
O.Dirke 19 settembre 2012 ore 01:38
A BORDO (aprile)
Tutto ricominciò da dove avevo iniziato. Questa volta ad accogliermi non c’era la caserma Duca degli Abruzzi, ma la Nave Scuola Amerigo Vespucci, ormeggiata all’Arsenale di La Spezia. Era il primo di aprile, la paura che qualcuno mi bussasse alla spalla e mi dicesse che il tutto era il classico “pesce” ancora mi pervadeva.
Arrivai al molo e ricordo di aver appoggiato per terra i pesanti zaini che mi facevano da fardello da due giorni. La guardai. Era stupenda. Maestosa. Gli alberi di Maestra, Mezzana e Trinchetto sembravano altissimi da quella prospettiva.
Intravedevo la fervente attività a bordo. Tutti sembravano occupati a fare qualcosa. Mi venne in mente la famosa “Facite ammuina” il falso decreto regio della Marina Borbonica in cui si ordinava...
“tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa
e chilli che stann' a poppa vann' a prora:
chilli che stann' a dritta vann' a sinistra
e chilli che stanno a sinistra vann' a dritta:
tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa
e chilli che stanno ncoppa vann' bascio
passann' tutti p'o stesso pertuso:
chi nun tene nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a 'll à”
E che doveva essere messo in atto in occasione di visite importanti. Ma non era così. Dopo la consueta sosta invernale, in cui tutto veniva rimesso a nuovo, la nave si stava preparando per la imminente Crociera di Addestramento estiva per gli Allievi dell’Accademia Navale di Livorno. Tutto doveva essere pronto per la partenza. Tutto curato nei minimi dettagli. Ogni cima (ce ne sono per oltre trenta chilometri a bordo) controllata e “curata”, le vele (quasi tremila metri quadrati) suddivise in tre mute dal valore (allora) di quattrocento milioni di lire l’una, ispezionate nei minimi dettagli. Gli ottoni, di cui la Vespucci è adornata in più parti, dovevano splendere sotto i raggi del sole. Duecentocinquanta persone di equipaggio occupate dai febbrili preparativi di quella che sarebbe stata una lunga stagione di navigazione attraverso il Mediterraneo prima (e senza Allievi) ed il Mare del Nord successivamente.
Per salire a bordo ci sono due scale. Le “scale reali”.
Una a poppavia, riservata agli Ufficiali ed un’altra a proravia per il resto della “ciurma”. Imboccai la seconda, ed a metà della salita mi voltai verso poppa. Salutai la bandiera, così come avevo visto fare agli altri.
Mi emozionai fino alle lacrime....
Il Corpo di Guardia alla fine delle scale, sul Ponte Principale, consisteva in uno scrittoio in legno, alto, che quasi nascondeva il sergente addetto alla registrazione delle entrate-uscite del personale. Gli consegnai i documenti contenenti miei “ordini”.
“Ah, la recluta. Ti aspettavamo” mi disse, atono. “Aspetta qui che chiamo Capo Sperandeo”. Annuii ed intanto mi guardavo intorno, sempre più rapito dalla bellezza di cui ero circondato. Come un bambino per la prima volta a Disneyland. Avevo paura di svegliarmi. Notai la targa sopra l’ingresso di quelli che dovevano essere gli alloggi Ufficiali. “Non chi comincia ma quel che persevera ” c'era scritto. Il motto della Vespucci. Ogni nave militare ne ha uno. Quello mi piaceva. Lo condividevo.
Il Capo Radarista mi venne incontro sorridendo. Era minuto come una marionetta. Una massa di capelli riccioli neri, impressionante per essere un militare, su cui fluttuava il cappello come fosse un aliante sulle nuvole. “Ciao, Paolo. Benvenuto a bordo”. E cominciò a spiegarmi cosa mi avrebbe aspettato nei prossimi giorni.
“Gli unici radaristi a bordo siamo io e te, ed il radar è uno solo, preistorico oltretutto. Non c’è molto da fare quindi, e non è un servizio coperto da guardie. Il Comandante in Seconda dovrà decidere quale altro compito assegnarti. Alle 15 zero zero presentati davanti al suo Ufficio. Vieni ti accompagno alla tua branda”.
Con ancora nella mente le parole del Maresciallo, ci avviammo verso prua, sotto castello. Lì si trovavano vari uffici. Amministrazione, barberia, Nostromo quelli che mi ricordo. E l’ingresso per le cucine e la mensa Marescialli. Gli altri membri dell’equipaggio mi guardavano con curiosità, un pò perchè ero nuovo, un pò perchè portavo sul braccio il simbolo di una categoria, il radarista, semisconosciuta a bordo di quella nave. Scendemmo una rampa di scale per ritrovarci al ponte sottostante. Ambiente angusto dove trovava posto la mensa marinai, e quella sergenti. Disseminati nelle aree circostanti e sottostanti gli alloggi riservati a coloro che non fossero Ufficiali.
Sopra una porta chiusa lessi: "Grotta del cane". Candidamente chiesi a Sperandeo: "ma ci sono animali a bordo? ". Lui rise di gusto. "No no ! E' l'alloggio dei sergenti nocchieri. Si chiama così sai perchè ? perchè è il posto sulla nave dove si sentono meno gli effetti del mare. Nei velieri antichi era il posto dove si rifugiavano i cani. Furbi, eh ? "
La mia branda si trovava poco distante dalla mensa. Una zona immersa nella semioscurità, di giorno. Era quella posta più in alto delle tre che formavano una sorta di letto a castello. L’armadietto riuscì a contenere a malapena i miei due zaini.
Provai a sdraiarmi in branda. Confesso che ebbi delle difficoltà. Il tutto stava nel memorizzare dove appoggiare piedi e mani per fare l’arrampicata ideale ed infilarsi a letto. Così come inserire un cd nell’alloggiamento obbligato del pc. Una volta sdraiato, a pancia in su, l’attenzione doveva essere posta alle miriadi di tubazioni che attraversavano la nave da poppa a prua e che mi sorridevano a pochi cm. dal viso. Confesso anche che, nonostante l’attenzione posta, nello scendere da quel cucuzzolo sbattei la testa sul tubo che probabilmente era dedicato alla linea antincendio. Poco male. Ero così felice di essere li che tutto passava in secondo piano.
Mi avviai verso l’Ufficio del Comandante in Seconda. Il Capitano di Fregata Dalmazio Sauro, prima che riuscissi a raggiungere i Corridoi Ufficiali, mi precedette in Coperta. “Te devi essere il Radarista ! ” con un largo sorriso. Mi misi sull’attenti e salutai come mi avevano insegnato in due mesi di assiduo addestramento. Ero di fronte al nipote di Nazario Sauro, il patriota che scrisse una delle pagine memorabili dell’Irredentismo italiano.
Con lo stesso sorriso mi disse... “Riposo, marinaio”. “Allora. Innanzitutto benvenuto a bordo. Poi due cose. La prima, come ti avrà spiegato Capo Sperandeo, ti devo trovare un’altra sistemazione. Sarai assegnato alla Segreteria Comando, di supporto al Maresciallo Ignazio e farai il Postino. La seconda, da questo momento sei in licenza. Va a casa e ritorna tra una settimana”.
Il mio sguardo doveva essere proprio la fotografia della delusione, perchè il CF mi rincuorò subito: “per il discorso del postino, mi ringrazierai. Per quanto riguarda la licenza, non ti permettere di tornare senza una bottiglia di Ferrari”. E rise.
Evidentemente aveva letto il mio “dossier” fino in fondo. Le cantine dello spumante Ferrari erano a poche centinaia di metri da casa mia, a Trento. Mi strinse la mano e si allontanò.
Postino ? Ero ancora basito. Mi venne in mente Cesare, che nel frattempo era andato a godersi la meritata pensione e si era ritirato. Una specie di passaggio di consegne a distanza, a quanto pare. Che destino. Speravo di essere coinvolto sulla Plancia. Nemmeno messo piede a bordo e già dovevo andarmene. Volevo girare in lungo e in largo il vascello. Ogni anfratto. Conoscere. Imparare. Pazienza. L’amarezza fu mitigata al pensiero di rivedere mio padre, dopo due mesi di assenza.
Nel periodo in cui trascorsi la licenza tra le mura di casa, un nostro amico Carabiniere ci informò che dal Ministero della Marina stavano facendo dei controlli sul mio conto tramite l’Arma. Ci allarmammo. Perchè ? L’Appuntato ci spiegò che era la routine, perchè io ottenessi il NOS (Nulla Osta Segretezza) di livello più elevato rispetto a quello normale riservato a chi espletava il servizio di leva. Probabilmente, essere impiegato nella Segreteria del Comandante, comportava anche questo.
Tornai sulla Vespucci con due bottiglie (scelte dal mio genitore, più intenditore di me) di spumante d’annata. Il Comandante Sauro apprezzò con una pacca sulle spalle che ancora mi duole.
Il Postino titolare, in fase di congedo,un ragazzone di Trieste, mi passò le consegne. E capii perchè avrei dovuto ringraziare il mio superiore. Fare il Postino aveva un privilegio particolare. Espletato il servizio mattutino (spedire e raccogliere pacchi di missive all’Ufficio Postale di La Spezia o dei porti che avremmo scalato, protocollarle e dividerle per i reparti) si era “franchi” da guardie.
Cioè liberi di andarsene a spasso tutti i pomeriggi. Inoltre era la figura più amata a bordo. Tutto l’equipaggio si aspettava ogni giorno una lettera da parte dei propri cari. E quindi per “traslazione” il postino diventava foriero di attimi di felicità. Ma non era comunque quello che volevo. Alla fine pensai, che importa. Ero comunque sulla nave più bella del mondo.
Il mio secondo superiore diretto, dopo Sperandeo era quindi Capo Ignazio. Il Segretario del Comandante. Con lui capii subito non ci sarebbe stato un buon “feeling”. Il Maresciallo era permeato di un servilismo verso gli Ufficiali a dir poco vomitevole. Ed allo stesso tempo, con i sottoposti si comportava come un vero e proprio stronzo, scusate il francesismo. L’antesignano del “Dottor Linguetta” di televisiva memoria.
Il Comandante. Il Capitano di Vascello Aldo Defranceschi. Lo stereotipo del vecchio lupo di mare. Un vero signore. Capo Ignazio mi presentò a lui nel magnifico salone a poppavia. Vederlo in uniforme, circondato da quell’arredamento splendido, antico e curato nei minimi particolari mi dette l’impressione di essere proiettato in un’altra dimensione. In un altra epoca. Fu molto gentile al primo, breve, incontro.
Ignazio si raccomandò di non nominare mai, in sua presenza, l’Ammiraglio Straulino. Vera leggenda vivente della Marina Militare e già Comandante della Vespucci. Gli chiesi il perchè, e mi raccontò questo incredibile aneddoto.
Quando Defranceschi era un allievo dell’Accademia alle prime armi (non ero ancora nato) si trovava con la sua Unità alle Isole Hawaii. Il suo comandante era Straulino. La sosta prevista in quelle isole era di una decina di giorni. Il “nostro” allievo conobbe subito la figlia di quello che ancor oggi è uno dei maggior produttori di ananas e banane. L’ambita “Mrs Dole”. Nacque un amore. Che fu subito stroncato dal padre di lei, costringendo Straulino a trovare una soluzione atta ad evitare che i due ragazzi si incontrassero ancora. L’Ammiraglio non se lo fece dire due volte, evidentemente. Per diplomazia, cattiveria... non si sa. Consegnò a bordo (in pratica arresti domiciliari) Defranceschi per tutti i giorni di sosta della nave alle bellissime isole del Pacifico. E lui non rivide più quella ragazza.
Ecco perchè lo odiava. E ci credo.
Passai i giorni seguenti a conoscere meglio la nave, i suoi segreti. La Segreteria Comando era di fronte alla cabina del Comandante in Seconda, Sauro. A fianco invece un punto nevralgico. La stazione radio. Da quelle due porte iniziava il corridoio che portava al Salone di rappresentanza di poppa, alla mensa Ufficiali, alla mensa Comandante ed ai loro alloggi. Sul lato sinistro della nave e sotto la timoneria di riserva. Il corridoio, parallelo, al lato dritto era off limits e privilegio solo del Comandante della nave.
Il “carrugetto” (veniva chiamato anche così il corridoio) era tappezzato all’inverosimile di “crest” ovverosia targhe ricordo di ogni luogo in cui la nave aveva fatto scalo nella sua storia. E dal 1931 di porti ne aveva toccati davvero tanti. Credo di non essere riuscito a leggerli tutti, nei dodici mesi successivi.
DIANA SPENCER (aprile)
Un giorno, tornando dall’Ufficio Postale vidi in fase di ormeggio, a poche centinaia di metri da noi, la “Britannia”. Lo yacht reale di Sua Maestà Britannica. Voci di “corridoio” dicevano che a bordo vi fossero Carlo e Diana, ma sembravano solo chiacchere.
Pochi giorni dopo, prima della partenza per quella che doveva essere la Pre-Crociera mediterranea, vidi sotto la targa del motto un piedistallo. Sopra il quale c’era un cartello, dalle fattezze eleganti.
“Il Ministro della Difesa invita il Comandante di Nave Vespucci domani al Ricevimento che si terrà a bordo della stessa in onore del Principe di Galles”.
Pensavo di aver letto male. Spadolini invitava il NOSTRO comandante sulla NOSTRA nave ?? Cos’era uno scherzo ? Protocollo Statale mi dissero. Ma sono sempre dell’opinione che sia stato e sia tuttora un oltraggio. Immaginare quel barilotto, oggetto prediletto delle caricature di Forattini, comportarsi da padrone anche lì mi faceva salire il sangue al cervello.
Nonostante tutto l’euforia pervase tutto l’equipaggio. Carlo d’Inghilterra a bordo ! E forse pure Diana !
Le immagini di quello che fu definito il matrimonio del secolo era ancora davanti ai nostri occhi. Poi la doccia fredda.
Come diceva l’elegante annuncio, solo il Comandante poteva godere del privilegio. Tutti gli altri, Ufficiali compresi dovevano stare rigorosamente nascosti sotto coperta. E non farsi vedere. Protocollo ? Eccesso di sicurezza ? Noi tutti lo chiamammo solo oltraggio su oltraggio. Che delusione.
L’apparato militare, per essere sicuro che gli ordini fossero rispettati, il giorno dopo schierò una decina di marò-cannonieri sulla banchina che avevano il compito di dissuadere, segnalare ed arrestare chiunque avesse avuto l’ardire di affacciarsi per curiosare.
Mi venne un’idea. Con Capo Sperandeo andammo, attraverso i corridoi e ponti interni, all’altezza dell’oblò che dava sulla scala in cui sarebbero saliti e scesi i “reali”. Forse, con un pò di fortuna, li avremmo almeno intravisti pur tenendoci ben lontani dall’apertura.
Non li vedemmo salire. Qualcuno deve aver avuto la stessa idea, da un ponte sottostante e fu richiamato con grida potenti, dalla banchina. La paura attanagliava me e la macchina fotografica che tenevo in mano.
Ma li vedemmo scendere. Non Carlo. Diana. Scese per prima, dopo il ricevimento durato si e no mezz’ora. Colsi l’occasione al volo e scattai. Come veniva veniva, mi dissi. La Principessa Triste quel giorno aveva un sorriso magnifico. Non aspettai che arrivasse Carlo. Scappai. Non volevo correre il rischio di rovinare tutto proprio alla vigilia della partenza. Sperandeo rimase. Successivamente mi raccontò di aver visto anche Carlo. Mi disse anche che era più brutto di come lo fosse in televisione e avrebbe fatto meglio ad andarsene via con me.
Feci sviluppare il rullino da un amico molto tempo dopo, a Livorno. Lui era appassionato di fotografie ed il suo hobby era immortalare gli animali in genere. Sapevo fosse fornito di attrezzatura amatoriale da camera oscura. Quando tirò fuori dalla vaschetta l'immagine, rimase a bocca aperta. “Sai se la vendi ad un giornale, quanti soldi ci fai ??? ”.
Non lo feci mai. Avrei potuto, finito il servizio di leva. Anzi, buttai il negativo subendo parole irripetibili da parte di quell’amico.
No. Più della paura di finire nei guai, era la percezione di un’immagine rubata ad una persona meravigliosa. Mi sentivo in colpa. Non avrei mai speculato su questo.
Ora, che Lei non c’è più, trovo che condividere questa foto sia un pò come onorarne la memoria. E di immortalarne il sorriso.
(continua)
NON CHI COMINCIA MA QUEL CHE PERSEVERA
Semper Fidelis