo passivo, diveniva un’azione vergognosa.
L'origine del fenomeno dell'omosessualità nell'antica Grecia va cercata nelle prime formazioni tribali elleniche, dove la struttura sociale era divisa per classi d'età ed il passaggio dell'individuo da una classe all'altra era rappresentato con uno specifico cerimoniale che prevedeva l'allontanamento per un certo periodo del giovane dalla comunità, lontano dalle regole della vita civile ed a contatto con la natura. Il giovane era affidato ad un uomo con lo scopo di educarlo ad una vita sempre più responsabile, e durante questi riti di emarginazione si verificava il rapporto affettivo omosessuale fra i due.
Il geografo Strabone racconta che a Creta gli uomini adulti rapivano i giovani con lo scopo di condurli fuori città per un periodo di due mesi al fine di trattenere con loro rapporti omosessuali, di educarli alla vita della polis. Tale azione era regolata da leggi ed alla fine dell'iniziazione l'uomo donava al giovane un'armatura militare.
Per gli ateniesi avere una relazione con un giovane era una cosa non solo non condannabile, ma addirittura apprezzata ed erano tuttavia proibite le relazioni fra giovani liberi e schiavi.
Ma il mondo greco appartiene all’antichità e le società antiche non erano meno violente e prevaricatrici di quella di oggi. Si deve tener presente che erano società guerriere e come tali patriarcali classiste e militariste per cui l'omosessualità fra maschi era in quel periodo praticata in ambiente militare, dove era privilegiata la virilità del giovane soldato e dove vi era una naturale esclusione delle donne.
Questo è uno dei noccioli del problema del mito della libera pratica dell’omosessualità nell’antica Atene in particolare e della Grecia in generale: in altri termini l’omosessualità era il prodotto di un atteggiamento di privazione di qualsiasi diritto o potere attribuibile alle donne. Platone sostiene che esiste un amore volgare, di uomini che amano indifferentemente ragazzi o donne ed un amore più puro, che invece è rivolto solo verso i ragazzi, sebbene vi siano nelle Leggi alcune pagine interessanti sulle norme che regolano i costumi sessuali dei cittadini in cui Platone condanna esplicitamente l'omosessualità.
Aristotele, a sua volta, definiva le donne, per la loro natura, esseri inferiori e pertanto destinate, come gli schiavi, ad essere governate dagli uomini, molte leggi ed usanze imponevano la subordinazione delle donne.
In nome di quest’idea fallocratica, non sorprende che gli uomini dell’Atene classica le disprezzano, tanto che ci sono giunti segni tangibili delle relazioni amorose tra uomini, sia negli scritti sia nella pittura vascolare o parietale, per quel poco che è giunto fino a noi. Da ciò si desume che l’omosessualità nell’antica Atene era un vanto ed un chiaro segno di dominanza verso l’altro sesso, tanto da considerare le donne solo delle fattrici per la riproduzione della specie. La storia Ateniese ci dice che l’omosessualità non deriva da una condizione psico-fisica di alcuni umani, ma da una condizione socio-politica di dominanza assoluta contro l’altro sesso, tanto da ignorarlo nelle relazioni socio-economiche e socio-affettive. Occorre quindi rilevare che anche in questo rapporto sentimentale-confidenziale vigeva, a sua volta, la dominanza di uno dei due sull’altro (forse ancor oggi è così).
Nell’andare dei tempi la posizione di dominanza degli uomini è andata sempre più scemando, con l’avvento del Cristianesimo poi s’è avuta la rivalutazione e l’affermazione di quanto noi contemporanei oggi definiamo rapporto etero-sessuale.

Saffo: mix

06 aprile 2011 ore 16:43 segnala
Poesia: Prendi il mio cuore e portalo lontano

Prendi il mio cuore
e portalo lontano,
dove nessuno ci conosce,
dove il tempo non esiste ,
dove possiamo incontrarci,
senza etá e ricordi,
senza passato.
Con una luce che nasce all'orizzonte
e un domani sereno e silenzioso.
Prendi il mio sguardo
e portalo lontano,
dove possa vederti ogni giorno
e darti mille baci
e quindi' cento
e dartene altre mille
e quindi cento
quindi mille continui
e quindi cento.
Perché a me pare uguale agli dei,
chi siede a te vicino
e il dolce suono ascolta
mentre parli, e ridi ...amorosamente.
Subito a me il cuore si agita in petto
sol che appena ti veda,
e la voce non esce.
E la lingua si spezza.
Un fuoco sottile sale rapido alla pelle,
e gli occhi piú non vedono,
e rombano le orrecchie,
e tutto in sudore
e tremante com' erba patita scoloro.
E morte non pare lontana a me,
rapito di mente.
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Saffo: tramontata è la luna

06 aprile 2011 ore 16:26 segnala
http://www.youtube.com/watch?v=l9gzFZ9EjYo&feature=related
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« VIDEO: dUZ17PiDnww » http://www.youtube.com/watch?v=l9gzFZ9EjYo&feature=related
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Saffo e le altre

04 aprile 2011 ore 22:03 segnala
Una volta uscita dal medioevo ellenico, il periodo buio della sua storia, l'antica Grecia iniziò a parlare di nuovo di amore, il sentimento identificato in un Eros che non teneva conto del sesso delle sue vittime. Prima, infatti, dell'esclusione della donna dalla vita della polis, nei versi di Saffo erano cantati gli amori e le sue attenzioni per le allieve più belle che partecipavano ai suoi insegnamenti sull'isola di Lesbo.
La verdeggiante isola greca è l'isola della poetessa Saffo e di Alceo, poeta presunto amante di Saffo.
Saffo era l’aristocratica insegnante di un tiaso, sorta di collegio in cui fanciulle di famiglia nobile erano educate. Secondo la tradizione tra l'insegnante e le fanciulle nascevano rapporti di grande familiarità, anche sessuale. Probabilmente il fenomeno va inquadrato secondo il costume dell'epoca, come forma anticipatrice di un amore eterosessuale, cioè una fase di iniziazione per la futura vita matrimoniale.
Nella Grecia antica questo costume rimase costante nell'educazione dei giovinetti e nel diverso approccio del mondo greco nel confronto della pederastia rispetto alla sensibilità moderna: è invece probabile che nei confronti delle ragazze sia stato proprio solo dell'isola di Lesbo, forse per una componente di influenza anatolica in un'isola, così vicina all'Asia e così aperta ai traffici. Sicuramente Saffo compose canti d'amore per le sue allieve destinate a nozze e questo ha lasciato supporre un innamoramento anche con componenti sessuali.
Oggi intendo affrontare un tema che affonda le sue radici più sotterranee dell'identità femminile: quello dell'omosessualità femminile. Partendo dal mondo greco, intendo far osservare come fu vissuta l'omosessualità femminile in una cultura dove non appaiono i sentimenti di colpa, tipici delle società dominate dalle religioni monoteistiche, e dove il sentimento di vergogna non è legato ad una legge divina, ma a consuetudini ed a leggi umane.
Le società più arcaiche erano legate a veri e propri riti di passaggio che segnavano la fine dall'età infantile e l'entrata nel mondo degli adulti, avendo dimostrato la capacità di svolgere i differenti lavori che stabilivano nel sociale il dimorfismo sessuale.
La codificazione del dimorfismo sessuale ha le sue radici nella suddivisione del lavoro, presente nelle comunità umane fin dalle epoche più remote della preistoria. Gli uomini, liberi dalle gravidanze e dalla cura dei piccoli si dedicavano alla caccia, mentre alle donne, erano riservate la raccolta dei frutti della natura. Con il trascorrere dei millenni le attività maschili si andarono differenziando, mentre per le donne si andava affinando il loro ruolo all'interno della famiglia.
Giunti nella Grecia di 4000 anni fa, questi ruoli erano ormai già stabilmente consolidati: gli uomini si dedicavano alla guerra, alle armi, all'artigianato, al commercio e al governo della città, dunque all'esercizio del potere, mentre alle donne, relegate nei ginecei, spettavano le attività domestiche, secondo il modello proprio anche della società romana: lanam facere, filios colere.
Notizie dei ruoli d'iniziazione al lavoro adulto sono presenti in tutti i testi d'antropologia culturale, e sono ancora presenti nelle popolazioni cosiddette primitive. Nel periodo intermedio dall'infanzia all'età adulta, la ragazza poteva avere una grande varietà di esperienze sessuali. Il suo primo amante era un uomo maturo in grado di iniziarla al sesso. Allo stesso modo i ragazzi iniziavano la loro vita sessuale con una donna maggiore di età ed esperienza, così il successo di un'avventura amorosa è raramente compromesso da una doppia ignoranza. Simone de Beauvoir illustra la presenza a Singapore e a Canton di molte comunità femminili che nelle convenzioni e nelle pratiche di culto offrono alcune interessanti analogie con le comunità della Lesbo e della Sparta arcaica.
Riti d'iniziazione sessuale erano dunque presenti, anche se, soprattutto per quanto riguarda il femminile, si sono studiati poco, infatti, per gli storici antichi e moderni – tutti uomini – quanto accadeva nel mondo femminile aveva poca importanza.
Detto questo, intendo oggi prendere in considerazione come in Grecia, accanto alla pederastia iniziatica maschile, di cui ho già fatto cenno e di cui si conservano ampie tracce, siano fiorite delle comunità femminili, nelle quali le relazioni omoerotiche avevano lo stesso valore iniziatico. Associazioni di ragazze e di donne si trovano in Grecia fin dal VII secolo a.C. Il circolo di Saffo anche se il più noto non era l’unico: Saffo, nata nell'isola di Lesbo intorno alla metà del VII secolo, trascorse gran parte della sua esistenza nella ristretta cerchia di un tiaso, una sorta di associazione femminile. L'opinione oggi più attendibile è che Saffo sia stata a capo di una comunità di giovani donne, una scuola di femminilità dove le ragazze ricevevano delle lezioni di eleganza e di grazia. Le ragazze vi entravano a far parte prima del matrimonio, compiendovi un periodo d'istruzione e preparazione alle nozze: una volta sposate, esse si separavano dal gruppo.
L'istruzione impartita comprendeva la pratica di lavori femminili, l'apprendimento della buona educazione, della musica ed un'iniziazione alla sessualità. Dallo stato selvaggio dell'adolescenza proprio di Artemide, la dea che proteggeva le vergini, esse passavano a quello di donne ispiratrici d'amore, sviluppando la sensualità e la sessualità, secondo il modello di Afrodite, la dea dell'amore erotico.
Attis, una delle tre compagne più care a Saffo, prima di entrare nel tiaso, era una ragazza molto giovane e senza grazia,

«Ero innamorata di te, un tempo, Attis

una fanciulla piccola sembravi, e acerba»

In questo contesto, acerba, è utilizzato per designare una fanciulla non ancora pronta per il matrimonio. La traduzione dal greco charis – da cui l'italiano carisma, ma anche fascino, bellezza – è caratteristica indispensabile per una bella donna, che desideri sposarsi. Dopo il soggiorno nel tiaso, la bella Attis, che Saffo descrive di ritorno in Lidia

«da Sardi
volgendo spesso qui la mente
...
simile a una dea, che ben si distingue,
ti (considerava), e godeva molto del tuo canto.
Tra le donne lidie, ora,
ella spicca, come la luna dita di rosa
quando il sole è tramontato
vince tutte le stelle. E la luce si posa
sul mare salato
e sui campi pieni di fiori;
e la rugiada bella è sparsa:
son germogliate le rose e i cerfogli
teneri e il meliloto fiorito.
Aggirandosi spesso, e ricordando
la bella Attis, ella opprime
per il desiderio l'animo sottile.
E andare li...»

Attis brilla tra le donne del suo paese come la luna in mezzo alle stelle, grazie all'educazione ricevuta a Lesbo. Dunque, il contenuto dell'educazione dispensata da Saffo, in seno alla sua scuola, tendeva alla preparazione al matrimonio di giovani allieve.
Del resto, i rapporti dell'attività della poetessa con l'istituzione del matrimonio, sono confermati dai numerosi frammenti di epitalami e come risulta dai frammenti, Saffo appare sempre al centro di un gruppo di fanciulle che vanno e vengono continuamente.
Come ho detto, il tiaso saffico non era un caso unico: altre associazioni di ragazze e di donne adulte sono conosciute in Grecia ed in tutte sono ampiamente documentate relazioni omoerotiche femminili. La poesia di Saffo scaturisce spontanea dalle passioni amorose vissute all'interno del raffinato sodalizio femminile da lei diretto, la componente erotica dei versi della poetessa si mostra con sincero ardore.
«...
Esser morta vorrei veramente.
Mi lasciava piangendo,
e tra molte cose mi disse:
"Ahimè, è terribile ciò che proviamo,
o Saffo: ti lascio, non per mio volere".
E a lei io rispondevo:
"Va' pure contenta, e di me
serba il ricordo: tu sai quanto t'amavo.
Se non lo sai, ti voglio
ricordare...
cose belle noi godevamo.
Molte corone di viole,
di rose e di crochi insieme
cingevi al capo, accanto a me,
e intorno al collo morbido
molte collane intrecciate,
fatte di fiori.
E tutto il corpo ti ungevi
di unguento profumato...
e di quello regale.
E su soffici letti
saziavi il desiderio
...
E non vi era danza
né sacra festa...
da cui noi fossimo assenti
né bosco sacro...»

Una sorta di gelosia si manifesta in questo frammento:

«Simile a un dio mi sembra quell'uomo
che siede davanti a te, e da vicino
ti ascolta mentre tu parli
con dolcezza
e con incanto sorridi. E questo
fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
Se appena ti vedo, sùbito non posso
più parlare:
la lingua si spezza: un fuoco
leggero sotto la pelle mi corre:
nulla vedo con gli occhi e le orecchie
mi rombano:
un sudore freddo mi pervade: un tremore
tutta mi scuote: sono più verde
dell'erba; e poco lontana mi sento
dall'essere morta.
Ma tutto si può sopportare...»

Il relativismo estetico per la prima volta affermato in Occidente in questo frammento, in cui la poetessa si strugge d’amore per Anactoria lontana:

«Un esercito di cavalieri, dicono alcuni,
altri di fanti, altri di navi,
sia sulla terra nera la cosa più bella:
io dico, ciò che si ama.
È facile far comprendere questo ad ognuno.
Colei che in bellezza fu superiore
a tutti i mortali, Elena, abbandonò
il marito
pur valoroso, e andò per mare a Troia;
e non si ricordò della figlia né dei cari
genitori; ma Cipride la travolse
innamorata.
...
Ora mi ha svegliato il ricordo di Anactoria
che non è qui;
ed io vorrei vedere il suo amabile portamento,
lo splendore raggiante del suo viso
più che i carri dei Lidi e i fanti
che combattono in armi.»

Benché una critica moralista lo abbia spesso negato, è innegabile l'esistenza di passioni omosessuali tra le componenti del tiaso: i frammenti di Alcmane e di Saffo lo confermano in maniera inequivocabile.
Particolarmente interessante è l'interpretazione del Partenio di Alcmane:

«Io canto,
la luce di Agido. Ecco, la vedo
come il sole, lo stesso
che Agido fa risplendere a noi.
Non posso io lodarla
né parlarne male: la corega illustre
non lo permette. Proprio ella mi sembra
spiccare sopra le altre, come quando
si mette alla pastura una giumenta
forte, che con gli zoccoli sonanti
supera il traguardo come alato sogno.

Non la vedi? È un corsiere
venetico. La chioma
sua, di mia cugina
Agesìcora, risplende
come oro purissimo,
come argento il volto.
Ma perché parlarti ancora?
Agesìcora, è questa;
Agido, seconda in bellezza
correrà come un cavallo colasseo contro uno ibeno;
e levatesi come Sirio
esse, le colombe, gareggiano
con noi, che offriamo in dono un aratro alla dea del mattino
nella divina notte.»

I Parteni erano destinati all'esecuzione da parte di un coro di fanciulle durante rituali iniziatici, in cui si articolava il processo di educazione della gioventù spartana, in particolare per le ragazze. Uno dei temi più ricorrenti nei parteni era l'amore. Scopo di questo procedimento pedagogico era, infatti, educare le fanciulle al loro futuro ruolo di madri e di mogli nella società, e dunque era di fondamentale importanza trasmettere le consuetudini fondamentali che regolano la sfera dell'eros. A giudicare da alcuni lunghi frammenti che ci sono pervenuti di cui il fondamentale è il partenio riportato sopra, sembra che le fanciulle, riunite in istituzioni affini ai tiasi lesbici, avessero rapporti omoerotici non solo con la maestra, come accadeva a Lesbo, ma anche fra di loro: esse erano infatti in una condizione di pari livello, in cui l'unico elemento gerarchico discriminante era la bellezza, che per questo motivo è scelta come corega. A questo proposito il partenio di Agido e Agesìcora è stato interpretato da alcuni come la celebrazione di un vero e proprio matrimonio tra le ragazze, anche se non mancano altri temi ispiratori, quali allusioni mitiche, sentenze morali, spunti conviviali ed erotici, descrizione di spettacoli naturali. In esso appaiono due figure di rilievo, Agido e Agesicora, delle quali la seconda è la corega, presentate in una posizione di spicco rispetto alle altre ragazze del coro.
Spesso nel partenio è messo in evidenza il loro ruolo di coppia: il legame che unisce Agido e Agesicora è esclusivo, nessuna delle due ha aspirazioni amorose nei confronti delle altre ragazze del coro ed infine il coro stesso dichiara il suo sconforto di fronte a questo inscindibile legame che né bellezza, né oggetti preziosi possono spezzare. Questo partenio sembra un vero e proprio epitalamio, destinato ad un rituale interno alla comunità delle ragazze, ma in realtà non si tratta di una comune cerimonia nuziale, ma di una cerimonia iniziatica all'interno del tiaso.
Imerio, un autore del IV sec. d.C., trovava descritto nei carmi di Saffo un tale rituale all'interno delle comunità: dopo gli agoni, Saffo entra nel talamo, stende il letto nuziale, fa entrare le ragazze nel nympheion, conduce sul carro le Cariti, Afrodite ed il coro degli Amori e forma con essi una processione che innalza la fiaccola nuziale. I riti di cui parla Imerio si riferiscono ad un preciso momento dell'attività cultuale del tiaso. È probabile che nelle comunità femminili di Lesbo esistessero unioni ufficiali tra le ragazze, si trattava di un vero rapporto di tipo matrimoniale, come mostra in Saffo l'uso di un termine specifico per designare il concreto vincolo del matrimonio.
A Lesbo, Saffo aveva almeno due rivali nelle persone di Andromeda e di Gorgo. Un frammento di commentario su papiro ci rivela che tra Gorgo e le sue compagne esistevano regole di ordine comunitario analoghe a quelle di Saffo. Da un frammento sappiamo che Pleistodice insieme con Gongila è moglie di Gorgo. Ciò significa che la direttrice del tiaso poteva contemporaneamente far coppia con due ragazze.
Ma l'omosessualità femminile non era costume amoroso esclusivo delle donne di Lesbo. In realtà, definire l'amore omosessuale femminile come lesbico costituisce una deformazione semantica del termine. Per i Greci, la fama delle donne di Lesbo era legata alla pratica amorosa del fellare in latino, lesbiazein, una pratica, come sappiamo dai poeti della commedia in particolare da Aristofane nel verso 920 de Le donne al parlamento, molto antica e nota, che avrebbero escogitato proprio le ragazze di Lesbo. Dunque lesbica aveva già nella seconda metà del V sec. e, certamente in epoca più antica, la tipica connotazione di fellatrix, non di lesbica in senso moderno. L'uso di lesbica nel senso di donna omosessuale, risale all'erudito bizantino Areta, vissuto fra il IX ed il X secolo, e divenne di uso corrente nella cultura europea dal XIX secolo in poi.
Le comunità femminili di tipo saffico, non furono un fenomeno relegato all'isola di Lesbo. Plutarco, nella Vita di Licurgo riferisce che l'amore omoerotico femminile era ammesso anche nella Sparta arcaica in comunità più o meno affini a quelle lesbiche. Nella Sparta del VII secolo abbiamo notizia di cori femminili, con una struttura educativa e gerarchica, detti agelai spartani. Numerose testimonianze sui cori spartani lasciano supporre l'esistenza di relazioni omosessuali tra le coreute, o alcune tra le coreute e la corega.
Si è molto dibattuto sulla questione posta dalla natura di queste relazioni omosessuali: si trattava di relazioni temporanee nate in comunità di adolescenti dello stesso sesso e della stessa età o divenivano relazioni affettive che assumevano un valore istituzionale? Per cercare di dare una risposta a questa domanda è necessario chiarire il valore dell'omosessualità nella società greca classica. In un passaggio molto noto della Vita di Licurgo, Plutarco racconta che a 12 anni gli efebi erano associati ai migliori fra gli uomini giovani. Questo costume è confermato da numerose fonti: Plutarco ancora nella Vita di Licurgo parla della pederastia spartana come di un'istituzione legata al sistema educativo della città. Lo stesso valore pedagogico era conferito all'omosessualità nel sistema cretese, anzi a Creta, il contatto tra i due amanti aveva una durata istituzionalmente limitata a due mesi e tutte le modalità del rapporto omosessuale erano fissate dalla legge.
In questo contesto appare evidente che l'omosessualità maschile assume un valore iniziatico, un momento di passaggio che permette al ragazzo di compiere il passo che separa l'adolescenza dall'età adulta, come ho già detto nella precedente discussione. Nel caso in cui l'omosessualità non avesse un valore pedagogico, essa era condannata come nella nostra cultura.
Ad una lettura attenta le relazioni omoerotiche dei circoli femminili presentano sorprendenti analogie con l'omosessualità iniziatica maschile. Plutarco afferma infatti che a Sparta l'omosessualità femminile aveva, come quella maschile, la funzione di iniziare la ragazza adolescente ed aggiunge che questi legami avevano carattere temporaneo. A Sparta era costume che donne adulte si univano a giovani ragazze prima del matrimonio.
Tuttavia i riti iniziatici femminili non erano del tutto assimilabili a quelli maschili: la relazione omosessuale femminile era diversa da quella tra l'adulto maschio e il suo amante ragazzo. L'omosessualità femminile nei tiasi era sganciata dal rigido rapporto di subalternità proprio della pederastia iniziatica maschile. Dagli stessi frammenti delle poesie di Saffo traspaiono relazioni omoerotiche connotate soprattutto di dolcezza e tenerezza.
Sono sostanzialmente gli uomini a fare dell'omosessualità femminile un calco di quella maschile, lo stesso termine è tratto dalla sfera maschile. Non è casuale che ad enfatizzare l'aspetto pedagogico dei rapporti tra donne sia un uomo, come Plutarco nella Vita di Licurgo: a Sparta dice, infatti, le donne migliori amavano le ragazze e quando accadeva che due di loro amassero la stessa fanciulla, cercavano di rendere migliore, insieme, la loro amata. È dunque plausibile concludere che sia a Sparta sia a Lesbo, i rapporti omosessuali tra donne adulte e giovani ragazze avevano un valore iniziatico, introduttivo alla condizione adulta che era definitivamente raggiunta con il matrimonio e il passaggio all'eterosessualità. Non dobbiamo dimenticare che una società come quella greca imponeva il matrimonio, che era vissuto esclusivamente come istituzione ed era ben lontana dalla concezione romantica che oggi noi ne abbiamo. I termini latini che indicano lo sposare una donna da parte di un uomo uxorem ducere esprimono bene il valore contrattuale di questo patto, ducere in latino significa condurre, ma anche comprare. Dunque si può escludere che seppur sposate, molte donne, come la poetessa Saffo, restassero fissate alla meta omosessuale. La storia – che fino ad oggi è stata scritta dagli uomini – non ha consegnato le loro voci. Saffo visse in un periodo di transizione, in cui alle donne era ancora aperto qualche spazio per vivere come individui e poter esprimere i loro sentimenti. Una, per tutte la sua voce, descrive, da un punto di vista femminile, le vibrazioni sottili e tormentose di passioni intense. La stessa Saffo scrisse:

«Io credo che qualcuno si ricorderà di noi,
nel futuro»

L’analisi comparata di frammenti dei lirici greci ha permesso di considerare l'omosessualità femminile quale rito d'iniziazione, del tutto simile a quello maschile, normale in una società in cui i costumi sessuali non erano soggetti a tabù, come sarebbe stato a partire dal periodo di cui la Bibbia e le sue derivazioni culturali ci ha lasciato memoria storica. Peraltro ci è ignoto, quando e perchè abbia avuto fine il rito d'iniziazione sessuale rappresentato da rapporti omosessuali tra adolescenti ed adulti, uomo-uomo, donna-donna.
Con il tempo l'omosessualità ha preso caratteri diversi e con questo termine si intende un rapporto adulto-adulto in cui è invertita, rispetto a quello che è ritenuto uno sviluppo psicosessuale ottimale la meta del desiderio sessuale. In realtà questo avviene soltanto in alcuni casi, in altri sono invertiti anche il ruolo di genere ed il ruolo sociale. È quindi limitativo includere nel termine omosessuale una serie di comportamenti che riguardano l'identità sessuale in tutta la sua complessità. Molto resta ancora quindi da studiare, compreso il motivo per il quale l'omosessualità maschile sia stata stigmatizzata, mentre poca attenzione e forse poca importanza è stata riservata a quella femminile. Un’ipotesi è legata alla scoperta scientifica della paternità che, proprio nella cultura e nella mitologia greca vede Zeus come simbolo del fallo procreatore. Dal momento in cui l'uomo, in qualche modo negando o annebbiare l'uguale contributo femminile alla procreazione, avalla a se questo potere magico-divino, il disperdere il seme, portatore della nuova vita, divenne una colpa.
L'omosessualità maschile passiva che, in qualche modo abbassava un uomo al ruolo femminile – si ricordi che a Lesbo era insegnata la fellatio e che questo comportamento poteva essere richiesto all'uomo passivo – divenne invece vergogna.

Omosessualità classista nel mondo greco antico

28 marzo 2011 ore 14:24 segnala
La concezione antica della sessualità, pur non rispettando molte regole per noi importanti e pur permettendo rappresentazioni artistiche degli amori omosessuali, può apparire libera da regole. In realtà essa possedeva altre regole, che noi non possediamo: la società antica, ad esempio, aspirava sempre ad un rapporto fra due partner di potere e forza diversa per età, per condizione sociale e per sesso, seguendo un principio completamente diverso rispetto a quella attuale, che cerca invece rapporti fra partner uguali o resi idealmente uguali dall'amore. Le stesse leggi sul matrimonio, infatti, puntano a garantire oggi l'uguaglianza fra i coniugi, mentre quelle del mondo antico sancivano sempre e senza alcun dubbio la superiorità assoluta del maschio rispetto alla donna, cioè la supremazia di un partner sull'altro/a. In questo modo, anche nella coppia omosessuale antica c'era “uno che ama” detto “erastès” in greco o “amans” in latino, parole che hanno la forma di participio attivo, ed “uno che è amato”, l’“eromènos” in greco o “amatus” in latino, parole che hanno la forma di un participio passato, quindi di valore passivo.
Anche la coppia omosessuale antica conosce, dunque, regole non meno ferree di quelle della società moderna, sebbene non siano le stesse delle nostre, perché concedevano molta libertà sessuale a chi aveva i pieni diritti politici e sociali, ma poca o addirittura nessuna libertà a chi non li aveva, ossia minorenni, schiavi e stranieri che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione.
Oltre a regole non scritte, basate sulla consuetudine, esistevano poi leggi vere e proprie contro l'omosessualità: le più importanti di queste leggi erano quelle che, in molte città greche, rendevano obbligatorio il matrimonio per tutti i cittadini adulti, a meno che essi non fossero tanto poveri da non poterselo permettere o fossero affetti da malattie invalidanti.
Altre leggi, come quelle discusse nell'orazione «Contro Timarco» di Eschine, privavano dei diritti di cittadinanza il giovane che si concedeva per denaro. Ad un giovane che si prostituiva, il “nomon”, ossia la legge della polis gli impediva di ricoprire cariche pubbliche, quali la possibilità di accedere all’arcontato – gli Arconti erano i governatori dello Stato – di ricoprire cariche di magistrato o di avvocato, di essere consacrato sacerdote, di partecipare a pubblici sacrifici e di essere inviato come araldo.
I “prostituti” tuttavia erano tutelati dallo Stato in quanto erano iscritti in un apposito registro ed erano tenuti a versare un tributo sul guadagno.
Il giudizio che gli antichi avevano dell’omosessualità, si evince al paragrafo 185 dell’orazione di Eschine, quando l’oratore afferma chiaramente che l’eterosessualità è naturale, mentre l’omosessualità è contro natura. Questo passo segue quello in cui l’autore enuncia i particolari del “nomon” che escludeva le donne adultere dalle feste e dai santuari pubblici:
«Ordunque, mentre i vostri padri espressero un tale giudizio su ciò che è turpe e ciò che è onesto, voi invece proscioglierete Timarco, colpevole delle più turpi azioni? Un individuo che ha il corpo di maschio, ma che ha commesso colpe di femmina? Chi di voi, dunque, punirà una donna sorpresa a commettere un’azione illecita? O quale uomo non darà l’impressione di essere uno stupido se, mentre prova sdegno contro una donna che sbaglia, obbedendo all’impulso di natura, prende poi per consigliere uno che contro natura ha oltraggiato il proprio corpo?»
Da questo paragrafo si evince che in tempi più remoti dovevano esistere leggi che, in qualche modo, vietavano i rapporti omosessuali.
Ma a chi i rapporti omosessuali erano vietati?
In realtà le società antiche erano fortemente classiste e come tali il rapporto omosessuale era vietato soltanto a coloro che non godevano del diritto di cittadinanza ed in particolare agli schiavi, infatti, in un altro passo della stessa orazione, Eschine afferma:
«In effetti, i nostri padri, quando fissarono leggi sui costumi e sulle necessità naturali, proibirono agli schiavi di fare quelle cose che, secondo loro, dovevano esser fatte solo dagli uomini liberi».
Più avanti Eschine accenna altresì all’esclusione degli schiavi dai ginnasi – il Gymnasion era un luogo dove si stava nudi, dal termine gymnon, che significa, appunto nudo – quindi la clausola che prevedeva la punizione dello schiavo che si innamorava di un ragazzo libero.
Aristofane, il commediografo ateniese del V secolo, nella commedia «Le Nuvole», nei versi 1075-80, parla dell’immorale Discorso Ingiusto, affrontando il problema degli impulsi di natura e lo illustra prendendo l’esempio di un uomo che s’innamora di una donna sposata e consuma con lei l’adulterio. “Così ha voluto natura”, dice un personaggio di Menandro, commediografo ateniese del IV secolo, nella commedia «Epitrèpontes», come attenuante per uno stupro, “cui nulla importa delle leggi”. In Euripide, tragediografo attico del V secolo, nel frammento 840, Laio, re di Tebe, riferendosi alla sua violenza omosessuale perpetrata nei confronti di Crisippo, dice debolmente: “Lo so, ma è natura che mi spinge”.
Per questo motivo dunque è piuttosto difficile spiegare quali siano gli impulsi di natura secondo Eschine se non presupponendo che egli consideri naturale la reazione omosessuale di un maschio per la bellezza di un altro.
Se questo fosse stato il suo punto di vista, Senofonte sarebbe stato d’accordo con lui. In un passo del «Gerone», l’1 31-33, Senofonte rappresenta il poeta Simonide nell’atto di conversare col tiranno siracusano Gerone:
«Che vuoi dire Gerone? Vuoi forse farmi credere che nel cuore di un tiranno non possa germogliare l’eros per un fanciullo, come invece succede ad altri? Come spieghi allora che tu sia innamorato di Diàloco?»
Allora Gerone rispose: «La mia passione per Diàloco è forse l’effetto di ciò che la natura umana ci spinge a desiderare di ciò che è bello; ma, quanto all’oggetto della mia passione, voglio raggiungerlo solo se lui ricambia ad acconsente al mio amore».
In ogni caso, i termini con i quali è indicato il sentimento omosessuale ed eterosessuale sono gli stessi.
Nell’orazione «Contro Simone» di Lisia, un vecchio cittadino si discolpa da una denuncia sportagli per aver furiosamente litigato e fatto a pugni con il querelante, suo acceso rivale, nell’amore verso un ragazzo. L’avversario di Simone, imbarazzato nel descrivere i suoi pasticci omosessuali ad un’età in cui ci si aspetterebbe un po’ di discrezione, dice: «È proprio di tutti gli uomini provare un desiderio». Da queste argomentazioni si deduce che nel mondo greco il concetto di desiderio non fosse differenziato per ragioni di scelte sessuali, ma che fosse differenziato per ragioni di “status” sociale.
A parte la natura del genere umano, ogni uomo ha una natura sua, vale a dire quel modo in cui si è sviluppato mentalmente e\o fisicamente, e, qualsiasi siano le caratteristiche di ognuno, è probabile che abbia qualcosa in più o in meno degli altri.
La consapevolezza dei Greci, secondo la quale alcuni sono più omosessuali di altri, non deve meravigliare ed è espresso molto chiaramente nella storia che Platone nel «Simposio», fa raccontare ad Aristofane con il mito dell’Androgino (http://blog.chatta.it/0iotiascolto/post/platone-ed-il-mito-di-androgino-nel-simposio.aspx).
La variabilità della gente rispetto ai loro orientamenti sessuali –determinata genericamente nel racconto di Aristofane – è casualmente riconosciuta nel riferimento che Eschine fa allo “straordinario entusiasmo di Misgola per i rapporti omosessuali” e nell’uso di Senofonte del termine “tropon” – abitudine, costume, modo, carattere, disposizione, inclinazione – quando descrive il comportamento del paiderasthén (pederasta) Epistene.
In conclusione si può affermare che nella Grecia antica la pederastia consisteva in un legame tra un uomo e un adolescente, ma si trattava di un modo riconosciuto di formazione delle élite sociali, che traduceva la relazione maestro-allievo ed in ogni caso la pederastia greca va inserita in un quadro generale nel quale desideri e comportamenti sessuali non erano classificati in base alla diversità o all'identità del sesso dei partner, bensì in base al ruolo attivo o passivo e alle conformità di questo alle norme concernenti età e condizione sociale delle persone coinvolte.
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La concezione antica della sessualità, pur non rispettando molte regole per noi importanti e pur permettendo rappresentazioni artistiche degli amori omosessuali, può apparire libera da regole. In...
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28/03/2011 14:24:48
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Il mito della "generale bisessualità" nelle società antiche

24 marzo 2011 ore 22:18 segnala
Per la maggior parte delle società antiche e soprattutto nell'età classica, laddove per età classica si intendono la Grecia e Roma, non esisteva una vera e propria differenziazione in base all'orientamento sessuale o di genere tipiche di un individuo, quanto piuttosto al ruolo assunto nel rapporto sessuale: in pratica l'identificazione sessuale e le leggi che regolavano i rapporti sessuali, si basavano non tanto sul fatto che l'oggetto del desiderio fosse una persona del sesso opposto o dello stesso sesso, quanto sul fatto se quella persona ricopriva un ruolo attivo, associato alla virilità e alla mascolinità, oppure un ruolo passivo, associato all’idea dell’immaturità e della femminilità.
Nella cultura antica era peraltro sconosciuto il moderno concetto di omosessualità, proprio per il fatto che l'identificazione sessuale avveniva in base al ruolo svolto durante il coito e, chi aveva preferenze per il suo sesso era obbligato dalla società ad avere rapporti eterosessuali, anche solo matrimoniali.
Da questo fatto è nato il mito di una “generale bisessualità” del mondo antico, priva di regole e di leggi, che invece non corrisponde ai documenti che sono giunti a noi.

L'omoerotismo di Achille e Patroclo

14 marzo 2011 ore 14:42 segnala
Nel Periodo Arcaico, subito dopo la migrazione degli Indoeuropei, tra il 1.500 e il 900 a.C, non si hanno notizie certe sulle strutture socioculturali, anche se nell'Iliade, quasi unico riferimento e documento storico letterario dell'epoca, si intravede l'omosessualità come praticata da molti personaggi.
Il più lampante degli esempi è la coppia Achille-Patroclo: sociologi e storici hanno individuato in questi due personaggi una coppia omoerotica. Il dolore dell'eroe per la morte di Patroclo è sincero, tale da spingere Achille a mettere da parte l'orgoglio e riprendere le armi.
L'Iliade offre con questo episodio una serie di indizi per delineare la società greca del periodo: l'onore e l'orgoglio di Achille, che preferisce vedere sconfitti gli achei pur di non cedere a quanto detto contro Agamennone, ma per vendicare Patroclo a tutti i costi accantona il suo onore e scendere di nuovo in battaglia.
Ma l’episodio prova che l'omoerotismo esisteva ed era socialmente accettato, al pari dell'eterosessualità: l'eroe, infatti, pratica entrambe le cose senza problemi. Achille ama sinceramente Patroclo, ma si diletta anche con Briseide, anzi è per lei che sorge la contesa con Agamennone.
La studiosa di diritto greco e romano Eva Cantarella, autrice di “Seconda natura. La bisessualità nel mondo antico” (Rizzoli) scrive: «Per i greci la parola ‘omosessuale’ non aveva alcun senso, e la stessa distinzione tra etero e omosessualità era del tutto estranea all’etica pagana. Virilità era sinonimo di attività, in tutti i sensi contraria alla passività femminile, nella dimensione intellettuale, guerresca, sessuale. Il ruolo sessuale attivo era possibile anche con un maschio, purché fosse un giovane amante. Il quale, una volta diventato adulto, cambiava ruolo, magari si sposava e diventava attivo con altri giovani maschi. Era considerata – continua Eva Cantarella – una regola positiva e auspicabile anche dal punto di vista delle virtù pubbliche, vale a dire le più alte nella gerarchia greca, tra le quali c’è il coraggio in battaglia. Si combatteva valorosamente anche per mostrare all’amato il proprio eroismo».Nemmeno per il rapporto tra Achille e Patroclo, aggiunge l’antichista Maurizio Bettini, vanno scomodate categorie contemporanee: “Il mondo greco valorizza il rapporto omoerotico tra un adulto e un ragazzo imberbe, che dall’adulto riceve un’educazione etica, amorosa, sessuale ma che non va necessariamente verso l’omosessualità (quando ci va, perché quel tipo di rapporto continua tra adulti, non è più apprezzato ma condannato, in Grecia come a Roma). L’omoerotismo ritualizzato tra adulto e giovinetto configura una sorta di iniziazione, un passaggio culturale”. Ma Achille e Patroclo, compagni d’arme e uniti al punto che Achille invoca la morte dopo l’uccisione dell’amico, ci appaiono come pari: “Eppure, secondo alcuni antichi commenti e stando a certe raffigurazioni vascolari, non è così. Patroclo è il più vecchio, e comunque la madre di Achille, Teti, invita il figlio a interrompere le manifestazioni eccessive di lutto e a sposarsi: a diventare adulto”.

Platone ed il mito di Androgino nel Simposio

13 marzo 2011 ore 16:38 segnala
«E così evidentemente sin da quei tempi lontani in noi uomini è innato il desiderio d'amore gli uni per gli altri, per riformare l'unità della nostra antica natura, facendo di due esseri uno solo: così potrà guarire la natura dell'uomo. Dunque ciascuno di noi è una frazione dell'essere umano completo originario. Per ciascuna persona ne esiste dunque un'altra che le è complementare, perché quell'unico essere è stato tagliato in due, come le sogliole. È per questo che ciascuno è alla ricerca continua della sua parte complementare. Stando così le cose, tutti quei maschi che derivano da quel composto dei sessi che abbiamo chiamato ermafrodito si innamorano delle donne, e tra loro ci sono la maggior parte degli adulteri; nello stesso modo, le donne che si innamorano dei maschi e le adultere provengono da questa specie; ma le donne che derivano dall'essere completo di sesso femminile, ebbene queste non si interessano affatto dei maschi: la loro inclinazione le porta piuttosto verso le altre donne ed è da questa specie che derivano le lesbiche. I maschi, infine, che provengono da un uomo di sesso soltanto maschile cercano i maschi. Sin da giovani, poiché sono una frazione del maschio primitivo, si innamorano degli uomini e prendono piacere a stare con loro, tra le loro braccia. Si tratta dei migliori tra i bambini e i ragazzi, perché per natura sono più virili. Alcuni dicono, certo, che sono degli spudorati, ma è falso. Non si tratta infatti per niente di mancanza di pudore: no, è in loro ardore, la loro virilità, il loro valore che li spinge a cercare i loro simili. Queste persone - ma lo stesso, per la verità, possiamo dire di chiunque - quando incontrano l'altra metà di se stesse da cui sono state separate, allora sono prese da una straordinaria emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall'affinità con l'altra persona, se ne innamorano e non sanno più vivere senza di lei - per così dire - nemmeno un istante. E queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s'aspettano l'uno dall'altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell'amore: non possiamo immaginare che l'attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C'è qualcos'altro: evidentemente la loro anima cerca nell'altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con immediatezza. Se, mentre sono insieme, Efesto si presentasse davanti a loro con i suoi strumenti di lavoro e chiedesse: "Che cosa volete l'uno dall'altro?", e se, vedendoli in imbarazzo, domandasse ancora: "Il vostro desiderio non è forse di essere una sola persona, tanto quanto è possibile, in modo da non essere costretti a separarvi né di giorno né di notte? Se questo è il vostro desiderio, io posso ben unirvi e fondervi in un solo essere, in modo che da due non siate che uno solo e viviate entrambi come una persona sola. Anche dopo la vostra morte, laggiù nell'Ade, voi non sarete più due, ma uno, e la morte sarà comune. Ecco: è questo che desiderate? è questo che può rendervi felici?" A queste parole nessuno di loro - noi lo sappiamo - dirà di no e nessuno mostrerà di volere qualcos'altro.»

E' davvero contro natura l'omosessualità?

13 marzo 2011 ore 16:23 segnala
L'omosessualità è universalmente presente nel mondo animale, dai vermi alle rane, passando per gli uccelli i moscerini e molti mammiferi fino a noi; praticamente ogni specie ha comportamenti omosessuali e ognuna sembra farlo con scopi o per cause diverse.

È quanto emerge dalla revisione di numerosi studi fin qui prodotti sull'omosessualità, analisi condotta da Nathan Bailey dell'università di Riverside in California e pubblicata sulla rivista "Trends in Ecology and Evolution".
"Abbiamo trovato che esiste un'enorme varietà di comportamenti omosessuali nelle diverse specie e che questi comportamenti si verificano in molti contesti diversi e con molte differenti manifestazioni", ha spiegato Bailey all'Ansa.
"Inoltre gli studi che noi abbiamo esaminato nella nostra revisione dell'argomento - ha aggiunto l'esperto - suggeriscono che i comportamenti omosessuali nel regno animale sono parte di un insieme di comportamenti flessibili che vengono esibiti durante il corteggiamento e l'accoppiamento in certe specie"; in alcuni casi dipendono da difetti genetici (come nel moscerino della frutta dove il maschio corteggia e cerca di accoppiarsi con altri maschi se ha un gene mutato), in altri casi in risposta a una vera e propria strategia riproduttiva.
"Infatti - ha concluso Bailey - in alcuni uccelli come il gabbiano e l'albatros, in carenza di maschi nella popolazione, femmine si mettono in coppia e covano le uova traendo da questo comportamento una soluzione al problema carenza maschi. Emerge dunque che in alcune circostanze il comportamento omosessuale è vantaggioso per chi lo manifesta o per la specie".

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L'omosessualità è universalmente presente nel mondo animale, dai vermi alle rane, passando per gli uccelli i moscerini e molti mammiferi fino a noi; praticamente ogni specie ha comportamenti...
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13/03/2011 16:23:59
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