SCREAM
03 aprile 2015 ore 21:02 segnalaCaro S,,
te lo devo proprio dire, ogni tanto avrei bisogno di ritornare nel “tuo posto”.
Ti ricordi come l’ho scoperto?
Quel giorno avevo appena saputo. Dopo la telefonata mi sdraiai sul letto e comincia a fissare il soffitto, contai una a una tutte le piccole sfere di vetro che componevano quell'orrendo lampadario. Le contai una, due, tre volte ... Poi mi arresi, il totale non tornava mai.
Quando entrasti provasti a toccarmi un braccio e ti scansai infastidita chiedendoti di andartene. Tu ti sedesti sull'altrettanto orrenda poltrona che era nell'angolo e cominciasti a guardarmi senza proferire parola. Dopo circa 5 minuti di totale silenzio io mi voltai rabbiosa e ti chiesi di lasciarmi sola. La tua risposta fu "Non ci penso nemmeno e lo sappiamo entrambi che non riuscirai a cacciarmi fuori a forza visto che peso il doppio di te". Sentii montare la rabbia dentro come faceva sempre, piano piano, partiva dalle gambe, mi lacerava lo stomaco e poi saliva su fino a scoppiarmi nella testa.
"Ok, allora se non te ne vai tu lo faccio io!". Tu ti parasti di fronte alla porta incrociando le braccia e dicesti " Di qua non esci bambina, se vuoi uscire ti porto io in un posto, il mio posto".
Penso che se Dio o chi per esso mi avesse dotato di una qualsiasi facoltà mentale che mi permettesse di sbatterti al muro, credimi quella volta l'avrei usata. Invece sapevo perfettamente che saresti rimasto lì anche tutta la sera e io avevo disperatamente bisogno di uscire da quella stanza, allora ti dissi "Ok portami dove vuoi, ma NON DIRE UNA CAZZO DI PAROLA!" E lo dissi quasi sottovoce, il che, per chi mi conosceva, era un chiaro segnale che non stavo affatto scherzando.
Uscii e salii in macchina sbattendo la portiera così violentemente che quasi mi spaventai io stessa della forza che ci misi. Indossai le cuffie, alzai il volume a un livello assurdo, infilai il cappuccio della felpa, portai le ginocchia al petto e ci nascosi la testa in modo da non vedere nemmeno in che direzione saremmo andati. Dissi semplicemente "Parti coglione!". Dopo circa mezz'ora di tragitto cominciai a intuire che ci stavamo avvicinando al mare. Dal finestrino si sentiva il tipico odore salmastro che lì d'inverno era ancora più forte. Cercai di sbirciare senza farmi vedere, ma OVVIAMENTE te ne accorgesti. "Bambina torna pure a fare il broncio per ancora per 5 minuti, parcheggio e siamo arrivati". Mille diverse imprecazioni possibili mi ruggivano dentro.
Fermasti la macchina e mi dicesti di scendere, io feci finta di non sentire, mi togliesti le cuffie le gettasti sul sedile posteriore, mi voltai verso di te e ti guardai come si guarderebbe un avversario su un ring, occhi negli occhi, solo che i miei credo fossero, metaforicamente, iniettati di sangue. Dissi ironicamente "Ok scendiamo, se il coglione dice che dobbiamo scendere scendiamo!"
Quella parola, “coglione”, sai quanto dannatamente terapeutico è ripeterla in continuazione quando sei incazzata? Troppo!
Scesi e cominciai a camminare a una velocità assurda verso la spiaggia, e poi ancora, verso la battigia, e poi ancora fino a lambire l'acqua con le scarpe già inzuppate. Mi fermai anche se non avrei voluto. Davvero S. … Non avrei voluto. L’acqua ha sempre esercitato un potere calmante su di me.
Rimasi così nella penombra del crepuscolo per almeno 20 minuti, impietrita davanti a quella distesa gorgogliante, nonostante il vento mi sferzasse violentemente. Trasalii quando mi cingesti le spalle da dietro. Provai a staccarmi, ma lo feci senza nessuna convinzione e tu stringesti un po’ più forte, quel tanto che bastò per far cadere qualsiasi resistenza.
Mi sussurrasti "Urla". Non risposi. "Urla!" ... "Smettila". E tu di nuovo a voce alta. "URLA CAZZO!".
E io urlai.
Urlai con tanta di quella forza che mi sconquassò il petto, con tanta forza che le gambe quasi non mi ressero, urlai e mi svuotai completamente. Restammo così per qualche minuto, io con il fiato corto e il tremore per il freddo e tu che mi stringevi sempre più forte per non farmi cadere.
Alla fine mi prendesti in braccio e mi dicesti “Ora ti porto a casa, togli queste scarpe bagnate, ti sistemi i capelli che sono un disastro, e noi lo sappiamo che questo è un problema, poi potrai stare sola tutto il tempo che ti serve, io sarò nella mia camera ad aspettare che tu venga a raccontarmi quale sarà in tuo piano questa volta, come sempre ti inventerai qualcosa, lo sappiamo che sarà così. Solo ogni tanto concediti 5 minuti prima di elaborarlo" E mi facesti l'occhiolino.
Devo proprio dirtelo S., il “tuo posto” era magico, tutti avrebbero bisogno di un posto come quello, un posto dove stare zitti e semplicemente urlare.
Miss you ...
Night Bro.
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Caro S,,
te lo devo proprio dire, ogni tanto avrei bisogno di ritornare nel “tuo posto”.
Ti ricordi come l’ho scoperto?
Quel giorno avevo appena saputo. Dopo la telefonata mi sdraiai sul letto e comincia a fissare il soffitto, contai una a una tutte le piccole sfere di vetro che comp...
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03/04/2015 21:02:37
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Commenti
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alfagti 26 aprile 2015 ore 10:26
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apa.che25 03 agosto 2016 ore 11:25
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