Un invito
06 luglio 2024 ore 15:22 segnalaE non è possibile che stai ancora qui!
Ma altri amici non ne hai che torni sempre da me?
Sì, vabbè, lo so, con tutto quello che sta succedendo nel mondo, non posso dire che pensi solo a me. Ma non ti stanchi mai di girare così tanto?
Ah, ecco, sei tornata da me per riposarti un po’, che ho il divano nuovo ed è comodissimo.
Prego, accomodati. Tanto, anche se non voglio, entri lo stesso.
La prima volta che ci siamo incontrate, ero piccola. Non immaginavo fossi così cattiva, qualcuno mi aveva parlato bene di te. Non immaginavo potessi arrivare ovunque. T’immaginavo sempre vestita di nero… eh, no, fosse così ti si riconoscerebbe da lontano e avremmo modo – che so – di nasconderci o di cambiare strada.
Sei invisibile tu, subdola.
Ti infili nei nostri corpi come malattia o ti fai aiutare da un ubriaco che si mette al volante. O da un ragazzino che, stanco di subire, impugna una pistola e fa strage a scuola perché il compagno l’ha pestato ancora.
Spesso hai bisogno di effetti speciali, che stare sempre nell’ombra stanca anche te: in Ucraina e a Gaza hai messo su uno spettacolo da oscar! In confronto quello che hai tolto a me è nulla.
Non so come facciano le altre persone ad accettarti, io proprio non ci riesco, non questa volta. Alimenti le mie insicurezze e riaccendi una mia vecchia paura: quella del distacco. Quella paura che, irrazionalmente, mi porta a conservare foto, lettere, affetti che non ci sono più. Quella paura che mi fa chiudere in me stessa perché è meglio stare da sola che legarsi a una persona che potresti portarmi via. Quando poi trovo il coraggio di aprirmi, rischio di essere eccessivamente presente. Un’altalena di sentimenti che mi porta ad essere irrazionale, indecisa.
Sei bastarda, sai?
Ti verso un altro calice di vino? Ottimo, vero? Il mio preferito: Nero d’Avola.
Mentre sorseggi atteggiandoti a sommelier, lascia che ti dica ancora una cosa: mi hai succhiato l’anima, ma sono ancora qui. Più male di così non puoi farmene, arrenditi.
Mi guardo indietro e scorgo la tua ombra che mi segue.
Sei parte integrante della vita di ogni essere umano.
Sei dentro di me, nel mio aver paura persino del vento; nel mio timore di rimanere sola.
Un mio amico mi diceva spesso che noi, per riuscire ad andare avanti e non farci sopraffare da te abbiamo due strade da percorrere: o far finta che non esisti – ma è uno stupido illudersi perché tanto prima o poi arrivi e colpisci dura –, o accettarti e metabolizzare la tua presenza e il dolore che essa ci causa.
E come cazzo si fa?
Non stupirti del mio linguaggio volgare, potrei dire anche di peggio perché sono devastata dal dolore. Se potessi ti ucciderei! Avrai pure tu un tallone d’Achille, no? Non puoi essere eterna, non puoi prendere chiunque, di qualunque età!
Non voglio che tu faccia male ad altri, perché lo strazio che mi sta consumando non lo auguro al mio peggior nemico.
Stai portando via tutte le persone che credono in me. Sto rimanendo monca.
Un pezzo dopo l’altro divori il mio cuore, il mio cervello, la mia creatività.
Dimmi la verità, ora che stiamo qui a chiacchierare comodamente sedute sul divano, con i calici sempre pieni (che ho stappato, intanto, un’altra bottiglia), ma… hai un radar? Un ‘rilevatore’ di felicità, chessò, l’allert sullo smartphone? Il suono acuto di una sirena che ti avvisa quando un essere umano raggiunge l’apice della serenità? Così puoi intervenire e strappargli colui che ne è l’artefice. No, perché con me hai sempre fatto così, a cominciare da mia nonna: la tenerezza dei miei giorni d’infanzia. Poi il prof. di lettere, il primo ad avermi incoraggiato a seguire le mie passioni, a coltivare il mio amore per la scrittura. Ho continuato per anni a portargli lettere sulla lapide, non fiori. Scommetto che eri lì, a osservare quest’assurda scena da lontano. Ti sei divertita? No, ti sei divertita di più quando hai provato a strapparmi mio figlio. Sei una iena! Una ‘senza cuore’. Condannata alla solitudine, senza il conforto di un pianto, perché i tuoi occhi sono aridi e il tuo cuore… ah, no. Tu un cuore non ce l’hai.
Mi vedo ancora, a urlare disperata nel corridoio dell’ospedale perché mio figlio stava vomitando anche l’anima. La corsa folle in sala operatoria. Delle braccia che mi fermano dietro una porta di metallo “Signora deve aspettare qui”. Le voci concitate dei medici “Lo stiamo perdendo”.
Buttata come sacco vuoto sulla panchina bianca della sala d’attesa, ti ho sentito accanto a me. Ho sentito il tuo fiato putrido nelle mie narici, la tua mano gelida attorno al mio collo.
Cosa ti ha fermato quel giorno? Le lacrime di una mamma? La caparbietà dei medici? O un briciolo di compassione?
Ogni volta che vedo sulla pancia di mio figlio il segno del tuo passaggio, si riapre la mia ferita. Sanguino, ed è una lenta agonia.
Credevo avessi finito con me, invece no.
Sei paziente, hai atteso a lungo. Hai preso altre vite, straziato altre menti. Mi hai dato il tempo di ritrovare un amico. Anche a lui hai fatto spesso visita, ma aveva spalle larghe e cuore di poeta. Era riuscito a vestirti di umanità.
“Tutta questa rabbia che hai dentro” mi diceva, “puoi trasformarla. Questo immenso dolore scrivilo, fanne poesia e vedrai che lo supererai. Lei non ti farà più del male se troverai il coraggio di guardarla negli occhi e chiamarla col suo nome”.
Te ne sei accorta, vero? Che lui credeva in me e mi incoraggiava a dare sempre di più “Puoi fare meglio! Pensa a scrivere e tira fuori le palle”. Diretto, senza mezze misure. A pugni in faccia “devi scrivere, cazzo! Dai, fammi leggere qualcosa domani. Di adeguato! E gli errori, mi raccomando”.
“Scrivi strong”, le sue ultime parole per me.
E quella sera tu hai deciso di portarlo via con te.
Siete andati prima al bar? Ti ha fatto leggere il racconto che stavamo scrivendo? Magari gli avrai dato anche qualche consiglio…avrete ordinato un amarone o un americano… ti ha parlato di me? Oh, sicuramente ha regalato a te l’abbraccio che avrei preteso quando ci saremmo visti a Bologna!
Ora vorrei solo gridargli che mi ha raccontato solo un sacco di frottole: ti ho chiamata col tuo nome, l’ho urlato, me ne sono vestita, ti ho respirato e buttata sui fogli.
Resti intatta, corrosiva. Ancor più dolorosa.
Non ti accetto, non ti comprendo e, con rabbia, ti maledico.
Senza più fiato.
Una sola cosa mi era rimasta da fare: invitarti a casa mia e offrirti un bicchiere di vino.
Ora, mia cara Morte, strazi ancora. Ma sei più umana di me.
E. V.
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Ferite e feritoie
08 giugno 2024 ore 10:43 segnalaQuasi 52 anni.
Ti fermi, ti volti dietro e?
Nebbia.
Fitta e bianchissima come quella dei film dell’orrore.
Il buio e nessuna voglia di andare avanti… e poi, per cosa? Per chi?
Se finora non sei riuscita a far niente di buono, prendi atto del tuo essere ‘insignificante’ e spostati di lato, che ostacoli il cammino a chi ha tutte le carte in regola per emergere.
Non sono stata una brava figlia perché troppo testarda e mai disposta a piegarmi alle regole della famiglia.
Non sono stata una brava moglie perché ho sempre difeso la mia libertà di individuo rifiutandomi di prendere le abitudini e il cognome di chi consideravo compagno, non padrone.
Non sono stata una brava mamma perché ho insegnato ai miei figli a seguire le loro passioni e non quello che “chiede il mercato”.
E ora questo scrivere: senza forma, senza senso, con la tua dannata assenza che ingombra ogni foglio e satura le mie parole solo di te. Da quando sei andato via mi sento di nuovo sbilenca perché erano i tuoi rimproveri a sorreggermi e raddrizzarmi, caro amico mio.
Non ho mai creduto fino in fondo nelle mie capacità e questa insicurezza mi ha portata, a vent’anni, a scegliere la strada più ‘comoda’ e non quella giusta per me. Dovevo crearmi in fretta una mia vita, allontanarmi da una famiglia opprimente. Mi è mancato, però, il coraggio di seguire il mio sogno: diventare insegnante. La caparbietà che avrei dovuto usare per far digerire ai miei genitori e a mio zio la partenza per l’università, l’ho dirottata verso un matrimonio organizzato nel giro di pochi mesi. Lasciando tutti esterrefatti: perché tanta fretta? Eh, sì, dal giorno in cui io e il mio futuro marito abbiamo annunciato che, di lì a qualche mese ci saremo sposati, son cominciati bisbigli e calcoli dei ‘nove mesi’.
Una vita in comune decisa dal mio perentorio “O ci sposiamo, o ci lasciamo”, non parte nel migliore dei modi, ma ero giovane e pensavo che le cose si sarebbero sistemate. Ho fatto finta di non sapere che l’amore deve essere una scelta condivisa da entrambi. Io l’ho imposta al mio futuro compagno di vita. Ecco il mio primo fallimento: imporre una scelta a chi non era pronto a percorrere quella strada, e solo per la fretta di andar via di casa. E mi sento fallita nell’aver gettato in un angolo buio il mio sogno più grande, insegnare, per paura di non esserne all’altezza.
La vita poi corre, mica ti lascia il tempo di riprendere fiato prima della salita! Ha gambe robuste e ampi polmoni. Ti ritrovi a 25 anni a gestire due nuove vite che assorbono tutte le tue energie ed in cambio riempiono i tuoi giorni di fatica e risate gioiose; di ninnenanne e favole prima del bacio della buonanotte. Fino al giorno in cui quel bacio non lo cercano più… ma in fondo, sei felice: vedi che riescono a volare più in alto di te e quelle ali così grandi e bianche le hanno anche un po’ per merito tuo.
Dentro, però, ti senti rimescolare tutto: saranno proprio quelle ali a portarli via da te. Ti ritrovi sola e devi comunque sorridere e dire: sto bene! Ma bene non stai perché ora la casa è troppo vuota e quel sogno che avevi accantonato è sempre lì, in un angolo, ma non puoi più realizzarlo poiché la vita corre e il tempo non aspetta. Quel sogno è ormai scolorito e sepolto da strati di polvere grigia. Inutile che soffi: non va via, è appiccicata, pesante. Un pugno allo stomaco per chi, come me, non ha avuto il coraggio di vivere. Come faccio a perdonarmi?
Poi un giorno, per cercar di spazzar via un po’ di quella polvere, ho deciso di ricontattare i poeti del “Circolo Letterario”. Soprattutto quel matto che incantava cuori e serpenti con le parole. Quel ragazzo che, anni prima, mi aveva scritto “…prima di essere una buona madre, prima di diventare una buona moglie o una buona amante bisogna essere un buon individuo. Ma esserlo per se stessi, non per gli altri. Sii te stessa, fai delle scelte. Comode o scomode che possano essere, falle! E tutto andrà meglio”
Inutile dirti che quel saggio consiglio non l’ho seguito. Ho continuato a far finta che tutto – dentro di me – andasse bene e ho rimandato le scelte.
Dopo sedici anni da quel messaggio, ho rivoltato il mondo virtuale per poterti ritrovare. Sei stato tu a trasformare la mia ferita in ‘feritoia’. Solo merito tuo se ho ripreso in mano la mia penna blu – quella che definisci ’da 1800’. Ma cazzo!
Due mesi e poco più… non dovevi morire. Mi hai lasciata a metà: senza fiato, senza parole, senza più poesie.
Senza l’amarone o il caffè che dovevamo bere insieme e che sono rimasti solo odori scoloriti sui nostri fogli.
Senza gli abbracci che non sono riuscita a darti a valanghe – maledetti i chilometri infiniti a separare le mie mani dal tuo viso e le mie braccia dai tuoi fianchi.
Quel viaggio a luglio avrei dovuto farlo per venire a scrivere con te, ricordi? E non per stringere un’urna al cimitero.
Mi manchi talmente tanto che la feritoia è ridiventata ferita, ma non sanguina nemmeno più. C’è solo vuoto e questo mio ostinato parlare di te e con te.
Nel mio scrivere solo tu e non va bene.
Vedi? Non sono così brava come mi ripetevi, perché chi ha talento trasforma il dolore. Lo plasma, ne fa arte e va oltre, come facevi tu. Io mi ci sono schiantata contro e non vado più avanti.
Nonostante lo scrivere, nonostante le giornate che finalmente si allungano, nonostante la radio sempre accesa per poter cantare, nonostante la gioia di veder volare i miei figli sempre più in alto, nonostante nuovi amori e vecchie amicizie.
Nonostante la tua voce che continua a sussurrarmi: “Se te lo dico è perché credo in te”.
E. V.
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Quasi 52 anni.
Ti fermi, ti volti dietro e?
Nebbia.
Fitta e bianchissima come quella dei film dell’orrore.
Il buio e nessuna voglia di andare avanti… e poi, per cosa? Per chi?
Se finora non sei riuscita a far niente di buono, prendi atto del tuo essere ‘insignificante’ e spostati di ...
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08/06/2024 10:43:00
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Lettera ad un amico
24 maggio 2024 ore 17:36 segnalaEccomi qui, Gaetano, a scriverti una nuova lettera.
Non interrompermi. Continua a fumare e a guardarmi con gli occhi a fessura.
...inutile, non ci riesco.
Ho proprio tutto bloccato.
Il pensiero la mano il fiato.
A tratti, come il segnale radio nei giorni di bufera, quando le canzoni arrivano balbettando e stai lì a spostare l'antenna sperando di catturare le note per strapparle al vuoto.
C'è stata la bufera. Pioggia e vento. Ho dormito male.
Non te l'ho mai detto che il vento mi agita, non me ne hai dato il tempo.
Il tempo è un'illusione che creiamo noi umani per rimandare abbracci e desideri.
La paura di dimenticarti mi agita.
Ma ora siamo soli, tu ed io. Ed è giunto il momento di dirti quello che per pudore, per timore e, a volte, per rabbia ti ho taciuto.
Ed ho taciuto anche a me stessa.
Voglio gridarti che il bene che mi hai dato - troppo? Troppo poco? Invadente? -, quel bene genuino ha riempito ogni vuoto e, come colla, mi ha rimessa insieme.
"Sai che non ti ho mai vista? Non conosco il tuo volto" dicesti.
E già mi sapevi dentro.
Cancellati, con quattro messaggi e una videochiamata, anni di lontananza. Potenza della tecnologia!
I miei abbracci virtuali e il mio assorbirti attraverso le tue poesie hanno annullato ogni distanza.
Mi sono accesa. Hai tremato.
Cosa ti ha spaventato?
Cosa potrei dirti ora che ancora non sai? Che sei stronzo? Ah, no, questo te l'ho detto!
Che dopo soli due giorni di sms con te, mi sentivo a casa? E pure questo te l'ho detto.
Hai avuto paura di questa energia, anche tu, ma io ero pronta ad accoglierla, mentre tu ne eri saturo. In fase di disintossicazione e l'irruenza di questa amicizia ritrovata ti ha disorientato.
Tu che, fino a qualche anno fa, hai assorbito vita dandoti ad amori, amicizie, dolori senza risparmiarti. Tu che hai morso, succhiato, scritto senza freni, senza timori, senza...
Senza.
Solo tu, la vita e 'domani è un altro giorno'. E poi?
Arrivo io.
Che capriole ho fatto per riafferrare la tua mano! E tu che fai? Tentenni? Perché hai paura di farmi del male? Perché adesso hai scoperto una nuova dimensione, quella spirituale? E tutto ciò che è umano, fatto di carne ed ossa, tangibile, ti distoglie dal divino?
Ma vaffanculo Gaetano!
Come cocaina dopo una notte di sudori d'astinenza hai visto i miei abbracci: erano solo abbracci.
Eroina sparata in vena ti saranno sembrate le mie parole d'affetto: era solo amicizia.
Ora cosa dovrei confessarti? Che sei uno stupido? Ah, no, questo lo sai e, comunque, te l'ho detto con modi gentili e non.
Monosillabi per raccontarmi di te. Poi incoraggiamenti, tirate d'orecchie, spintoni.
"Wow brava" per darmi la forza di credere in me.
"Approfondisci. L'ispirazione non scende dal cielo, è dentro di te. Fammi leggere qualcosa domani. Di adeguato!" tutto per farmi tornare a vivere, a scrivere.
Sai che, ora che non ci sei più, devo ricominciare da zero?
Sì che lo sai, e ridi.
Tu porgevi la mano e io mi ci aggrappavo, provando a tirarti verso di me. Il brillio nei tuoi occhi, una parola più serena 'ce l'ho fatta' mi facevano credere. Invece no.
Un passo avanti, tre indietro.
Una sigaretta, fumo, e tornavi a chiuderti in te.
Oltre i muri che alzavi tra noi ho visto i tuoi occhi sinceri, ho toccato la tua anima.
Il mio sfiorarti ti ha confuso, ti ha segnato?
E ora cosa dovrei dirti? Che un casanova come te non poteva che morire il 6 luglio, giornata mondiale del bacio? L'hai fatto apposta, vero? Volevi fare il simpatico anche l'ultimo giorno qui sulla terra.
Perché tu sei così, ti diverti a prenderci in giro.
Quanti schiaffi ti darei! Poi vediamo se hai ancora voglia di scherzare.
Basta, faccio un caffè, perché fu proprio un post sul caffè a farci incrociare tanti anni fa, su questo sito, nel forum dei poeti. Magari senti l'odore e bussi alla mia porta... ma non so se ti apro. Oggi non voglio parlare con te, non sono presentabile - come dici tu quando rifiuti le mie videochiamate.
Ti lascerò lì, sul pianerottolo, col profumo che ti solletica il naso. Farò finta che a bussare è quel noiosissimo rappresentante della Folletto che, la settimana scorsa, voleva a tutti i costi vendermi il loro ultimissimo prodotto.
Inutile che continui a bussare, fastidioso più di quel venditore. Non ti apro.
Anzi no, ti apro e ti getto le braccia al collo, a tradimento, per darti tutti i baci che sono rimasti incastrati tra i forse e i chissà. Perché so che a te dà fastidio ma, in fondo, quel contatto improvviso e giocoso lo aspetti da quando ci siamo ritrovati.
E ti darò i baci, quelli incastrati. Incastrati come ti sei incastrato tu nella mia trachea a spezzarmi il fiato. Non vai più giù.
Nodo in gola, dicono i romantici.
Noduli alla tiroide, ha diagnosticato l'endocrinologa.
Amico morto, dico io.
Sei andato via raccontandomi poco.
"Domani ti spiego" e poi mi distraevi facendo il giocoliere con le parole. Il domani ora non c'è più.
"Ho paura di turbarti, di destabilizzarti" e hai scritto una poesia su di me, per me. Per noi.
Eri tu a non essere stabile, ma non hai voluto appoggiarti a me.
Orgoglioso fin quasi a rasentare la superbia.
Vanitoso e dal sorriso disarmante.
Ci ritroveremo all'inferno e lì non mi scapperai!
O hai già corrotto san Pietro con un pacchetto di Lucky Strike e un amarone per ottenere un posto in paradiso?
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Eccomi qui, Gaetano, a scriverti una nuova lettera.
Non interrompermi. Continua a fumare e a guardarmi con gli occhi a fessura.
...inutile, non ci riesco.
Ho proprio tutto bloccato.
Il pensiero la mano il fiato.
A tratti, come il segnale radio nei giorni di bufera, quando le canzoni...
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24/05/2024 17:36:16
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Tra costole e cuore
23 maggio 2024 ore 18:07 segnalaSeduta sul divano, giallo e un po' troppo morbido, a guardarmi intorno, con le tazzine di caffè ormai vuote e nella stanza il profumo scuro e tostato a unire chiacchiere. Perché a noi il caffè piace carico e in compagnia.
Sorridi e storci il naso ogni volta che aggiungo due cucchiaini di zucchero al nero fumante, che tu ami sorseggiare amaro perché, dici, così ne gusti al vera anima, convinto come sei che solo l'amarezza ci fa capire il vero valore di ogni cosa.
Caffè o vita che sia.
Ho sotto le mani la stoffa ruvida e tra i piedi il cane, accucciato, che mi solletica le caviglie col suo pelo lungo.
L'odore stropicciato dei fogli, carichi delle nostre parole, si mischia a quello acre e terribilmente fastidioso delle sigarette. Continui a soffiarmi in faccia fumo bianco ed è insopportabile la sua durezza che s'infila su per il naso, graffiandomi via odori ben più piacevoli. Come quello della tua pelle che sa di borotalco.
Non lo sopporto, non ti sopporto!
Sembra quasi ti diverta vedere i miei occhi lacrimare dolorosi.
Sento una stilla scivolar giù - sa di sale e rabbia -, ma non smetti di fumare. Mi guardi, sorridi e con un dito fermi la corsa di quella goccia trasparente. Delicato il contatto, avverto la morbidezza del polpastrello che preme sulla guancia arrossata dall'emozione e calda di tenerezza.
Mi si annebbiano i pensieri (non solo per le tue sigarette).
I rumori del mondo di fuori entrano dal balcone aperto e distraggono questo momento di complicità. Sento le voci chiassose dei bambini che giocano giù in cortile, sulle altalene colorate, sotto gli alberi di un verde ormai fuori stagione.
Perché non scendiamo anche noi a godere di questo tiepido sole che sa di primavera? Vien voglia di andare al mare e gettarsi sulla sabbia, senza telo, perché voglio farmi graffiare la pelle e sentire i granelli infilarsi scostumati nella trama del tessuto del costume, quasi a voler riempire e consolidare ogni spazio. Come il pensiero di te - improvviso e non richiesto - che s'insinua tra costole e cuore.
La sabbia comincia a pizzicare. Ho bisogno di farmi avvolgere dall'acqua fresca del mare, che mi abbraccia come non fai tu, e poi, quando ci stendiamo ad asciugarci, sentiamo il sale che si cristallizza sulla pelle tirandola piano, rivestendoci di una patina bianca. Vien voglia di tuffarsi di nuovo anche se ora l'acqua è più fredda, ma tanto é solo appena entri. Non fare tutte quelle smorfie!
Buttati con me senza pensar troppo ai brividi, alla pelle che si fa ruvida quasi fosse spaventata, a quanto siamo incoscienti e felici.
Piano piano vedrai che ti ci abitui - all'azzurro, al freddo, ai miei abbracci - e resti a mollo fino a quando il sole non c'è più.
E. V.
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Seduta sul divano, giallo e un po' troppo morbido, a guardarmi intorno, con le tazzine di caffè ormai vuote e nella stanza il profumo scuro e tostato a unire chiacchiere. Perché a noi il caffè piace carico e in compagnia.
Sorridi e storci il naso ogni volta che aggiungo due cucchiain...
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23/05/2024 18:07:20
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Per amorevole dispetto
16 maggio 2024 ore 22:18 segnala"Io mi fido più di te che di me. Ti sto cercando ma è nebbia fitta. Io sto distratta tu sei serio, ognuno tra i pensieri suoi..."
Scomodare i The Kolors per parlare di te ti farà andare su tutte le furie! Tu, intellettuale anche nei gusti musicali; io che, al contrario, mi lascio andare e mi faccio catturare anche da sonorità meno elevate e da frasi quasi nascoste.
Ma te la dedico questa canzone, nonostante tutto.
Per amorevole dispetto.
Così magari ti sciogli un po'!
Tu, quello serio: il Poeta che accarezza anime e fa inturgidire capezzoli con le sue parole, semplicemente, tra trascendente e carnale.
Io, distratta ancora adesso dai tuoi occhi, a metter scompiglio nei tuoi lontani pensieri con musica e risate. Perché voglio che quei pensieri fitti danzino con i miei - sconnessi.
Ma ora basta, che questo mio ostinato cercarti tra la nebbia fa male a te e consuma me. Inutilmente.
C'è vita fuori: oltre il mio dolore, oltre i tuoi silenzi.
"Almeno tu hai sempre ragione. Quante domande ti farei che ho un tatuaggio da rifare perché non mi piace più. La cosa che mi fa incazzare è quando non mi parli più e il mondo sembra tutto uguale"
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"Io mi fido più di te che di me. Ti sto cercando ma è nebbia fitta. Io sto distratta tu sei serio, ognuno tra i pensieri suoi..."
Scomodare i The Kolors per parlare di te ti farà andare su tutte le furie! Tu, intellettuale anche nei gusti musicali; io che, al contrario, mi lascio an...
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16/05/2024 22:18:41
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Zagare
06 aprile 2024 ore 19:28 segnalaLe zagare e il profumo di limoni mi ricordano la tua pelle.
Le tue parole, aspre, piovono sulle mie braccia, sul mio seno.
Tutto brucia.
Negli occhi tuoi mi hai fatta entrare a gocce, nei tuoi ricordi mi sono immersa come onda.
Affamata e solitaria.
Sulle mie dita ancora il tuo sapore di muschio, e le parole che rincorrono quel tuo sorridermi di nascosto. Cos'è che temi?
Se nel buio non ci sei, perché dovrei amare la notte?
Non devi sentirti stanco fino a quando ci saranno le mie braccia a stringerti i fianchi, né afflitto fino a quando la mia bocca avrà voglia di baciarti.
E. V.
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Le zagare e il profumo di limoni mi ricordano la tua pelle.
Le tue parole, aspre, piovono sulle mie braccia, sul mio seno.
Tutto brucia.
Negli occhi tuoi mi hai fatta entrare a gocce, nei tuoi ricordi mi sono immersa come onda.
Affamata e solitaria.
Sulle mie dita ancora il tuo sapor...
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06/04/2024 19:28:40
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Si cambia
23 marzo 2024 ore 20:44 segnalaDa disordinata cronica quale sono, uno dei periodi che più temo è quello del famigerato ‘cambio di stagione’! Soprattutto quando (come capita da qualche anno a questa parte) la stagione non si decide a cambiare.
Ti ritrovi così scatole riempite a metà, maglioni di lana che abbracciano vestiti leggeri e una gran confusione in cassetti e armadi. La stessa confusione che ho dentro di me… e sorrido perché il sole fa capolino fra le nuvole e posso, finalmente tornare a stendere i panni fuori, alle corde, e vederli danzare al vento.
Mi torna in mente mia nonna quando, io ragazzina, mi insegnava a stendere i panni “come si deve”; perché anche quella è un’arte e ci sono regole ben precise da rispettare. La vedo scuotere la testa dinanzi ai miei gesti troppo frettolosi; lei che ha sempre dato il giusto valore al tempo dando la giusta cura ad ogni cosa: il bucato, la terra da coltivare, i numerosi figli.
Con amore correggeva e sistemava i miei disastri.
Anche adesso avrei bisogno di qualcuno che mi aiuti a sistemare mente e disastri, ma è tardi: bisogna cucinare (come cazzo faceva mia nonna a trovare il tempo di fare tutto?).
E poi oggi c’è il sole.
E’ tempo di riporre l’inverno nella scatola e darsi alla nuova stagione con generosità: si rinasce!
E. V.
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Da disordinata cronica quale sono, uno dei periodi che più temo è quello del famigerato ‘cambio di stagione’! Soprattutto quando (come capita da qualche anno a questa parte) la stagione non si decide a cambiare.
Ti ritrovi così scatole riempite a metà, maglioni di lana che abbraccian...
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23/03/2024 20:44:30
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Con tutti i nomi
08 marzo 2024 ore 19:25 segnalaAlla libertà ritrovata,
alla libertà mai avuta.
A ciò che siamo
e a ciò che ci 'piegano'.
Che di mille nomi ne vestiamo uno solo:
Donna.
E. V.
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alla libertà ritrovata,
alla libertà mai avuta.
A ciò che siamo
e a ciò che ci 'piegano'.
Che di mille nomi ne vestiamo uno solo:
Donna.
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08/03/2024 19:25:06
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Il muro
07 febbraio 2024 ore 15:38 segnalaErano rientrati in gruppo in hotel, dopo la notte in discoteca: chiassosi, felici e sudati come sanno essere solo i diciottenni in gita scolastica. Per giunta la gita dell’ultimo anno, quello della tanto agognata maturità.
I prof, esausti, brontolavano rimproveri e raccomandazioni che si perdevano nel frastuono gioioso e disordinato.
Giulia si sentiva leggera e non la smetteva di canticchiare mentre con le sue amiche entrava nella hall, spingendosi e scherzando.
Nessuno poteva immaginare che, nel giro di un istante, i loro sorrisi si sarebbero trasformati in incredulità. La professoressa di filosofia stava dicendo, con voce cupa, che Giorgio – il trascinatore, quello con la battuta sempre pronta – si era sentito male ed era stato portato in ospedale; si temeva avesse avuto un arresto cardiaco, preoccupante in un ragazzo così giovane.
Giulia corse a nascondersi in un angolo buio del corridoio – non voleva mostrare le sue lacrime –; Giorgio era il suo migliore amico. Nessuno si accorse di lei, poggiata a quella parete quasi volesse confondersi col buio. Attonita, senza forze, le spalle schiacciate al muro e gli occhi che bruciavano, non sentì i passi di Nico che l’aveva seguita fin lì. Si accorse di lui solo quando le sussurrò “Non aver paura, si sistemerà tutto”.
Lo guardò mentre il dolore si scioglieva in una nuova lacrima.
Solo allora Nico si avvicinò e le posò un bacio dolcissimo tra la guancia e il collo, lungo la scia umida della tristezza.
Giulia chiuse gli occhi e sentì il fiato caldo accarezzarle la pelle e quelle labbra morbide e audaci che, nel trattenersi un secondo di più, le avevano sospeso il respiro in un battito che aveva scosso tutto il suo corpo.
Così strano – forse inopportuno – provare questo languore in un momento tanto doloroso… per un attimo si sentì quasi in colpa. Si spostò piano scivolando contro il muro, per non dover sfiorare il corpo di Nico, ma lui la trattenne afferrandole il polso e poggiando l’altra mano acanto alla sua spalla. Quel contatto, improvviso e spontaneo, le fece mancare la terra sotto i piedi e l’aria si riempì del profumo delle loro emozioni – calde, palpabili – fuse in un unico istante di memoria infinita.
Mai si sarebbero ritrovati tanto vicini: era la loro sola occasione per scambiarsi la pelle e non lo sapevano.
Giulia sorrise, gli si buttò tra le braccia baciando le sue labbra – dura e senza diritto di replica.
Poi corse via e si fece inghiottire dal buio, lasciandolo a sorreggere il muro, ancora caldo di lei.
E. V.
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Erano rientrati in gruppo in hotel, dopo la notte in discoteca: chiassosi, felici e sudati come sanno essere solo i diciottenni in gita scolastica. Per giunta la gita dell’ultimo anno, quello della tanto agognata maturità.
I prof, esausti, brontolavano rimproveri e raccomandazioni ch...
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07/02/2024 15:38:31
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Il treno
03 gennaio 2024 ore 12:32 segnala
"Scrivi qualcosa di più allegro!" le aveva sorriso Lola guardandola con gli occhi speranzosi. Avrebbe voluto, ma ce l'aveva appiccicata addosso quella malinconia - una seconda pelle. Non riusciva a toglierla, non voleva. Ci stava comoda, come quando indossi quel pantalone ormai senza forma e la maglia piena di pelucchi: sono logori, ti invecchiano, ma - cazzo! - Sono così comodi che ci andresti persino a dormire. Se li togli non ti senti più tu.
E Aby non voleva svestirsi del suo dolore, perché senza si sentiva nuda.
"Oh, ma ne scrivo di cose allegre" rispose voltando le spalle a nascondere il viso. Lola era brava a leggerle negli occhi e vi avrebbe visto ombre e fatica.
Quante volte si erano strette per non piangere, amiche da una vita come fossero nate nella stessa casa.
Così diverse, non potevano fare a meno l'una dell'altra. Anche quando litigavano... e come se litigavano! Non si risparmiavano parole e spallate, occhiatacce e verità scomode; ma poi eccole dinuovo così - una sigaretta in due - a cercare di ritrovarsi un po'.
Da qualche mese Aby aveva ricominciato a prendersi cura di lei; prima piccole cose, attenzioni e ore in cui pensava solo a se stessa. Poi brevi viaggi, ma non lo aveva detto a Lola, per paura di non essere compresa; perché quei treni la portavano, a volte, molto lontano.
Fino a perdersi.
Le piaceva abbandonarsi a quel dondolio. Il paesaggio fuori, che correva e cambiava di continuo, le calmava i pensieri. Silenziava per un po' il ronzio....quello che aveva sempre in testa, e nelle mani. Quel ronzio che Xavier aveva intuito e che lo aveva turbato perché non riusciva a scoprirne l'origine e, soprattutto, perché quel ronzio rendeva inquieta Aby, e sfuggente, e insoddisfatta.
E la allontanava da lui.
Da quando era andato via, Aby aveva ricominciato a viaggiare. In treno, perché vagoni e il rumore metallico delle ruote sulle rotaie la facevano tornar bambina.
E le sembrava quasi di riuscire a raggiungerlo... ovunque fosse.
Ogni viaggio la portava un po' più vicino a lui, anche se poi arrivava il momento di tornare a casa e Xavier spariva di nuovo.
Quanto le mancava!
Era questa la sua malinconia. Come faceva a spiegarlo a Lola? Era un dolore troppo profondo e irragionevole, inspiegabile persino a se stessa.
Le era mancato il coraggio, anche se l'amica, pur senza saper nulla, aveva capito e aveva cercato in tutti i modi di allontanarla da quel ricordo che la affaticava.
Per questo Aby aveva deciso di viaggiare da sola: lei, il profumo di Xavier e, di tanto in tanto - quando la tristezza la soffocava oltremodo -, un uomo con cui passare qualche ora di passione sfrenata.
Le piaceva abbandonarsi completamente; anestetizzare la mente che mordeva con baci duri e mani sempre più audaci.
Nuda.
Libera si offriva senza perbenismi né falsi pudori. Voleva vedere la fiamma della follia, e di una fame insaziabile, negli occhi dell'amante che aveva la fortuna di trascorrere con lei poche ore o una notte intera. Quella stessa fame che la corrodeva da dentro.
Si apriva, morbida e meravigliosa. Porgeva la sua bocca e il suo frutto maturo a colui che , in quei momenti, era il suo uomo. Aby amava con una sensualità travolgente, di fiati spezzati e capelli madidi di sudore. Senza tempo, senza pensare a nulla che non fossero due corpi uniti in un delirio di sensi. Solo così si sentiva più bella, più vera.
E la morsa allo stomaco si scioglieva.
E.V.
E Aby non voleva svestirsi del suo dolore, perché senza si sentiva nuda.
"Oh, ma ne scrivo di cose allegre" rispose voltando le spalle a nascondere il viso. Lola era brava a leggerle negli occhi e vi avrebbe visto ombre e fatica.
Quante volte si erano strette per non piangere, amiche da una vita come fossero nate nella stessa casa.
Così diverse, non potevano fare a meno l'una dell'altra. Anche quando litigavano... e come se litigavano! Non si risparmiavano parole e spallate, occhiatacce e verità scomode; ma poi eccole dinuovo così - una sigaretta in due - a cercare di ritrovarsi un po'.
Da qualche mese Aby aveva ricominciato a prendersi cura di lei; prima piccole cose, attenzioni e ore in cui pensava solo a se stessa. Poi brevi viaggi, ma non lo aveva detto a Lola, per paura di non essere compresa; perché quei treni la portavano, a volte, molto lontano.
Fino a perdersi.
Le piaceva abbandonarsi a quel dondolio. Il paesaggio fuori, che correva e cambiava di continuo, le calmava i pensieri. Silenziava per un po' il ronzio....quello che aveva sempre in testa, e nelle mani. Quel ronzio che Xavier aveva intuito e che lo aveva turbato perché non riusciva a scoprirne l'origine e, soprattutto, perché quel ronzio rendeva inquieta Aby, e sfuggente, e insoddisfatta.
E la allontanava da lui.
Da quando era andato via, Aby aveva ricominciato a viaggiare. In treno, perché vagoni e il rumore metallico delle ruote sulle rotaie la facevano tornar bambina.
E le sembrava quasi di riuscire a raggiungerlo... ovunque fosse.
Ogni viaggio la portava un po' più vicino a lui, anche se poi arrivava il momento di tornare a casa e Xavier spariva di nuovo.
Quanto le mancava!
Era questa la sua malinconia. Come faceva a spiegarlo a Lola? Era un dolore troppo profondo e irragionevole, inspiegabile persino a se stessa.
Le era mancato il coraggio, anche se l'amica, pur senza saper nulla, aveva capito e aveva cercato in tutti i modi di allontanarla da quel ricordo che la affaticava.
Per questo Aby aveva deciso di viaggiare da sola: lei, il profumo di Xavier e, di tanto in tanto - quando la tristezza la soffocava oltremodo -, un uomo con cui passare qualche ora di passione sfrenata.
Le piaceva abbandonarsi completamente; anestetizzare la mente che mordeva con baci duri e mani sempre più audaci.
Nuda.
Libera si offriva senza perbenismi né falsi pudori. Voleva vedere la fiamma della follia, e di una fame insaziabile, negli occhi dell'amante che aveva la fortuna di trascorrere con lei poche ore o una notte intera. Quella stessa fame che la corrodeva da dentro.
Si apriva, morbida e meravigliosa. Porgeva la sua bocca e il suo frutto maturo a colui che , in quei momenti, era il suo uomo. Aby amava con una sensualità travolgente, di fiati spezzati e capelli madidi di sudore. Senza tempo, senza pensare a nulla che non fossero due corpi uniti in un delirio di sensi. Solo così si sentiva più bella, più vera.
E la morsa allo stomaco si scioglieva.
E.V.
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"Scrivi qualcosa di più allegro!" le aveva sorriso Lola guardandola con gli occhi speranzosi. Avrebbe voluto, ma ce l'aveva appiccicata addosso quella malinconia - una seconda pelle. Non riusciva a toglierla, non voleva. Ci stava comoda, come quando indossi quel pantalone ormai senza forma e la...
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03/01/2024 12:32:09
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