Una volta uscita dal medioevo ellenico, il periodo buio della sua storia, l'antica Grecia iniziò a parlare di nuovo di amore, il sentimento identificato in un Eros che non teneva conto del sesso delle sue vittime. Prima, infatti, dell'esclusione della donna dalla vita della polis, nei versi di Saffo erano cantati gli amori e le sue attenzioni per le allieve più belle che partecipavano ai suoi insegnamenti sull'isola di Lesbo.
La verdeggiante isola greca è l'isola della poetessa Saffo e di Alceo, poeta presunto amante di Saffo.
Saffo era l’aristocratica insegnante di un tiaso, sorta di collegio in cui fanciulle di famiglia nobile erano educate. Secondo la tradizione tra l'insegnante e le fanciulle nascevano rapporti di grande familiarità, anche sessuale. Probabilmente il fenomeno va inquadrato secondo il costume dell'epoca, come forma anticipatrice di un amore eterosessuale, cioè una fase di iniziazione per la futura vita matrimoniale.
Nella Grecia antica questo costume rimase costante nell'educazione dei giovinetti e nel diverso approccio del mondo greco nel confronto della pederastia rispetto alla sensibilità moderna: è invece probabile che nei confronti delle ragazze sia stato proprio solo dell'isola di Lesbo, forse per una componente di influenza anatolica in un'isola, così vicina all'Asia e così aperta ai traffici. Sicuramente Saffo compose canti d'amore per le sue allieve destinate a nozze e questo ha lasciato supporre un innamoramento anche con componenti sessuali.
Oggi intendo affrontare un tema che affonda le sue radici più sotterranee dell'identità femminile: quello dell'omosessualità femminile. Partendo dal mondo greco, intendo far osservare come fu vissuta l'omosessualità femminile in una cultura dove non appaiono i sentimenti di colpa, tipici delle società dominate dalle religioni monoteistiche, e dove il sentimento di vergogna non è legato ad una legge divina, ma a consuetudini ed a leggi umane.
Le società più arcaiche erano legate a veri e propri riti di passaggio che segnavano la fine dall'età infantile e l'entrata nel mondo degli adulti, avendo dimostrato la capacità di svolgere i differenti lavori che stabilivano nel sociale il dimorfismo sessuale.
La codificazione del dimorfismo sessuale ha le sue radici nella suddivisione del lavoro, presente nelle comunità umane fin dalle epoche più remote della preistoria. Gli uomini, liberi dalle gravidanze e dalla cura dei piccoli si dedicavano alla caccia, mentre alle donne, erano riservate la raccolta dei frutti della natura. Con il trascorrere dei millenni le attività maschili si andarono differenziando, mentre per le donne si andava affinando il loro ruolo all'interno della famiglia.
Giunti nella Grecia di 4000 anni fa, questi ruoli erano ormai già stabilmente consolidati: gli uomini si dedicavano alla guerra, alle armi, all'artigianato, al commercio e al governo della città, dunque all'esercizio del potere, mentre alle donne, relegate nei ginecei, spettavano le attività domestiche, secondo il modello proprio anche della società romana: lanam facere, filios colere.
Notizie dei ruoli d'iniziazione al lavoro adulto sono presenti in tutti i testi d'antropologia culturale, e sono ancora presenti nelle popolazioni cosiddette primitive. Nel periodo intermedio dall'infanzia all'età adulta, la ragazza poteva avere una grande varietà di esperienze sessuali. Il suo primo amante era un uomo maturo in grado di iniziarla al sesso. Allo stesso modo i ragazzi iniziavano la loro vita sessuale con una donna maggiore di età ed esperienza, così il successo di un'avventura amorosa è raramente compromesso da una doppia ignoranza. Simone de Beauvoir illustra la presenza a Singapore e a Canton di molte comunità femminili che nelle convenzioni e nelle pratiche di culto offrono alcune interessanti analogie con le comunità della Lesbo e della Sparta arcaica.
Riti d'iniziazione sessuale erano dunque presenti, anche se, soprattutto per quanto riguarda il femminile, si sono studiati poco, infatti, per gli storici antichi e moderni – tutti uomini – quanto accadeva nel mondo femminile aveva poca importanza.
Detto questo, intendo oggi prendere in considerazione come in Grecia, accanto alla pederastia iniziatica maschile, di cui ho già fatto cenno e di cui si conservano ampie tracce, siano fiorite delle comunità femminili, nelle quali le relazioni omoerotiche avevano lo stesso valore iniziatico. Associazioni di ragazze e di donne si trovano in Grecia fin dal VII secolo a.C. Il circolo di Saffo anche se il più noto non era l’unico: Saffo, nata nell'isola di Lesbo intorno alla metà del VII secolo, trascorse gran parte della sua esistenza nella ristretta cerchia di un tiaso, una sorta di associazione femminile. L'opinione oggi più attendibile è che Saffo sia stata a capo di una comunità di giovani donne, una scuola di femminilità dove le ragazze ricevevano delle lezioni di eleganza e di grazia. Le ragazze vi entravano a far parte prima del matrimonio, compiendovi un periodo d'istruzione e preparazione alle nozze: una volta sposate, esse si separavano dal gruppo.
L'istruzione impartita comprendeva la pratica di lavori femminili, l'apprendimento della buona educazione, della musica ed un'iniziazione alla sessualità. Dallo stato selvaggio dell'adolescenza proprio di Artemide, la dea che proteggeva le vergini, esse passavano a quello di donne ispiratrici d'amore, sviluppando la sensualità e la sessualità, secondo il modello di Afrodite, la dea dell'amore erotico.
Attis, una delle tre compagne più care a Saffo, prima di entrare nel tiaso, era una ragazza molto giovane e senza grazia,
«Ero innamorata di te, un tempo, Attis
…
una fanciulla piccola sembravi, e acerba»
In questo contesto, acerba, è utilizzato per designare una fanciulla non ancora pronta per il matrimonio. La traduzione dal greco charis – da cui l'italiano carisma, ma anche fascino, bellezza – è caratteristica indispensabile per una bella donna, che desideri sposarsi. Dopo il soggiorno nel tiaso, la bella Attis, che Saffo descrive di ritorno in Lidia
«da Sardi
volgendo spesso qui la mente
...
simile a una dea, che ben si distingue,
ti (considerava), e godeva molto del tuo canto.
Tra le donne lidie, ora,
ella spicca, come la luna dita di rosa
quando il sole è tramontato
vince tutte le stelle. E la luce si posa
sul mare salato
e sui campi pieni di fiori;
e la rugiada bella è sparsa:
son germogliate le rose e i cerfogli
teneri e il meliloto fiorito.
Aggirandosi spesso, e ricordando
la bella Attis, ella opprime
per il desiderio l'animo sottile.
E andare li...»
Attis brilla tra le donne del suo paese come la luna in mezzo alle stelle, grazie all'educazione ricevuta a Lesbo. Dunque, il contenuto dell'educazione dispensata da Saffo, in seno alla sua scuola, tendeva alla preparazione al matrimonio di giovani allieve.
Del resto, i rapporti dell'attività della poetessa con l'istituzione del matrimonio, sono confermati dai numerosi frammenti di epitalami e come risulta dai frammenti, Saffo appare sempre al centro di un gruppo di fanciulle che vanno e vengono continuamente.
Come ho detto, il tiaso saffico non era un caso unico: altre associazioni di ragazze e di donne adulte sono conosciute in Grecia ed in tutte sono ampiamente documentate relazioni omoerotiche femminili. La poesia di Saffo scaturisce spontanea dalle passioni amorose vissute all'interno del raffinato sodalizio femminile da lei diretto, la componente erotica dei versi della poetessa si mostra con sincero ardore.
«...
Esser morta vorrei veramente.
Mi lasciava piangendo,
e tra molte cose mi disse:
"Ahimè, è terribile ciò che proviamo,
o Saffo: ti lascio, non per mio volere".
E a lei io rispondevo:
"Va' pure contenta, e di me
serba il ricordo: tu sai quanto t'amavo.
Se non lo sai, ti voglio
ricordare...
cose belle noi godevamo.
Molte corone di viole,
di rose e di crochi insieme
cingevi al capo, accanto a me,
e intorno al collo morbido
molte collane intrecciate,
fatte di fiori.
E tutto il corpo ti ungevi
di unguento profumato...
e di quello regale.
E su soffici letti
saziavi il desiderio
...
E non vi era danza
né sacra festa...
da cui noi fossimo assenti
né bosco sacro...»
Una sorta di gelosia si manifesta in questo frammento:
«Simile a un dio mi sembra quell'uomo
che siede davanti a te, e da vicino
ti ascolta mentre tu parli
con dolcezza
e con incanto sorridi. E questo
fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
Se appena ti vedo, sùbito non posso
più parlare:
la lingua si spezza: un fuoco
leggero sotto la pelle mi corre:
nulla vedo con gli occhi e le orecchie
mi rombano:
un sudore freddo mi pervade: un tremore
tutta mi scuote: sono più verde
dell'erba; e poco lontana mi sento
dall'essere morta.
Ma tutto si può sopportare...»
Il relativismo estetico per la prima volta affermato in Occidente in questo frammento, in cui la poetessa si strugge d’amore per Anactoria lontana:
«Un esercito di cavalieri, dicono alcuni,
altri di fanti, altri di navi,
sia sulla terra nera la cosa più bella:
io dico, ciò che si ama.
È facile far comprendere questo ad ognuno.
Colei che in bellezza fu superiore
a tutti i mortali, Elena, abbandonò
il marito
pur valoroso, e andò per mare a Troia;
e non si ricordò della figlia né dei cari
genitori; ma Cipride la travolse
innamorata.
...
Ora mi ha svegliato il ricordo di Anactoria
che non è qui;
ed io vorrei vedere il suo amabile portamento,
lo splendore raggiante del suo viso
più che i carri dei Lidi e i fanti
che combattono in armi.»
Benché una critica moralista lo abbia spesso negato, è innegabile l'esistenza di passioni omosessuali tra le componenti del tiaso: i frammenti di Alcmane e di Saffo lo confermano in maniera inequivocabile.
Particolarmente interessante è l'interpretazione del Partenio di Alcmane:
«Io canto,
la luce di Agido. Ecco, la vedo
come il sole, lo stesso
che Agido fa risplendere a noi.
Non posso io lodarla
né parlarne male: la corega illustre
non lo permette. Proprio ella mi sembra
spiccare sopra le altre, come quando
si mette alla pastura una giumenta
forte, che con gli zoccoli sonanti
supera il traguardo come alato sogno.
Non la vedi? È un corsiere
venetico. La chioma
sua, di mia cugina
Agesìcora, risplende
come oro purissimo,
come argento il volto.
Ma perché parlarti ancora?
Agesìcora, è questa;
Agido, seconda in bellezza
correrà come un cavallo colasseo contro uno ibeno;
e levatesi come Sirio
esse, le colombe, gareggiano
con noi, che offriamo in dono un aratro alla dea del mattino
nella divina notte.»
I Parteni erano destinati all'esecuzione da parte di un coro di fanciulle durante rituali iniziatici, in cui si articolava il processo di educazione della gioventù spartana, in particolare per le ragazze. Uno dei temi più ricorrenti nei parteni era l'amore. Scopo di questo procedimento pedagogico era, infatti, educare le fanciulle al loro futuro ruolo di madri e di mogli nella società, e dunque era di fondamentale importanza trasmettere le consuetudini fondamentali che regolano la sfera dell'eros. A giudicare da alcuni lunghi frammenti che ci sono pervenuti di cui il fondamentale è il partenio riportato sopra, sembra che le fanciulle, riunite in istituzioni affini ai tiasi lesbici, avessero rapporti omoerotici non solo con la maestra, come accadeva a Lesbo, ma anche fra di loro: esse erano infatti in una condizione di pari livello, in cui l'unico elemento gerarchico discriminante era la bellezza, che per questo motivo è scelta come corega. A questo proposito il partenio di Agido e Agesìcora è stato interpretato da alcuni come la celebrazione di un vero e proprio matrimonio tra le ragazze, anche se non mancano altri temi ispiratori, quali allusioni mitiche, sentenze morali, spunti conviviali ed erotici, descrizione di spettacoli naturali. In esso appaiono due figure di rilievo, Agido e Agesicora, delle quali la seconda è la corega, presentate in una posizione di spicco rispetto alle altre ragazze del coro.
Spesso nel partenio è messo in evidenza il loro ruolo di coppia: il legame che unisce Agido e Agesicora è esclusivo, nessuna delle due ha aspirazioni amorose nei confronti delle altre ragazze del coro ed infine il coro stesso dichiara il suo sconforto di fronte a questo inscindibile legame che né bellezza, né oggetti preziosi possono spezzare. Questo partenio sembra un vero e proprio epitalamio, destinato ad un rituale interno alla comunità delle ragazze, ma in realtà non si tratta di una comune cerimonia nuziale, ma di una cerimonia iniziatica all'interno del tiaso.
Imerio, un autore del IV sec. d.C., trovava descritto nei carmi di Saffo un tale rituale all'interno delle comunità: dopo gli agoni, Saffo entra nel talamo, stende il letto nuziale, fa entrare le ragazze nel nympheion, conduce sul carro le Cariti, Afrodite ed il coro degli Amori e forma con essi una processione che innalza la fiaccola nuziale. I riti di cui parla Imerio si riferiscono ad un preciso momento dell'attività cultuale del tiaso. È probabile che nelle comunità femminili di Lesbo esistessero unioni ufficiali tra le ragazze, si trattava di un vero rapporto di tipo matrimoniale, come mostra in Saffo l'uso di un termine specifico per designare il concreto vincolo del matrimonio.
A Lesbo, Saffo aveva almeno due rivali nelle persone di Andromeda e di Gorgo. Un frammento di commentario su papiro ci rivela che tra Gorgo e le sue compagne esistevano regole di ordine comunitario analoghe a quelle di Saffo. Da un frammento sappiamo che Pleistodice insieme con Gongila è moglie di Gorgo. Ciò significa che la direttrice del tiaso poteva contemporaneamente far coppia con due ragazze.
Ma l'omosessualità femminile non era costume amoroso esclusivo delle donne di Lesbo. In realtà, definire l'amore omosessuale femminile come lesbico costituisce una deformazione semantica del termine. Per i Greci, la fama delle donne di Lesbo era legata alla pratica amorosa del fellare in latino, lesbiazein, una pratica, come sappiamo dai poeti della commedia in particolare da Aristofane nel verso 920 de Le donne al parlamento, molto antica e nota, che avrebbero escogitato proprio le ragazze di Lesbo. Dunque lesbica aveva già nella seconda metà del V sec. e, certamente in epoca più antica, la tipica connotazione di fellatrix, non di lesbica in senso moderno. L'uso di lesbica nel senso di donna omosessuale, risale all'erudito bizantino Areta, vissuto fra il IX ed il X secolo, e divenne di uso corrente nella cultura europea dal XIX secolo in poi.
Le comunità femminili di tipo saffico, non furono un fenomeno relegato all'isola di Lesbo. Plutarco, nella Vita di Licurgo riferisce che l'amore omoerotico femminile era ammesso anche nella Sparta arcaica in comunità più o meno affini a quelle lesbiche. Nella Sparta del VII secolo abbiamo notizia di cori femminili, con una struttura educativa e gerarchica, detti agelai spartani. Numerose testimonianze sui cori spartani lasciano supporre l'esistenza di relazioni omosessuali tra le coreute, o alcune tra le coreute e la corega.
Si è molto dibattuto sulla questione posta dalla natura di queste relazioni omosessuali: si trattava di relazioni temporanee nate in comunità di adolescenti dello stesso sesso e della stessa età o divenivano relazioni affettive che assumevano un valore istituzionale? Per cercare di dare una risposta a questa domanda è necessario chiarire il valore dell'omosessualità nella società greca classica. In un passaggio molto noto della Vita di Licurgo, Plutarco racconta che a 12 anni gli efebi erano associati ai migliori fra gli uomini giovani. Questo costume è confermato da numerose fonti: Plutarco ancora nella Vita di Licurgo parla della pederastia spartana come di un'istituzione legata al sistema educativo della città. Lo stesso valore pedagogico era conferito all'omosessualità nel sistema cretese, anzi a Creta, il contatto tra i due amanti aveva una durata istituzionalmente limitata a due mesi e tutte le modalità del rapporto omosessuale erano fissate dalla legge.
In questo contesto appare evidente che l'omosessualità maschile assume un valore iniziatico, un momento di passaggio che permette al ragazzo di compiere il passo che separa l'adolescenza dall'età adulta, come ho già detto nella precedente discussione. Nel caso in cui l'omosessualità non avesse un valore pedagogico, essa era condannata come nella nostra cultura.
Ad una lettura attenta le relazioni omoerotiche dei circoli femminili presentano sorprendenti analogie con l'omosessualità iniziatica maschile. Plutarco afferma infatti che a Sparta l'omosessualità femminile aveva, come quella maschile, la funzione di iniziare la ragazza adolescente ed aggiunge che questi legami avevano carattere temporaneo. A Sparta era costume che donne adulte si univano a giovani ragazze prima del matrimonio.
Tuttavia i riti iniziatici femminili non erano del tutto assimilabili a quelli maschili: la relazione omosessuale femminile era diversa da quella tra l'adulto maschio e il suo amante ragazzo. L'omosessualità femminile nei tiasi era sganciata dal rigido rapporto di subalternità proprio della pederastia iniziatica maschile. Dagli stessi frammenti delle poesie di Saffo traspaiono relazioni omoerotiche connotate soprattutto di dolcezza e tenerezza.
Sono sostanzialmente gli uomini a fare dell'omosessualità femminile un calco di quella maschile, lo stesso termine è tratto dalla sfera maschile. Non è casuale che ad enfatizzare l'aspetto pedagogico dei rapporti tra donne sia un uomo, come Plutarco nella Vita di Licurgo: a Sparta dice, infatti, le donne migliori amavano le ragazze e quando accadeva che due di loro amassero la stessa fanciulla, cercavano di rendere migliore, insieme, la loro amata. È dunque plausibile concludere che sia a Sparta sia a Lesbo, i rapporti omosessuali tra donne adulte e giovani ragazze avevano un valore iniziatico, introduttivo alla condizione adulta che era definitivamente raggiunta con il matrimonio e il passaggio all'eterosessualità. Non dobbiamo dimenticare che una società come quella greca imponeva il matrimonio, che era vissuto esclusivamente come istituzione ed era ben lontana dalla concezione romantica che oggi noi ne abbiamo. I termini latini che indicano lo sposare una donna da parte di un uomo uxorem ducere esprimono bene il valore contrattuale di questo patto, ducere in latino significa condurre, ma anche comprare. Dunque si può escludere che seppur sposate, molte donne, come la poetessa Saffo, restassero fissate alla meta omosessuale. La storia – che fino ad oggi è stata scritta dagli uomini – non ha consegnato le loro voci. Saffo visse in un periodo di transizione, in cui alle donne era ancora aperto qualche spazio per vivere come individui e poter esprimere i loro sentimenti. Una, per tutte la sua voce, descrive, da un punto di vista femminile, le vibrazioni sottili e tormentose di passioni intense. La stessa Saffo scrisse:
«Io credo che qualcuno si ricorderà di noi,
nel futuro»
L’analisi comparata di frammenti dei lirici greci ha permesso di considerare l'omosessualità femminile quale rito d'iniziazione, del tutto simile a quello maschile, normale in una società in cui i costumi sessuali non erano soggetti a tabù, come sarebbe stato a partire dal periodo di cui la Bibbia e le sue derivazioni culturali ci ha lasciato memoria storica. Peraltro ci è ignoto, quando e perchè abbia avuto fine il rito d'iniziazione sessuale rappresentato da rapporti omosessuali tra adolescenti ed adulti, uomo-uomo, donna-donna.
Con il tempo l'omosessualità ha preso caratteri diversi e con questo termine si intende un rapporto adulto-adulto in cui è invertita, rispetto a quello che è ritenuto uno sviluppo psicosessuale ottimale la meta del desiderio sessuale. In realtà questo avviene soltanto in alcuni casi, in altri sono invertiti anche il ruolo di genere ed il ruolo sociale. È quindi limitativo includere nel termine omosessuale una serie di comportamenti che riguardano l'identità sessuale in tutta la sua complessità. Molto resta ancora quindi da studiare, compreso il motivo per il quale l'omosessualità maschile sia stata stigmatizzata, mentre poca attenzione e forse poca importanza è stata riservata a quella femminile. Un’ipotesi è legata alla scoperta scientifica della paternità che, proprio nella cultura e nella mitologia greca vede Zeus come simbolo del fallo procreatore. Dal momento in cui l'uomo, in qualche modo negando o annebbiare l'uguale contributo femminile alla procreazione, avalla a se questo potere magico-divino, il disperdere il seme, portatore della nuova vita, divenne una colpa.
L'omosessualità maschile passiva che, in qualche modo abbassava un uomo al ruolo femminile – si ricordi che a Lesbo era insegnata la fellatio e che questo comportamento poteva essere richiesto all'uomo passivo – divenne invece vergogna.