ARZANAH (2)

16 marzo 2016 ore 09:02 segnala


scritto da Odirke, 04 luglio 2013 ore 00:28


N.B.: il primo capitolo è ormai stato cancellato dagli archivi Google


Quando mi risvegliai, il giorno dopo, ero circondato da una miriade di cuscini sofficissimi. Il letto enorme mi faceva sembrare piccolissimo riflesso nei vari specchi della stanza. Mi affacciai dal balcone di quell’albergo sontuoso e vidi ospiti di varie nazionalità ed etnie divertirsi nella piscina.
La colazione fu all’altezza della struttura. Non ricordo di aver mai mangiato così tanto come quella volta. Le tentazioni non finivano mai, ed io, oltretutto, andavo pazzo per i dolci.

Diego mi riportò con i piedi per terra, con il suo immancabile sorriso, illustrandomi il programma della giornata. Ero convinto di andare a bordo quello stesso giorno. Ma non era così.

Ogni marittimo, prima dell’imbarco, viene sottoposto ad una visita medica che si somma a quella più dettagliata ed obbligatoria da effettuare ogni biennio. Prima di partire avevo fatto quest’ultima, risultando idoneo. Diego mi spiegò invece che per potere lavorare in quel Paese, ed ottenerne la cittadinanza temporanea necessaria, avrei dovuto essere sottoposto a tutta una serie di esami e controlli clinici. Il tutto sarebbe durato quasi una settimana.

Quel mattino avrei dovuto essere “esaminato” ed i restanti quattro/cinque giorni avrei dovuto rimanere in attesa dei risultati. Se fossero andati bene avrei proseguito per la nave. Altrimenti sarei stato rispedito in Patria come ospite non gradito.

A Genova di tutta questa procedura non mi accennarono nulla. Mi feci un appunto mentale da riportare quando fossi rientrato, e con i dovuti vaffanculo, ai Cosulich.

Pensavo alla colazione luculliana appena consumata. “Ma non dovrei andarci a digiuno?”. “Non ti preoccupare Paolo, comincerai con le radiografie e tutto il resto. Quando inizierai le analisi del sangue avrai già digerito”.

E così fu. In quell’ospedale immenso e modernissimo in puro stile americano seguivo le righe colorate che mi portavano ai vari reparti sparsi per i piani di quel “General Hospital”. Mi chiesi se il daltonismo non era contemplato a quelle latitudini. Nessuna attesa. Nessun paziente in giro snervato da code o numerelli per la fila. Un tour senza soluzione di continuità. Iniziai alle 10. Finii alle 18. Credo che non un solo centimetro cubico del mio corpo sia sfuggita al controllo medico. Assoluta efficienza sanitaria.

E non solo. Mi furono prese anche le impronte digitali.

Ritornai all’albergo sfinito. Ripensando anni dopo a quella giornata, sorrido di fronte al gracchiare “garantista” di certa politica che ritiene uno scandalo controllare e schedare la marea di clandestini che arriva quotidianamente sulle nostre coste.

Ora non rimaneva che attendere i risultati.

Il mio anfitrione mi disse che potevo tranquillamente passare le giornate di attesa come un semplice turista. Bastava seguire semplici regole.
Non sfoggiare simboli cristiani (collanina e crocifisso li riposi in valigia). Non fumare per strada, era il periodo di Ramadan (pacchetto di MS lasciato nel cassetto della stanza). Non fotografare perché per sbaglio avrei potuto immortalare qualche obiettivo sensibile o qualche persona suscettibile (la macchina fotografica la lasciai comunque a casa, di questo ero già stato avvertito dai genovesi).

Si raccomandò che ritornassi in albergo non più tardi delle sette di sera e di usare sempre i taxi, molto economici in quella città.

Dopo quel decalogo da “sta fuori dai guai”, mi misi a tavola per cenare. Guardai stupito i 5 bicchieri, le 12 posate i 4 piatti davanti a me. Ed i tre camerieri di servizio esclusivo al mio tavolo che mi fissavano. Ma non perché fossi chissà quale personalità. TUTTI i tavoli del salone ristorante erano “armati” così. Mi sentivo un po’ Fantozzi in quella situazione. Percepivo gli occhi degli inservienti puntati addosso, pronti a biasimare la scelta sbagliata di un cucchiaio o di un bicchiere. Ma dovevano averlo capito perché con mio sollievo suggerivano loro stessi gli “attrezzi” da usare. Mangiai con crescente imbarazzo e disagio alcune specialità della casa. Non facevo in tempo a finire l’acqua che subito uno dei tre, Mohammed, me lo riempiva di nuovo. Così come i piatti. Per celare il mio malessere mi guardavo in giro osservando gli altri commensali con la speranza che pure loro non fossero a proprio agio come me. Nulla. Sembravano tutti abituati a quello stile. Americani, inglesi, italiani, olandesi, brasiliani, giapponesi… sembrava una riunione dell’ONU. E io mi sentivo fuori posto. Decisi che sarebbe stata “l’ultima cena” li. E pregavo che la città si fosse occidentalizzata abbastanza da offrire dei Mc Donalds per i disperati come me.

I giorni li passai passeggiando tra le vie di Abu Dhabi, i suoi negozi magnificenti, le strade stile americano a più corsie. Tra gli innumerevoli giardini curati all’inverosimile ed annaffiati dalla mattina alla sera da un esercito di giardinieri. I grattacieli davano l’impressione di trovarsi a Chicago, ma la vista delle moschee ed il canto del Muezzin mi facevano ricordare il luogo su cui stavo camminando. Imparai a conoscere il kebab. Che mi permise di evitare imbarazzi all’Hotel. Mi rifornii di tutte le schifezze possibili e immaginabili per un eventuale crisi di fame notturna. Cioccolate, caramelle, succhi. Avrei potuto resistere anche all’assedio di Lawrence d’Arabia. Imparai a salutare. Salam Aleikum. Aleikum Asalam.

In albergo conobbi altri connazionali. Erano muratori ed artigiani di Bergamo e Brescia. Erano li per la costruzione del nuovo municipio di Abu Dhabi. Il loro racconto, su come era stato progettato quell’edificio pubblico, avrebbe fatto impallidire anche l’architetto del Taj Mahal. Lampadari in vetro di Murano. Marmi di Carrara. Maniglieria in oro lavorato nel Veneto. Un made in Italy che avrebbe dovuto inorgoglirmi, ma che mi lasciò l’amaro in bocca. Ricordo ancora la visita a bordo dello yacht “Nabila” proprietà dello sceicco Kashoggi a Livorno. I miei occhi di studente non avrebbero mai dimenticato lo sfarzo ed il lusso di quella imbarcazione.

I lavoratori padani, già da mesi in servizio in quelle terre, mi dettero qualche altra dritta utile. Per telefonare a casa avrei risparmiato andando all’ufficio postale centrale.
Mi ci feci portare da un taxi.

E trovai l’autista più chiacchierone di tutto il medio-oriente. Nella mezz’ora di tratta mi ubriacò con le storie più bizzarre che variavano dalla sua famiglia, ai suoi otto figli, alle tre suocere, al cane… stavo per vomitare dal finestrino quando di colpo frenò facendo ululare i pneumatici come lupi feriti. Mancò poco che andassi a finire in strada passando dal parabrezza. Alzai gli occhi e vidi un SUV enorme e scintillante che ci bloccava il passo, appena uscito da un garage. Al volante un signore con la tonaca bianca, una barba lineare che sembrava tagliata con le squadrette ed in testa il classico copricapo bianco fasciato da una cordicella nera. Ci guardava sprezzanti.

Lo spirito italico si impossessò subito di me e stavo abbassando il finestrino per gridare, a quell’idiota che ci aveva tagliato la strada, tutto il vernacolo vulgaris labronico che avevo in mente. L’autista del taxi posò di colpo il braccio sul mio petto guardandomi terrorizzato. “Arab ! Arab!” mi disse quasi sottovoce riferendosi al bastardo. “E allora ? te che sei, non sei arabo pure te ??”.

E mi spiegò. Negli Emirati Arabi, i nativi erano come semidei. Tutti sceicchi o parenti di questi. Nessuno di loro lavorava. E chi lo faceva era solo per dirigere la stanza dei bottoni delle multinazionali legate al petrolio. Tutti gli impieghi “normali”, i negozianti, i tassisti, camerieri, giardinieri, ragionieri… erano a beneficio di immigrati per la maggior parte provenienti dai paesi islamici di tutto il mondo. Nordafricani, pakistani, libanesi, filippini, palestinesi, indonesiani… Mi aprii gli occhi. Era proprio vero. Facevo mente locale ai negozi visitati. Ai lavoratori dell’albergo. Non ce n’era uno che uno che fosse “made in Emirates”.

E questi lavoratori erano terrorizzati dai “padroni”. Vittime di un razzismo che non avrei mai osato immaginare e che mi ha fatto capire, ancora di più, l’impossibilità da parte del popolo arabo di poter vincere la coesione e la forza di unione israeliana.

I giorni passarono ed arrivò l’esito del mio tour ospedaliero. Era tutto a posto. Guardando le cartelle degli esami notai anche la sigla HIV. Domandai a Diego se avessero fatto anche il controllo sull’AIDS. Rispose affermativamente come se per lui fosse la cosa più naturale del mondo. Ero allibito.

Insieme alle cartelle mi consegnò una specie di passaporto che mi sarebbe servito durante la mia permanenza in quel Paese. Era tutto scritto in arabo, per quanto mi riguarda poteva esserci scritto di tutto. L’unica cosa riconoscibile era la mia foto.

Il viaggio proseguiva dunque. Per raggiungere la nave dovevo sorbirmi altre due ore di volo.

Al gate di partenza ero l’unico passeggero. E questo mi inquietò non poco. Il pullman che dal terminal mi doveva portare al velivolo sembrava volesse portarmi a destinazione direttamente. Non si fermava mai. Passò davanti al primo boeing e mentalmente mi dicevo “accidenti, un jumbo tutto per me!”. Ma non si accostò. Fu la volta di un airbus, ma anche in quel caso l’autista del mezzo mi fece capire che non era la meta. Sfilarono una decina di aerei sempre più piccoli. Fino a quando l’autobus parcheggiò accanto ad un Piper. “Cos’è uno scherzo ?” dissi in inglese. Lo sguardo truce dell’operatore portuale non lasciava adito a dubbi.
Dovevo salire su quel trabiccolo. Ecco perchè ero l’unico passeggero.

Salii sul sedile posteriore. Alle mie spalle, a diretto contatto, una rete di canapa tratteneva a stento le mie valigie. Davanti a me il Comandante ed il Copilota. Elegantissimi in impeccabili divise color kaki. 2 piloti ed un passeggero ??

Fuori dall’abitacolo due ali ed un’elica che sembravano fragilissime.

Dentro di me l’inizio di un terrore che non volevo assolutamente mostrare. (continua).



Semper Fidelis
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16/03/2016 09:02:53
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Commenti

  1. xMARILYNx 16 marzo 2016 ore 09:24
    tutto il vernacolo vulgaris labronico che avevo in mente...... :many :many :many :many
  2. caryl 16 marzo 2016 ore 09:35
    per xMARILYNx eheh... peccato che il numero 1 e il numero 5 siano ormai spariti. e peggio ancora, nel numero 4 avevo fatto una ricerca pazzesca per trovare la foto della nave vera ma anche quel link è ormai disattivo e non si trova più. che delitto, vedi, non essere riusciti a salvare le cose per tempo.
    (crenabog)

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