IL MIO "VESPUCCI" - In memoria di Alessandro (5)

15 dicembre 2012 ore 23:41 segnala


Il mio "Vespucci" -In memoria di Alessandro (5)
O.Dirke 21 settembre 2012 ore 00:40
LA VIGILIA ( aprile)

La partenza era imminente e quella domenica avrei cominciato quel viaggio che non avrei mai dimenticato.

Alla vigilia, di sabato, in cui quasi tutto l’equipaggio era in libera uscita, io e pochi altri rimanemmo a bordo. Chi era di guardia, chi, come me, non avrebbe comunque avuto il tempo di raggiungere casa o chi sentiva la pressione degli incarichi che avrebbe dovuto svolgere a partire dal giorno seguente cercava qualcosa da fare per ingannare l’attesa.
Il “passatempo” ci fu proposto, a sorpresa.
Dalla scala reale vedemmo arrivare a bordo due splendide donne, di origine olandese, seguite da un codazzo di personaggi mai visti prima. Era una troupe fotografica che doveva realizzare un servizio per conto di Fendi, lo stilista. Le due modelle erano gemelle. Molto belle. E lo sfondo per gli scatti, lì a bordo, era quello che cercavano.
La cosa che spiazzò noi, curiosi, intenti ad osservare i preparativi, fu la richiesta da parte di quello che sembrava fosse il “regista” all’Ufficiale di Guardia. Aveva bisogno di sette comparse. Quando cominciai a realizzare cosa stava succedendo stavo defilandomi in silenzio e, attento a non essere osservato, stavo raggiungendo la zona sotto castello, in salvo. Ma era troppo tardi.
Sentii l’Ufficiale alzare la voce... “Marinaio Paolo ! Dove crede di andare ? Venga e si metta a disposizione di questo signore!”. Io ed altri sei fummo così “volontariamente” selezionati. La divisa da lavoro che indossavamo non era adatta allo scopo, e ci toccò mettere quella di ordinanza, bianca.
Ero imbarazzatissimo. Il regista non sembrava mai contento quindi pose e "click" susseguivano senza pausa.
Per le ultime immagini, ci fecero salire sulla rete (la giapponese) tesa sotto il bompresso. Non vedevo l’ora di finire. Di tutto stavo facendo, da quando ero imbarcato, fuorchè quello che veramente mi interessava.


LA PARTENZA (21 aprile)

Ma finalmente arrivò il giorno. L’Amerigo Vespucci, insieme ai suoi 270 membri d’equipaggio salpò quella mattina. Senza fanfare, quasi in silenzio. Con discrezione.
La manovra di disormeggio (e di ormeggio) è laboriosa. Decine e decine di nocchieri dediti a recuperare i cavi sotto gli occhi vigili del Nostromo. Il Comandante, buona parte dello Stato Maggiore, segnalatori, radaristi, timonieri e vedette sul Ponte di Comando. Poi finalmente il mare.

Cominciava la mia prima navigazione in assoluto, se vogliamo togliere insignificanti traversate in traghetto di corto raggio. Destinazione Venezia.

NAVIGAZIONE (21 aprile – 29 aprile) – 1082 miglia.

I miei compiti, durante la navigazione, così come quelli degli altri commilitoni venivano stabiliti alla prima riunione del giorno, alle 08.00. Il mio superiore diretto era Sperandeo. Oltre che Ignazio. Nella catena di comando sopra di loro v’era il Capo Servizio Edoardo, un Tenente di Vascello ed Ufficiale di Rotta. Era lui che doveva stabilire come avremmo passato il resto della giornata. Due ore dedicate alla lucidatura degli ottoni. Ognuno di noi aveva il suo perimetro da curare. Ed imparai cosa fosse il "sidol". Poi, per quanto mi riguardava, lavoro di ufficio in Segreteria Comando. Il pomeriggio sarei stato libero. Ma lo passavo regolarmente in Plancia, dove ero autorizzato a sostare. Aiutavo i “segnalatori” a tracciare rotte, fare punti nave, ed ogni tanto davo il cambio al timoniere.
La ruota del timone era enorme. Per variare la rotta di un solo grado, dieci giri non erano sufficienti. Ci voleva una perizia ed un’esperienza straordinarie per mantenere la nave in rotta, ed io mi limitavo ad usarlo solo nei tratti in mare aperto e senza accostate evidenti. Avevo sete di imparare. E voglia di farlo.

La vita “militare” con tutte le imposizioni del caso non mi spaventava. Avevo un buon allenamento. Anni di collegio a Livorno dai Salesiani mi avevano insegnato molte cose. La disciplina prima di tutto. Il saper arrangiarsi nella buona tenuta del proprio alloggio. E, non meno importante, il rispetto verso l’Autorità. Ero già “navigato” in un certo senso.

I ricordi più belli delle giornate in navigazione sono senz’altro legati alla cerimonia dell’”Ammaina bandiera”. Accadeva al tramonto. Tutto l’equipaggio (escluso il personale di guardia in Plancie ed in Sala Macchine) schierato a poppa, Comandante compreso. Il silenzio degli uomini era sempre assoluto. Solo alla nave ed alla natura era permesso esprimersi. Si riusciva a sentire il fruscio delle onde create dal passaggio dello scafo ed il vento creato dal suo movimento. Gli scricchiolii dei pennoni sugli alberi ed il leggero sbattere di vele ormai raccolte facevano da contorno a quell’atmosfera che non era mai uguale. Il tambureggiare della bandiera sulla propria asta come se sapesse che era il momento del suo riposo notturno.
Poi il cenno del Comandante al Nostromo. Che impugnava il suo fischietto suonando note non a caso ma con un preciso significato. E la bandiera lentamente veniva ammainata. La mano tesa che automaticamente si portava dinanzi alla fronte. Emozioni intense, che ancor oggi mi mettono i brividi.

Il fischietto. Arnese essenziale per il Nostromo ed i Nocchieri. Per dare gli ordini che non venivano pronunciati a voce. Ogni azione. Ogni movimento. Ogni operazione era eseguita seguendo le note di quello strumento. Tutti coloro che erano addetti alle vele ne conoscevano tutte le inflessioni, trilli, cambi di tonalità. Io non le compresi mai. Il fischietto serviva, tra le altre cose, a riconoscere chi saliva o scendeva da bordo attraverso la Scala Reale, durante le soste ufficiali. Il sergente nocchiere di guardia più a lungo fischiava, e più importante era la persona che transitava. Ricordo che, al passaggio dei Reali inglesi, quei trilli pareva non finissero mai...

La mattina precedente al nostro previsto arrivo in laguna, sentii fermarsi i motori. Non erano potenti, riuscivano a far raggiungere alla nave solo cinque nodi di velocità, ma necessari in caso di assenza di vento. Mi affacciai dal parapetto del ponte principale per cercare di capire cosa stesse succedendo. Vedevo una costa poco distante da noi. Montagnosa. Sicuramente non era Venezia. Salii in Plancia.

C’erano il Comandante Defranceschi, il Comandante in Seconda Sauro ed il Signor Blasutig. Tutti con il binocolo in mano intenti ad osservare terra. Venni a sapere dopo che i tre erano di origine dalmata. Le loro famiglie cacciate dalle loro terre dal Maresciallo Tito. Stavano osservando quella che una volta era la Jugoslavia. Rimpiangendo quella che una volta era la loro “Patria”.

VENEZIA (29 aprile – 2 maggio)

Arrivammo finalmente. La città era in piena celebrazione sin dal 25 aprile, giorno del Patrono. L’attracco della Vespucci, molto in prossimità di Piazza San Marco, fu salutato da migliaia e migliaia di persone. Tra quella folla c’era pure mio padre. Mia zia. I miei parenti. Amici. Una festa. Erano tutti orgogliosi di me. Ed io di appartenere a quella splendida realtà.

Espletati i miei obblighi da “postino” (fu bellissimo e divertente camminare col borsone attraverso le calli del capoluogo veneto, per raggiungere l’ufficio postale. So per certo di comparire in qualche album fotografico di svariate famiglie giapponesi che mi chiedevano, anzi pregavano, di essere immortalati con me) mi dedicai ai miei cari.

Tronfio col petto in fuori e con il portafoglio riempito dalla paga appena ricevuta, li portai a Piazza San Marco. “Vi offro un caffè”, dissi loro. Vidi un locale che mi sembrava davvero carino. Non ero pratico di Venezia e non conoscevo la fama del “Florian”. Mi vennero i primi sospetti vedendo sulle pareti immagini e scritti dei personaggi che transitarono in quel locale... Rousseau, Giacomo Casanova, Silvio Pellico, Goethe, Lord Byron, Ugo Foscolo, Charles Dickens, D’Annunzio.... Quando mi portarono il conto, credetti di svenire. Non fu tanto per le tremila lire a caffè. E vi parlo di parecchi anni fà. Ma quelle cinquemila lire per “l’orchestrina”.
Ci sedemmo ai tavolini interni oltretutto. Ma l’orchestra all’esterno era assente, forse anche per le poche gocce di pioggia che stavano cadendo. “Scusi”, feci al cameriere “Ma è rotto il juke box per caso, perchè non ho sentito nessuna nota musicale...”. Evidentemente dovevano avergli fatto altre domande dello stesso tenore, perchè non sembrò sorpreso dalle mie parole, anzi rispose sorridendo “xè el contributo per i musicisti ciò, i lo paga tuti. Adeso i xè in pausa.”. Pazienza. La paga finì nelle casse di quel glorioso locale senza colpo ferire.

Guardai il cielo. Mi parve che Charles Dickens, da lassù, mi guardasse e sorridesse....
(continua)

P.s. mentre sto scrivendo, stasera, la Vespucci è qui, a Livorno. Arrivata oggi dal suo percorso estivo. Quasi avesse sentito il richiamo del mio “racconto”. All’ancora, davanti all’Accademia Navale. La posso vedere da casa mia. Venendo via dall’ufficio non ho potuto fare a meno di fotografarla... Non è bizzarro, il destino, a volte ?



NON CHI COMINCIA MA QUEL CHE PERSEVERA
Semper Fidelis
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15/12/2012 23:41:57
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Commenti

  1. MorganaMagoo 16 dicembre 2012 ore 00:01
    ...chissà dov'è il nostro amico in questo momento... Un abbraccio, O. Dirke. :-)
  2. malenaRM 16 dicembre 2012 ore 00:38
    Questa è proprio una cosa bella.
  3. astro42 16 dicembre 2012 ore 02:38
    Sempre gradevole e avvincente. :-)
  4. caryl 17 dicembre 2012 ore 10:05
    x MorganaMagoo, il Comandante al momento è in navigazione, ci siamo sentiti diversi giorni fa, ma hanno problemi con l'uso di internet a bordo, quindi si farà vivo ma non sa esattamente quando. Manda un saluto a tutti gli amici.
  5. caryl 17 dicembre 2012 ore 10:05
    x malenaRM, grazie.
  6. caryl 17 dicembre 2012 ore 10:05
    x astro42, vero che sarebbe stato un peccato perdere queste storie? ciao!
  7. methos1phd 17 dicembre 2012 ore 20:37
    E' davvero affascinante il mondo dei marinai ho letto questo racconto tutto d'un fiato e avrei voluto continuare :-) una buona serata. Angie
  8. caryl 01 gennaio 2013 ore 00:17
    grazie Angie, prossimamente metterò altri scritti di Paolo!

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