La vita è fatta di aperture e chiusure. Dove c’è un inizio, c’è anche una fine e dove ci sono problemi, ci sono soluzioni.
Ci sono state fasi in cui ho maledetto il mondo, in cui non era giusto quello che mi stava capitando e qualche mese, o anno, dopo ho realizzato che quello che chiamavo sfortuna, era stato la mia fortuna, perché quella condizione mi aveva permesso di fare altro e di reinventarmi. A volte ci vogliono anni prima di dare un senso alle cose. Ho imparato a trovare il senso in tutto. Tutto insegna, tutto serve e, spesso, sono proprio questi capitoli della mia vita che mi hanno fatto capire quanto fossi forte. Ho iniziato a vedere luce nel buio, opportunità, soluzioni senza focalizzarmi solo sui problemi. Ho imparato a trasformare i momenti brutti in sfide, smettendola di subire gli eventi della vita. È solo una questione di COME ci poniamo. Non servirà fare la conta dei capitoli belli e brutti perché la Vita è questa, un’altalena in cui noi dobbiamo cercare di mantenere il più possibile l’equilibrio dopo averlo trovato. Lo strumento più potente che mi ha aiutato, e mi aiuta, come se fosse una chiave che apre tutte le porte, è la conoscenza. Se sai, fai e gestisci, pensando in modo pertinente, intelligente e strategico. Non si cambia il passato, ma la percezione di ciò che abbiamo vissuto sì. Non possiamo evitare tante cose che accadono, ma possiamo gestirle. Abbiamo un enorme potere e spesso stiamo fermi e immobili sperando che le cose cambino quando abbiamo nella testa la soluzione. Basta solo aprire gli occhi della mente.
Notte, L u c a.
Non si cambia il passato..
08 luglio 2025 ore 02:40 segnala6f5091e0-8a7e-42b4-831a-de18a676e5dd
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Breve riflessione sulle relazioni
08 luglio 2025 ore 01:57 segnala
Le relazioni funzionano se si mandano avanti in due. Sono le strade ad essere a senso unico, non i rapporti. Quando sono a senso unico o unilaterali, c’è sempre qualcuno che soffre e qualcun altro che se ne approfitta. C’è anche tanta solitudine perché non sentirsi amati è molto doloroso. A volte si ha la sensazione di fare, fare, ma di non ricevere mai abbastanza in cambio. In altri casi anche di sentirsi usati.
La propria realizzazione e soddisfazione personale non possono dipendere dal ritorno emotivo della persona amata.
Bisogna puntare a essere autonomi e indipendenti da un punto di vista affettivo, non si deve avere bisogno di stare con qualcuno per elemosinare amore. Condividere la propria vita con qualcuno deve essere un piacere, una scelta, un “in più”. In amore, come nelle differenti relazioni affettive, non c’è fretta, diventa una co-costruzione, come un passo a due in cui si impara a danzare in armonia solo danzando.
L’indipendenza affettiva è fondamentale per la costruzione di una relazione appagante.
Prima però, è importante imparare a prendersi cura anche di se stessi, a farsi rispettare, a darsi un valore, ad amarsi.
Come si può amare un’altra persona se non si è in grado di amare anche se stessi..
Buona Notte, L u c a.
La propria realizzazione e soddisfazione personale non possono dipendere dal ritorno emotivo della persona amata.
Bisogna puntare a essere autonomi e indipendenti da un punto di vista affettivo, non si deve avere bisogno di stare con qualcuno per elemosinare amore. Condividere la propria vita con qualcuno deve essere un piacere, una scelta, un “in più”. In amore, come nelle differenti relazioni affettive, non c’è fretta, diventa una co-costruzione, come un passo a due in cui si impara a danzare in armonia solo danzando.
L’indipendenza affettiva è fondamentale per la costruzione di una relazione appagante.
Prima però, è importante imparare a prendersi cura anche di se stessi, a farsi rispettare, a darsi un valore, ad amarsi.
Come si può amare un’altra persona se non si è in grado di amare anche se stessi..
Buona Notte, L u c a.
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Riflessione indossare la mascherina..
07 luglio 2025 ore 16:27 segnala
Le persone che nella foto profilo indossano la mascherina mi causano una sensazione di profondo ma tutt'altro che inspiegabile disagio.
Fino a poco tempo fa credevo fosse un eccezione, un "vezzo" adottato come una forma di scaramanzia da alcuni tra i miei contatti non particolarmente brillanti. Io cercavo anche di scherzarci sopra, provocatoriamente chiedevo "avete paura che il covid vi mandi la richiesta di amicizia?"
In realtà mi sono reso conto che la questione è molto più seria e inquietante di quanto non mi sembrasse inizialmente: me ne sono accorto quando un paio di miei amici e conoscenti stretti, persone tutt'altro che stupide o ignoranti, hanno a loro volta iniziato a mettersi la mascherina nella loro foto profilo su Facebook.
Tempo fa, rispondendo ad una domanda simile a questa (che io stesso avevo proposto) un utente affermò che quelli con la foto profilo "mascherata" desiderassero "ostentare la loro virtuosa adesione alle regole". In parte condivido questa conclusione: non so se qualcuno di voi ha mai giocato a Dungeons & Dragons, ma se i miei conoscenti "mascherati" fossero personaggi di quel gioco di ruolo, sarebbero sicuramente di allineamento Legale Buono: persone empatiche e disinteressate, che però credono nell'ordine, nella legalità e nella virtù derivante da una acritica adesione alle regole imposte dall'alto. In altre parole, persone fondamentalmente buone, ma che non mettono mai in discussione lo status quo.
Oltre a questo aspetto, a giocare un ruolo fondamentale, nonché inquietante, è l'abitudine: in appena un anno, molte persone hanno iniziato a ragionare come se la mascherina fosse più che un oggetto di protezione… per alcuni, prima è diventato un talismano, poi un capo d'abbigliamento, e infine, una parte integrante del loro viso. E tutto questo in pochi mesi.
Trovo sconcertante come le persone si adattino facilmente alle restrizioni, checché ne dicano quelli che sostengono che gli italiani non rispettino mai le regole: per quanto mi riguarda le rispettiamo anche troppo, forse più per paura delle punizioni (che sono qualcosa di oggettivo) che per senso civico (che invece è soggettivo).
Ma indossare una mascherina nella foto profilo non è un segno di senso civico, ne costituisce l'adesione ad una regola: per me, è semplicemente la rappresentazione di come noi, italiani e non, sappiamo "rassegnarci" in fretta all'imposizione di una realtà totalmente anormale, nonché di come inconsciamente cerchiamo ogni scusa per sentirci superiori e speciali rispetto a chi adotta dei comportamenti che non condividiamo.
Che cosa c'è di cosi positivo e "assertivo" in una foto profilo con il pollice alzato, gli occhi sorridenti e una mascherina a coprire naso e bocca? O in una foto profilo con mascherina e una posa stile Kill Bill, come quella di un mio amico fisico? Per quanto mi riguarda, niente. Non c'è proprio niente di bello o virtuoso nel farsi fotografare col viso coperto. Le mascherine andrebbero usate solo quando strettamente necessario, non di più. Trasformarle in un ornamento o, peggio, in una parte del viso, non è bello, non è virtuoso: io la trovo solamente una aberrazione.
Buon pomeriggio, L u c a.
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Breve riflessione sulle persone che parlano tanto
02 luglio 2025 ore 15:25 segnala
Che sta a te imparare a gestirle.
Ho appreso con una certa dose di fatica a interrompere chi blatera senza fine solo perché non sa aprire e chiudere parentesi o perché ama la propria voce o perché non ha la lucidità mentale minima per essere dritto al punto (questo sul lavoro).
E devi essere purtroppo "bold", non brutale, ma deciso. Altrimenti non ne esci.
Prima di tutto per loro: una persona che ti innervosisce o che trovi noiosa tenderà via via a essere esclusa dalla tua vita in modo inconscio da te, prima di tutto. E onestamente non vale la pena perdere persone magari preziose solo perché non hai gli attributi per chiarir loro che non sono dei Dario Fo.
Con le amiche donne: spesso sanno di essere inconcludenti o di esagerare con i dettagli e le parentesi, quindi accettano relativamente di buon grado frasi del tipo "sì, ok, fantastico, ma quindi com'è finita?".
Con gli uomini e sul lavoro: qui è più complicato perché molti uomini non capiscono di essere dei pali nel deretano, specie uomini di potere. Non aiuta che spesso la gente non li ha corretti per tempo, e c'è sempre il problema di ferire degli ego molto fragili. Io tendo a sfruttare la mia voce abbastanza "importante" per interromperli, in modo sempre meno delicato. O (mi è successo la scorsa settimana con un consulente che ha monopolizzato un meeting con un monologo che stava arrivando ai 10–15 minuti) vado dritto al punto con frasi "Arturo, abbiamo solo altri 45 minuti e dobbiamo confrontarci tutti con un minimo di dialettica e botta e risposta. Per i monologhi le riunioni non vanno bene. Ora parlo io (o Gino/Lino/Pino)".
Alla fine, si torna sempre lì: devi trovare la giusta dose di assertività per farti rispettare (e fa rispettare le altre persone che magari non hanno la tua stessa forza di carattere!) senza essere troppo aggressivo o venire percepito come stronzo. Non è facile.
Buona Giornata, L u c a.
Ho appreso con una certa dose di fatica a interrompere chi blatera senza fine solo perché non sa aprire e chiudere parentesi o perché ama la propria voce o perché non ha la lucidità mentale minima per essere dritto al punto (questo sul lavoro).
E devi essere purtroppo "bold", non brutale, ma deciso. Altrimenti non ne esci.
Prima di tutto per loro: una persona che ti innervosisce o che trovi noiosa tenderà via via a essere esclusa dalla tua vita in modo inconscio da te, prima di tutto. E onestamente non vale la pena perdere persone magari preziose solo perché non hai gli attributi per chiarir loro che non sono dei Dario Fo.
Con le amiche donne: spesso sanno di essere inconcludenti o di esagerare con i dettagli e le parentesi, quindi accettano relativamente di buon grado frasi del tipo "sì, ok, fantastico, ma quindi com'è finita?".
Con gli uomini e sul lavoro: qui è più complicato perché molti uomini non capiscono di essere dei pali nel deretano, specie uomini di potere. Non aiuta che spesso la gente non li ha corretti per tempo, e c'è sempre il problema di ferire degli ego molto fragili. Io tendo a sfruttare la mia voce abbastanza "importante" per interromperli, in modo sempre meno delicato. O (mi è successo la scorsa settimana con un consulente che ha monopolizzato un meeting con un monologo che stava arrivando ai 10–15 minuti) vado dritto al punto con frasi "Arturo, abbiamo solo altri 45 minuti e dobbiamo confrontarci tutti con un minimo di dialettica e botta e risposta. Per i monologhi le riunioni non vanno bene. Ora parlo io (o Gino/Lino/Pino)".
Alla fine, si torna sempre lì: devi trovare la giusta dose di assertività per farti rispettare (e fa rispettare le altre persone che magari non hanno la tua stessa forza di carattere!) senza essere troppo aggressivo o venire percepito come stronzo. Non è facile.
Buona Giornata, L u c a.
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Riflessione, nella società odierna..
01 luglio 2025 ore 21:24 segnala
La mia riflessione, non entrava nel titolo del blog. " Nella società odierna, è più importante l'intelligenza o l'aspetto fisico. Una domanda più che un titolo.
Decisamente l'aspetto fisico. Nella società odierna (ma in realtà anche in quella passata) l'aspetto fisico, o comunque l'estetica, ha sempre prevalso nella società.
Ci sono diversi fattori che fanno prevalere l'aspetto fisico a quello interiore
Il primo è che l'aspetto fisico ha un impatto istantaneo su tutti, in positivo o in negativo.
Inoltre, ci fa attribuire alle persone qualità o caratteristiche negative senza avere alcuna prova che le posseggano realmente. Un uomo sporco e vestito con abiti strappati ti farà automaticamente pensare che sia un criminale o che sia meno intelligente o molte altre cose legate al suo aspetto.
Lo stesso vale, cambiando campo, in ambito lavorativo. Per esempio, le donne belle vengono considerate meno capaci delle loro colleghe meno attraenti, e un uomo più attraente viene percepito come più capace di uno che lo è meno .
Il fatto di giudicare o etichettare a partire dall'aspetto fisico credo che in parte derivi anche dalla cultura greca. Il detto kalòs kagathòs (bello e buono) indicava che una persona bella era necessariamente anche buona. In controparte, le persone brutte erano viste come meno affidabili o addirittura cattive.
La concezione dei greci riguardo alla bellezza era molto diversa rispetto a quella che abbiamo oggi (credevano che la bellezza ricoprisse ogni aspetto dell'umano, che fosse un riflesso dell'interiorità e dell'essenza umana, in pratica), ma comunque ci portiamo dietro questa concezione, anche se inconsciamente.
Il secondo fattore, che riguarda la società odierna, è che l'immagine (in ogni aspetto della vita) ha preso il sopravvento sulla parola.
Mi spiego meglio: se ci pensi, oggi il mondo comunica con molte immagini e pochissime parole. Quando pensi al Mc Donald, per esempio, ti verrà sicuramente in mente il logo giallo a forma di M. O se pensi alle scarpe Adidas o Puma, ti viene in mente il loro logo, oppure, se pensi al profumo di Dior ti viene in mente la sua pubblicità o la bella ragazza che dice "J'adore Dior". Potrei continuare a fare esempi del genere, ma credo di essere stato abbastanza chiaro.
Tutte le catene usano l'immagine per farsi riconoscere dal pubblico, ancora più del nome o del prodotto che vendono, sempre per il fatto che un immagine che li definisca è di maggiore impatto ed è più memorabile rispetto alle parole.
Questo si può applicare perfettamente ai social network.
I social network non promuovono il pensiero, ma i valori tangibili come la ricchezza, la bellezza, ecc. Ci sono anche pagine che inseriscono slogan, è vero, ma si tratta di concetti esposti in maniera semplicistica (quindi spesso snaturati) e comunque d'impatto.
Il terzo fattore è la velocità della nostra società.
Non c'è tempo di fermarsi e fare pensieri profondi. Il tempo scorre troppo velocemente e le immagini sono perfette per sostenere questo ritmo infernale.
Le parole arrivano più lentamente rispetto ad una sola immagine o ad una sequenza, sopratutto se si tratta di frasi complesse che necessitano di un po' più di tempo e anche impegno per essere capite ed elaborate.
L'intelligenza e l'interiorità di una persona, sopratutto in questo periodo, possono essere paragonate alla parola.
Oggi le parole sono trascurate ed assorbite solo superficialmente. Quindi, una persona intelligente, profonda e silenziosa passa più facilmente in sordina di una chiassosa e appariscente.
Una persona che preferisce pensare all'apparire, la profondità alla superficialità, oggi non viene notata quasi nella società, a meno che non apporti dei notevoli cambiamenti o che abbia anche un tale carisma da riuscire a trasportare un vasto gruppo di persone ad ascoltarlo.
Ps..Stasera alle 22.30 c'è il concerto di Andrea Sannino, festa patronale in Portico di Caserta (CE)
Felice serata, L u c a.
Decisamente l'aspetto fisico. Nella società odierna (ma in realtà anche in quella passata) l'aspetto fisico, o comunque l'estetica, ha sempre prevalso nella società.
Ci sono diversi fattori che fanno prevalere l'aspetto fisico a quello interiore
Il primo è che l'aspetto fisico ha un impatto istantaneo su tutti, in positivo o in negativo.
Inoltre, ci fa attribuire alle persone qualità o caratteristiche negative senza avere alcuna prova che le posseggano realmente. Un uomo sporco e vestito con abiti strappati ti farà automaticamente pensare che sia un criminale o che sia meno intelligente o molte altre cose legate al suo aspetto.
Lo stesso vale, cambiando campo, in ambito lavorativo. Per esempio, le donne belle vengono considerate meno capaci delle loro colleghe meno attraenti, e un uomo più attraente viene percepito come più capace di uno che lo è meno .
Il fatto di giudicare o etichettare a partire dall'aspetto fisico credo che in parte derivi anche dalla cultura greca. Il detto kalòs kagathòs (bello e buono) indicava che una persona bella era necessariamente anche buona. In controparte, le persone brutte erano viste come meno affidabili o addirittura cattive.
La concezione dei greci riguardo alla bellezza era molto diversa rispetto a quella che abbiamo oggi (credevano che la bellezza ricoprisse ogni aspetto dell'umano, che fosse un riflesso dell'interiorità e dell'essenza umana, in pratica), ma comunque ci portiamo dietro questa concezione, anche se inconsciamente.
Il secondo fattore, che riguarda la società odierna, è che l'immagine (in ogni aspetto della vita) ha preso il sopravvento sulla parola.
Mi spiego meglio: se ci pensi, oggi il mondo comunica con molte immagini e pochissime parole. Quando pensi al Mc Donald, per esempio, ti verrà sicuramente in mente il logo giallo a forma di M. O se pensi alle scarpe Adidas o Puma, ti viene in mente il loro logo, oppure, se pensi al profumo di Dior ti viene in mente la sua pubblicità o la bella ragazza che dice "J'adore Dior". Potrei continuare a fare esempi del genere, ma credo di essere stato abbastanza chiaro.
Tutte le catene usano l'immagine per farsi riconoscere dal pubblico, ancora più del nome o del prodotto che vendono, sempre per il fatto che un immagine che li definisca è di maggiore impatto ed è più memorabile rispetto alle parole.
Questo si può applicare perfettamente ai social network.
I social network non promuovono il pensiero, ma i valori tangibili come la ricchezza, la bellezza, ecc. Ci sono anche pagine che inseriscono slogan, è vero, ma si tratta di concetti esposti in maniera semplicistica (quindi spesso snaturati) e comunque d'impatto.
Il terzo fattore è la velocità della nostra società.
Non c'è tempo di fermarsi e fare pensieri profondi. Il tempo scorre troppo velocemente e le immagini sono perfette per sostenere questo ritmo infernale.
Le parole arrivano più lentamente rispetto ad una sola immagine o ad una sequenza, sopratutto se si tratta di frasi complesse che necessitano di un po' più di tempo e anche impegno per essere capite ed elaborate.
L'intelligenza e l'interiorità di una persona, sopratutto in questo periodo, possono essere paragonate alla parola.
Oggi le parole sono trascurate ed assorbite solo superficialmente. Quindi, una persona intelligente, profonda e silenziosa passa più facilmente in sordina di una chiassosa e appariscente.
Una persona che preferisce pensare all'apparire, la profondità alla superficialità, oggi non viene notata quasi nella società, a meno che non apporti dei notevoli cambiamenti o che abbia anche un tale carisma da riuscire a trasportare un vasto gruppo di persone ad ascoltarlo.
Ps..Stasera alle 22.30 c'è il concerto di Andrea Sannino, festa patronale in Portico di Caserta (CE)
Felice serata, L u c a.
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Domanda.
25 giugno 2025 ore 21:02 segnala
Vi è mai capitato di ricevere minacce pesanti da parte di utenti di chatta?
Più o meno sì, c'è stato un caso in cui un profilo cominciò ad impersonarmi per offendermi pubblicamente e insultare altre persone fingendo di essere me per questioni lunghe e tutto sommato risibili. Fondamentalmente, dopo che feci un post pubblico per sbugiardarlo, minacciò di denunciare me per calunnia e diffamazione. La cosa strana fu che subito dopo un utente molto seguito di Chatta mi minacciò della stessa cosa, anche se in modo più sottile, il che mi fece pensare che probabilmente ci fosse un collegamento.
Allora questi episodi erano ancora rari, ma oggi purtroppo sono diventati la norma. Non ne vedo da un po', ma suppongo che sia semplicemente perché non riguardano direttamente la bolla di utenti in cui mi trovo. Non so se e quanto ancora durerà Chatta, ma poiché l'atmosfera è ormai drasticamente cambiata, penso che noi utenti dovremmo cambiare radicalmente approccio al modo in cui utilizziamo il sito. Cominciando col mettere il minimo possibile di informazioni e dati personali e prendere con un granello di sale tutto quello che leggiamo qui, soprattutto se viene da fonti non ufficiali e condivise.
Per i primi tempi, Chatta in italiano sembrava il paradiso terrestre. Mai mi sarei sognato di bloccare qualcuno. C’era aggressività verso i contenuti e le prese di posizione, ma mai verso le persone. E nessuno si metteva a diffondere cretinate o a darti contro con cretinate.
Poi le cose crescono e cambiano, insomma, solito discorso.
A un certo punto e sfinito dalla quantità di insulti, stron***e, ignoranza e bestialità, ho deciso di iniziare a bloccare la gente che superava una lineetta immaginaria di inutilità e follia.
Felice serata, Luca.
Più o meno sì, c'è stato un caso in cui un profilo cominciò ad impersonarmi per offendermi pubblicamente e insultare altre persone fingendo di essere me per questioni lunghe e tutto sommato risibili. Fondamentalmente, dopo che feci un post pubblico per sbugiardarlo, minacciò di denunciare me per calunnia e diffamazione. La cosa strana fu che subito dopo un utente molto seguito di Chatta mi minacciò della stessa cosa, anche se in modo più sottile, il che mi fece pensare che probabilmente ci fosse un collegamento.
Allora questi episodi erano ancora rari, ma oggi purtroppo sono diventati la norma. Non ne vedo da un po', ma suppongo che sia semplicemente perché non riguardano direttamente la bolla di utenti in cui mi trovo. Non so se e quanto ancora durerà Chatta, ma poiché l'atmosfera è ormai drasticamente cambiata, penso che noi utenti dovremmo cambiare radicalmente approccio al modo in cui utilizziamo il sito. Cominciando col mettere il minimo possibile di informazioni e dati personali e prendere con un granello di sale tutto quello che leggiamo qui, soprattutto se viene da fonti non ufficiali e condivise.
Per i primi tempi, Chatta in italiano sembrava il paradiso terrestre. Mai mi sarei sognato di bloccare qualcuno. C’era aggressività verso i contenuti e le prese di posizione, ma mai verso le persone. E nessuno si metteva a diffondere cretinate o a darti contro con cretinate.
Poi le cose crescono e cambiano, insomma, solito discorso.
A un certo punto e sfinito dalla quantità di insulti, stron***e, ignoranza e bestialità, ho deciso di iniziare a bloccare la gente che superava una lineetta immaginaria di inutilità e follia.
Felice serata, Luca.
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Penso di essere stato d'aiuto..
24 giugno 2025 ore 19:30 segnala
Fondamentalmente, di tutte le questioni affrontate nel triennio.
Mi riferisco alla vecchia divisione in cui nel biennio si studiavano le basi di Matematica, Chimica e Fisica, e poi nel triennio si affrontavano materie più specifiche.
Elettronica vuol dire ‘ciò che si realizza coi semiconduttori’. Però questa definizione è piuttosto lasca. Per esempio, un ‘controllista’ progetta dei sistemi di controllo, ossia fa in modo che una serie di apparati funzionino secondo una precisa cadenza. Fa questo avvalendosi di sensori e attuatori, in genere comprendenti diversi ‘semiconduttori’, ma dal suo punto di vista questi oggetti hanno una descrizione di alto livello: sono delle funzioni matematiche, sostanzialmente. Il compito del controllista è quello di comporre queste funzioni per ottenere la risposta voluta.
Un ‘hardwarista’ si occupa di creare sistemi e/o prodotti per un’ applicazione specifica: un allarme, una centralina di controllo domotica, una scheda di controllo di un motore diesel, di un motore elettrico, ecc…
Ancora una volta, l’hardwarista compone i suoi progetti utilizzando dei ‘semiconduttori’, ma non li vede come tali. Piuttosto, ne vede le caratteristiche salienti d’ interfaccia, come il linguaggio per programmarli se sono dei piccoli processori, o le tensioni di alimentazione e controllo se sono dei dispositivi analogici.
Un ‘softwarista’ o ‘embedded softwarista’ fa un po’ un misto tra hw e controllista.
Poi ci sono i ‘digitali’ costoro utilizzano i semiconduttori a livello di singolo dispositivo, ma ancora una volta il loro punto di vista è un’ astrazione che entro certi limiti vede i semiconduttori come degli interruttori. Qui il livello di astrazione è abbastanza basso, comunque.
Al livello più basso di astrazione, si trovano gli ‘analogici’, nel novero dei quali mi trovo anch’io. Per noi, un semiconduttore è descritto a livello delle sue dimensioni fisiche che abbiamo il potere di dettare e caratteristiche elettriche di rapporto tra tensioni e correnti. A questo livello si disegnano i cosiddetti integrati, che poi vai a trovare nei più disparati mercati, a seconda di ciò che serve. Gli integrati che ho progettato io li trovi nel modulo Bluetooth del tuo laptop, nel trasmettitore/ricevitore 4G del tuo telefonino (beh, se nel tuo proprio non lo so, faccio per dire), se hai la macchina figa che si aggancia alla macchina dopo in quel sistema lì, e in altre cosucce.
Insomma: un ingegnere elettronico può occuparsi, dopo una laurea quinquennale, di molti aspetti che permeano la realtà dei nostri giorni. Quali in particolare dipende dall’ inclinazione e, ovviamente, dal mercato.
Felice serata, L u c a.
Mi riferisco alla vecchia divisione in cui nel biennio si studiavano le basi di Matematica, Chimica e Fisica, e poi nel triennio si affrontavano materie più specifiche.
Elettronica vuol dire ‘ciò che si realizza coi semiconduttori’. Però questa definizione è piuttosto lasca. Per esempio, un ‘controllista’ progetta dei sistemi di controllo, ossia fa in modo che una serie di apparati funzionino secondo una precisa cadenza. Fa questo avvalendosi di sensori e attuatori, in genere comprendenti diversi ‘semiconduttori’, ma dal suo punto di vista questi oggetti hanno una descrizione di alto livello: sono delle funzioni matematiche, sostanzialmente. Il compito del controllista è quello di comporre queste funzioni per ottenere la risposta voluta.
Un ‘hardwarista’ si occupa di creare sistemi e/o prodotti per un’ applicazione specifica: un allarme, una centralina di controllo domotica, una scheda di controllo di un motore diesel, di un motore elettrico, ecc…
Ancora una volta, l’hardwarista compone i suoi progetti utilizzando dei ‘semiconduttori’, ma non li vede come tali. Piuttosto, ne vede le caratteristiche salienti d’ interfaccia, come il linguaggio per programmarli se sono dei piccoli processori, o le tensioni di alimentazione e controllo se sono dei dispositivi analogici.
Un ‘softwarista’ o ‘embedded softwarista’ fa un po’ un misto tra hw e controllista.
Poi ci sono i ‘digitali’ costoro utilizzano i semiconduttori a livello di singolo dispositivo, ma ancora una volta il loro punto di vista è un’ astrazione che entro certi limiti vede i semiconduttori come degli interruttori. Qui il livello di astrazione è abbastanza basso, comunque.
Al livello più basso di astrazione, si trovano gli ‘analogici’, nel novero dei quali mi trovo anch’io. Per noi, un semiconduttore è descritto a livello delle sue dimensioni fisiche che abbiamo il potere di dettare e caratteristiche elettriche di rapporto tra tensioni e correnti. A questo livello si disegnano i cosiddetti integrati, che poi vai a trovare nei più disparati mercati, a seconda di ciò che serve. Gli integrati che ho progettato io li trovi nel modulo Bluetooth del tuo laptop, nel trasmettitore/ricevitore 4G del tuo telefonino (beh, se nel tuo proprio non lo so, faccio per dire), se hai la macchina figa che si aggancia alla macchina dopo in quel sistema lì, e in altre cosucce.
Insomma: un ingegnere elettronico può occuparsi, dopo una laurea quinquennale, di molti aspetti che permeano la realtà dei nostri giorni. Quali in particolare dipende dall’ inclinazione e, ovviamente, dal mercato.
Felice serata, L u c a.
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riflessione su fare un figlio oggi.
19 giugno 2025 ore 23:28 segnala
Ne discutevo giorni fa con amici su Facebook.
Quanto segue è la mia posizione sulla faccenda. Come sempre si basa sui miei studi e un approccio abbastanza sistemico al mondo. Quindi non troverà sicuramente il favore di chi analizza i singoli pezzi staccati dal quadro generale e men che meno chi ha un approccio istintivo e poco scientifico alle cose. Avvertiti.
Io ritengo che consciamente la maggior parte della gente non si ponga grandi domande prima di fare un figlio. Lo fa e basta. Perché lo vuole, perché sente sia giusto, perché si sente in minoranza visto che lo fanno tutti e ci si sente esclusi dopo una certa età. Ma il minimo comune denominatore è un certo salto nel buio poco razionale.
Ma.
L’inconscio e il DNA sa il fatto suo. Ogni nostra scelta o azione dipende sempre da una fortissima spinta generata in tre miliardi di anni di evoluzione. Non significa sia giusta. Significa che ci ha fatto sopravvivere come specie molto a lungo e nel mondo precedente a quello civilizzato. Che sia ancora valida è tutto da dimostrare. Ma il fatto stesso esista e il fatto stesso che siamo qui a parlare significa che quantomeno nella nostra storia evolutiva ha funzionato.
E questa spinta inconscia sa che noi odiamo morire e che la cosa che più si avvicina a essere immortali è avere un figlio. Sulla stessa lunghezza d’onda il nostro istinto sa che vuole distribuire il nostro DNA a più non posso. Non solo per fare sopravvivere metà di noi, ma anche per moltiplicarci all’infinito e oltre.
Questa è necessariamente la forma più bassa e al contempo alta di egoismo. Bassa, perché letteralmente vorrebbe un mondo di nostri quasi cloni. Alta, perché è quella che ha selezionato alcuni tratti rispetto ad altri e ci ha fatto conquistare il mondo come specie.
Per poi farci estinguere.
E ora facciamo sparare il fucile che ho presentato nella scena precedente. Non si mette un fucile a teatro o in un film e se prima o poi non spara, giusto?
Ecco.
Oggi (nel 2025) e con la situazione di collasso ambientale in atto e una critica necessità diminuire il numero di umani su questo pianeta e i loro consumi (quindi di diminuire soprattutto gli umani occidentali, visto che siamo noi a fare la maggior parte dei disastri ambientali) ascoltare pedissequamente l’istinto di procreazione che ci ha fatto intelligentemente arrivare fin qui MA in un contesto ambientale diverso, non penso sia un’idea geniale.
Una persona di umile raziocinio può derivare che io stia dicendo di non fare figli.
Sbagliato. E qualunquista.
Sto solo dicendo di fare un miliardo di domande prima di farli e di scegliere con grano in zucca e non di fare come si è sempre fatto. Cioè di sfigliare come un salto nel buio senza riflessione ma seguendo solo il nostro istinto.
Non credo che ce lo possiamo permettere.
E non credo di avere la risposta giusta. Io vi pongo solo la questione. Ognuno ha una risposta diversa a questa riflessione.
Il sano egoismo inconsapevole che ci ha fatti arrivare fino qui è ancora evolutivamente accettabile?
Si noti che qui non parlo del secondo egoismo inconscio del fare figli, cioè la speranza di non rimanere soli a una certa età. Troppo complicato e ci porta fuori rotta. Ma c’è pure quello nel piatto.
Io non so cosa sia giusto fare. Ognuno deve decidere per sé. Ma so che è da egoisti consapevoli non farsi queste domande.
Notte, L u c a.
Quanto segue è la mia posizione sulla faccenda. Come sempre si basa sui miei studi e un approccio abbastanza sistemico al mondo. Quindi non troverà sicuramente il favore di chi analizza i singoli pezzi staccati dal quadro generale e men che meno chi ha un approccio istintivo e poco scientifico alle cose. Avvertiti.
Io ritengo che consciamente la maggior parte della gente non si ponga grandi domande prima di fare un figlio. Lo fa e basta. Perché lo vuole, perché sente sia giusto, perché si sente in minoranza visto che lo fanno tutti e ci si sente esclusi dopo una certa età. Ma il minimo comune denominatore è un certo salto nel buio poco razionale.
Ma.
L’inconscio e il DNA sa il fatto suo. Ogni nostra scelta o azione dipende sempre da una fortissima spinta generata in tre miliardi di anni di evoluzione. Non significa sia giusta. Significa che ci ha fatto sopravvivere come specie molto a lungo e nel mondo precedente a quello civilizzato. Che sia ancora valida è tutto da dimostrare. Ma il fatto stesso esista e il fatto stesso che siamo qui a parlare significa che quantomeno nella nostra storia evolutiva ha funzionato.
E questa spinta inconscia sa che noi odiamo morire e che la cosa che più si avvicina a essere immortali è avere un figlio. Sulla stessa lunghezza d’onda il nostro istinto sa che vuole distribuire il nostro DNA a più non posso. Non solo per fare sopravvivere metà di noi, ma anche per moltiplicarci all’infinito e oltre.
Questa è necessariamente la forma più bassa e al contempo alta di egoismo. Bassa, perché letteralmente vorrebbe un mondo di nostri quasi cloni. Alta, perché è quella che ha selezionato alcuni tratti rispetto ad altri e ci ha fatto conquistare il mondo come specie.
Per poi farci estinguere.
E ora facciamo sparare il fucile che ho presentato nella scena precedente. Non si mette un fucile a teatro o in un film e se prima o poi non spara, giusto?
Ecco.
Oggi (nel 2025) e con la situazione di collasso ambientale in atto e una critica necessità diminuire il numero di umani su questo pianeta e i loro consumi (quindi di diminuire soprattutto gli umani occidentali, visto che siamo noi a fare la maggior parte dei disastri ambientali) ascoltare pedissequamente l’istinto di procreazione che ci ha fatto intelligentemente arrivare fin qui MA in un contesto ambientale diverso, non penso sia un’idea geniale.
Una persona di umile raziocinio può derivare che io stia dicendo di non fare figli.
Sbagliato. E qualunquista.
Sto solo dicendo di fare un miliardo di domande prima di farli e di scegliere con grano in zucca e non di fare come si è sempre fatto. Cioè di sfigliare come un salto nel buio senza riflessione ma seguendo solo il nostro istinto.
Non credo che ce lo possiamo permettere.
E non credo di avere la risposta giusta. Io vi pongo solo la questione. Ognuno ha una risposta diversa a questa riflessione.
Il sano egoismo inconsapevole che ci ha fatti arrivare fino qui è ancora evolutivamente accettabile?
Si noti che qui non parlo del secondo egoismo inconscio del fare figli, cioè la speranza di non rimanere soli a una certa età. Troppo complicato e ci porta fuori rotta. Ma c’è pure quello nel piatto.
Io non so cosa sia giusto fare. Ognuno deve decidere per sé. Ma so che è da egoisti consapevoli non farsi queste domande.
Notte, L u c a.
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Ne discutevo giorni fa con amici su Facebook.
Quanto segue è la mia posizione sulla faccenda. Come sempre si basa sui miei studi e un approccio abbastanza sistemico al mondo. Quindi non troverà sicuramente il favore di chi analizza i singoli pezzi staccati dal quadro generale e men che meno chi ha...

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19/06/2025 23:28:04
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Riflessione breve sul saluto..
18 giugno 2025 ore 01:39 segnala
Il saluto rappresenta quello che siamo: cordiali o burberi, cortesi o sgarbati, estroversi o riservati, sicuri o diffidenti, etc..
Ognuno di noi ha il proprio modo di salutare ma, qualunque sia l’aspetto predominante della nostra personalità, ricordiamoci che nel momento in cui salutiamo, ci stiamo rapportando con qualcun altro servendoci di segnali ben precisi e definiti.
Çosa posso dirvi che il saluto a mio avviso sarà adeguato anche alla circostanza e alla persona che abbiamo davanti; così come, probabilmente, il nostro atteggiamento sarà diverso incontrando una persona che non rientra nel nostro canone di simpatia, piuttosto che una persona con cui abbiamo una certa affinità. Considerando che la vita è strana e mutevole, molto spesso adeguiamo il nostro comportamento a questi cambiamenti, ma, anche per quanto riguarda il saluto vi sono alcune regole generali che segnano il confine tra buona educazione e cafonaggine.
Il saluto e’ come una porta che si apre: non si può mai essere sicuri di ciò che si trova dall’altra parte; quindi, anche se abbiamo una brutta giornata o dei pensieri, incontrando un conoscente, proviamo a pensare che il malcapitato non ha colpe del nostro stato d’animo e un saluto con un sorriso cordiale no va negato.
Mio nonno mi raccontava di un tempo in cui la galanteria era d’obbligo, il baciamano era simbolo di rispetto verso le signore, ma, anche una sottile arma di seduzione.
Questo romantico ed affascinante saluto e’ riservato a chi ne conosce le piccole ma, fondamentali sfumature. Innanzitutto il baciamano si fà solo alle signore (non alle ragazze), prevedendo un inchino da parte dell’uomo fino a sfiorare con le labbra (non baciando) la mano della signora senza alzarle il braccio. Facciamo attenzione all’atteggiamento della signora alla quale vogliamo riservare questo gesto: potrebbe preferire stringerci semplicemente la mano, pertanto evitiamo di essere troppo tempestivi in questa esibizione di gran classe. Il baciamano non e’ mai previsto nei bar, sui mezzi pubblici, per strada, e tantomeno in occasione di un incontro in una boutique.
Non so esattamente perche ho scritto questo post... forse è uno sfogo molto pacato per fare capire i fondamenti basilari dell'educazione ad certi elementi della società.
Buona notte, L u c a.
Ognuno di noi ha il proprio modo di salutare ma, qualunque sia l’aspetto predominante della nostra personalità, ricordiamoci che nel momento in cui salutiamo, ci stiamo rapportando con qualcun altro servendoci di segnali ben precisi e definiti.
Çosa posso dirvi che il saluto a mio avviso sarà adeguato anche alla circostanza e alla persona che abbiamo davanti; così come, probabilmente, il nostro atteggiamento sarà diverso incontrando una persona che non rientra nel nostro canone di simpatia, piuttosto che una persona con cui abbiamo una certa affinità. Considerando che la vita è strana e mutevole, molto spesso adeguiamo il nostro comportamento a questi cambiamenti, ma, anche per quanto riguarda il saluto vi sono alcune regole generali che segnano il confine tra buona educazione e cafonaggine.
Il saluto e’ come una porta che si apre: non si può mai essere sicuri di ciò che si trova dall’altra parte; quindi, anche se abbiamo una brutta giornata o dei pensieri, incontrando un conoscente, proviamo a pensare che il malcapitato non ha colpe del nostro stato d’animo e un saluto con un sorriso cordiale no va negato.
Mio nonno mi raccontava di un tempo in cui la galanteria era d’obbligo, il baciamano era simbolo di rispetto verso le signore, ma, anche una sottile arma di seduzione.
Questo romantico ed affascinante saluto e’ riservato a chi ne conosce le piccole ma, fondamentali sfumature. Innanzitutto il baciamano si fà solo alle signore (non alle ragazze), prevedendo un inchino da parte dell’uomo fino a sfiorare con le labbra (non baciando) la mano della signora senza alzarle il braccio. Facciamo attenzione all’atteggiamento della signora alla quale vogliamo riservare questo gesto: potrebbe preferire stringerci semplicemente la mano, pertanto evitiamo di essere troppo tempestivi in questa esibizione di gran classe. Il baciamano non e’ mai previsto nei bar, sui mezzi pubblici, per strada, e tantomeno in occasione di un incontro in una boutique.
Non so esattamente perche ho scritto questo post... forse è uno sfogo molto pacato per fare capire i fondamenti basilari dell'educazione ad certi elementi della società.
Buona notte, L u c a.
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Il saluto rappresenta quello che siamo: cordiali o burberi, cortesi o sgarbati, estroversi o riservati, sicuri o diffidenti, etc..
Ognuno di noi ha il proprio modo di salutare ma, qualunque sia l’aspetto predominante della nostra personalità, ricordiamoci che nel momento in cui salutiamo, ci...

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18/06/2025 01:39:16
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Spettacolarizzando il dolore.
14 giugno 2025 ore 14:15 segnala
Ormai sembra che il dolore, di qualsiasi tipo esso sia, debba essere spettacolarizzato. Non lo si racconta, non lo si narra al fine di aiutare, con la propria esperienza, chi può trovare ristoro in quello che si vive o si è vissuto; tutto deve essere esagerato a livello comunicativo, ostentato nel vano tentativo di esorcizzarlo e renderlo con faciloneria meno grave e amaro.
Siamo arrivati ad un punto in cui non si parla più del dolore per fare riflettere, per scavare dentro di noi, per porre interrogativi a noi stessi e portare a riflessioni diverse da quelle a cui siamo giunti.
Spettacolarizzando il dolore, che sia dovuto ad una morte, ad una malattia o ad un fatto drammatico, sembra quasi che si voglia condividerlo con il mondo, un modo per confrontarsi o trovare quell’appoggio morale di cui si sente il bisogno, anche se in alcuni casi lo sconforto dovrebbe essere vissuto in modo intimo e privato e non reso un mero intrattenimento da avanspettacolo.
La questione si pone quando qualsiasi tipo di dolore viene gettato in pasto al pubblico tramite ogni sorta di canale di comunicazione e quel che più è sconcertante, è il modo e l’atteggiamento con cui viene fatto.
C’è un qualcosa di macabro in questo, il mondo digitale sta cambiando radicalmente i valori, l’intimità e il modo di affrontare la sofferenza; rendere alla stregua di un circo ogni evento provocato o subito, è un bisogno impellente.
Anche nel caso della sofferenza provata di fronte ad una malattia grave come il cancro, se non si condivide il malessere in pubblico, se non si divulga la notizia a gran voce e il più delle volte comunicandola in modo sbagliato, questa è quasi se non esistesse o se non esistesse la persona che ne soffre; un paradosso sconcertante, si soffre di una malattia grave, il desiderio più grande è quello che non ci fosse, eppure si fa di tutto per darle forza. Certamente è un modo per enfatizzare e dare importanza ad una cosa da sconfiggere che però, considerandola in modo superficiale, l’unico modo di debellarla e farle perdere potere pare sia quello di renderla uno show, santificarla, minimizzarla e considerarla come “un dono” dandola in pasto al popolo del web e non solo.
Tutto è spettacolo, ecco perché ad ogni morte di personaggio famoso si continuerà a fare sfoggio di (finte) condoglianze e ipocriti epitaffi sciorinati in ogni dove, ad ogni notizia di persona colpita da gravi malattie dovremmo fare sentire la nostra presenza in modo patetico e magari scongiurare con le più becere affermazioni da bravi cristiani i possibili risvolti negativi del caso.
Sarebbe ora di finirla di sdrammatizzare tragedie e minimizzare sciagure travestendole da opportunità per una vita migliore. Sarebbe ora di ridimensionare il tutto a quello che è chiamato dolore e il dolore va vissuto come tale, non come un’esibizione per di più comunicata in maniera pessima.
Si sta perdendo il “dono” di non pretendere che le proprie esperienze e il proprio vissuto vengano condivise con il mondo e che ciò che noi siamo riusciti ad affrontare e a vedere in un certo modo valga per tutti.
Non è così, ogni caso è a sé stante, ogni esperienza ha un valore unico che non deve diventare tragicomicamente parte dell’ostentazione continua.
Felice sabato, L u c a.
Siamo arrivati ad un punto in cui non si parla più del dolore per fare riflettere, per scavare dentro di noi, per porre interrogativi a noi stessi e portare a riflessioni diverse da quelle a cui siamo giunti.
Spettacolarizzando il dolore, che sia dovuto ad una morte, ad una malattia o ad un fatto drammatico, sembra quasi che si voglia condividerlo con il mondo, un modo per confrontarsi o trovare quell’appoggio morale di cui si sente il bisogno, anche se in alcuni casi lo sconforto dovrebbe essere vissuto in modo intimo e privato e non reso un mero intrattenimento da avanspettacolo.
La questione si pone quando qualsiasi tipo di dolore viene gettato in pasto al pubblico tramite ogni sorta di canale di comunicazione e quel che più è sconcertante, è il modo e l’atteggiamento con cui viene fatto.
C’è un qualcosa di macabro in questo, il mondo digitale sta cambiando radicalmente i valori, l’intimità e il modo di affrontare la sofferenza; rendere alla stregua di un circo ogni evento provocato o subito, è un bisogno impellente.
Anche nel caso della sofferenza provata di fronte ad una malattia grave come il cancro, se non si condivide il malessere in pubblico, se non si divulga la notizia a gran voce e il più delle volte comunicandola in modo sbagliato, questa è quasi se non esistesse o se non esistesse la persona che ne soffre; un paradosso sconcertante, si soffre di una malattia grave, il desiderio più grande è quello che non ci fosse, eppure si fa di tutto per darle forza. Certamente è un modo per enfatizzare e dare importanza ad una cosa da sconfiggere che però, considerandola in modo superficiale, l’unico modo di debellarla e farle perdere potere pare sia quello di renderla uno show, santificarla, minimizzarla e considerarla come “un dono” dandola in pasto al popolo del web e non solo.
Tutto è spettacolo, ecco perché ad ogni morte di personaggio famoso si continuerà a fare sfoggio di (finte) condoglianze e ipocriti epitaffi sciorinati in ogni dove, ad ogni notizia di persona colpita da gravi malattie dovremmo fare sentire la nostra presenza in modo patetico e magari scongiurare con le più becere affermazioni da bravi cristiani i possibili risvolti negativi del caso.
Sarebbe ora di finirla di sdrammatizzare tragedie e minimizzare sciagure travestendole da opportunità per una vita migliore. Sarebbe ora di ridimensionare il tutto a quello che è chiamato dolore e il dolore va vissuto come tale, non come un’esibizione per di più comunicata in maniera pessima.
Si sta perdendo il “dono” di non pretendere che le proprie esperienze e il proprio vissuto vengano condivise con il mondo e che ciò che noi siamo riusciti ad affrontare e a vedere in un certo modo valga per tutti.
Non è così, ogni caso è a sé stante, ogni esperienza ha un valore unico che non deve diventare tragicomicamente parte dell’ostentazione continua.
Felice sabato, L u c a.
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Ormai sembra che il dolore, di qualsiasi tipo esso sia, debba essere spettacolarizzato. Non lo si racconta, non lo si narra al fine di aiutare, con la propria esperienza, chi può trovare ristoro in quello che si vive o si è vissuto; tutto deve essere esagerato a livello comunicativo, ostentato nel...

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14/06/2025 14:15:40
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Scrive dal: | 15/06/2021 |
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