Ma da ragazza parlavamo di “autocoscienza”. Questo lo ricordo … Ci trovavamo, gruppo di donne semi incazzate, e anche no, a parlare, a raccontare e a raccontarci, a farci forza, a tirare fuori cose che avevamo dentro e che credevamo “peccato”. Per poi scoprire che peccato non era, che sbagliato in fondo non era. Che eravamo donne, e, prima che tutto, persone, esseri umani. Non dotate di infallibilità.
Si parlava delle proprie esperienze, positive (raramente) e negative (quasi sempre). La tendenza a nascondere, per vergogna, molte esperienze negative fa si che queste assumano proporzioni enormi, quasi bibliche, perdendo adesione con la realtà o con il fatto reale in sé.
Credo che l’esperienza avuta mi abbia, seppur un minimo, fortificata. Anche se non penso di essere, oggi, una persona forte, ma certo spesso consapevole, il che non è poco…

Ho realizzato, sulla base di queste premesse, la mia natura “accogliente”. Cosa significa? Non solo aprire la propria porta (di casa) ed essere gentile ed ospitale con chi vi entra, ma più in generale accettare le persone, tentarne la comprensione, essere tollerante nei confronti degli altri, avere capacità di ascolto. Non è una cosa che ho imparato in fretta, forse devo ancora perfezionarmi… ma anche no… perché, purtroppo troppo spesso l’accoglienza viene travisata, usata, manipolata. E questo è male.
Mi rendo conto che continuo, nonostante tutti i miei buoni propositi da agnostica, o forse atea, a fare distinzione tra il bene e il male, che so con quasi certezza essere concetti prettamente religiosi. Però devo riconoscere che rende molto, usare quelle parole. E ciò che è male, capisco bene cos’è, specie se mi riguarda.
Ecco, devo ancora decidere se il mio essere accogliente sia un pregio, oppure un difetto.
Risposta? ;-)
Cle