Intervista a Lia Gulino, Presidente dell’Associazione “ Il sogno di Giusy”
La famiglia è il punto di forza necessario per dare ai ragazzi la più alta opportunità di sviluppo armonico, è una risorsa essenziale per l’integrazione sociale. Alcune famiglie nell’ esplicare questa funzione incontrano delle difficoltà: sono le mamme e i papà dei ragazzi diversamente abili che più degli altri devono diventare ricercatori di nuove soluzioni ed organizzatori di solidarietà attorno ai loro figli. Quando alle difficoltà si uniscono l’estrema possessività e l’ iperprotezione, la vergogna e l'imbarazzo per le problematiche del figlio la situazione si complica a discapito del benessere del ragazzo: questi genitori non osano avventurarsi fuori casa con il figlio e finiscono con il ritirarsi dalla vita sociale. Quel figlio non ha una valenza sociale positiva e quindi non può essere oggetto di scambio e di comunicazione con le altre famiglie e col resto della comunità, nelle funzioni affettive, economiche e simboliche. La tendenza più diffusa è quella della “gestione privata dell’handicap” al fine di mantenere nel segreto familiare una realtà che può suscitare pietà e diminuzione di autostima. Alla disabilità del ragazzo si aggiunge allora la disabilità della famiglia che non è in grado di giungere alla accettazione del figlio, di superare l’insensato senso di vergogna e diventare abile promotore della socialità del figlio. La famiglia, in questi casi, non svolge una funzione socializzante ma una funzione di omologazione, di mascheramento e di mimetizzazione della diversità con lo scopo di evitare atteggiamenti sociali negativi. Queste dinamiche familiari inevitabilmente conducono il ragazzo alla mancanza di una vita sociale, rendendolo invisibile agli occhi della società ma soprattutto a se stesso.
Per sollevare il velo di silenzio su questo problema complesso e articolato abbiamo deciso di intervistare Lia Gulino, in qualità sia di Presidente dell’Associazione “ Il sogno di Giusy”, associazione impegnata nel settore della disabilità, che di mamma di Giusy, la ragazza precedentemente intervistata da noi nell’articolo “ Il pregiudizio: la prima barriera da abbattere”.
Quali sono le difficoltà che le famiglie con un ragazzo disabile incontrano nella nostra realtà? Le prime difficoltà sono in famiglia: quando nasce un bambino con disabilità per i genitori il primo problema che si crea è entrare nel processo di accettazione della disabilità ed affrontare le diverse fasi delle problematiche del figlio, dalle diverse visite mediche alle terapie o alle operazioni.. a queste si aggiungono le difficoltà create dalla rete sanitaria e dai servizi che spesso non funzionano, e quelle generate dalla scuola che invece di integrare molte volte emargina il ragazzo disabile. Molte famiglie non sono nelle condizioni, sia finanziarie che culturali, di poter affrontare un peso così grande, e quando cercano aiuto nelle istituzioni spesso non lo trovano, così è facile arrendersi e il ragazzo viene emarginato anche dalla propria famiglia.
Come si può far fronte a queste difficoltà? Noi genitori dovremmo far valere di più i nostri diritti, ci sono molte leggi che tutelano i disabili, ma molte volte questi diritti diventano “favori concessi”. Dobbiamo imparare ad essere i protagonisti della vita dei nostri figli, questi ragazzi hanno diritto alla vita, all'istruzione e ad un futuro migliore indipendentemente dal ceto sociale a cui appartengono, quindi è opportuno creare una rete seria dove la famiglia ha il ruolo principale nella gestione del disabile … una rete sul disabile che fornisca informazione, assistenza, cure e protezione nel modo giusto e che aiuti i genitori, quindi il genitore deve informare ed essere informato, affidare ed affidarsi, accogliere ed essere accolto, confrontarsi con gli altri genitori che hanno gli stessi problemi e non chiudersi o rassegnarsi ma andare avanti e lottare.
Quanto è diffuso il senso di vergogna per le problematiche di un figlio disabile? qui a Ribera il senso di vergogna è molto diffuso non solo in relazione alla disabilità, ma anche verso la malattia tanto che in molte famiglie quando un familiare ha per esempio il cancro solo pochi intimi ne sono a conoscenza;quando nasce un bambino diverso all'uscita dalla sala parto gli si copre il viso perché il bambino che è nato non corrisponde a quello ideale e si deve nascondere. Questo accade anche in contesti culturali evoluti benchè in forme più velate.
Quali sono le conseguenze di questa emozione negativa? Il disabile cresce con la convinzione di essere diverso e per questo non si relaziona con gli altri. Naturalmente le difficoltà sono collegate al tipo e all'entità della disabilità, ogni situazione pone specifici problemi e sofferenze, ci sono ragazzi che hanno problemi e sofferenze in più di ragazzi che hanno solo problemi motori e sono in grado di intendere e volere. Il senso di vergogna genera una diminuzione della autostima. Fortunatamente tutto questo succede solo in piccoli centri come Ribera o nei piccoli paesi.
Quali soluzioni possono essere trovate per aiutare i ragazzi e le famiglie? Una corretta informazione sulla natura del problema, interventi psico- sociali sui genitori per evitare che si cada in depressione o nel tunnel dell’iperprotezione, messi in atto da un tutor familiare e da una figura professionale con competenze specifiche che possa seguire la famiglia nelle varie fasi.
La vostra Associazione si sta muovendo in questa direzione? Si, la nostra Associazione si sta muovendo in questa direzione: il nostro obbiettivo è portare anche qui a Ribera il volontariato con la V maiuscola. Un esempio è il progetto “ Giovani al Centro”, il sabato sera, insieme alla Omnia Service, già da Dicembre, dei giovani volontari mettono il loro tempo a disposizione di ragazzi disabili senza scopo di lucro, è bello vedere che il diversamente abile e il normodotato ridono, scherzano e giocano insieme. L'altro progetto che stiamo cercando di realizzare è la colonia estiva. Sono molti i ragazzi della provincia e anche di fuori pronti ad aderire a tale iniziativa, sarebbe una grande opportunità per Ribera e un grande segno di civiltà, noi stiamo lavorando sodo e speriamo con l'aiuto di Dio di riuscirci.
Cosa vorresti dire alle famiglie che mantengono nell’ombra i propri figli? La cosa che voglio dire non come Presidente dell’Associazione, ma come madre di una ragazza disabile, di non ghettizzare i propri figli, di essere forti, di lottare per loro, di non vedere questi ragazzi come “croci da portare” ma amarli di più, dargli di più, perchè questi ragazzi sono ragazzi con la D maiuscola.
Vorremmo chiudere questa intervista con un’immagine di gioia e di speranza: tante mani, e tra le prime quelle dei genitori, che insieme, con forza e senza mai perdersi d’animo, tirano fuori quei ragazzi messi in quell’angolo soli e in ombra, l’angolo della paura, della vergogna e della resa, per portarli fuori alla luce dando a loro la possibilità di tornare o di iniziare ad essere visibili.
di ragazzi invisibili. La disabilità di chi si vergogna.
19 aprile 2012 ore 20:21 segnaladf7f1ea5-0123-4f20-96a4-569260cb56d8
Intervista a Lia Gulino, Presidente dell’Associazione “ Il sogno di Giusy”
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