Se dio… I

25 dicembre 2024 ore 22:20 segnala
Un’ora (o forse no), un giorno, una settimana, un mese, un anno (o forse no), nel tempo, del tempo, quanto, tanto, il tempo per tutto il tempo, per il tempo se tengo al tempo che serve, che c’è, che arriva (che c’è?), che attendo, che incede, che spreco, che anelo, che rimodulo, che sento ogni volta (che c’è!), che apprezzo, che sopporto a stento, che schivo illudendomi di non cadervi ancora una volta e ineluttabilmente, lo stesso, procede, indifferentemente, inevitabilmente, precipitevolissimevolmente lungo distopici binari entropici che per quanto casuali, de facto, perdurano, attraversano, delineano, imperversano, strappano, coincidono, superano e (strappano!) imperterriti continuano.

La mia memoria viaggia e sono per terra nel soggiorno dei miei otto anni, una sera così buia e fredda di dicembre e non ho voglia di andare a dormire per non dormire e voglio solo una storia che mi aiuti a (non) farlo.

Devi scrivere, hai da scrivere, certo, certissimo (che c’è?), probabilmente alla fine scrivo, ho da scrivere, c’è sempre da scrivere di qualcosa, (strappano!) ogni cosa, di nessuna cosa, il problema semmai è scriverne. Non sono al mio meglio se è per questo, nemmeno al mio peggio ma scegliere al riguardo è invero dura perché sono stato decisamente meglio e sono stato decisamente peggio.

Il rapporto con la propria conflittualità interiore si (dis)impara nel tempo e col tempo si diventa più o meno efficaci nelle misure da adottare. Ho come l’impressione… di voler (che tu voglia) saltare una parte introduttiva, (che tu voglia) affondare direttamente al cuore del canovaccio e poi uscirne in modo più o meno (distruttivo) costruttivo. Ho come l’impressione che ci sia da scrivere se si abbia da scrivere, non ho mai smesso e il fatto più o meno esplicito che possa o meno farlo anche qui tra queste inutili righe o pagine, è irrilevante (non significa nulla!) ai fini di ciò che voglia scrivere. Le cose continuano a mutare, vorticosamente, due anni ormai... due anni e zero anni, molte cose e (che c’hai?) nessuna cosa ha molto senso ormai, conta eventualmente chi ci sia e chi non ci sia più.

Per chi non c’è più non c’è rimedio perché chi va lascia un vuoto tale da restare incolmabile ed è ito, è fatto e il passo è asfaltato ormai consolidato, è sotto un lastra, sotto una tavola, in una buca tra mille altre, è lapalissiano ma è anche possibile e, per un periodo di tempo molto limitato, provare e tentare un approccio meno (costruttivo) distruttivo. Il buon senso mio è ramengo, le mie buone maniere sono a lezione costante da peripatetica raggiante, la mia volontà piega inesorabilmente verso l’autodistruzione, l’anima echissenefotte, il resto… non c’è (echissenefotte!) alcun resto da segnalare.

Ho sognato e ho annotato come sempre, cadevo e cadevo e cadevo e cadevo, una perenne caduta ma senza alcun punto di riferimento, unico elemento constatabile semmai la caduta stessa, una inarrestabile ed incontrovertibile attrazione verso qualcosa molto molto lontano ma sufficiente a generarla, gravità… può darsi.

Scriverei di entusiasmi, di miasmi, di piccole e lucide lische opprimenti, di argute parole compresse, di alti ideali di opere tanto stradali quanto incompiute e di verità. Ma quod veritas? La mia, la sua, la vostra, quellachemmenefotte o quella chennomenefotteaffatto. Certo potrei attenermi al programma, alla mia scaletta, alla mia idea primaria di antitesi originaria, potrei e vorrei ma di fatto non servirebbe non sarebbe comunque un utile esercizio di checosanonso. Però è scrivere quello che ho in mente, è scrivere incontrovertibilmente, io scrivo e questo deve essere sufficiente, questo deve essere ciò che possa allentare la caduta, l’irrefrenabile discesa, scrivere fino all’inevitabile resa.

- vuoi contrattare? Avanti contrattiamo! Che fai desisti? Contratta! Contratta! Avanti! AVANTI! Che cosa vuoi? E che cosa mi dai? Hai qualcosa da darmi? Sai cos’hai da potermi dare? Quello che puoi perdere o quello che vuoi abbandonare? Te ne puoi separare? Potrei semplicemente strappartelo e non avresti da fiatare lo sai? LO SAI??? Sai che cosa serve in una contrattazione? Hai le palle per mercanteggiare?

Orbene... io penso, a volte anche io lo faccio, è stato certamente un tempo passato, l’aver scritto e immaginato di azioni e reazioni e cavalli e mandragore e cerchi e coperchi e trame di lame e nodi diversi, da ramo al gordiano. Sono ero persisto sarò inutile. Sono ero persisto sarò più che inutile. E se (dio…) esistesse non si dovrebbe vagare perennemente alla ricerca di se stessi. Potremmo abilitare uno sportello suggerimenti, rimostranze, incazzature, invettive, richieste. Facile da trovare, facile da usare, persino facile da ignorare ma presumo non sarebbe, quest’ultima, una opzione considerata e/o considerabile al più ai più. Vale il concetto del “se c’è allora perché non usarlo se c’è?”. Scrivo e descrivo quello che accade e non quello che avverto, questo in effetti potrebbe anche avere maggiore interesse ma personalmente è privo di utilità, non muta il percorso, non vi influisce, non aggiunge e non toglie, è l’uno che moltiplica o divide e che può essere tranquillamente eliso dall’espressione generale. Tu fai sempre e solo quello che devi fare, io faccio ciò che m’appartiene, sempre così è stato, sempre e costantemente è incontrovertibile.

Ho eliminato molte cose da fare nei tempi canonici, ho riversato il tempo sul lavoro, e in effetti vivo o non vivo (certamente questo dipende da ciò che si pensa del “vivere”) per lavorare, la giornata passa in fretta, ogni giorno è uguale da lunedì a domenica, simili le mie pause oniriche, non dissimili le mie sane cattive abitudini, se c’è spazio per una nuova ferita c’è spazio per due, il ritmo si uniforma e la notte è solo un giorno meno popolato e il giorno una notte solo leggermente più rumorosa. Se c’è spazio per due ferite c’è anche spazio per tre e per quattro, è solo una questione di tempo e di sopportazione non di spazio o di volontà.

Devo fare ammenda, molta ammenda, devo fare (mea culpa) un sacco di ammenda perché così facendo ho relegato altrove quei pochi pensieri più strettamente canonici, quelli da savio e quelli che mi tengono in qualche modo ancorato a ciò che mi serve ricordare, (che mi hai insegnato) che ho imparato, che è parte profonda di me e che può solo essere alla buona accantonato per un tempo più o meno lungo in modo più o meno dissimulato.

Limito a zero le mie interazioni perché sarei di scarsa compagnia, non avrei nulla di arguto da sollecitare e anche un luogo comune, talmente comune da diventare provincia, non potrebbe farmi alcunché se non portarmi ancor più ad ignorare. Limito me stesso, limito le mie mani, limito il mio intelletto e a volte, resto in silenzio fissando il niente quasi ad attendere che lo stesso muti in qualcosa e che si faccia annunciare. Resto irrimediabilmente segnato ogni volta che cede la mia volontà che cedo al facile abbandono, ogni volta che cedo l’elemento più razionale e spaiato, ogni volta che cedo e che cado avvertendo il sibilo e quindi il dolore tanto immediato quanto subito ignorato.

Se (dio…) avesse un qualche motivo di esistere riprenderei a giocare a scacchi, taglia e incendia, scansa e colpisci, ardi e perisci, che c’è? Non è chiaro forse? Non importa non ho l’abitudine di declinare per esegesi ogni concetto, non declino la vita per etichette, nonmenefotte alcunché dell’xxxxxxxxxxxxxx che non ti fa dormire la notte, il tuo, il mio, il tempo è quello che è e lo puoi impiegare io farò lo stesso ma non per questo devo essere solidale con la tua paura e preoccupazione, evento E.L.E.? Amen! E cosi sià! Non chiedermi di scendere al tuo livello, il mio è sufficiente ed altamente isolato e se (dio…) volesse, non vi sarebbe alcuna distinzione, sarebbe tutto in linea con il creato, uniforme, armoniosamente equiparato. Ma a fare i semplici si perde sostanza, ci si impoverisce e la ruggine cresce tra ogni nervatura, quella ruggine che non attacca il metallo ma che mangia la mia carne e sai o forse non sai che ha sempre fame, è una dannata lampreda che si attacca e scava e mangia e scava e si ingozza e sai di cosa? Delle tue abitudini, delle tue piatte dimostrazioni, dei limiti che produci in abbondanza e che ti uniformano come ogni altro e come ogni altra cosa. Se (dio..) schioccasse le dita, quella sarebbe la tendenza, ma i migliori di tendenza lo scambierebbero per un raffazzonato modo di tenere e scandire il tempo della loro eccelsa (inutile!) esistenza.

La gravità regola, regge, governa e modella ogni cosa; se dio esistesse, la sua mano sarebbe la gravità… e incede e divelle e irrompe a divellere il velo sulla mia memoria quasi perduta. Ricordo che avesse una inflessione molto particolare, non un vero e proprio accento ma era comunque sufficiente a tradirne l’origine ormai lontana e una vita ben più longeva di quella che io potrei mai sperare di avere.

“Tu ne veux pas encore t'endormir, il est très tard et tu devrais te coucher car sinon tu seras en retard à l'école demain matin.”

Se (dio…) volesse ed io avessi più amore (rancore) verso me stesso, mi impiegherei in modo più utile e meno distruttivo, non avrei solo (getti) pezzi da scansare ma qualche piccola scintilla da preservare. A volte attendo in silenzio, anche Lei attende in questo silenzio, attende una mia parola che però non arriva mai, è legata ad un pensiero che non corroborerà alcun intento, non avrà alcuna costruzione reale e resterà perso tra mille innumerevoli altri perché così è adesso. Se (dio…) esistesse allora io e Lei avremmo anche una forma, seppur raffazzonata, di dialogo, oltre il tempo, oltre lo spazio, oltre il dolore, oltre quel velo della memoria flebile eppure così persistente, ecco cosa posso fare e faccio, declino la mia vita per forme ossimoriche, per incisi assoluti e va bene o va come deve andare per tutto il tempo che possa andare.

Non le chiedevo mai di raccontarmi una storia né, in particolar modo, una storia così paurosa da non farmi dormire ma, inevitabilmente, restavo seduto a terra con le gambe incrociate mentre l’odore del carbone arso saturava le mie narici ad ascoltarla parlare. E perché… perché… io, enfant, chaque soir d'hiver, devant le brasero, ma tante me racontait toujours une histoire effrayante pour que je puisse mieux dormir. Mes préférées étaient les histoires de loups-garous.

La voce le tremava a causa del Parkinson e questo aggiungeva al tutto una certa inquietudine e se ancora la paura sembrava sopita, due o tre sue parole erano sufficienti a destarla. Non riuscivo a stare fermo ma restavo ad ascoltare e anche se non era la prima volta che ascoltavo quella storia, pur conoscendone perfettamente a memoria lo svolgimento, nulla poteva farmela apprezzare di più che ascoltargliela raccontare. Per un lungo periodo mi raccontava in francese, lo parlava benissimo pur avendolo solo studiato a scuola ma lo aveva usato e tanto durante la sua giovinezza.

Se (dio…) potesse riprendere fiato, non ci sarebbe stato un altro giorno per fare il ripasso, sarebbe stato sufficiente il tempo già impiegato. Anna, mia zia, la Zia dalle storie fenomenali e terrorizzanti, dalla voce tremula che sembra cozzare nell’apparenza della sua figura, un tempo davvero statuaria ma adesso lì a raccontarmi, quella di una signora con solo un po’ più di vita percorsa alle spalle e curva con esse.

Angusta la posizione come la ristrettezza mentale, tanto deleteria quanto assuefacente, perdere un po' di volontà con piccole dosi di alta temperatura circoscritta e controllata. Nuovi piccoli candidi e umidi segni, come verità distorte. Ma quod veritas? Quella che vuoi ascoltare, quella che (mi) piace raccontare, quella tanto suadente quanto mendace. Quella propedeutica allo scopo che (ti) ammorba molto più efficacemente di una qualunque altra menzogna. Un piccolo dolore trasfigurato da torpore, brucia alla stregua di una lama aguzza, hai il tempo di soffrire l'istante esatto di comprendere o progredire.

Anima et Ignis.

Giovane Clizia quod veritas, quale verità vuoi imparare a raccontare di te per te al mondo. Ti avvolge ma non scalda, ti accompagna ma non ti fa da guida, ti illumina ma non traccia alcuna rotta, ti cambia ma ti mantieni uniforme all’apparenza, ti arricchisce ma lo spirito deve essere inflessibile, puoi perderla e ritrovarla ma qual è, allora, la verità che racconterai attraverso la vita beffarda di chi scruterà a fondo oltre la pelle, oltre il velo dei tuoi occhi, oltre le tue ossa.

Danzano nel vento, in corse e rincorsa, attendono, incalzano e mutano scia, leggere e pesanti di ombre scostanti, erratiche e certe nel tempo incostanti, foglie piumate d’inverno o parvenze di tiepide e vane speranze, sono fiati appannati, sono sibili sottili, disegni strani di più strane ricordanze.

Posso restare in silenzio ma non posso piangere, pur avvertendo una tristezza aberrante, posso restare e decidere di scrivere e prescindere... e questo faccio perché anche scrivere è ciò che mi hai insegnato. Ciao Mamma.

The Funny Farm XI - intus inanis

29 luglio 2024 ore 23:51 segnala
Cercai costantemente, certamente, come cecchino centrai certezze, coltri calanti, corti cirripedi color carminio, convalescente contemplai congruamente concentrato, camminai contro corrente canticchiando cantilenanti cantiche corpose, caspita! Caricasti cesti conici con corti coltelli curvi, conseguentemente centrasti consciamente cavoli, carte, corpi, cuori, cervelli. Curioso. Cancellerò con cattiveria cincischiando... certo condannandomi comunque completamente. Certamente come cane corrente, cangiante come canne contorte, cupo come carne cosciente.

Oggi (sarei) sono (sarò) oscurantismo. (Non) Sto (mai) bene, vederci (azzannarci) ogni (dannata) volta alla stessa (gola) ora, qui, nello stesso (morso) luogo, ha un qualche (inutile) senso (sangue) particolare… i (tagli) risultati sono i medesimi così come anche le mie (cicatrici) aspettative, stessa (dannata) ora, controllare, confutare, esternare, mascherare, reprimere (la verità) e quindi di conseguenza selezionare (la stessa verità) non è ciò che ti aspettassi. Vederci per (arrendersi) vederci ogni giorno, primo della fila, primo negli esami, ultimo dei primi ad uscire e ultimo dei primi a tornare, se dormo? Non (certo che no!) posso negare di essere (ammorbato) coadiuvato in codesto senso, non so quanto (come) questa cosa possa reggere, non so proprio cosa possa farla durare ma non guardo mai più in là dell’attimo per cui immagino che la mia opinione in merito non ti sia di alcun aiuto.

NO! Non era necessario doverti legare ma non mi aiuti con il tuo comportamento, non aiuti te stesso con questo continuo intento auto lesivo, posso metterti fuori gioco, basta un cenno ma la domanda è… vuoi restare qui a parlare o ti lascio tra te e te a rimuginare. Abbiamo tutto il tempo che vuoi che si abbia, io posso darti ogni motivazione, posso illustrarti ogni cosa per filo e per segno, riabituarti a ciò che credi soltanto di aver perso. Posso fare moltissime cose da questa parte del tavolo ma tutto ciò è inutile se non hai interesse a collaborare. Dovresti smettere di fumare almeno qui dentro. Non minacciarmi, non puoi andartene, non ancora, non ora, hai firmato per un tot del mio tempo e io sono qui, ergo, dimmi cosa ti rode, dimmi cos’hai che ti macera dentro.

Avevo voglia di uscire, la sua proposta era allettante e non perché stessi chiuso in casa da ormai più di una settimana, lo aveva chiesto lei e sentivo la necessità di uscire fuori, senza alcuna meta in particolare ma… figuriamoci, non ho alcuna intenzione di uscire ma essendoci (per forza) anche lei perché per una volta (e basta!) non seguire il buon (basta!) esempio. Voleva che andassimo in moto ma le feci presente che il mio equilibrio già naturalmente precario sarebbe stato un grosso problema. Impiegai un po' a farla desistere, le portai (un velo di sobrietà) la moto in giardino e lasciai (la mia latenza autodistruttiva) i caschi sul divano. La sera era fresca come da manuale. Io stavo (puzzando) sudando copiosamente, un po' per il dolore, un po' per la mia naturale grassitudine. Camminando avrei avuto modo di respirare meglio. Le chiesi di raccontarmi cosa avesse fatto, lei chiese a cosa mi riferissi. Nulla in particolare, se non vuoi andiamo in silenzio pensai… così fu.

Allora sentiamo, vuoi entrare? Non so, sono su questa dannata soglia da venti minuti ormai, tu mi fissi, io ti fisso, non credo tu sia alla ricerca di uno spazio infinito nel profondo delle mie cornee ergo. Ma certo, accomodati. Sono fradicia. Beh piove! Non importa, ho detto entra, ti porto un asciugamano anzi… sai dov’è il bagno, serviti pure. Che onore, sì prenderò un asciugamano. Vuoi un caffè? Se devi farlo solo per me no. No non c’è problema l’ho appena fatto, e no, non lo farei solo per te. Allora grazie lo prendo volentieri. Asciugatiasciugatiasciugati se vuoi ma non parlareparlareparlare se devi. Siediti… dovrei? E dove di preciso… per terra? Aspetta, ecco, siedi! Che sciccheria, stai scialando, spillando, trasudando infinitamente ridicolo charme da ogni poro, sei felice di vedermi o è la tua solita antitesi sociale...

Sono mesi che non ti sento, non chiedo una tua parola ma almeno due righe per farmi sapere che vada tutto bene. Lo sai, le cose a volte accadono, non sono regolare, non sono affidabile. Ma due righe? Sì anche scriverti due righe mi costa e tanto, inoltre, nessuna nuova buona nuova non si dice cosi? Ma quanto se’stronzo! Non ne eri già a conoscenza? E se’pure simpatico! In effetti è una mia qualità. Se non fosse per un accenno di sorriso direi tu abbia sempre una cazzo di paresi. Non è il mio momento migliore te lo confesso. Ci se’cascato un’altra volta? Possibile. E non ti sembra una ragione sufficiente e necessaria per scrivermi due cazzo di righe? Non so bene in questi casi cosa questo mi sembri o cosa realmente sia e nel dubbio e se mi sbagliassi e se non fosse questa la cosa migliore… Per me o per te? Per entrambi. Già per entrambi. Non fare il saccente con me, non funziona. Lo so benissimo. Hai bisogno di me! Lo so benissimo. Allora scrivi quelle cazzo di righe! Ma ormai sei qui… Non importa, siediti, concentrati e scrivimi due righe!

Allora sentiamo non cerco una cura, allora vediamo se resto e se dura, probante, arrendente, sgusciante, tagliente, sentiamo, lo vedi, lo senti, ci credi, io resto mendace, proprio e incapace, loquace di nulla, fugace all’occorrenza ché non ha senso questa nostra incidenza relazionale, per quanto tu voglia arrestarlo, è sempre qui nel bene e nel male. Iterazione (ID) chimica sequenza compensante, ogni sensazione si affievolisce oltre la soglia già deformata della percezione. Composto antagonista e ricettori impazziti, un nitido ansito distrugge ogni membrana comunicativa e la decostruzione rende accettabile lo stato indotto. Resterò, disperso e atono, ovattato e ritorto, lucidamente livido. Incurante e insensibile posso adesso (curarmi) ignorarti e costantemente decadere. Ogni (febbre) struttura cognitiva collassante cede in violente estrusioni ma (l'IO) persiste straziato.

Cara Ginger, qui va (mi sento) un po’ strano, sono io a sentirmi uno lontano. È passato un po' di tempo dall’ultima volta, probabilmente o forse no, ti sarai chiesta (o forse no) cosa stessi facendo (o forse no) comunque; non va affatto bene. Ho bevuto, veramente sono tre notti che bevo, non riesco a dormire ma in compenso sopporto meglio il dolore. Non preoccuparti, sto bene anche da strano, non preoccuparti, io me la caverò come sempre, io sono come si deve essere, io tendo e mi tendo sino a che mi riesce.

Va bene... questa qui va bene... non sono fatta per rappezzarti, non era questa la mia massima aspirazione da amica fica, quante ne restano ancora? Eccola, questa... non va bene e ti brucerà un po'. Non sono fatta per rimetterti assieme, non è la mia vocazione se non quella di volerti maledettamente un po’ di bene. Guarda che ti sento sai, puoi dirlo, se il dolore è troppo mi fermo. Ancora una, ancora una e a quante siamo? Già, nessuna parola… allora io continuo. Qui ne vedo altre due ormai circoscritte. Devo dirti che quando ti impegni lo fai al massimo ed io a preoccuparmi di te e della tua idiozia. Questa adesso però... questa ti farà molto male… che fai? Stringi i denti? Grida pure tanto ho finito! Solo sedici! Stai perdendo colpi, l’ultima volta ho perso il conto. Aspetta, adesso ti do qualcosa per il dolore anzi, no. Come non detto, tu il dolore te lo tieni. Va bene allora. Direi che mi sia guadagnata una bevuta o un’uscita ed una bevuta, come la vedi?

Non so perché insisti a volermi far venire qui a parlare, le (mie) cose di ieri sono le stesse di oggi, saranno le medesime di domani, non ti sembra di poter impiegare in modo più utile il tempo a tua disposizione… invece che stare qui ad ascoltare le mie farneticazioni avresti tanti altri che sicuramente trarrebbero un certo vantaggio nonché una certa sensazione di puro benessere a confidarsi con te.

Striscio, dannate ginocchia, striscio, annuso la mia stessa saliva, non trovo, non vedo, persisto e sfacelo, la mia immagine annacquata sotto di me già traccia viscida un olezzo e scivolo e arranco ma tendo ogni nervo, penso ad orecchio, mi stendo e mi sfugge e poi rotola e poi sbatte e rimbalza e io perdo il momentum, mi schiocca ogni vertebra, mi schiocca in malerba e la mia istintiva percettiva già travalica ogni minimo senso di razionalizzare perché allo stesso modo la concentrazione resta sin troppo annacquata e la testa che ronza, che sbronza e che gira e rintocca come una campana sfatta, una becera banda che lenta si spanza e perde il tempo sul ritmo vago di una traballante marcetta anni venti e che stenti e che volo di denti e sono solo sotto i sipari arrossati i frangenti. Afferro, riscatto, inciampo, disloco, stacco ruvido e santo il mio canto e il livido tenore delle mie branche si oscura e si altera ma sono sempre sull’isola insabbiata, sulla costa spuntata, sul filo che affonda e sfregando mi taglia sotto ogni unghia, sotto ogni maglia. Tin, e va bene, tintin, tremo ma sento che tiene, tintintin che musica e che dissonanza, la mente, la mia, un buco, una stanza, una porta, una vela, una pallida indole, un coraggio di cera e tintintin sono già bollito, un fatto scondito, un fioco ruggito. Una piega, una strenna, una sfrega, una lamenta, tra lardo e cotenna, tra senso di assenza e lagnante lametta.

Per quanto credi di poter andare avanti così? Il tempo sufficiente. E quant’è questo tempo sufficiente, le persone savie non indulgono in comportamenti auto lesivi. È il tuo modo di farmi una romanzina, guarda che non attacca! Come non detto, del resto la mia opinione, qui, adesso, con te, non conta assolutamente nulla. La prima cosa seriamente corretta che ti sento dire da quando ti conosco. Devi migliorare però con i tempi, sai i comici basano la riuscita delle battute proprio sui tempi. Non farò mai il comico. No, tu fai lo stronzo perché ti riesce davvero bene. Ma non eri qui per darmi supporto?

Il futuro caldo squallore del mio squallido essere marcescente mai miserevole ma inverecondo e miserabile opprime. Ho acquistato per te solo per te, serve e serpenti, le prime loquaci i secondi affamati e violenti. Sono queste mattine nelle quali la mia mente cerca una scappatoia meno tediosa a rendermi così dannatamente efficace... (Hai) scelto per me di fino, vera onta e ludibrio, un cuore di bruma ed uno di fiamma. E no! Fammi capire, questa è la tua idea di confronto (all'americana) salubre, giocare a strega comanda colore bevendo questa mistura. E il fatto che io fossi già abbondantemente coadiuvato molecolarmente da principio attivo è l'opimo motivo per cui abbia difficoltà ad articolare e poterti così insultare. Per meno della metà della tua stima correrei volentieri il rischio di renderla tuttavia, nutro alcuni dubbi esistenziali relativamente alla tua lungimiranza. Puoi davvero farmi così male? Lo spero proprio… spero proprio che tu abbia una via d’uscita, una via di fuga, un’alternativa perché il dolore adesso mi rende incapace anche di pensare e la xxxxxxx non serve.

Apro gli occhi, non posso vedere, apro gli occhi il corpo non ne vuole sapere, il mio cingolato palpita è sveglio ma il corpo, questo pezzo abusato di spire e di lardo, dorme, dorme ed è dannatamente pesante. Apro gli occhi la luce non serve, vorrei parlare, afferrare, il corpo non sente. È una prigione per la mia mente intrappolata da vincoli di motilità sublimata, di ampi ventagli ad informazioni intermittenti, agganci velleitari su ciò che dovrebbe ed invece resta persistente. Apro gli occhi ma quand’è che abbia smesso di respirare, sì è quella la strada, il respiro, non importano gli occhi, il corpo, la massa, l’assenza di tatto, respira piano, sibila a volte, respira, respira e sempre più forte, il diaframma si estende, respira e respira e respira ancora la testa adesso si muove, una gamba, una mano, respira, respira!

Posso perdere determinazione… posso perdere un altro po' di pezzi. Posso restare chiuso in fondo al mio pozzo senza nemmeno sperare a cosa possa cambiare. Per ora resto dove non possa fare altro danno, parlare non serve, allora scrivo per quello che vale, allora mi scrivo per il resto che vale e allora persisto a volere e restare. Sai cosa credo, non possiamo continuare, non puoi ritornare, ogni volta mi costa, ogni volta si incrosta, lasciami e fammi restare che tanto a parlare non risolvo più niente mentre il fuoco è dentro e continua a bruciare.
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Cercai costantemente, certamente, come cecchino centrai certezze, coltri calanti, corti cirripedi color carminio, convalescente contemplai congruamente concentrato, camminai contro corrente canticchiando cantilenanti cantiche corpose, caspita! Caricasti cesti conici con corti coltelli curvi,...
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29/07/2024 23:51:46
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La Ragazza con la Mano sul collo III - Lupus Ira

22 luglio 2024 ore 22:12 segnala
- non mi hai ascoltato! Non lo fai mai! Vattene! Non puoi stare qui! Devi andare via! Non ricordo non RICORDO! Devi andare… devi…

Chiuse gli occhi. Era gelida. La chiamai ma non rispose. Era rovente. Il respiro tranquillo e profondo anche il battito di una lentezza quasi esasperante. Era gelida. Bagnai una pezzuola e le detersi il viso, le scostai quei capelli rosso fuoco e lavai via un po' di fango. Era rovente. Piccoli tremolii lungo le braccia altrimenti inerti, tentai di sistemarla al meglio sul vecchio divano, non riprese conoscenza e riposò per diverse ore. Era gelida. Trovai una sedia rovesciata, l’imbottitura non c’era quasi più ma non sono mai stato schizzinoso e la raddrizzai accanto al tavolo. Era rovente. Una volta seduto mi ricordai delle bottiglie ancora in auto, avevo portato molte cose ma tra tutte anche qualcosa che al momento mi era sembrata inutile. Seduto al tavolo iniziai a bere, bruciava come l’inferno ma non importava, non avevo dormito, avevo sete, avevo fame ma c’era il bourbon e bevvi lunghi sorsi come fosse acqua fresca e solo dopo gli spasmi del mio stomaco ancora vergine, per quel giorno, me lo ricordarono in modo chiaro ed inequivocabile.

- non sapevo fossi tornata! - e invece… - come stai? - benissimo! E tu Luca… come stai? - meglio di prima adesso, molto meglio… mi chiedevo se... - sì andiamo! - ma non ti ho nemmeno... - andiamo mammola!

Fortunatamente era un giorno infrasettimanale, nessuno sano di mente avrebbe deciso di andare al cinema il mercoledì pomeriggio tranne me. Il film era ancora in proiezione, quando non si crede alla fortuna ecco che le cose accadono. Entrammo.

- cosa preferisci? Galleria o sparàti davanti lo schermo? - sparàti davanti lo schermo! - ah, allora dovremo dividerci io solo galleria! Ma no! Sparàti davanti lo schermo tutta la vita andiamo! - quale posto allora? - lì proprio al centro in prima fila! E devo anche dirti - può aspettare! - spero che il film ti piaccia… - tu l’hai già visto scommetto! - sì tre volte. - non anticipare niente! - no certo, ecco comincia! Ma lo sai, ho preso/perso (decisamente preso peso) cognizione perché (ho decisamente preso peso) tra ieri e oggi doveva esserci necessariamente una signora Notte, mi ha (fatto prendere peso) scritto, mi ha (detto) chiamato ma non si è presentata, mi ha lasciato (detto sei grasso!) a xxxxxxxxxxx e bere da solo, divertendomi divellendo il cingolato, molte delle mie commissure sono infette e gonfie, fatico ad eludere la rabbia, il dolore non mi fa perdere conoscenza mentre esplicherò noiose procedure in ufficio anche se oggi arriverò in ritardo, non ho il senso della misura ma espierò, credimi... puoi unirti a me per il singhiozzo? - ma quanto sei scemo! Ti sei preparato tutto questo discorso! Adesso zitto eh!

Pur non volendomi alzare (indovinato) non mi alzai e (bevvi ancora) smisi di bere, un quarto abbondante di meraviglioso ultradistillato sprecato in uno stomaco vuoto ed ignorante per quell’ora del mattino. Feci mente locale, legna (bere), fuoco, chiudere una parete sventrata (bere), la mia depressione, le cavallette, il resto del mondo e il fottuto universo… senza dimenticare (bere) Lei sul divano. Bastò un’occhiata alla stanza disastrata, chiusi la porta con l’iniqua sensazione di come voler nascondere un cammello ubriaco sotto il tappeto. Accesi il fuoco, legno di quercia grandi braci durature, legno di pino ricco di resina per accendere con alcune pigne per una bella fiamma. Se fosse solo questo il problema principale dell’universo, accendere un bel fuoco sarei a cavallo di un lama tibetano a scorrazzare per il deserto. Ma qual è il problema dell’universo… quod veritas?

- sai, non c’è mai una cresta d’acqua che a priori non si possa affrontare sino a che non provi. - ma se la cresta comedicitu ti sovrasta? - e tu passaci in mezzo! - è un po' come barare non credi? - perché mai? Lotta, se il nemico ti è superiore altrimenti, attendi, riconsidera ed eventualmente riprova. - l’arte della guerra! A questo siamo! - no idiota! È solo logica spicciola…

E pensieri e pensieri e dolore e pensieri e ancora dolore. Persi la cognizione del tempo accanto al fuoco crepitante, fissando intensamente ogni fiamma, la mia mente completamente bianca o semplicemente vuota e sopraffatta, senza mai dire una parola, gli schiocchi della resina e il sibilo del vapore cullati dalla stessa fiamma violenta ed irrequieta e brillante che adesso screziava la stanza suddividendosi in chiari e scuri in continuo movimento. Alzai lo sguardo, era già l’imbrunire, ancora qualche sporadico canto di un tordo e un flebile frinire di grilli. Mi guardai intorno e intanto si alzò anche un leggero vento e alcune imposte non del tutto fissate iniziarono a cigolare piegandosi al suo spirare. Mi alzai e andai a bloccarle, non mi ci volle molto, fu abbastanza facile, ritornai nel soggiorno, non mi ci volle molto, non le ci volle molto, Lei non era più sul divano.

...era tutto molto confuso ma sai… quella voce ripeteva indignata, che sai tu di pronto? Sai… che sai tu di perso? Sai… che sai tu di acceso e bruciante e poi freddo ed eventualmente spento, cosa sai cosa cazzo ne sai del filo sottile quasi invisibile che in nuce leghi anima e coscienza, carne e consistenza, che spende e ricrea ogni trama in tutta apparenza, che taglia e sfrigola e spesso acceca, e tutto ciò lasciato, lasciato e perso e poi ripreso per essere dimenticato ancora, quelle sottili ed effimere sensazioni che esacerbanti ti consumano ineluttabilmente. Hai dimenticato. I Suoi capelli. I Suoi occhi. Le Sue mani. I Suoi fianchi. Che sai tu di perso?

Chiudo gli occhi e ho ventanni, il mio secondo anno in Irlanda e stiamo risalendo un costone screziato di bianco e molto più in basso la schiuma segnala le rocce incrostate sulla lunga spiaggia anch’essa bianchissima e il vento che è denso di salsedine mi porta sollievo raggelandomi il sudore abbondante lungo la mia schiena e lungo la mia fronte, per quanto strano credo che il sole mi stia già bruciando la faccia. Nonostante il sentiero sia dannatamente ripido e accidentato lei è già quasi arrivata in cima, sembra che la gravità non le sia di intralcio e mi chiedo come sia possibile mentre io arranco sempre di più. Arrivata quasi in cima finalmente si ferma, si volta e mi fa un gesto inconfondibile con le mani e comincia quella cantilena “john john john player blueeeeeeee!” e io le mostro due dita, indice e medio dorso della mano rivolti a lei con tutto il mio charme e lei sghignazza come solo lei sa fare e fischia e ricomincia a canzonarmi “john john john player blueeeeeeee!” e ho il cuore che sta per uscirmi dal petto ma sono quasi arrivato in cima, sono quasi arrivato... a lei.

Corre, respiro intenso, terra, fango, pietre, terra dura, sabbia, acqua. La luna si sposa nello specchio del lago e irraggia ogni increspatura, ogni onda viaggia sino ad infrangersi producendo altre onde. Corre, non sente alcuna fatica, mille sentieri e mille odori, fruscio, foglie, alberi, stormire, piume, bubolio lontano, la notte è illuminata a giorno dai suoi sensi, corre e non accenna a fermarsi, oltre il lago, oltre il bosco antistante la radura. Terra dura dura, scura, chimica alterata, perde stabilità ma è solo l’attimo di un balzo sino all’altra parte e giù per la scarpata, arbusti, pietre, arbusti più fitti, rovi, qualcosa striscia non tanto timidamente ma continua e corre senza quasi toccare il fondo, rapida come l’onda collinare che improvvisamente la incontra, non si ferma nemmeno annusando il vento, erba, umido, erba più alta, il terreno è più soffice, innaturalmente soffice, odore di ferro e di ruggine e sudore, corre come il vento in preda ad un furore selenico mai così intenso.

Credeva (credevo un tempo) di possedere (per) Lei, tempo e (possederla) ragione, forza e passione, (la/là) attendeva seppur atterrita e disperatamente livida (come il) di rancore. Prima o poi... Lei sarebbe arrivata, prima o poi Lei, la notte e il fottuto universo le (mi) avrebbero presentato il conto. Un conto opimo come il (mio) suo dolore, sudicio come il soldo iniquo e speso per comprare insufficiente tolleranza, essenziale come l'arrendevolezza di chi è confinato, ineluttabile come la rabbia della sconfitta e dannatamente, dannatamente umido come il (mio) suo cuore ormai schiacciato…

Nottetempo finalmente il silenzio, finalmente disperazione, un suono sordo pelle sudata su osso impregnato su chimico polimero precipitato, una volta, due volte, una volta ancora, una volta per tutte, una volta di troppo. Le (mi) stava prendendo brutta, la (MI) stava prendendo brutta ma ciò non di meno (avrei) avrebbe continuato perché era quella particolare frangia temporale, inverosimilmente adattativa e così necessaria alla (mia) propria distruzione. Seduto contro il mio ex divano preferito, il sudore (mi) scivola via copioso, respiro a fatica, respiro perché devo farlo ma desisterei volentieri. Mi chiama e mi tira per la maglia, non può immaginare quanto sia fastidiosa per me questa sua abitudine seppur innocua. Ha bisogno di sussurrarmi qualcosa, io penso che la temperatura non faccia altro che (peggiorare) aumentare come il mio sudore, lei vuole dirmi qualcosa invece e non posso dissuaderla.

Rimasi fermo sulla soglia, tutto il mio mondo, il mio campo visivo si delimitava su quel divano adesso vuoto, smisi anche di respirare per un po’ ma vidi la frangia della coperta strisciare via sotto al tavolo, ripresi a respirare, mi gettai su quella coperta e provai a, non so bene cosa tentassi di fare, non riuscivo a vederla ma stava agitandosi terribilmente, tentai di porre un freno a quella continua e spasmodica improvvisa irrequietezza così innaturale. Non riuscii a cingere le braccia intorno, continuava a scivolarmi via mentre un odore molto più intenso traspirava da sotto la coperta, un sibilo, uno strusciare innaturale tra diverse consistenze e tonfi sordi contro il pavimento. Lotta impari, non ci avevo nemmeno pensato per un attivo lanciandomi su di lei senza nemmeno saper cosa avessi davvero intenzione di fare o cosa volessi fare. Fermarla? Bloccarla? Recitarle la critica della ragion pura di Kant? Non aveva assolutamente senso e il primo sbalzo incontrò la mia schiena contro il tavolo e ricaddi sul pavimento perché scivolò via lacerando quella coperta, scavando quelle mattonelle come fossero di cartone. Mi ritrovai impiastricciato in una putrida secrezione vischiosa incapace di trovare un appiglio per avanzare, incapace di poterle anche solo urlare qualcosa. Potevo solo osservare la coperta deteriorarsi davanti ai miei occhi fino ad esplodere in mille brandelli sfilacciati e Lei irruppe verso l’ingresso diligentemente chiuso sino a quel momento. Vi si appoggiò informe, la porta di legno scricchiolò dapprima, emise un verso strano, una tonalità incredibilmente bassa e vibrante, ancora due schiocchi sordi del legno ed altri molto più organici in lei. La porta gemette un’ultima volta e si spaccò innaturalmente divellendosi verso l’esterno. L’aria fresca della notte ormai sicura irruppe, la fiamma crepitò alta, alzai lo sguardo e rimasi a fissare la notte attraverso ciò che della porta restasse.

- coraggio sei quasi arrivato mammola! - è l’ultima volta che mi freghi! Puoi star sicura! - non essere il solito esagerato, sono due passi appena appena in salita! - salita un cazzo! Mi hai fato scalare la scogliera! - e che sarà mai! Respira! Respiiiiiiira! - se… se ci arrivo a fare un altro respiro! - volevi vedere qualcosa di diverso o no? Questo è diverso non lamentarti e goditi il panorama!

Niente rimpiazza la Storia. Niente è davvero importante agli occhi della Storia. Molti si illudono di poterne scrivere anche una sola pagina e molti altri se ne arrogano il diritto ma sono già persi e dispersi ed ignorabili, semplicemente lontani. Non si fa la Storia, non la si può scrivere a proprio piacimento, la Storia esiste e a volte ci se ne accorge. È il fiume degli aventi, delle piccole a grandi macchie e delle piccole e grandi macchinazioni, dei leggeri e gravi dolori e delle fatidiche amarezze e dei sentimenti sviluppati ed estesi. È un canto. È un pianto. In essa, a volte, il semplice sussurro della Terra ci scuote profondamente nel pieno della nostra esistenza e apprendiamo quanto tutto sia tremendamente fragile ed in precario (il nostro) equilibrio.

E per quanto io potessi detestare quell’assurda scarpinata, per quanto odiassi dover faticare dannatamente senza nemmeno riuscire a tenere lontanamente il suo passo, per quanto mi odiassi, lei in fondo aveva ragione perché una volta in cima, che spettacolo. Il sudore, la mia pelle ustionata, il caldo e tutto l’universo aveva inaspettatamente perso valenza o importanza. Aveva dannatamente ragione ed io al solito, senza però mai ammetterlo, torto marcio. Cosa potevo fare se non sedermi lì con lei su quel ciglio infinito a strapiombo sul mare, cosa potevo fare se non accettare che mi abbracciasse nonostante il mio lurido stato, cosa potevo fare d’altro se non convenire con lei che quella vista, in quel momento valesse anche una vita intera di stenti. Nulla più (mi) importava se non quel momento essere, stare, restare in quel momento con Lei.

- senti Luca, c’è qualcosa... qualcosa che devo dirti. - cosa? - sto tentando di trovare un modo adesso... ma lo farò, ho solo bisogno di un po' di tempo e, lo farò. - è per qualcosa che abbia fatto? - smettila di interrompermi mammola! - scusa… - cazzo! Non ti devi scusare! Smetti solo di parlare vuoi? Ce la fai a stare zitto? - certo posso… - non PAR-LA-RE! C’è qualcosa di molto importante che devo dirti ed è… difficile! - cazzo ti sei fidanzata! - no, no, no, non mi sono fidanzata… senti… camminiamo ti va?

La luna è alta, un cerchio fantasmagorico, una moneta d’argento sin troppo lucida per ingannare, quasi una gemma perfettamente artefatta incastonata nel cielo ancora scuro ed avvolgente. Non posso fare a meno di guardarla, non posso fare a meno di pensarla, non posso fare a meno di serrare i pugni per evitare che le mie mani tremino ancora. Non posso fare a meno di ripensare e al contempo di non credervi credendo di poterlo fare. Non so cosa ritornerà dal bosco fuori, non so come/cosa arriverà dal bosco fuori, cosa attraverserà la soglia, non so (cosa) se la attraverserà, non so se sarà una lotta o una resa, non so se sia questa convinzione a raggelarmi o l’illusione a farmi disperare o l’inevitabile attesa a farmi persistere.

Il tempo fluisce inesorabilmente morbido. Anche il mio sudore, il mio dolore passano indifferenti. Non so da quanto fissi la porta sul niente apparente e buio. Recuperai lucidità, recuperai ancora l’equilibrio, sistemai il fuoco, non c’era verso di riparare la porta, non c’era verso che qualunque altra cosa potesse importarmi. Mi alzai, dapprima su di un ginocchio e poi ignorando la mia schiena urlante, finalmente in piedi, afferrai un’altra coperta ed iniziai a ripulirmi da quella melma viscosa e scura.

L’astro selenico stanco della propria routine finalmente cala e anche la sua luce riflessa perde intensità mentre alcuni stormi prendono già prepotentemente possesso dell’aria ostentando sicumera e levando il loro insistente canto ripetitivo. Una natura dorme o si prepara a farlo ed un’altra natura si desta. Sarà un’alba serena ma ancora la notte nella sua ultima coda rivendica l’aria buia. Sto seduto davanti la porta che non esiste più, attraverso cui vedo ancora niente. Il fuoco ormai dileguatosi in un mare di brace singhiozza alle mie spalle. Avverto il bruciato, avverto l’erba bagnata, avverto il mio respiro e il sangue che sollecita ogni mio vaso. Respiro più lentamente, chino quasi il capo e per un attimo chiudo gli occhi e... Resto, ineluttabilmente, seduto… e, inevitabilmente, attendo…
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- non mi hai ascoltato! Non lo fai mai! Vattene! Non puoi stare qui! Devi andare via! Non ricordo non RICORDO! Devi andare… devi… Chiuse gli occhi. Era gelida. La chiamai ma non rispose. Era rovente. Il respiro tranquillo e profondo anche il battito di una lentezza quasi esasperante. Era gelida. B...
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22/07/2024 22:12:08
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The Funny Farm X - Insania Cordis

15 luglio 2024 ore 09:13 segnala
- so perfettamente come tu ti senta. - no, non lo sai! - so perfettamente quanto e quando lo farai. - non ti voglio ascoltare! - ripetilo ancora una volta ma vedo già gli ultimi strascichi... sono freschi o dovrei dire caldi? - non ti sto ascoltando! - lo sai che dobbiamo, devi fermarti per un po’… - non ti ascolto! - sii onesto con te stesso e con me, non essere ipocrita, sai e sappiamo perfettamente cosa tutto questo comporti. Benvenuto infine, non c’era bisogno di dirlo vero? Benvenuto, è tutto come l’ultima volta, perché cambiare, perché illudersi che tu abbia una qualche voce in merito, sei esattamente come devi essere, non provare a cambiare perché comunque non è da te poter anche solo pensare di essere in grado di farlo.

Bevo quando la richiesta dei miei piani intermedi diventi insistente, fortunatamente per il fumo il mio comitato polmonare è di più larghe vedute. Soccombo al dolore ogni qual volte il mio cingolato si adoperi in questo senso. L'incline veridicità ed oggettività di vedere me stesso quasi come attraverso una paradossale ingenua schiettezza, mi rende consapevole del mio deprecabile stato, certamente potrei migliorare, potrei adoperarmi e rendere migliore e/o diverso anche il mio impatto sugli altri, migliorare la sensibilità forse o inserire uno o due filtri per evitare di essere irreparabilmente diretto.... Riconoscendo però allo stesso modo la mia indole pigra e dissennata ritengo che tentare di modificare tutto ciò risulterebbe solo in un determinato quantitativo di tempo che andrebbe inevitabilmente perso. Molti ritengono di avere un treno da prendere prima o poi, molti altri ritengono di averlo perso, io ho mai pensato ad un treno intero ma sempre al fatto che non esistesse motrice adeguata a portarmi efficacemente via. Sì una volta ci ho provato, sono rinsavito o impazzito appena in tempo per non farlo, questo dipende dai punti di vista…

- sai cosa sei? - puoi lasciarmi in pace? - lo sai cosa sei? Sei un piccolo lemming e devi correre perché anche gli altri stanno già correndo e scapicollandosi e tu non puoi restare indietro. - vattene! - tu non VUOI restare indietro, ammettilo piccolo lemming. Vedo già la scorrazzante mandria inerpicarsi ineluttabilmente a dispetto di ogni segnale contrario. Cosa aspetti? Inizia a muoverti e fammi vedere come corri!

Another garrulous morning, another inevitable sleepless morning like the previous night, there is no way to deal with something for which you don't feel prepared other than improvising but even this isn't enough sometimes.

Prima o poi Lei ritorna, oh sì, non sarebbe da Lei ignorarmi per un lasso di tempo abbastanza lungo da poter essere definito tale. Non è una questione di volontà, lo sa perfettamente che in codesti frangenti la mia volontà è come il mio pensiero. Non c’è modo di sottrarmi a tutto questo. Avverto, perché nel tempo ho imparato a riconoscerli, quei segnali precursori, quelle righe non tracciate ma che necessariamente intrappolano qualcosa di molto profondo, qualcosa che non posso ignorare. Prima o poi ritrovo a mia volta le medesime costrizioni, non sono tangibili ma in quanto a intensità si equivalgono. Non posso allora non rendermi conto di quanto in fretta e repentinamente il mio equilibrio sia stato smarrito. Posso (devo) prenderne atto perché riesco ad avvertirlo ma le conseguenze sono tutte da sopportare e sono probabilmente un fardello accettabile.

- non fare il disperato coccodezzia! Qui c’è tutto quello che ti serve, quello che mi serve che a te serva. Il caimano ti ha morso la linguetta? Puoi fare meglio di così, fammi vedere quello per cui sono venuta, fammi vedere che non stia sbagliando affatto con te, avanti mostramele...

E adesso, posso lasciare la mia veemenza sulla soglia per ricercare una via di contatto, pensare ad un dialogo sarebbe persino ortodosso, dopo tutti i conflitti e le rincorse e le ferite e i propositi di non perseverare. In fondo abbiamo visitato reciprocamente i nostri pozzi preferiti, conosciamo di ognuno la profondità e l’inganno e anche la consona apparenza necessaria a mascherarli a tutti e tutto ciò che resta a noi intorno. Posso lasciare per un attimo la mia folle autodistruzione tentando di non farmi travolgere, tentando di assecondare la tua aria burrascosa e al contempo apprezzare anche la brezza più sottile e calma, quasi invisibile e celata da barriere sempre sin troppo efficienti e sempre pronte a delimitare spazi e tempo e ricordi e intenzioni e lacrime ma non il dolore.

- dimmi a cosa serve questa ritrosia? A cosa può mai servirti e a cosa mai potrebbe giovarti. So delle strade percorse, so benissimo come appari e cosa invece tendi a mascherare perché te ne vergogni. Andiamo non hai bisogno di sentire una predica adesso, sei qui e quindi perché non fai in modo di toglierti il prurito, avanti fammele vedere! Oh, non fare affidamento sul cuore, non pensarci nemmeno, queste sono puttanate, non puoi provare a mettere il tuo cuore sul piatto, il tuo mezzo cuore di plastica bruciato, è inutile con me come te. Non provarci nemmeno!

Sai, nonostante il tempo trascorso in questa stanza, tra una soglia e l'altra, tra il dolore percepito e quello solo desiderato, la nostra costosa disputa persiste, incurante ed ignorante del tempo e delle normali consuetudini e delle relazioni e dei peccati e degli obiettivi e delle altre alte aspirazioni che molti considerano fardelli essenziali alla propria esistenza. La notte nonostante tutto non é iniziata, non ancora, avverto ogni cicatrice al tatto confidente, non ho alcun bisogno e necessità di poterle vedere. Non so per quanto tempo ti abbia ascoltato e sussurrato attraverso questa sottile ferita che divide in sospeso la nostra capacità più elementare di comprendere e conoscerci oggi volta che la tempesta, un'altra tempesta salga veemente.

- stai già fumando come un dannato, non credi che sia solo un modo puerile di rimandare l’inevitabile. Considerato il fatto che non sembri averne, volontariamente o meno, alcun ricordo, è bene che ti rinfreschi, tra quelle larghe pieghe adipose che ti ritrovi, il lume marcio della tua infima ragione. Devi sbattere il grugno contro l’ineluttabile stato dei fatti, devi averci un frontale in modo da lasciarvi l’impronta. Te ne renderai conto solo in quel momento? Ma no, lo sai perfettamente di cosa stia parlando o non saresti qui, smettiamola con questi giri di parole, con questo detto e non detto, fammele vedere!

La mia miglior qualità è il mio peggior rimpianto, mi hai portato un sigaro? Già, non potevo aspettarmi che ci arrivassi sei una solo una notevole femmina, almeno brucerò ogni tua insulsa paglia dopo aver rimosso il filtro. Non so quando mi lasceranno uscire, sono ancora troppo depresso e rappresento probabilmente un pericolo per me stesso, lo sai, ma per le visite si può oziare in mezzo a questa congiura di cipressi in mezzo a così tanta alienazione tinta di spensierata disperazione. Ho bisogno di una buona cicatrice al giorno per non impazzire quindi approfitto di te e della tua bontà, tu fa' finita di niente... In tutto questo non ho più la mia cazzo di matita…

How long, how much longer can I stay enduring your insistent voice, your throbbing tongue in my brain poisoning it even more. I can't sleep like I used to, I've changed, I'm tired and I'm tired of trying to convince you otherwise. This is what I deserve for not conforming. Maybe once I would have even tried but it's no longer in my power to appear in order to be accepted, I am as I am and I no longer know what to do with other people's thoughts towards me.

Sembra passato del tempo, non posso quantificare, potrei farlo ma tutto ciò non giova affatto alla mia coscienza perché so benissimo quante e quali volte mi sia presentato, so perfettamente che sia l’unico modo ma queste pause virali, queste flessioni nel mio essere, nel mio modo di essere, pensavo fossero in qualche modo dimenticate. Evidentemente continuo a sbagliarmi su di me su di te e su tutto questo e hai ragione, non posso dimenticarlo e per questo ne scrivo, lo scrivo e ti scrivo. Vuoi sapere della mia angoscia, è sempre qui accanto a me, nell’ultimo anno non mi ha mai abbandonato, sono forse un inetto per questo? So che la mia scarsa vena propositiva e la mia ipostima sia lapalissiana, è meglio non coinvolgere nessuno, oltre te, in questi meandri, non credo si possa anche solo sperare di avere una mente libera dal preconcetto. Lo abbiamo tutti, anche tu che sei così fottutamente corretta nella tua disamina e nella tua livida ingordigia.

Sarei voluto essere più presente ma le mie ultime tin-tin-tin mi hanno ingannato più del dovuto. Ho in corso un conflitto tra i polmoni, niente che una dose maggiore di particolato non possa risolvere. Senza dubbio dovresti andare, sei un inutile spreco del tuo tempo qui, non sono ciò di cui hai bisogno e d'altro canto la mia grassitudine offusca la mia reale occupazione dello spazio. Faccio del mio meglio ma le cicatrici si moltiplicano, tu faresti meglio, seriamente, anche una mammola farebbe meglio, seriamente, dovresti andare.

È colpa mia, perché sono stato io a farti trovare la strada la prima volta e sai cosa… sto male, mi fa male pur sapendo di farmi male continuando a farmi male. Ed è questa la cosa che a te stesse così a cuore… no, ho sbagliato, non posso parlare di cuore con te, il motivo per cui noi siamo così affini non è qualcosa che abbiamo in comune, ma la mancanza di qualcosa che ci accomuna, qualcosa che il resto del mondo fuori non considera nemmeno. Ma è questa stanza che sembra restringersi ogni volta che provi a misurarla con lo sguardo. Ogni muro si avvicina inghiottendo lo spazio, inghiottendo il resto della mia immaginazione. Il cambiamento avviene repentinamente o molto lentamente e, ciò non di meno, la nostra percezione di esso è (resta) flebile e la conseguente sedimentazione è così subdola tanto quanto incredibilmente lapalissiana al suo rivelarsi.

Oh well, these restrictions don't seem necessary to me, after all, it's not the first time you've found me here. Even with all your compounds, my pain does not desist, my restlessness does not cease, my ineptitude increases. At least I have a nice bed and lots of nice windows from which I can imagine the world outside. But who cares to really see outside when it's our soul that is so dark and lost. You know what? I can't stop and think about the pieces I've lost, about the sensations imbued with aberrant inevitability. That's why you're here. My scars. here they are on display, they are the signs of my lost time and my broken hopes.

Mi ero ripromesso di non farti più soffrire, di non venirti a trovare quantunque mi potessi (e possa) oltremodo maledire, avevo spiegato il mio non fosse un errore di infetta valutazione, era una piccola intraprendente incursione in una più vasta e atterrente, seppur costantemente imperfetta, visione. Mi ero ripromesso di esserti amico, giocare a scacchi e per ogni tua battuta fredda, algida e glaciale finire o fingermi tramortito, mi ero ripromesso anche di non farti troppo adagiare ma piccolo cuore mio di plastica e mezzo bruciato, credo in fondo che il mio intento di salvarti sia stato, oggettivamente, del tutto sopravvalutato.

Lucida continui a sorridere ma la mia incapacità è trasversa, è persa, informe e labile; non puoi ferirmi più di quanto io stesso non possa fare ed abbia comunque già fatto e continuerò a fare. Il dolore rispetta i vincoli della disperazione senza travalicare l'angusto razionale e prodromico. Un segno sostituisce un miliardo di parole, uno nuovo elimina dall'equazione il dialogo. Sto dicendo che non puoi impedirlo. Sto dicendo che non puoi essermi d'aiuto, sto dicendo che devi andare via.

Sì certo siamo sempre in movimento, ci illudiamo di restare immobili o di muoverci nella direzione a noi più consona ma nulla di ciò, in ultima analisi risulta essere vero, la volontà è una vela sottile, la tempesta del dolore irrazionale la squarcia senza alcuna remora e ad essa si piega sino a scomparire. A volte è così difficile avere cognizione di tutto questo, altrettanto impossibile sembra essere venirne fuori e prima o poi ci riuscirò come ho fatto in passato nonostante la tua presenza e i tuoi intenti. Lotta di falso contro vero, lotta di coordinazione contro assuefazione, lotta di spazio contro spazio più angusto e ristretto, lotta continua senza respiro. Non è un pensiero questo ma (è) il mio pensiero e se volontà è il mio pensiero allora ustioni sedici volontà zero.

La Ragazza con la Mano sul collo II - Fera lupum in Corde

22 giugno 2024 ore 17:11 segnala
- giacché sono qui… - sei ancora qui appunto! Non avevi espresso volontà di andare in quell’altro posto? Quello che ho ben presente? Quello dove fa più caldo? - sì lo so ma… - allora cosa! Io so già (sono DIO) cosa tu voglia chiedere, so perfettamente (sono DIO!) ogni tua prossima parola o pensiero. - non importa, io te lo chiedo lo stesso e sarebbe educato da parte tua rispondermi. - nient’altro? Vuoi un caffè? Un cappuccino maraschinato? Un latte evaporato appena sublimato? Parlare del sesso degli arcangeli? Per favore portate ad ARM un nonsocosacazzovuole, facciamo contento! - no, vorrei che tu mi rispondessi e poi vado in quell’altro posto. - d’accordo... sì alla tua prima domanda, no alla seconda e sì alla domanda implicita alla tua prima. - come fai a… lascia stare ho capito. - bene! Puoi andare adesso in quell’altro posto, quello più caldo… via via ti stanno aspettando, vai! - Sì me ne vado, posso dire in tutta onestà che incontrarti sia stata una muscerìa, lo dico dei film che… - sì lo so, dei film e di tutto ciò che in qualche modo delude le tue aspettative. - ecco, l’hai detto, questo di-là è una muscerìa, tu sei una muscerìa, ADDIO DIO! - ma chi me l’ha fatto fare di creare l’uomo, potevo fermarmi ai protozoi! PROSSIMO!

Ripensando ad una di quelle estati ormai così lontane e sbiadite nel torpore dei ricordi e di alcuni rimpianti o forse solo ineluttabili considerazioni, Lei mi mancava durante il periodo estivo, le lettere sopperivano a questa mancanza ma non sempre, un anno infatti, se non sbaglio quello del suo tredicesimo compleanno sparì. Non fui in grado di avere alcuna notizia e per un anno intero, casa sua sempre chiusa, non è possibile descrivere quel senso di ansia o di apprensione a dodici anni perché probabilmente il lessico è ancora troppo limitato, oggi posso farlo, ma ugualmente va bene scrivere che fossi disperato e tremendamente spaventato, intrappolato in una morsa opprimente. Avevo ormai accettato di non rivederla più e la scuola era diventata come corridoi vuoti pieni di sagome grigie atone e trascurabili, certo continuavo a studiare ma non mi sentivo affatto bene. Chi dice che la speranza serva davvero a qualcosa sbaglia e di grosso. Speranza o non speranza, a gennaio riprese la scuola, non era la mia stessa scuola ma la rividi sotto un ombrello colorato che saltava in tutte le pozzanghere. Mi avvicinai e camminai con lei. Non volle mai parlarmi di quel lungo anno di assenza, non volle mai ed io ad un certo punto non chiesi e non feci altre domande al riguardo, era tornata e questo bastava. La mia mancanza di domande anche oggi può essere certamente scambiata per una mancanza di interesse o assoluta indifferenza ma invero, sin da ragazzino presumevo infatti, nella mia arroganza più nascosta, che chi avesse desiderio di dirmi qualcosa lo avrebbe fatto prima o poi, chiedere, per questo motivo mi sembrava una tremenda mancanza di rispetto. Conduco questa linea di condotta ancora oggi, chi arriva a conoscermi, prima o poi, comprende anche questo ma in fondo non mi preoccupo molto di cosa e come pensino gli altri, ho già problemi a mettere in fila due neuroni muovendo la testa per dar loro quell’abbrivio cinetico necessario alla produzione di un pensiero, non ho davvero la pazienza e/o la delicatezza di preoccuparmi del pensiero altrui soprattutto nei miei confronti.

- promettilo!

Il tempo era cristallizzato, le ombre danzanti e irrispettose si contorcevano in una molecola irriguardosa della luce intermittente quasi ballerina, non v’era più cognizione della spazialità consona, il letto, i muri, il pavimento. Esisteva adesso un caos dentro ed uno fuori molto più grande, entrambi però ordinatamente connessi. E il tempo per quanto insignificante era la sola valvola di comunicazione e quando l’IO sprofondò definitivamente nella tenebra assopendosi forzatamente, fragorosamente qualcos’altro emerse al suo posto. Ancora la voce della tempesta, a sussultare vorticosamente, venti umidi e tonanti irruppero dalla breccia creatasi. Nello scintillio prolungato del freddo corpuscolare una nuova e grave frequenza conquistava l'estesa gamma sonora persistente. Un sibilìo prolungato invischiato da risonanze ancora più gravi mutava in un prolungato pianto disarticolato alla furia degli elementi incapaci però di sopirne la veemenza. I fulmini artigliavano nuove e più grandi retine, capaci di impressionarle solo per una frazione infinitesimale di secondo, odori sempre più consistenti eccitavano milioni di nuovi ricettori. Il caos fuori, la tempesta, il caos dentro LEI nel suo ID sbocciato ancora acerbo ma così preponderantemente ineluttabile che andava svegliandosi mentre, raccolta nella sua forma, raccolta e perfetta iniziava a testare nuovi vincoli e possibili barriere. Branche incredibilmente acuminate laceravano ogni suo punto di appoggio ma il caos fuori si mostrava in tutta la sua maestosità e violenza e quella, le sue nuove retine potevano misurarla con precisione estrema relegando ogni altro errore di percezione ad una percentuale ridicolmente infinitesimale.

Un pomeriggio, finalmente, le chiesi di andare al cinema, non era tanto una questione di andare al cinema, avevamo sedici anni, eravamo cresciuti eravamo cambiati ma eravamo così ridicolmente amici e non fraintendetemi, ridicolmente è un’accezione positiva, che in fondo non sarebbe stata un’impresa così impossibile. Il film era ambientato in Inghilterra, un film in costume come spesso critici altisonanti usano dire nel descrivere le ambientazioni nell’epoca vittoriana. Non avevo idea di quale film avremmo visto però e non c’era certo questa gran scelta, un solo cinema a portata di piedi e quindi un solo film in programmazione per tutta la settimana. E non era un sabato per avere un prezzo ridotto e non avevo intenzione di rischiare che la stessa uscita le fosse interdetta dai genitori quindi, prima di tutto, per essere inattaccabile avrebbe dovuto fare tutti i compiti. Alle diciotto io stavo seduto sulla scalinata davanti l’ingresso del cinema, defilato da un lato, la gente entrava di continuo, iniziò pure a piovere e poi arrivò. Normalmente al cinema con i miei compagni parlavo in continuazione, commentavo ogni scena, persino le espressioni sui volti ma quella volta non aprii bocca. C’era lei e andava bene così. Il film? Bello o brutto? C’era lei. Ci saremmo bagnati all’uscita perché pioveva ancora? C’era lei. Sua madre mi avrebbe dato un’altra sberla o forse più di una? C’era LEI. Poteva verificarsi un evento cataclismatico da metterci tutti a rischio di vaporizzazione cellulare entro il settimo pianeta dal sole? C’era LEI!

- devi promettere!

Adesso libera da vincoli articolari, riassestò la propria forma abituandocisi, arcuandosi, sorretta adesso possentemente da vertebre più lunghe e più larghe, conscia di un baricentro naturalmente più stabile, dondolò lentamente immagazzinando precettori di scie neuroniche di sodio e potassio e cloro, catalizzatori energetici pronti a liberare con incredibile velocità impulsi cinetici ad altissimo rendimento. Immagazzinando l’aria furiosa della notte agonizzante nel fragore di mille tagli luminescenti, irrorata dal mille gocce taglienti, derivanti impazzite da un caos grande all’altro, il suo. L’ID adesso sveglio, furoreggiava quanto e come lo strepitio della tempesta appena fuori. Non era più una questione di tempo ma di sequenza elicoidale, nuova nella sua efficienza, spietata quanto a precisione, un ribollire di attenzioni primigenie ed azioni inarrestabilmente conseguenti perfettamente fasate.

Cave Luna. Dopo aver ascoltato la sua preghiera, per la prima volta in trentanni, per la prima volta decisi di fare di testa mia. Non attesi nemmeno il giorno dopo, mi misi in auto e guidai tutta la notte. Conoscevo la strada ma non viaggiai speditamente, il maltempo e l’ansia mi laceravano. L’ultimo tratto fu più semplice pur dovendomi addentrare nel bosco seguendo un sentiero sterrato e privo di indicazioni. Dopo una interminabile serie di curve e di buche finalmente il sentiero si aprì su di una piccola e stranamente brulla radura. Arrestai l’auto immediatamente e corsi verso la baita. Bussai ma nessuno rispose, feci un giro e. oltre la legnaia, un pezzo di muro era venuto giù, a testimonianza di una finestra restava parte di un infisso e brandelli del telaio, sembrava essere imploso. La furia degli elementi aveva portato dentro terra e arbusti e fango. La camera all’interno era semidistrutta ma il letto era ancora al suo posto, il pavimento però non era in buone condizioni, calcinacci un po' ovunque e fango. Non entrai ma diedi un’occhiata breve ed esaustiva. Feci un altro giro e notai il folto bosco davanti, guardai la bussola e poi ritornai all’auto e presi lo zaino. Pensavo di aver tutto il necessario ma non avevo altre risposte, ritornai verso il muro crollato, guardai ancora dentro e poi mi girai verso gli alberi. Osservai ancora la bussola e mi incamminai verso il folto del bosco. Mancava poco all’alba, la notte sbiadiva in fretta nonostante la temperatura si mantenesse rigida ma non avevo alcuna scelta e proseguii.

- promettimi che non verrai a cercarmi!

La gamma sonora estendendosi ben oltre sessantamila hertz ricomponeva la sua virtualità spaziale percepita, allo stesso modo, indifferente al cielo ancora furoreggiante, il carosello termico aveva perso ogni sfumatura cromatica desensibilizzandosi in un'alternanza di marcati chiaroscuri deliniando un nuovo campo visivo perfettamente sincronizzato con l'amigdala che opprimeva ogni marcato intento razionale nullificandolo. Percezioni pesanti di combusto, fango, legno chimicamente alterato, metallo e poi… frenesia di movimenti, piccoli battiti accelerati ad alta frequenza nel folto del sottobosco, pelliccia umida, lieve campo elettrico, movimenti frenetici, paura, soprattutto fame, una possibile preda. Puro istinto, esplose allora oltre la parete ormai quasi del tutto distrutta e in attimo si ritrovò tutt'una con la notte nel suo profondo e nella fame.

Una volta mi chiamò in piena notte, io avevo già abbandonato la facoltà di ingegneria e quando lo seppe mi prese in giro, non era delusa ma solo stupita della mia grande iniziativa. Aggiunsi che non ci trovassi nulla di eroico in quell’abbandono ma lei continuò a ridere. Parlammo tutta la notte, era stata molto tempo all’estero come me del resto, mi disse anche dove si trovasse e non perché io andassi a trovarla ma quella lunga chiacchierata a notte fonda annullò ogni distanza e ogni lasso di tempo apparentemente perduto. Mi disse anche che avesse continuato ad espandere il tatuaggio e anche lì non chiesi come e perché ma lei come leggendomi nel pensiero mi rispose ancora. Diamine, abbiamo riso in continuazione. Erano anni che non la sentissi così felice. Erano anni ormai e per un momento sperai che potesse durare per lei ancora.

Enormi radici di querce secolari avevano conquistato anche la superficie del terrapieno strappando la terra e sposando le rocce creando un'area di riparo non molto lontano una scoscesa conca alluvionale, arrancando ma ancora ebbra vi si avvicinò, gli occhi brillanti si chiusero e si accasciò trovando pace e immediatamente si assopì. La luna decadde velocemente sfiorendo ancor più livida e, allo stesso modo, la variante selenica predominante invertì il suo ciclo dapprima arrestandolo e poi restaurandola alla forma debole ed imperfetta che in origine era. Lì, questo senso straripante di libertà la abbandonò, lì rimase nuda e lorda di fango, sazia di notte di istinto di sangue e carne. Lì infine la trovai, incosciente del torpore mutageno, esangue ma viva. La trovai in quella natura che a volte ai nostri occhi appare e sembra così violenta, a volte talmente violenta, quella stessa natura a volte anche materna e a volte sfuggevole e tremendamente, tremendamente fragile, quella natura che non esige il nostro rispetto ma certamente lo merita. Aprii lo zaino e tolsi una coperta, gliela avvolsi attorno, le toccai la fronte scostandole i capelli e il capo da terra, non era fredda ma stranamente tiepida. Tiepida e piacevole fu anche la prima luce dell’alba che ci incontrò proprio lì, sotto quelle enormi querce. Alzai una mano nella luce, avvertii subito il calore, c’era molto da fare forse… in quel momento però importava solo di quel giorno che stava arrivando, mi importava solo di LEI. La chiamai, le parlai ma non riuscì a svegliarla, me la caricai sulle spalle e mi incamminai con molta fatica verso la baita. Non era lontana, non era vicina tuttavia come diceva sempre mia nonna, “Luca, se non inizi a mettere un piede davanti all’altro non arriverai mai!” E così feci.

- prometti che non verrai! Prometti che non verrai a cercarmi… devi prometterlo e devi dimenticarti di questa conversazione e di me. Promettimelo! Devi promettermelo!

Et revertar in die plenitudinis lunae. la notte è finalmente serena, per un attimo il frinire dei grilli mi ha strappato alla percezione persistente, per un attimo ero nei miei dieci anni ad accompagnarla verso casa dopo la scuola, per un attimo sono stato lì seduto con lei a bere come se non dovesse esserci più un domani, per un attimo seduto accanto a lei in galleria mentre immagini apparentemente prive di dialogo e di significato scorrono via e io la osservo nella penombra e penso e spero che il film non finisca più. La notte serena è limpida come un lago senza fondo ma la luna è di nuovo alta, la luna, la bella e grande luna, è il plenilunio tetro e brillante in tutto il suo candido livore.

Et revertar in die plenitudinis lunae. Cave Luna. Lei adesso dorme, ne sono certo, Lei (cave Luna) adesso dorme ma non posso vederla, non posso parlarle, non posso ascoltarla, non posso sfiorarla e stringerla, non posso raggiungerla perché... ne sono certo, Lei adesso dorme… è una verità indiscutibile, un fatto tanto semplice quanto essenziale nella sua lampante esistenza. Lei adesso dorme... ma il lupo è fuori...
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- giacché sono qui… - sei ancora qui appunto! Non avevi espresso volontà di andare in quell’altro posto? Quello che ho ben presente? Quello dove fa più caldo? - sì lo so ma… - allora cosa! Io so già (sono DIO) cosa tu voglia chiedere, so perfettamente (sono DIO!) ogni tua prossima parola o...
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22/06/2024 17:11:44
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La Ragazza con la Mano sul collo I - de lupis et mulieribus

14 giugno 2024 ore 04:03 segnala
- Allora, qui al mio cospetto finalmente, vieni avanti e parla! Orsù! - chi sei? - io sono DIO! - quindi io sono morto? - sì, infine sei trapassato… - ma io non mi ricordo niente! - non si parla in termini di memoria o di spazio qui, non puoi farvi affidamento ormai. - ma come è possibile? Fammi vedere! - nel tempo… - ma scusa, aspetta un attimo DIO, se sono morto ci sarà stato un funerale, qualcuno per me avrà pianto o no? - niente funerale, sei tennicamente, e cito testualmente, tennicamente stato vaporizzato e quindi indovina, morto! Posto sbagliato momento sbagliato o come dite voi un attacco immane di sfiga. - sei sicuro? - certo che sono sicuro sono DIO! - ma ma ma se tu sei DIO questo che posto è? - Questo è il posto del di là. - vuoi dire aldilà - NO! Questo è il posto del di-là! - vuoi dire come nell’Almanacco di Topolino n. 259 del luglio 1978? - bravo e lo sai perché… - perché ho… insomma avevo quel fumetto, Topolino e la porta del di là! - molto bene. - molto bene un cazzo! Ho… avevo una collezione di fumetti intergalattica ti rendi conto che adesso non potrò più apprezzarli! - devi distaccarti dalle cose materiali, in questo luogo non ne avrai bisogno! - se, e poi fare o non fare non esiste provare! Come no? E la mia collezione di SUKIA e ZAGOR? Le porno massaie? Terrore BLU? Il gioco, Gulliveriana di Manara? LA BIONDA di Saudelli! Diabolik? La mia collezione immane dell’uomo ragno dal 1978 al 1999, i miei numeri UNO originali praticamente di valore inestimabile e autografati? E poi… ma i video di Gianna, Alexis, Kayla, Lauren e Eliza? - I porno vorrai dire… - sì diciamo, quelli… E la mia cineteca? Kubrick! I suoi film! I miei cinquemilatrecentosessantatrè altri film! Tutti i miei libri! La mia biblioteca!!! - non ti servirà nulla di tutto questo ma il buon Stanley è non lontano, potrei presentartelo. - beh, questo va bene però… cazzo era, erano la mia vita! - svegliati! Quarto di pollo! Sei morto! Io sono DIO! E tu sei morto! Vogliamo proseguire? - sì vabbè, ma voglio, cioè… Kubrick lo posso incontrare? Lo posso incontrare Adesso? - Non vorresti vedere qualcun altro prima? - sì beh anche ma hai detto Kubrick, posso incontrare lui adesso? Oppure aspetta, aspetta un attimo DIO! Tutta la mia musica, la mia batteria! - ma non la toccavi da ventanni la tua batteria, l’hai lasciata a prendere polvere e rimpianti! - e che c’entra sono/ero/resto un batterista da orecchio puro e di cuore oh! Ma dopo Kubrick posso incontrare il Professore e… Cliff Burton? E il mio blog? Che fine fa/ha fatto il mio blog? - cosa importa il tuo blog! A chi importa! Non ti leggeva nessuno! E poi, caro Allegro Ragazzo MORTO perché sei MORTO, adesso ci sono le questioni burocratiche! Registrazione, ingresso, affiliazione e non ultimo collocazione e (forse) aureola? - naaaaa… cazzo ma se questo è il di là a che serve tutta ‘sta trafila? - serve per vagliare la tua posizione, tutti quanti anelano un posto tra i beati, in questa o quella schiera tra angeli e cherubini. - e allora gli arcangeli e le dominazioni? - questa è un’altra storia, per adesso sei qui vogliamo procedere? Non ho molto tempo da dedicarti, insomma LUCA, sono qui e lì e in ogni luogo ma tu figlio mio sei esasperante! - vabbè andiamo da Kubrick e poi The Professor e poi Burton e poi vediamo! Ma cazzo… - Linguaggio! - scusa DIO ma se, poniamo il caso, volessi, anelassi, desiderassi andare nell’altro posto invece? - e dove vorresti andare? - quell’altro posto… lo sai… Quello più caldo! Che devo fare? - Come non detto vaidovecazzotipare! PROSSIMOOOO! Anzi aspetta un attimo universo, un attimo o un’eternità perché io sono Dio e posso fare quello che voglio, fammi leggere il blog di questo ARM, vediamo che cazzo ha scritto!

INTERMISSION - Headlong fight - Cloackwork Angels Album by Rush

La incontrai per caso, avevo sette anni la prima volta che il mio sguardo incrociò il suo, non conoscevo il suo nome eppure dal primo momento che la vidi ebbi la netta convinzione che in qualche modo e in un modo o nell’altro Lei, sarebbe stata/rimasta/incrociata/incastrata nella mia esistenza. Da ragazzini si pensano un sacco di cose o non se ne pensano affatto, si pensano cose semplici e molto fantastiche ma anche profondamente fantastiche e anche cose tremendamente paurose (re)stando da soli per poi riderne in compagnia dopo. Eravamo compagni di banco senza che qualcuno ci avesse sistemato apposta, era solo capitato. L’anno scolastico volava a pensarci adesso e l’estate non era affatto un periodo semplice, lei spariva perché i genitori la mandavano in colonia e io me li immaginavo tutti questi frequentatori della colonia, tutti vestiti uguali, tutti con un cappellino arancio e non so perché li vedevo a giocare a sole mare e Mastermind, lo pensavo perché me lo avevano regalato ed era ed è un gioco fantastico e io ci giocavo ogni volta che fosse possibile. Prima che l’estate finisse ricevevo sempre una cartolina da lei, non scriveva molto di particolare, frasi stringate e dirette ma le cartoline erano davvero belle anche se non sembravano di una colonia perché erano sempre immagini di boschi o parchi o foreste che ne so, tanti alberi e tanto verde e anche i francobolli erano strani, non si capiva proprio dove potesse trovarsi questa benedetta colonia.

L'inganno onirico la disconobbe al primo accenno di crepitio nell'aria, guardò al buio di retine troppo acerbe, a strane venature porpora marcanti il quieto cielo della sera. Il respiro divenne erratico e flebile ma assorbiva comunque più ossigeno del normale, metabolizzando chimicamente in modo più efficiente. Ricettori impazziti schizzarono metabolici carichi di catecolamine mentre gli atri deformandosi ed ispessendosi, pompavano un flusso emottoico riccamente impazzito di prorompente gittata. Avvertì una pressione incredibile come se le proprie membra iniziassero a divellersi lungo vincoli fisiologicamente impossibili.

Organizzare cronologicamente ogni evento è arduo perché sono vecchio ormai, la mia memoria a volte fa cilecca, una cilecca dura e profonda e sufficiente a farmi annegare deliberatamente ogni senso razionale nel puro ultradistillato. Sì prima o poi perderò anche il fegato oltre alla ragione ma posso ancora scriverlo questo e, per questo motivo, cercherò di non perdere il filo. A dieci anni proprio dietro al scuola siglai con lei il mio secondo patto di sangue, niente di trascendentale ma a quel tempo dicevamo in silenzio di essere diventati fratelli di sangue. Sua madre, quel giorno arrivò e arrivò in anticipo, di solito percorrevamo un pezzo di strada assieme, cincischiando e ridendo perché dopo la scuola c’erano i compiti ma prima però si tornava a casa e a piedi e spesso con i migliori compagni di scuola. Erano davvero cose semplici e forse lo sono ancora eppure sembrano così distanti nel tempo da sembrare solo immagini sbiadite di un sogno intravisto solo a tratti e solo per caso. Quel giorno però sua madre venne a prenderla, si accorse che avessimo entrambi una mano sporca di sangue, non pensò affatto ad un incidente come probabilmente un altro genitore avrebbe fatto e ci mollò due sberle una per cranio e dopo averci ulteriormente redarguito a parole rimasi da solo a farmela a piedi sino a casa. Nessuno di noi pianse per la sberla, non era stata una sberla sberla, era più la vergogna e la sorpresa di averla ricevuta che il dolore vero e proprio tuttavia, io non piansi e lei nemmeno. Tipa tosta eh!

La testa iniziò a pulsare impedendole ogni più semplice e minima coordinazione, non riuscì ad alzarsi e nel goffo tentativo cadde in ginocchio sul pavimento mentre l'aria spessa e tagliente bruciava le sue vie impedendole quasi di respirare. Un tuono lontano propellette la tempesta e il nuovo ciclo lunare disconoscendo il silenzio, signore assoluto sino a quel momento, risvegliandole un dolore affilato come il terrore che gelosamente e gelidamente adesso prendeva arbitrariamente possesso di ogni particella del suo corpo. Una mano protesa a scudo ma verso il niente e l'altra affondata nei folti capelli impazziti e staticamente eccitati, costole aguzze derivarono longitudinalmente lungo i fianchi schiacciandole i polmoni. Le labbra adesso serrate con violenza spruzzavano creste vermiglio scuro tanto rapidamente da sembrare vaporizzate. I denti incastrati stridevano mancando inevitabilmente una naturale collocazione e schiocchi più intensi le scuotevano profondamente fasce muscolari ispessite e profondamente irrorate. Incapace di urlare emise un lento e disperato gemito dissonante. Occhi sbarrati adesso, ciechi, nel furoreggiare di nuovi equilibri impossibili la segregavano in un cupo angolo di follia e rivolta cellulare.

Terminate le elementari, le scuole medie ci separarono perché semplicemente le scelte dei nostri genitori furono diverse. Per un po' ci ritrovammo di nuovo assieme lungo un percorso comune da fare a piedi seppur in misura minore rispetto a prima, le conversazioni evolvevano in modo proporzionale alla nostra età. Due cose però restavano sempre uguali, quella strana connessione tra di noi e il fatto che ogni dannata estate c’era di mezzo sempre quella dannata colonia e io pensavo ma quante colonie potessero esistere e non c’era il telefono lì e allora, iniziai a scriverle lettere su lettere che avrebbe ricevuto e letto solo al suo ritorno ma nel frattempo le sue cartoline aumentarono di numero, durante una sola estate me ne spediva anche venti e anche il testo sul retro era cambiato, mi sembrava di sostenere una vera conversazione nonostante i tempi morti per le mie risposte pari ai tre mesi del periodo estivo. Probabilmente le nostre rispettive vite sarebbero proseguite indipendentemente dai nostri rispettivi desideri o idee. La distanza non è un problema? Beh, suggerisco di provarci a non farne un problema a dodici anni.

Avvertì la sorda lacerazione della maglia come fosse in fiamme, quindi del proprio apparato tegumentario distorto da protusioni tendinee non più legate tra loro e disseminate di vescicole midollari. Rimase immobile nel proprio tremore, arsa e riarsa da onde catalizzanti e modellatrici rivoltandosi disorientata, incapace di ritrovare la stessa finestra ormai aspersa violentemente, la piega sulla fronte divenne via via più profonda e grondante mentre spasmi striavano allungando frange del suo cingolato sviluppando una nuova spazialità sensoriale in nuce. Mano libera nell'aria a colpire il niente, mano tremante su vetro scoordinatamente erratica, mano ancora schiacciata e violenta per terra, colpo sordo su ogni piastrella ormai crepata senza alcuna percezione tattile. La tempesta lividamente eccitata procurava tormentandola risoluzioni elettriche e una bruma severa addensavasi profonda e inquieta oltre ogni istinto, ferale oltre ogni coltre venefica.

Quindici anni, scuole di mezzo passate da un pezzo, io ero sempre un anno in anticipo rispetto a lei solo per il semplice fatto che avessi iniziato la scuola a quattro anni e anche per il mio mese di nascita. Nonostante i nostri mondi apparentemente diversi, le nostre scuole diverse, i nostri interessi tremendamente diversi e anche i nostri caratteri diametralmente opposti, il dialogo e più in generale, le nostre conversazioni divennero parte della nostra rispettiva quotidianità, non andai mai a casa sua. Non so, la sberla di sua madre quel giorno lontano si faceva sentire ogni volta che anche solo accidentalmente ne incrociassi lo sguardo. Ma c’era modo di vedersi accidentalmente e per caso dopo i sacri compiti nel pomeriggio, la domenica magari una domenica tra tuoni e scrosci a profusione. Stavamo crescendo e cambiando, non so se in meglio ma il cambiamento quantunque difficile da capire attimo per attimo diviene evidente dopo un determinato lasso di tempo durante il quale non ci si può vedere e anche qui lo avrete certamente arguito ma probabilmente errato perché quell’estate (da quell’estate) non c’era più la colonia estiva per lei bensì un collegio. Lei spariva tre mesi all’anno e io a scervellarmi e pianificare un fantomatico incontro in piena foresta pluviale o dove mai questo collegio si trovasse, in Svizzera forse che ne so. I nostri scambi epistolari divennero continui e non solo limitati al periodo estivo. Quando l’universo poneva un ostacolo tra noi una lettera era un buon modo per aggirarlo e devo confessarlo, entrambi abbiamo consumato chilometri di carta e litri di colla per i francobolli.

Un lampo brillò intensamente di luna malata, serie eccitate in sublimazioni seleniche risvegliarono commissure escrescenti, mutando ulteriormente, risposero a penetranti e grandi livide iridi inversamente luride e accese. Velli migranti, spessi, umidi e lascivi invasero crepitanti distruggendo strati sottili pesantemente innervati disseminanti ghiandole suppuranti. Subitaneamente un boato polverizzò ogni cristallo scarlatto, la vecchia coscienza ormai in frantumi soccombeva liberandone una nuova e affrancandola dolorosamente ma inevitabilmente verso l'ignoto di ogni tenebra squarciata.

A ventanni notai avesse un gran bel tatuaggio, lo si poteva intravedere appena su parte del collo, il tatuaggio si sviluppava lungo quasi tutta la schiena, erano dei mandala intrecciati, distinsi alcuni simboli ma non riuscii a mettere ben a fuoco il resto. Era incredibilmente vitale e indiscutibilmente estroversa. Quella sera finimmo in un bar e ricordando i vecchi tempi completammo giri su giri una maratona iperalcolica davvero indecente. Resse fino alla fine, questa è roba da professionisti.

Nell’ultima chiamata mi vietava tassativamente di andarla a trovare, qualcosa del tono e della voce non mi aveva comunque convinto, pensai che muovendomi per tempo mi sarei potuto trovare lì per caso, per caso avrei incrociato la sua strada e sempre per caso se avesse voluto, avrebbe potuto spiegarmi ogni cosa davanti un caffè. Trentanni non si possono rimuovere con un colpo di spugna. Presi il coraggio a due mani e decisi di farle visita mentre all’orizzonte intravedevo bagliori di una tempesta prossima e imminente.
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- Allora, qui al mio cospetto finalmente, vieni avanti e parla! Orsù! - chi sei? - io sono DIO! - quindi io sono morto? - sì, infine sei trapassato… - ma io non mi ricordo niente! - non si parla in termini di memoria o di spazio qui, non puoi farvi affidamento ormai. - ma come è possibile? Fammi...
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The Talk, the Act, the Play I

08 giugno 2024 ore 23:16 segnala
Oh insomma santa puffezza, questa storia della lineapuffa è una puffardagine, fammi puffare o puffami per capire... se attraverso da questa puffa mi ritrovo a puffarmi le mani e se invece puffo da quest’altra mi ripuffo a lavarmi le puffe? Vogliamo puffarla una volta per tutte? Non siamo mica puffi puffanti puffe cose. Mi sono già puffato! Ma il partito puffo che fa? È una puffa da pelare no cioè una gatta da puffare perché adesso non ricordo da quale puffa mi trovassi quanto ho puffato la frase e se anche avessi puffato? Puffati tu! E poi di me pufferai o forse potrai puffare ma in tutta puffa, credo che tu non te la stia puffando al meglio, la vogliamo puffare o no con la puffarda? Pufferai, oh se lo/la pufferai ma intanto, avendo puffe da puffare, ben altre da puffare non posso mica impuffarmi in codeste puffagini. Puffami anche tu, potrai puffarmi ma ti avverto, puffandomi vi pufferò tutti dal nord puffando il sud e, probabilmente, ripuffandomi mi pufferò e così poi che cosa pufferai? Ma ricorda… se ti puffo allora sarai puffato!

Ma che cazzo Ginger! La devi piantare di invitarmi a cena… non sai cucinare, io mangio per non sembrare scortese e poi quando dormo sogno in puffese! Da oggi tu e la cucina non avrete contatto alcuno, da oggi nessuna eccezione e nessun cioccolatino, da oggi tu e la cucina sarete divisi da un muro come a Berlino (e una!).

Giornata campale, Il livello delle precipitazioni ha compensato in poche ore l’intera carenza di pioggia dell’anno in corso. È una bella città se non fosse per l’estate, è una bella città se non fosse per l’inverno, è una bella città se non fosse per chi ci vive, diamine, è una gran bella città se non fosse per le vie di comunicazione ma questa è una città strana... una conca umida non importa se estate o inverno, non importa. Prima o poi lo si avverte, prima o poi ci se ne vuole andare e prima o poi qui si arriva. Giornata normale, giornata agonizzante, il livello di imbecillàggine e di idiozia in molti altri e nelle derivanti estensioni ha raggiunto picchi da fusione da nocciolo radioattivo ma anche qui… nulla di nuovo all’orizzonte a stento comprendo me stesso sarebbe oltremodo inutile tentare di capire gli altri, non ne ho bisogno, il mio tempo è limitato e tutto questo non mi riguarda. In questa città mio malgrado scrivo del mio essere…

Sua madre, donna molto alta e molto ma molto seria ma (in fondo) poco pratica, decise che al compimento del settimo anno l’avrebbe mandata a studiare dalle suore. No, non era religiosa, probabilmente non aveva né riponeva alcuna fede in DIO e non le importava e non era necessario che ogni suora venisse a conoscenza di questa ineluttabile sua verità. Il convento in questione, non lo si poteva considerare un collegio ma era un bel convento, storico, universalmente riconosciuto. Alle suore non mancava severità o pazienza o certo fermezza e profonda fede. Sua madre credeva che questo percorso le sarebbe servito, avrebbe ricevuto una discreta formazione, in principio pensava ad un paio di anni ma le percezioni si evolvono e così, vi trascorse dieci anni e qualche mese infine. Sua madre e solo sua madre andava a trovarla, le suore erano severe anche sui contatti possibili con il mondo esterno. La visita era prevista ogni primo del mese, aveva una durata variabile ma comunque non superiore alle due ore. La madre aveva comunque bisogno di vedere la figlia, sincerarsi di lei, della sua crescita e probabilmente anche della sua anima e della sua rabbia. Sì rabbia perché sua figlia eccelleva in molte cose e la rabbia non era esclusa.

- So che non vi aspettaste di vedere proprio me in piedi davanti a voi, in quest’aula, l’alula detta consolidata, l’aula sospesa tra cielo e terra che ovvietà, l’aula che sembra sempre quella più bella (tra cielo e terra), questa è una strana situazione probabilmente, io per primo non vorrei trovarmi in questa posizione, non l’ho chiesto anzi starei volentieri seduto tra voi ma… e un “ma” primo o poi arriva e questo “ma” può avere effetti diversi. Come saprete già tutti, o per lo meno, mi auguro lo sappiate, il nostro professore delegato a questa attività non sarà disponibile per l’intero trimestre. Mi è stato chiesto, no, in realtà questo era l’unico modo di proseguire con questa cosa, di sopperire a questa mancanza perché davanti a voi, sì tutti voi è il colpevole di questa situazione a parlarvi. Son stato io a suggerire un’attività di questo tipo pur non avendo meriti particolari. Scrissi alla segreteria la mia idea di sfruttare questi crediti con qualcosa alla quale tutti potessero partecipare. Non è un corso ma solo un’attività, non riceverete un premio ma avrete questi crediti partecipandovi e partecipando ad almeno l’ottantapercento delle ore disponibili per questo, dovete solo apporre la vostra firma alla fine prima di uscire, nulla di davvero complicato.

La chiamata non si fece attendere, aveva un presentimento, aveva un tarlo famelico invece di un chiodo e comunque anche fosse (così) stato… sotto ogni chiodo covava una riserva inesauribile di buon senso da mandare al macero. La chiamata quindi non avrebbe tardato. Sarebbe stata dura afferrare la cornetta, terribile attendere ogni indicazione, sopportare la voce dall’altro lato, sarebbe stato ancor più pesante e doloroso la porta, sarebbe stata ancora più dura poterla anche solo guardarla direttamente negli occhi. Non poteva evitare di pensare a Lei e allo stesso tempo ripeteva mentalmente compulsivamente incessantemente stralci della loro ultima conversazione, ultima in ordine di tempo e non ultima in quanto definitiva. Dannata!

Ritrovandosi in quell’ambiente non tutto le apparve chiaro da principio. A sette anni si può avere una determinata concezione del mondo con abbondanti e generose porzioni di fantasia. È pur vero che le bastò un anno ulteriore per rendersene conto, per rinunciare drasticamente alla fantasia e iniziare a condividere la linea molto poco flessibile grazia/peccato. Non è mai facile la strada che si tende a percorrere pur potendo scegliere per tempo, perché in fondo credo che se la medesima strada o cammino o via o comecazzolavuoichiamare sia solo quella che apparentemente (ci, ti, vi, mi) sembri più facile ma che di fatto, puoi scommetterci la pelliccia e tutte le pecorelle, non lo sarà affatto.

A dieci anni dimostrava una maturità molto superiore per la sua età. Durante una delle visite pregò (supplicò) la madre di farla (supplicò) ritornare a casa ma una madre, in quanto tale, deve sostenere le proprie scelte, siano queste da potersi considerare rigide o assolutamente inflessibili e non importa affatto comprenderne le motivazioni. Inutile a dirsi quel rifiuto contribuì a far germogliare in lei tutta una serie di sementi e certo v’era sempre il vincolo peccato/grazia da osservare e temere e certo, v’era sempre una prigione senza che questa però potesse definirsi davvero tale. Aveva iniziato col tempo a riconoscere ogni suora del convento, c’era quella con cui si poteva persino accennare ad una conversazione più leggera ma c’era anche quella con la quale fosse impossibile anche solo respirare normalmente. A dieci anni iniziava a chiedersi quanto tempo sua madre avesse intenzione di tenerla lì, confinata in quel convento. Ogni visita comunque rappresentava (supplicò) un punto di possibile dialogo esplicatore, non una via di fuga perché aveva iniziato a vedere la propria madre come la suora più severa senza per questo essere e/o assomigliare ad una suora.

Molti si alzarono, ma eravamo rimasti in quaranta, una facoltà di ingegneria è una facoltà specifica, questa attività molto extra è stata una sorpresa e in effetti parteciparvi non è stata la peggiore delle idee avute, ciò non toglie che avrei abbandonato in un paio di mesi l’intera facoltà ed il Corso di Studi ma questa è un’altra storia. L’idea me l’aveva data un amico che frequentava il DAMS, lui si considerava molto alternativo, io lo chiamavo invece fricchettone perché quello era. Insomma sono tollerante e chiunque può far quello che vuole purché non mi rompa i coglioni, vuoi manifestare? Fallo! Vuoi digiunare? Fallo! Vuoi fumarti tutta l’erba e anche quella medica intrisa di bava di limacce? Fa’ pure! Sei solo (a) casa e chiesa? Perfetto! Ami la vita e ti (fai) dai consumandoti in Lei? Fantasmagorico! Sei di destra? Bene! Sei di sinistra? Bene! Non sei/sai un cazzo? Bene uguale purché non mi rompiicoglioni. Per lo stesso motivo non amo le discussioni, in fondo io resto della mia idea, non mi muovo, sono elastico sulle mie posizioni come il marmo. Non faccio la morale a nessuno e non credo nemmeno in chi abbia o voglia avere questa propensione quindi fa’ tutto quello che vuoi ma non, ripeto NON mi devi rompereicoglioni.

Ora, davanti quella piccola folla cercai di essere molto naturale, non era il caso di puntualizzare le mie idee perché lì non avevano alcuna importanza. Mi interessava il loro modo di esprimersi, di parlare, di provare a creare un dialogo improvvisato, mostrare emozioni e reazioni. E questo mi piaceva moltissimo. Era un’occasione di unire l’utile al dilettevole, facevo qualcosa che mi piaceva e sarebbe potuta piacere anche agli altri, non avevo né pretese né aspettative, ho scoperto questa cosa per la prima volta in quel periodo. Normalmente da/in ogni cosa e da/in chiunque io non cerco nulla e non mi aspetto ugualmente nulla. Sembra uno degli incipit del mio libro dei perdenti, ebbene lo è ma questa, anche questa è un’altra storia.

Calò un silenzio spettrale, spensi le luci e lasciai solo un faro centrale ad illuminare l’area antistante il leggio, mi sistemai proprio al centro e li fissai a lungo senza dire nulla, continuai a fissarli tutti, raccolti nelle prime tre file, qualcuno distolse lo sguardo e io imperterrito continuai a fissarli... poi presi un bel respiro ed iniziai la mia parte.

- Io sono Allegro, io sono Morto, è una dicotomia, è una forma ossimorica, sono un ragazzo come voi. Io sono Allegro Ragazzo Morto e questo è quanto. È sempre stata opinione di molti che questa conti soprattutto se espressa nei confronti degli altri ebbene, la vostra opinione, come la mia, il vostro giudizio, come il mio, la vostra presunzione, come la mia, qui, per tutto il tempo che serve non conta. Io mi rivolgo a voi, potrei trovarmi su di un palco, in una piazza, davanti lo specchio dopo essermi fatto la barba, al timone della mia barca e voi, voi potreste essere innumerevoli sconosciuti, una scolaresca che ha fatto Sicilia, un gruppo di suore in gita, un manipolo di guerrieri che lotta per la libertà, gente comune che si trova semplicemente ad incrociarmi, questo o quello non conta. Non importa cosa voi vogliate dire, un dialogo per essere interessante non deve esprimere necessariamente concetti profondi, è il tono, la mimica, il linguaggio del corpo ad essere pervasivi agli occhi di chi dovrebbe ascoltare ed invece osserva.

L’aria come la speranza perdeva costantemente di interesse vitale, questo accade quando le aspettative sono in qualche modo estremamente superiori per una strana indole di positività, a volte tutto questo porta a scontrarsi con muri davvero alti e tosti anche se non è detto che i suddetti muri arrestino alcunché. La testardaggine va bene se in misura complementare alla situazione richiesta. Qualunque eccesso fa male ma non ricordatemelo quando mi relego a bere il mio ultradistillato clandestinamente distillato preferito.

- Cosa ti servo bellezza? - Ice Blueberry… - vuoi farmi andare fallito? Chi lo ordina più? In che anno vivi? - cosa (mi) consigli allora… - un Coldblood e sambuca. - va bene! - ti servo qui al banco o ti accomodi? - qui al banco, aspetto qualcuno. - agli ordini, in arrivo per lei coldblood old fashion e un’anima di sambuca! - ecco, tieni pure il resto! - non serve, è offerto! - e da chi? - beh, non so chi tu sia, è la prima volta che vedo la tua faccia qui ma voltati, vedi la tipa con i capelli azzurri, aria da punk, in piedi vicino l’orso impagliato? Ha offerto lei… - va bene, se il tuo coldblood non è buono almeno avrò diritto a qualcosa di meglio… - lo devi bere d’un fiato e sbatti il bicchiere, qui si usa così! - cazzo se è forte! Che ci metti dentro antigelo? - sacra mistura, sono contento che ti sia piaciuto, un altro? - aspetto qualcuno, continua a portare fino a quando non ti dico basta.

Era una scelta improcrastinabile (Lei affermò), bere sino a che ogni bicchiere restasse vuoto o chiunque altro fosse/finisse al tappeto. Il suo sorriso era puro veleno, non per questo un bacio sarebbe stato una estrema ratio. Erano successioni binarie di dialoghi obliqui e affondi mirati, sopportai fino a perdere il fegato comunque già falcidiato, la milza si dichiarò come la Svizzera con Berlino neutrale e scelse l'esilio... Neanche il mio angelo custode pote' sopportarmi, adesso di tanto in tanto vado a fargli visita in clinica per farmi perdonare. E Lei... Lei la sola anima perversamente loquace, incapace di tacere, affila la lingua pronta a farmi costantemente del male, pronta sempiternamente a farmi spostare senza il minimo senso del pudore nonostante il mio grasso sudore, nonostante i buoni intenti e i consigli del buon dottore medico colletto alto ciambellano della corte e del marchesato. Lei che tramuta ogni algido presupposto rovente in un glaciale ed eterno inverno. Lei che tiene sempre ben alto il gelido fuoco dell'Averno.
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Oh insomma santa puffezza, questa storia della lineapuffa è una puffardagine, fammi puffare o puffami per capire... se attraverso da questa puffa mi ritrovo a puffarmi le mani e se invece puffo da quest’altra mi ripuffo a lavarmi le puffe? Vogliamo puffarla una volta per tutte? Non siamo mica puffi...
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08/06/2024 23:16:48
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Al figlio che non ho mai avuto VII

04 giugno 2024 ore 04:25 segnala
Non chiedermi quanto tempo abbia atteso prima di scriverti ancora, non sarebbe giusto, il fatto di poterlo fare adesso non implica che non avessi voluto farlo innumerevoli altre volte e forse, anzi sicuramente, un pensiero prima che il mondo mi abbagli nuovamente ogni nuovo giorno resta tutto per te e in quel pensiero c’è una vita intera. Capisco che (ti) possa sembrare difficile crederlo ma non siamo solo dettati da una marcia inarrestabile, certo vado avanti perché è l’unica cosa che posso certamente comprendere di fare anche se la mia lungimiranza è quasi inesistente adesso. Essa, seppur scarna, mi sostenta quel tanto per poter arrivare e vedere un altro piccolo candido squarcio, un’altra esperienza perduta, una dimensione onirica bastante che possa in qualche modo impedire che mi disperda e che perda allo stesso modo cognizione di te, soprattutto di te.

Sembrava esserci tutto il tempo del mondo, lo sai, la prima volta che la vidi pensai dovesse essere davvero interessante poterla conoscere. Perché… perché alcune cose non puoi assolutamente controllarle né è possibile prevederle e sai, ho imparato che ogni cosa vada come debba andare, va come deve andare, le mie scelte, le sue e anche le tue e quelle di tutti gli altri, ogni singola scelta contribuisce alla costruzione del nostro tessuto quotidiano, bello o brutto questo è accidentale, siamo tutti accidentalmente posti su strade che possono intrecciarsi, rincorrersi, dividersi, interrompersi ed ogni cambiamento può essere allo stesso modo repentino o diluito nelle sensazioni o persino annegante nella percezione.

Mi ricordo il primo giorno, dall’aeroporto ci volle quasi un’ora per arrivare al mio albergo sul mare, poco distante da dove stesse, un paio di minuti per farmi capire all’accettazione, confermare la mia stanza, portarmi i bagagli e cambiarmi in camera, faceva un caldo bestiale, ero sudato prima e anche dopo una doccia e un nuovo cambio, non era importante però e uscii percorrendo la spiaggia secondo le sue indicazioni ricevute. Dopo un po', mi sentii chiamare, mi voltai, era lì ad aspettarmi sotto casa sua che era a ridosso della strada parallela alla spiaggia. Mi corse incontro e non parlammo perché continuammo a camminare come chi si conosce da un pezzo e tutte quelle sensazioni ricevute o trasmesse divengono del tutto familiari, non ci si stupisce ma anzi ogni cosa si consolida in modo esponenziale. Iniziai a dirle del viaggio e mi chiese se avessi fame. Cavolo sì che avessi fame, ma era tardi tardissimo, restava un chiosco sulla spiaggia dove potevi prendere qualunque tipo di bevanda ma nulla da mettere sotto i denti. Seduti ad un piccolo tavolino, su degli sgabelli bevvi tre birre d’un fiato, lei mi osservava e dopo aver insistito prese una birra anche lei. Siamo rimasti seduti lì sino a quando abbiamo visto alcuni pescherecci rientrare, dopo un po', erano già le cinque del mattino iniziava a radunarsi una discreta folla alquanto rumorosa accorsa per acquistare il pesce appena pescato.

Finimmo l’ultima birra in due, le dissi che avremmo potuto prendere un po' di pesce per l’indomani così detto e così fatto la riaccompagnai a casa con il pesce e a malincuore mi incamminai vero l’albergo quando il sole iniziava ormai a farsi vedere e l’odore di salsedine diveniva via via più intenso. Salii in camera e mi sdraiai e mi chiamò per sapere se fossi arrivato o se avessi ritrovato l’albergo. Mi misi a ridere ma ero dannatamente stanco e dopo averla rassicurata mi persi in mille sogni repentini.

Non esiste però un modo di quantificare questo susseguirsi di eventi, il nostro punto di vista è limitato al presente, con maggiore esperienza possiamo acquisirne uno può ampio ma ciò implica il tessuto in gran parte rilevante nel passato perché il presente è sempre l’attimo, un continuo attimo che dura il necessario tra passato e futuro. Non puoi immaginare dove la strada potrebbe condurti indipendentemente dal fatto che tu sia deciso o indeciso perché allo stesso modo la tua strada può affiancarsi ad un’altra, può improvvisamente virare e modificare orizzonte percepito e ogni successione di eventi conseguente. Non ho mai creduto di poter pilotare né eventualmente di essere un bravo pilota, non ho mai pensato potesse accadermi. Ma se vuoi posso risponderti che l’insieme degli eventi a venire, qualunque esso sia, non manca certo di cinismo o di ironia, certo, tutto ciò è solo basato sulla nostra soglia percettiva, il nostro passo liminale, la nostra capacità di vedere oltre una promessa, oltre una possibilità, oltre l’orizzonte degli eventi a venire. Non è possibile organizzarsi in questo caso ma puoi solo pensare al meglio e tentare di farlo e il resto, tutto il resto è ciò che è e sarà o ciò che non sarà. Non è concesso un forse, perché il forse dura anch’esso un istante ed è già, prima che possa accorgertene, ciò che è o che non è.

Quando il tempo mi soffoca, quando le manovre evasive perdono influenza ed importanza, quando il dolore bussa ancora persistentemente alla mia parte di vuoto che una volta accoglieva, ospitandola, un’anima seppur profondamente imperfetta, quando le ultime speranze di riporre un ulteriore velo obliterante su ogni residuo briciolo di persistenza si nullificano prepotentemente, quando sento ogni convenzione di normalità sprofondare e il piano di campagna non è più sufficiente a contrastare la forza di attrazione verso il cuore incandescente dell’averno, quando la mia concentrazione divelle ogni residua barriera contro ogni intenzione, quando resto a fissare lo stesso punto indifferente al resto fuori e quando le ferite si moltiplicano rendendomi a volte davvero impossibile trattenere una smorfia di insofferenza… ti chiamo.

Il tempo passa, ci segna, ci annota, a volte ci perde, a volte ci ritrova ma il tempo che tutto regge e governa non è in fondo il tempo al quale noi vogliamo dare importanza, quello che conta, quello che davvero abbia una certa valenza rispetto al resto, il resto a volte così apparentemente banale ed uniforme ma sempre frutto di una scelta. Potrai dirmi “ma Luca tu a volte non hai deciso”, beh, anche non decidere resta una scelta forse la meno ovvia ma ciò non di meno resta una scelta come tutte le altre e l’insieme delle stesse porta il tempo a qualificarsi, a caratterizzarsi e non in generale. Nascono aspetti che solo chi vi è arrivato può affermare di concepire anche se non del tutto comprendere. Questo diviene ciò che puoi e devi infine considerare come il tessuto, la vita che ti ritrovi a vivere nel bene e nel male.

A volte il senso di perdita è così profondo da sentirsene soffocati, è come precipitare costantemente perdendo ogni colore, ogni appiglio, ogni residua cognizione fisiologicamente probante e la cosa peggiore non è trovarcisi ma non volerne più uscire. Sono quei periodi nei quali perdo me stesso, perdo la mia bussola, quando tutto va giù e tutto va su e non puoi pensare di abituartici, non dovresti ma a lungo andare questa sregolatezza paradossalmente regola allo stesso modo. Non sono qui a scriverti e volermi giustificare, credimi ho smesso anche solo di pensare di poterlo fare, scelte anche qui, le mie, le sue… e nonostante questa consapevolezza mi ritrovo a parlarti nei momenti più inattesi, nei periodi più disparati, durante azioni del tutto normali e in quell’attimo tutto svanisce e ritorno alla semplice concettualità del fatto in essere. Le scelte allora, quelle sì, queste sì, sono irrazionali perché non è possibile fare in modo che l’entropia decresca, non è possibile ricompattare le maglie del tempo che hanno già e sono già filamenti preponderanti in altre trame consolidate, posso solo prendere atto del fatto di non poterlo fare e il solo fatto di esserne consapevole (mi) fa disperare.

Frammenti di conchiglie rosa, conchiglie che lei conservava, dopo l’ennesima giornata burrascosa la risacca lasciava un fondo consistente di alghe sulla battigia. Quella mattina lei uscì a camminare lungo la spiaggia, la sentii uscire ma non le dissi nulla, la osservavo controluce, raggi troppo deboli ancora ma precursori di una ennesima giornata bollente irrompevano dalla finestra, potevo chiudere gli occhi ma invece poco dopo mi alzai e barcollando ancora un po' assonnato uscii fuori appoggiandomi ad una uno degli alberi poco fuori il porticato, la vedevo ancora sulla spiaggia muoversi chinandosi a volte raccogliendo qualcosa. Erano conchiglie rosa. Dopo un po' rientrò e mi mostrò ciò che avesse raccolto, le ripose in una piccola scatola e disse qualcosa che però non capii perfettamente, avevamo tanti problemi e a volte anche la lingua poteva esserlo, il più delle volte non lo era come in quel momento, ma ciò che non riuscivo a capire non era qualcosa di figurativo, era puramente letterale. Non ricordo dove ci portò quel giorno ma posso dirti che quel giorno arrivammo a tarda notte ed ad un tratto mi fece notare che non avessimo avuto alcuno scontro verbale ed io ricordo di averle risposto perché non potesse essere a quel modo anche l’indomani.

Lo sai, a parte quel giorno non ne ricordo un altro senza una burrasca tra noi, burrasca o fortunale o forse anche un breve accenno di cielo grigio, forse era congeniale ad entrambi non saprei, forse era il nostro modo di arrivare a capo dei nostri rispettivi malesseri. Era dolce quando volesse esserlo ed era anche dannatamente testarda ed orgogliosa allo stesso tempo ma non era questo il pomo della discordia a volerne trovare uno, credo che fossimo nostro malgrado incapaci di limare i nostri lati più acuminati, le nostre sensazioni e le nostre lingue, ci si può ferire e molto semplicemente usando delle banalissime parole. Io e lei eravamo molto bravi nel farlo. E c‘era stata sempre almeno una piccola guerra, certo, guerra ma anche pace dopo ma poi ancora una guerra e poi ancora una pace dopo. Lei poteva ribattere all’infinito ed io per natura tendo a lasciare andare e forse questo poteva essere da lei percepito come una forma latente di disinteresse ma avevamo fortunatamente anche modo di spiegare. Questo poteva essere paradossalmente un motivo di lungimiranza o di stoicità per entrambi ma quel giorno, a notte fonda, ridevamo di gusto un po' sbronzi, bevendo birre su birre sulla spiaggia e fu allora che mi mostrò questo bracciale che aveva ricavato dalle conchiglie che aveva raccolto.

Potevo farla ridere indefinitamente a volte, provando a parlarle nella sua lingua, scuoteva la testa e iniziava a ridere perché ero senza speranza mentre lei, al contrario, riusciva a farsi capire usando la mia, certo qualche accento era sbagliato ma il senso era tutto lì. Io le dicevo che fosse inutile che io tentassi ancora di imparare, poteva sopperire alle mie carenze con la sua abilità filologica. A volte penso che se avessimo avuto solo un po' più di tempo… lo sai, non credo che il senno di poi sia una saggia posizione dalla quale cimentarsi con il lancio del se e del ma, quello che è accaduto perché così è andata, spiace e me, spiace a lei, spiace a entrambi ma anche qui, analizzare tutto questo non porterebbe a nulla di meglio.

E le barriere, le nostre barriere, fortificazioni, remoti bastioni, fuochi di lucciole o chimere, le nostre invalicabili determinazioni, volontà ossute, composti eterogenei, elementi distanti e incompatibili ma fieri, noi fottute barriere, allenate, isolate ed unite fra ponti fragili all’apparenza gremiti di ogni buona intenzione, ricchi d’intenti, forti e fragili come non mai ma sempre noi, io e lei, barriere tra barriere inutili a volte ed altre così dannatamente persistenti. C’è solo un modo ed è andare avanti, mantenendo ciò che mi assale, si cambia ma a volte per qualcuno o qualcosa cambiare è impossibile, nel profondo il peso di ogni peccato ci ancora lontano, alla fonda dove ogni cambiamento resta effimero ed inconcepibile.

Ma ricordarmi di lei è soffrire ma ricordare lei è pensare (anche) a te e posso parlarti nel solo modo di cui abbia cognizione, nel solo modo che avrei sempre potuto usare rispettando ogni canone sempre e mai, al di là di ogni mia debolezza e rimpianto, oltre ogni mia residua qualità ormai perduta. Se non fosse un mondo dannatamente (im)perfetto ed io allo stesso tempo, non avrei mai potuto sperare di farlo e invece ancora una volta, per ogni volta, non posso fare altro che accompagnarti per tutto il tempo che ti serve, il tempo di un sogno, breve quanto un’intensissima emozione, lieve quanto l’origine di ogni felicità di ognuno di noi in ognuno di noi, effimero quanto le certezze al cospetto di qualcosa di incommensurabilmente grandioso e per quello che vale, per tutto il tempo... ti abbraccio Giulio, piccolo mio.
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Non chiedermi quanto tempo abbia atteso prima di scriverti ancora, non sarebbe giusto, il fatto di poterlo fare adesso non implica che non avessi voluto farlo innumerevoli altre volte e forse, anzi sicuramente, un pensiero prima che il mondo mi abbagli nuovamente ogni nuovo giorno resta tutto per t...
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04/06/2024 04:25:15
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Sperma(tozoi) e Cervello II - Dolore e dannazione… Amore

23 maggio 2024 ore 00:09 segnala


Come? Come... come? Se è solo per rispondere ad una delle tue domande allora eccoci qui, ecco come… In una delle tante conversazioni avute agli albori dell’era telematica con il grande (il GRANDE) Peter Vincent, un amico che non sento da molti lustri ormai, ci ritrovammo a pensare di scrivere una storia a quattro mani, certamente avevamo molte idee e fu lui a suggerire uno dei temi del canovaccio. La sua visione era accattivante, avevamo già proposto brevi racconti di fantascienza per una fanzine on-line, discreto successo di pubblico, tenere on-line una fanzine su una BBS non era difficile in più non era stata ancora implementata la tariffa urbana a tempo per cui era un continuo stare on-line senza badare molto ai giorni infiniti di connessione. Ma è stato una vita fa, chissà che fai Peter Vincent adesso, che tu abbia continuato a scrivere ed io me lo auguro amico mio, me lo auguro. Già, non lo sento più perché le strade che si percorrono prima o poi si dividono senza che accada qualcosa, andiamo comunque ma allontanandoci come con te, dormi tu sul divano, io non ho problemi a stare sul pavimento, non è certo la prima e non sarà l’ultima volta che mi capiterà, non devi stare a preoccuparti di come ogrenmen lazim o cerchi di recuperare un paio di ore di incubo profondo.

- e dimmelo ancora… - bugun plaja gittik! - che cazzo di lingua! - ogrenmen lazim! - sì prima o poi anche tu dovrai farlo! - sismansin! - ma quanto sei spiritosa! - really, we may use this but you know talking native it’s all a different matter! - you are fool Luca! - certocomecazzzotipare, l’idiota sono io!

Stai dormendo sul divano, il vecchio bisunto marrone-porpora, sei arrivata e non hai detto una parola, hai lasciato tutto in giro e ti sei sdraiata lì in silenzio. Mi sono accorto che fossi tu perché hai un profumo inconfondibile, forse lo immagino soltanto ma so che c’è e infatti tu sei qui. Abbiamo avuto sin troppe discussioni per oggi, siamo forse in muta ostinazione, acerba indifferenza o forse ci prepariamo ad una nuova illusione e che ne so, siamo mutangoli come a volte ci piace essere, ci piace fare, siamo specchi blindati, fragili ma aguzzi negli affondi, intellegibili e feroci. Siamo/stiamo a dividere spazio, aria, sudore e pensiero e anche altro, non dico che sia un fardello da ignorare ma non ho voglia di svegliarti e allora lascio le mie cose e mi siedo sul tappeto, spalle contro quel cazzo di divano, non ho voglia nemmeno di guardarti perché ti avverto come un’onda irradiante, un mandala catalizzante dei miei vizi e delle mie speranze, una donna a volte una ragazza a volte una donna che pur sapendo ciò che vuole fa di tutto per strapparmi un pezzo di fegato e se non basta anche il cuore.

Quando? Ah, se è solo una questione di trovare un momento non posso aiutarti, infinite possibili alternative allo stesso momento, fai cadere una goccia e lascia che scorra dopo l’impatto, riprova, non seguirà mai lo stesso percorso. Ogni cosa muta, proviamo a sintonizzare uno spettro benevolo ma la verità sa essere affilata e crudele, la miopia esistenziale resta una catena di cartone ma non ci se ne accorge e ci si scontra in una continua ricerca e prevalsa. Ho giocato tante volte alla guerra ma questa, questa è una mattanza e non guadagni punti solo perché l’ultimo affondo è il tuo o solo perché sfrutti la mia pazienza e l’incostanza.

Ti ho trascinata con tutto il tappeto, perché a volte dimostri quattro anni e non ventiquattro e fai i dispetti e gli sberleffi, sono troppo (vecchio) accomodante per queste cose ma riconosco il tuo intento, riconosco anche il livore, non ho mai la certezza che una giornata trascorra allo stesso modo della precedente perché hai sempre pronta un’azione diversiva, vuoi essere spiazzante e mi sta bene ma io lo so e tu lo sai, non puoi dividere e conquistare la terra che già di appartiene, non puoi erigere barriere se usi il dialogo e non l’affannosa inconcludente ricerca di/per/su chissà quali fantomatiche chimere. Siamo legati sin troppo dolorosamente siamo mandanti e vipere esperte, vuoi fare a gara per vedere chi tra noi più resiste, quando perdo il fiato e tu pensi quello che mi dici, quando ti chiamo per nome, quando leggo nei/dai tuoi occhi e mi aggrappo per mantenermi, per risponderti, assolverti, inginocchiarmi, quando decidi che su questa stessa barca più di tanto non si possa più andare/stare/fare. Quel dannato tappeto di mucca ti piace da matti, oggi non sarebbe politicamente corretto acquistarne uno (echissenefotte) ma era già qui e tanto vale.

Vorrei poterti dire che dopo duesetteventicinque anni qualcosa sia cambiato, vorrei poterti dire che non provi più rabbia e che finalmente abbia ritrovato un qualsivoglia equilibrio e che il dolore non sia più un marcatore necessario e profondo della mia esistenza. Vorrei mostrarti la mia pelle pulita e priva di nuove cicatrici, poter sostenere il tuo sguardo ammettendo di esserne uscito… di esservi riuscito ma la verità è sempre nuda, non puoi allargarla a tuo piacere, non puoi moltiplicarla, non puoi ignorarla, la verità dilaga e inonda, quod veritas, la verità ci strazia.

Quando? Lasciatomi di zavorra mezza stazza alle spalle iniziai persino a correre e mi costa comunque anche adesso, molta volontà, farlo perché in fondo non me ne frega niente, ricomincerò prima o poi ma non è importante. Il difetto intrinseco e innato infatti, limita le mie buone intenzioni. Sono facile preda del vizio, posso contare su me stesso per quello che valga. A volte è sufficiente ad attraversare la tempesta ed altre è proprio ciò che mi serve per tornarci. Vuoi giudicare, ne hai facoltà, vuoi urlare, accomodati, il mio cuore sordo o ciò che ne rimane annega nottetempo, la mia capacità di ragionamento è molto fluida come il mio sangue. Basta una breccia e scappa via precipitevolissimevolmente. Guai a prendere un'aspirina legandosi all'idea di uno strappo longitudinale. Sei arcana o vegana ma per questo aspetto non ti concepisco ma tu puoi fare tutto quello che vuoi e però anche io... Vedi?

Esprimermi è semplice, ho un buon lessico ma cattivi maestri. Scrivere è facile, molto facile, ricordi, ascolti, osservo, un canovaccio nasce in fretta, scrivere è facile. Ho sempre una cattiva gestione della posologia dei piani intermedi, questo mi distrugge un po' alla volta. Esserti amico è dannatamente difficile, parlarti fottutamente complicato, scriverti quasi impossibile. Azzeri la mia capacità di relazionare e relazionarmi, uccidi la mia distanza prossimale con la speranza, la mia posologia è infetta e tu ne sei l'origine e la fine. Il dolore, come la tua presenza, è un altro piccolo candido squarcio, un punto focale ustionante, io e te... Lontano e vicino per caso trattiamo, intrecciamo, distruggimi con garbo perché così avrò tempo di non disperare e di rimpiangere ogni mia parte ormai persa o perdutamente compromessa.

Dopo essere salita sullo spiovente dal terrazzo vicino bussò alla mia finestra, io stavo inabile sul pavimento, computer acceso sfrigolante, stato confusionale, txxxi evidenti faccia da idiota.

- e svegliati mammola! - ecco ecco entra! - ma che cos'è questa puzza! C'hai un gatto morto qui dentro? Da quanto non esci da questa stanza? Ma che hai fatto? - non importa ma che ora è? - checcazzo Luca sei collegato da 3 giorni! il tuo telefono è occupato, a mensa non c'eri, fuori non c'eri, hai perso la lezione di fondamenti e grazie a te l'ho persa anche io è lunedì! Non stare impalato! E vestiti mammola! Dobbiamo provare a prenderci la presenza!

Non ero tagliato per il 1992, non lo ero nemmeno per il 1982 o per il 1972 e non lo sono nemmeno adesso. Continuo ad essere temporalmente afasico, a volte lei mi elargiva un po' della sua coscienza a fondo perduto era il massimo ma non sono mai stato una cima. Ci sono sequenze temporali nelle quali non si dovrebbe proprio nascere… ma è una strana dimensione e forse in pochi si soffermano e prendono seppur inconsciamente nota di ciò che è intorno a noi… ma a volte... non posso fare a meno di (odiarti) odiare, odio stare male odio e odio il mare, odio la sabbia, odio che scivoli tra le mani come da una clessidra entropicamente instabile, odio il vento sulla faccia, la luce pura che potrebbe bruciarmi le retine in modo permanente, odio i ricordi, odio la mia stessa capacità di pensare, odio l’universo e il mio stesso respiro che mi consente di continuare ad odiare. E odio soprattutto te che non fai altro che amare.

Perché? Beh provo a spiegartelo, perché… Io, al solito mio, impiegai un tempo eccessivamente lungo a rompere il ghiaccio Lei invece ruppe le acque alla prima occasione, era in procinto di partorire lì, seduta a quel tavolo e puoi chiamarlo fato, destino o comecazzotipare, quando si deve nascere si nasce e nonglienefreganiente di come e dove, quando arriva, arriva e deve arrivare indipendentemente da quanto ci si possa adoperare e tentare di rallentare, sei in discesa, carichi accentuati e vincoli persistenti ma tutto è infinitesimale davanti a quella piccola e avida vita.

- Concentrati sul respiro, rilassati, concentrati sul respiro e andiamo. - Ma dove? Ma come? Ma che cazzo dici? Hai visto troppe repliche di General Hospital, chi sei il dottor Collins? - No, non sono il dottor Collins e tra l’altro non ho mai visto un episodio di General Hospital ma tu, bella mia, devi collegare il cervello altrimenti tuo figlio nasce sul pavimento di questo pub, nulla di male ma ti devi muovere, alzati! Ti aiuto ma alzati, andiamo! Ti aiuto ti reggo io! - Lei mi regge?!?! E chi è che regge lei!?!?” - Sì ti reggo io ma devi muoverti, dobbiamo uscire, arrivare a quella cazzo di strada! - non credo di potercela fare! - sì che ce la fai! Tra l’altro, ma come lo chiamerai? - Cazzo Lù! Non è un maschio! E… e la chiamo quando decido è femminaaaaaaa! - Ho capito! Ho capito! Calmati e andiamo! La chiami quando dici/decidi/vuoi tu, adesso però usciamo di qua!

Improvvisamente avevo dimenticato le mie preoccupazioni, le mie introspezioni, la mia depressione e tutto il resto, la stavo portando fuori da quel pub e non riuscivo a pensare a niente se non al fatto che mi sembrasse di essere tremendamente in ritardo sulla tabella di marcia imponderabile dell’universo. Stava per partorire lì sulla strada e pensai che la situazione non fosse affatto migliorata.

- è molto che stai qui? - il '94 è un anno di merda, non molto - posso sedermi? - libera! Sono per i diritti pari. - allora mi siedo. - e siediti va. - quindi... Cosa mi offri? - questa, è ancora mezza piena. - uso il tuo bicchiere. - preeeeeego. - cazzarolaescarola è troppo dolce questo gin! - compenso con l'amara esistenza... - sei sparito ieri, e l'esame di storia? - 30 ma ho deciso di mollare architettura. - cazzo Lù non puoi andare avanti così, non giudico ma quelle... sono infette. - aspe' prendiamo un'altra bottiglia... - ti odio... Ti odio lo sai vero? - sì beh, dimmi qualcosa che non so…

Tàide, dobbiamo necessariamente afferrare l'armadillo per la coda, la pantera albina per la collottola e il varano per la lingua putrescente e verminosa... Sei seduta qui da quanto.... Diecimilaottocento secondi? Ebbene, dimmi (sì tu) donna (sempre tu) dimmi ma con tatto, hai finalmente deciso da che parte vuoi operare? O questa sarà l'ennesima occasione sprecata della lunga e triste serie delle occasioni mancate? Sarà forse una conversazione del tutto formale? Intanto, (mi) preparo un caffè... Ma tu non ti turbare, pensaci, occupati della fissione accidentale o innaffia la mia Dionea Venere con acqua da osmosi inversa se te la senti. Che dici? Ce la fai? Sì? E vai va'...

Tu sei e hai tutto il mio (rispetto) intelletto, sai sempre cosa e io accetto e il mio tormento, sento in bocca il sapore del ferro e ogni azione non lascia spazio all’indeterminazione. Siamo rubati e traditi, tessuti e sgualciti e forse questo (non) è il tempo, come sempre e come mai, perennemente in guerra abbracciati qui o su Altair IV, ultra divisi in multi messaggi subliminali dall’altrove dove io non possa ascoltarti e dove tu non possa agire, per il tempo, (per) ogni tempo che (spesso) vorrai avere, intercedere e stordire, scegli o non farlo perché in fondo scegli comunque, accresci il ventaglio delle probabilità, dell’ineluttabilità, mi hai salvato così tante volte per questo o quello, diamine, io e te siamo restiamo sempre, io e te, enorme inteso attento intento di vita e di pena, io fame e tu cena, troverai un modo troveremo un altro luogo, saranno solo sguardi e qualche cenno o forse abbagli e lampi e forse scrosci e rostri e non ci sarà alcun pentimento perché non è nella nostra natura, siamo dannati d’altri tempi andati d’amanti schegge sensoriali, un pericoloso composto di fulminato di mercurio, siamo (in)seguenti il solo e puro effimero essenziale, caldo motore emozionale, una cazzo di bomba termonucleare, siamo incondizionabili divergenti, inarrestabili conseguenti, fugaci negli intenti a volte eppure profondamente efficaci.

- ma allora dimmi! E poi? Usciti dal pub? La tua amica? - Quasi dimenticavo certo... dalla strada arrivammo all’auto, con l’auto arrivammo nonostante il mio scarso orientamento per le strade di Dublino di notte al Birth Center e Giulia… arrivò urlando e piangendo a pieni polmoni, se ne accorsero proprio tutti! Il giorno dopo le regalai un bel cappellino verde. Sua madre mi avrebbe ucciso se avesse potuto. - sarebbe potuta essere tua figlia ma te lo immagini! - no, non ci riesco proprio, non sarebbe così bella se fosse stata mia figlia ma oggi, ha trent’anni Giulia… matta come un cavallo irlandese e ugualmente testarda come sua madre.

Ma io e te, siamo simbiotici simbionti contornati da alte coltri, viscidi ma loquaci, imperturbabilmente quieti guidanti inconsapevoli e viandanti allucinati sempre troppo incostantemente affannati, avidamente affamati mai lontanamente sazi e mai definitivamente rassegnati. Io il sereno ma tu, dannata, una formidabile tempesta, io la calma tu ira funesta, io non nego tu riprendi questo e quello perché io e Te saremo/siamo incondizionatamente, questo è il bello, io e Te, siamo sperma e cervello.
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Come? Come... come? Se è solo per rispondere ad una delle tue domande allora eccoci qui, ecco come… In una delle tante conversazioni avute agli albori dell’era telematica con il grande (il GRANDE) Peter Vincent, un amico che non sento da molti lustri ormai, ci ritrovammo a pensare di scrivere una...
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23/05/2024 00:09:28
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Un Mondo Perfetto II - Scientia nihili

09 maggio 2024 ore 22:21 segnala
Eih Stella… amore… dove sei? È già salpata quella nave… in un attimo… ed è come se non fosse mai esistita. Resta (è già) pure a (salpata) pensarvi, decostruisci (quella nave) il tutto, analizza, controlla, sviscera (è già salpata quella nave!) e poi analizza ancora una volta… magari (E GIA’ SALPATA QUELLA FOTTUTA NAVE!!!) ci capisci niente. Ma il tempo, il tempo distrugge ogni cosa. Distrugge comunque ogni fortezza eretta su sangue e su pietra e sudore e fango e arma mutando l’acciaio in polvere, scomponendo la stessa esistenza in meri costrutti occasionali, facili da confondere in matasse probabilistiche non lineari. Fotoni sbiadiscono si deliniano prospetticamente sotto un attacco tachionico totale originatosi dai più profondi recessi dell’oltre spazio siderale e ogni tanto un dado o due devi fare rotolare perché del caos si prenda invidia e ci resti da sperare.

Nottetempo la stasi ipnogena regredisce, è tempo chimico declinato per fiale, rubato e metabolizzato, l'invidiabile condizione percettiva (mi) si dissolve e cresce una distonia persistente. Inevitabilmente controllo la percezione imperfetta del dolore nell'unico modo a me congeniale, restiamo su argini opposti, la distanza seppur quantificabile è inutile, impossibile sopperire alla vasta gamma di iterazioni che tu auspichi. Lo capisco, tu guardi e vedi solo cicatrici, ognuna profonda e percezione mancata di ciò che sarebbe potuto essere, un'ombra persistente di ciò che non sarà mai, ognuna un segno chiaro di incomunicabilità. Posso ascoltarti ma ciò non lenirà la tua (in)sofferenza, la tua indolenza, la tua rabbia. Posso dirti che non succederà ancora ma la necessità compulsiva sovrasta il mio (odio) amor proprio rendendo ogni mio intento inutile, perennemente in difetto posso (accogliere) sopportare ogni tuo attacco, posso anche sostenere il tuo disprezzo, posso fare anche a meno di te e probabilmente lo farò se e quando deciderai di andare via.

Pessima idea quella di uscire anche oggi per andare (a vivere) in ufficio, pessima idea accantonare i pensieri in righe di senso compiuto, pessima, pessima idea offrirti la colazione:

- ragazzo mio sei grasso! - si vede eh? Pensavo che la felpa nera (ti) ingannasse. - la verità? - beh certo ormai hai parlato, dimmi pure... - la verità é che, felpa o non felpa, sei grasso ragazzo mio... - già, avevo sentore di questo. - magari vieni a correre con me da stasera? - vuoi farmi morire? All'anima, bell'amica! - io sarò (sono) bella ma tu ragazzo mio, sei proprio grasso!

Sì parlare, certo, parlare parlare... Il dialogo deve essere costruttivo? Io (adesso) preferisco il dialogo a senso unico, onesided, meglio, monologo, meglio ancora, soliloquio ma per qualche motivo (Lei) tu insisti nel voler costruire:

- allora venerdì inizierai riabilitazione... - tu dici? - certamente, non è un consiglio. - credo non servirà - c.n.d. intanto venerdì inizi di tua sponte oppure, ti ci porto io a calci fai tu. - che novità... - non hai voce in capitolo. - posso fumare almeno? - sì, non la pregiudica. - questa sì che è una novità. Ma tanto non cambia nulla... - vedremo, tu, venerdì, lì. - e tu costruttrice sei nata nonché trituracoglioni.

Vorrei che tutto fosse più facile, che lo fosse allora e forse lo sarebbe stato, forse o forse no, puoi tendere le corde ma non puoi sostituirti a loro, puoi usarle ma non puoi fare senza, non puoi andare ignorandole, le corde, probabilità, possibilità, incidenze perché è tutto ciò che articola il nostro essere, che sviluppa la nostra percettività, la nostra innata voglia di comunicare e di aggregarci. Indicami un appiglio, lo userò per salvarmi se è questo che ti preme. (Sei uno) spirito libero dici? Secondo me sei solo spirito alcolico a quest'ora visti i trascorsi notturni ma in questo momento, probabilmente, il mio terrore inconscio travalica la mia capacità di razionalizzazione nei tuoi confronti. Fammi capire, hai preso solo gnocchi di licheni e un mix vegano non meglio identificato, che cazzo sei, un toporagno? Ah, devo smetterla di preoccuparmi per te, sei pienamente capace, autarchica, indipendente e mancina (pure troppo) quanto basta. Le mie torri arano allegramente i tuoi pedoni, la mia regina ti farà fuori, mi sono rimesso (portato avanti) in pari anche con le cicatrici, stamattina il dolore è costante non smetto di (sanguinare) ragionare, hai un (cachet) cerottino? Dovresti aver capito che a me non interessi né la politica né l'attualità né l'universo creato ma tu insisti, vuoi parlare? E parla avanti… non sarai mai o forse lo sei stata a causa mia, aberrazione ottica, (sei) elettromagneticamente instabile, rifrangi l'intera gamma fotonica e la disperdi quasi non fosse così importante. È una relazione invero (fagocitante) particolare. Spettro su spettro, saturi denaturando, ogni coefficiente in quanto a correzione risulta superfluo o sopravvalutato. L'incidenza non è pari alla rifrazione, ricollocare ogni intento perduto è fastidiosamente necessario per raggiungere o ricostruire la visione d'insieme o quanto meno un'idea approssimativa della stessa. Potrebbe essere solo una questione di tempo e non di volontà, potrebbe esserlo in misura maggiore o minore rispetto al danno percepito. Piazzando righe discernenti mi ricordo che in mezzo c'è spazio per il superfluo, per l'inesplicato e la mia induttanza resiste nonostante ogni sovraccarico non accidentale che la tua esposizione (mi) comporta.

Riposare è (stata) un'azione inutile, non riesco a trovare più del buon foiolo, sono indietro di tre mosse e la mia regina continua ad osservare lascivamente il tuo alfiere e da come hai sviluppato i destrieri le cose potrebbero precipitare, eliminare il ciclo di veglia non è stata una grande idea parlandoti tutta la notte, non riesco a respirare correttamente. Mi procuro meno della metà del dolore che arrivi normalmente a sopportare e nutro allo stesso modo meno della metà della stima che per te dovrei invece provare. Non riesco ad articolare non riesco a mostrare correttamente la mia faccia buona, non riesco ad ignorarti e di te ignorare qualunque altra cosa...

Non dormo molto, la tosse mi spacca i polmoni e per farmela passare fumo un po' di più, sempre un po' di più, la bocca secca, la gola arsa sembra di aver dormito tutto il tempo su di una barca. Se devo renderla prima o poi, tanto vale renderla stando male malissimo molto male e malissimo e che senso possa avere il tuo ragionamento di lasciare andare ogni altro coinvolgimento, ogni altro legame che mi ricorda di aver avuto una vita un tempo. Discutevamo e a volte capita ancora, sebbene con meno animosità, delle mie cattive abitudini perché se non puoi discutere di questo con un’amica con chi puoi farlo. (Ginger) Vuoi proprio cominciare una guerra, continui a non voler(mi) capire, aprire gli occhi o non averli mai chiusi, ignorare (liberare) il dolore emotivo, mostrare una faccia consona e spudoratamente di circostanza e trovare un motivo di (affondare) affrontare il carosello quotidiano rimanendo invero del tutto indifferenti. A volte credo di (saperne) averne abbastanza, a volte credo il dolore sia (in)sufficiente, a volte credo di non aver assolutamente bisogno di (te) un motore emozionale e per questo (ti) lo dismetterò.

Non iniziare mai una conversazione con “devi capire che…” perché non lo capirò, il resto della conversazione o come la vuoi chiamare sarà inficiata dalla tua inutile premessa, non devo capire a priori, me ne arrogo il diritto di capire ma dopo. Non ho bisogno che tu faccia preamboli, ho un senso di vertigine come dopo un ictus, la mia vertigine il tuo ictus, sei tu che addensi il mio sangue e i vasi diventano tanti piccoli grumi e tutto si ferma e la testa gira e non avverto più alcuna differenza tra lo stare sveglio e questa questa ridicola veglia a intermittenza. Discutere e poi discutere e poi ignorare e poi farsi del male e poi discutere ancora, no non mi interessa discutere con te, mi faccio già abbastanza male da solo, fa’ ciò che devi fare io faccio sempre e soltanto ciò che m’appartiene.

So she comes like a stranger, brings the hate and a new set of care and blame and I think now it's (too late) time I take some air, I take the time and stay out… (and) once out, please Ginger stay the fuck out, it's up to me, it's up to the trees that eventually could even burn with me lost inside. Feels like a war, hear those turmoil, feel them in my entangled guts. I feel sick, I need to get some fresh air outta this wheelchair. Didn't see that coming, brother I'd tell you you’re the best on these wheels I can't compare. Would you care to let me… would you care to let me free… oh brother believe me I’m fine, I love you, I’ll be fine, would you let me, please, let me die.

È (sei) un'amica anche di (cuore) dolore, abbastanza generosa, hai il coraggio di guardare senza distogliere lo sguardo ogni mio tessuto cicatriziale. È una pellaccia non ci sono dubbi. Ma io mi tengo la pellaccia mia non ho bisogno di aiuto. Adesso non bado all'estetica, ogni ustione prende il tempo che prende, lascia il vuoto che lascia, brucia il tempo che serve. I tessuti si ispessiscono perdono melanina ed elasticità. Restavo alterati in modo permanente. E le cicatrici sono ben visibili anche a distanza di lustri. A volte attraverso periodi davvero bui ma sono abituato ed assuefatto. Il peggio peggiora il peggio resta il peggio e così sia. Una volta svoltai l'angolo perché si dice che le sorprese lì attendano, trovai un altro angolo… Un anno trascorso, il dolore è invariato, il senso di vuoto è invariato, quindi cosa è cambiato? Nulla, non è cambiato nulla… questo è un modo perfetto e io soffro costantemente.

Un giorno, un anno, un tremendo istante da vivere ed odiare, l’aria arroventa ogni via e massa fluida scorre via impazzita e lascia dietro sé solo un arso sentiero di macerie e di guerra, conflitto su conflitto senza ricami e lezioni senza discernimento da trarre dai propri errori. Un istante che speri di poter ignorare, una condizione instabile, tempesta elettrica che non più limitata lungo metalli longitudinali scorre anch’essa e inonda e fonde ogni residua cognizione divellendo ogni reticenza ed armonia cardanica.

In un mondo perfetto tu saresti ancora (viva) qui, io forse no ma tu saresti ancora qui. Saresti la mia ragione, il tono della pazienza, la voce della scoperta e la meraviglia dell’azione. Saresti la mano che guida attraverso la mia incertezza, il calore che dirama l’oscura solitudine di cui mi nutro, un folle attacco di vita irreversibile e disgregante ogni mio canone assolutista e privo di qualsivoglia elastica propensione al dialogo ed alla correttezza. Saresti una scala da risalire in fretta abbandonando l’altra mia metà perniciosa in fondo al pozzo, possibilità di rivedere l’intero e non la soglia, spegnere l’orrido e mai la voglia. Ma io scrivo di un mondo perfetto, catalizzato, costruito intriso di preziosità adamantine, scrivo perché aggiungo spessore e blocco ogni porta dove la mia rabbia non può più condizionare, non si libera di andare, dove assopisco la voglia dannata di farmi male e con te potevo persino riuscirvi altro che tentare.

Scrivo. La notte se snella scivola, lava, le mie remore circonda e fonde, distilla le mie paure ed io in questo osservo e (mi) afferro. Afferro le mie sensazioni sopite ma mai dimenticate, afferro la materia prima delle parole e le scompongo e le miscelo e ne faccio concentrato che regga e che tenga e poi intingo le mie dita e che sporche adesso di lurida conoscenza inorridita adopero e mi industrio e tesso un nesso su di una tela, non so mai quanto ampia ma leggera che io possa rimodellare in base al dolore, in base all’eccesso e al calore. Scrivo e se la notte è densa, la paura mi attacca, mi addenta, mi dilania e la penna vibra e non cede e comprendo che sia solo una lieve forma di vergenza, un’onda anomala sconsiderata a minacciare il mio filo e la mia resistenza. Scrivo di un mondo perfetto che è sempre stato, scrivo per districarmi tra livelli invisibili e consistenti, attraversando strati su strati di tessuto e di materia, immaginata, resiliente e concretamente perfetta struttura lamellare elicoidale. Scrivo quello che (mi) serve per arrivare ed affrontare ancora una volta, ancora una volta ciò che non posso elidere, rimuovere, occultare, cancellare, ciò che macinamacinamacina sempiternamente e mi fa marciremarciremarcire invece di capirecapirecapire e forse dovrei in qualche modo tentare di arrestare ogni emorragica devianza, arginare invece di dilagare da un piano all’altro da un polmone all’altro, da un setto all’altro, restare su un tempo consono scrivendo e marciando regolarmente su di un binario pressofuso in quattroquarti e non materia magica composta di setteottavi. Stare nelle righe, fermarmi per respirare, non cedere all’orgoglio, limitare il mio estro e per questo rendendomene immediatamente conto e ciò che accada accada io potrei essere ancora vivo o, decisamente, allegramente morto.

Ma io respiro e ricordo di un mondo perfetto, che non lascia niente al caso e ai paragoni, meri figli di paradossi privi di equilibri sottaciuti e smossi. Sono perfettamente condizionati secondo leggi ineluttabilmente consone e indiscutibili, inattaccabili ed eloquenti. In un mondo perfetto sono calmi anche i venti, quelli che soffiano e portano la guerra come una speranza e come una carestia, come la lava gelida di un cuore troppo tempo sospeso nell’odio alla rabbia nell’albagia. È un mondo che non ha bisogno di guardare al domani, vedere non serve e non giova, tutto si srotola e si dirama e lo sguardo può anche essere ingannato ma ogni follia, ogni menzogna è vana.

Sai, (non) sono bravo a desistere, sai, (non) sono proprio tagliato per mostrarmi a te con questa faccia di circostanza e non son bravo a nasconderti le cose. Sai, a volte penso che tutto questo sia troppo, sai, alle volte per quanto vada avanti mi sembra di ritornare inevitabilmente sui miei passi, vivere a ritroso e non è solo nelle sensazioni ma lo avverto, è una morsa che mi impedisce a volte di respirare. Desistere, smettere di esistere, desistere non è nelle mie corde e allora sai, faccio ciò che mi riesca naturalmente, in silenzio, senza porre un freno al moto costante, senza fare drammi o perdermi o evitare di sottrarti pensieri, credo sia inevitabile che alle volte per potermi sentire vivo io debba necessariamente ammettere di voler fallire e ricadere, mai tentare o sembrare ma incidere fino a sanguinare e poi, decisamente, decisamente in questo mondo perfetto… lascia(r)mi bruciare.
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Eih Stella… amore… dove sei? È già salpata quella nave… in un attimo… ed è come se non fosse mai esistita. Resta (è già) pure a (salpata) pensarvi, decostruisci (quella nave) il tutto, analizza, controlla, sviscera (è già salpata quella nave!) e poi analizza ancora una volta… magari (E GIA’ SALPATA...
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09/05/2024 22:21:28
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