
O.Dirke 01 ottobre 2012 ore 22:56
I PREPARATIVI (7/28 giugno)
Dall’arrivo a La Spezia, di ritorno da quella che era stata definita pre-crociera, fino alla partenza da Livorno fu un susseguirsi di preparativi febbrili e di “maquillage” navale per far risplendere nuovamente la nostra “Signora dei mari”.
Ci fu anche il tempo, a turno e per ognuno di noi, di concederci qualche giorno di licenza. Tornare a casa dopo due mesi, fu uno stacco necessario. Questa volta non tornai a bordo con il “Ferrari”. Il Comandante Sauro aveva terminato il suo periodo di distaccamento, e fu trasferito a Roma, al Ministero. Mi dispiacque molto. Oltre che un ottimo Ufficiale ed un gentiluomo, sentivo di aver perso un amico. Al suo posto il Capitano di Fregata Spinato. Che era, caratterialmente e professionalmente, all’estremo opposto del suo predecessore. Purtroppo.
Mi arrivarono anche i gradi di “Sottocapo” che in termini di “terra” equivale a “Caporalmaggiore”. Era la prassi, se non ci si metteva nei guai. A 4 mesi sottocapo, ai 12 sarebbero arrivati quelli da sergente. Con la cospicua crescita del salario.
Il trasferimento dalla città ligure a quella labronica si svolse senza sussulti. Poche ore di navigazione, una giornata di sosta all’ancora e poi, in porto.
Appena ormeggiati salirono a bordo, in una lunga processione, gli Allievi Primo Anno dell’Accademia Navale cioè coloro i quali sarebbero diventati, un giorno, gli Ufficiali della Marina Militare. Loro, più gli insegnanti preposti al loro addestramento, fecero sì che l’equipaggio da 270 unità salisse ad oltre 400.
Per me Livorno rappresentava un ritorno e ritrovai i vecchi compagni di scuola ed amici. Luoghi a me ormai familiari e che mi sarebbero entrati nel cuore sempre di più, negli anni successivi.
Alla vigilia della partenza si avvicinò a me Capo Benelli. Era il responsabile dei “segnalatori”, cioè il personale addetto alla guardia in navigazione e che imparai a conoscere durante le oltre tremila miglia di cammino percorse il mese precedente. Adoravo il Maresciallo. Di una simpatia unica quando faceva l’ottima imitazione di Enzo Braschi versione “paninaro”. Sapeva come tenere alto il morale ed allo stesso tempo riusciva a far capire a noialtri le cose che non andavano, con serietà e nessuno strepito militaresco. Una dote rara. “Senti Paolo, che ne dici di unirti alla nostra squadra ? Te sei diplomato al nautico e l’esperienza ti potrebbe servire. Oltretutto ne sai più degli altri che non hanno fatto la tua scuola. Così sareste in quattro a dividervi i turni. Invece che 4 ore di guardia e 8 di riposo ne fareste 4 e 12 . Che dici ce la dai una mano ?” . E serviva chiederlo ? “Certo Capo, ma scherza peddavvero ! Ma il Capo Servizio Edoardo sarà d’accordo ?”. Lui mi rispose allargando il sorriso “Bè.. a dir la verità l’idea è stata sua...”.
A Livorno c’è un termine volgare ma che ben illustra e sintetizza un concetto. “Far da potta e da culo”.
Dovevo occuparmi del radar, della segreteria, della posta e, ora, delle rotte. Con i turni di guardia a scalare, avrei dovuto passare anche qualche notte in plancia. Ma non mi importava. Se il significato del lemma precedente ad un livornese ricorda fastidio o disappunto, a me non creava nessun disagio. Anzi.
Arrivò il giorno.
Un abbraccio a mio padre (che non si sarebbe perso la partenza per nulla al mondo) e salii a bordo. Sotto gli occhi di centinaia tra parenti ed amici con le mani tese a salutare ognuno di loro il proprio caro, mollammo gli ormeggi. La giornata era stupenda. Calda. Buon presagio per i giorni a venire.
NAVIGAZIONE (28 giugno / 7 luglio) – 1173 miglia.
Giornate senza vento e piene di afa. Le attività quotidiane procedevano come da tabella e senza sosta. Mi dividevo tra plancia, segreteria e coperta.
I primi frutti della promozione a sottocapo furono subito evidenti il primo giorno di navigazione. Ogni mattina mi veniva affidato un manipolo di sei allievi dell’Accademia che dovevo dirigere e sorvegliare nella pulizia degli ottoni di bordo. Io potevo stare a guardarli, ma non succedeva mai. Lavoravo con loro, nonostante le occhiatacce di disapprovazione di Spinato. Erano ragazzi come me, dopotutto, ed impauriti da quel grado ridicolo che portavo. In più erano sottoposti ad una mole di studio e lavoro che lasciava loro davvero poche ore al giorno di riposo. Gli Allievi al mio “comando” mi presero subito in simpatia, tanto che mi fecero provare la mitica “amaca”. Si, loro non dormivano su comode (si fa per dire) brande. Ma su quegli aggeggi infernali che dovevano montare, rismontare e riporre tutti i santi giorni.
Non fu un’esperienza felice. Montai a ponente e venni catapultato per terra a levante in un sol batter di ciglia. Gli Allievi si permisero di ridere solo dopo la mia battuta irripetibile ed il mio sorriso. Alla fine però, caparbiamente ci riuscii. Non ripetei mai più l’esperimento.
I nocchieri sono abilissimi con il sartiame, cime, vele. Mi hanno insegnato loro a fare una serie di nodi che a scuola ci avevano fatto osservare solo sui libri di testo. Gasse, parlati, savoia, nodo bandiera... facile a vederli fare, ma complessi da attuare.
Tutti i giorni chiedevo al Nostromo, Capo Garuti, se mi poteva concedere il permesso di salire sull’albero di Maestra, insieme a loro. Durante il periodo scolastico, nel corso di una gita organizzata, ebbi la possibilità di arrampicarmi sul “Brigantino”, in Accademia Navale. Sensazione bellissima. Ma il Brigantino è l’imitazione di un albero da veliero piantato sulla terraferma.
Niente a che vedere con un “palo” di oltre 30 metri in movimento sotto il costante rollìo del mare. E come tutti i giorni il Nostromo si girava, mi guardava, e serio mi diceva “Non dire puttanate, postino. No” . Recitata la solita frase si girava con il volto proteso verso l’alto a guardare i “suoi” Nocchieri ed Allievi darsi da fare sui pennoni per poi prenderli a colpi di “coglionazzi” ad ogni manovra non perfettamente riuscita. Pazienza.
Giurai a me stesso che, comunque, prima di sbarcare da quella nave lo avrei fatto a discapito di tutti gli ordini e dei Nostromi.
Sperimentai ulteriormente l’abilità dei Nocchieri un pomeriggio più caldo del solito. Ero smontato di guardia alle due. La stanchezza era tale ed il vento relativo creato dalla nave così invitante, che invece di andare a dormire nel mio alloggio (dove l’aria condizionata non esisteva) mi sdraiai come molti altri sul castello di prua, sotto la plancia, all’aperto. Mi addormentai subito. Tanta umanità intenta a godersi il sole faceva sembrare quel posto uno dei tanti “lidi” che costellano le nostre coste.
Fui svegliato da una scarica d’acqua in viso incredibile. Mi alzai di soprassalto pronto a “ringraziare” l’autore di quel gavettone. Ma non c’era nessuno. Solo io ed un altra decina di marinai che si guardavano intorno con il volto sciacquato. Poi capii.
I nocchieri, in accordo con alcuni colleghi che fingevano di dormire al “lido”, ebbero il tempo di tessere una fitta trama di cime intrecciate a pochi centimetri sopra le nostre teste. In prossimità di ognuno dei nostri visi, invece, vi era legata una bottiglia. Non mi ero accorto di nulla. Nè io nè gli altri. Tutta la rete di cime faceva capo ad un cavetto di manilla che arrivava fin sul ponte di comando, in plancia. E’ bastato uno strattone (di chi non l’avremmo mai saputo) per far capovolgere i recipienti e versare il contenuto direttamente sui nostri occhi.
Un capolavoro. Non potei fare a meno di sorridere. Era il definitivo “benvenuto” a bordo, riservato alle reclute. Ed il dazio da pagare per chi passava, per la prima volta, lo Stretto di Gibilterra.
LISBONA (7/10 luglio)

Al nostro ingresso nel porto lusitano, salutammo i nostri Ospiti con 21 colpi di cannone a salve. Mi spiegarono che era l'etichetta. Se la Nazione ospitante fosse stata anche sotto Monarchia, le salve sarebbero state 42. 21 Al Paese, 21 al Re/Regina. Vedere il nostro "cannoncino" che mi ricordava l'arpionatrice di Capitan Achab, faceva quasi tenerezza.
Fu, in un certo senso, anch’esso un ritorno. Avevo conosciuto la capitale lusitana solo qualche anno prima, in una memorabile vacanza in quelle terre con mio padre.
Conoscevo già il Fado. La Torre di Belem e quell’aurea di tristezza che sembra avvolgere quella gente. Un pò come me, ora.
Prima di scendere a terra, a tutto l’equipaggio fu elargito l’”aggio”. Era una somma, in valuta locale, che veniva “regalata” ad ogni persona imbarcata (ma solo all’estero), in proporzione al grado ed ai giorni di permanenza in porto. Non era un granchè, ma permetteva di telefonare a casa e comprare qualche souvenir, quanto meno. Aggio che, sommato ai pacchetti di sigarette anch’essi spettanti gratuitamente, consentivano di non intaccare il misero (almeno il mio) salario.
Dopo aver espletato il servizio di posta all’Ambasciata italiana (la posta ricevuta non era molta, solo un minuscolo sacco di iuta) toccò la classica “comandata” che mi portò proprio a vedere quella torre, simbolo della città ed il Museo della Marina.

Il giorno successivo, l’ultimo a disposizione vista la breve sosta, portai alcuni amici con me a vedere Cascais. E’ il paesino (famoso per l’esilio dell’ultimo dei Savoia) alle porte della capitale, sull’Atlantico, che io e mio padre non avemmo il tempo di vedere in quella vacanza. Avrei colmato la lacuna. Una volta arrivati li, l’intenzione di vedere la casa dell’Umberto nostrano c’era. Ma conobbi Angelique. Di nome e di fatto. Una bellissima ragazza bionda, di Amsterdam. Il tempo volava ed era poco. Pari alla sua bellezza era solo la sua chiacchera. Non si fermava mai.
Non sapevo che scusa trovare per poter raggiungere i miei commilitoni che, con rispetto ed eleganza, mi abbandonarono a quella visione nordica (non senza un beneaugurante “tieni alto il nome della bandiera” e “scusaci ma non sappiamo l’inglese”) per raggiungere un pub. Mi venne in aiuto la madre di lei, che portò via la figlia con la scusa di non so quale appuntamento. Ero sollevato.
Al pub, dopo aver “ringraziato” gli amici ed aver raccontato loro una serie di frottole stile “playboy” (la loro invidia, che feci durare per qualche ora, mi appagò per la vendetta), facemmo conoscenza con un gruppo di marinai inglesi, imbarcati sulla loro Fregata ed anch’essi ormeggiati a Lisbona. Il ricordo doloroso dell’Heysel era ancora presente in tutti noi, ma non fu motivo di ulteriore scontro. Anzi. Ci offrirono un primo giro di ottimo Porto con la scusa di brindare all’Amerigo Vespucci.
(Io, che ero e sono astemio, ricordavo ancora la “madre di tutte le sbornie” di cui fui vittima anni addietro durante la mia permanenza ai Salesiani. Alcuni Testimoni di Geova avevano sparso la voce, poi rivelatasi falsa e tendenziosa, dell’imminente fine del mondo. E io, insieme ad altri idioti come me sedicenni, dopo un’accurata spesa alla Coop di Martini, Vodka e Vino, cogliemmo la “palla al balzo” per darci dentro. Un mix micidiale che, al sottoscritto, fece più danni di un uragano livello 5).
Ero quindi titubante.
Ma non potevo rifiutarmi. Avevo paura di offenderli. Purtroppo sottovalutai anche la loro resistenza all’alcool e, soprattutto, la loro generosità. I brindisi seguenti furono dedicati alla Regina, al Liverpool, alla Juventus, alla nazionale italiana ancora campione del mondo.... via e via fino all’ultimo cugino di terzo grado della Famiglia Reale Britannica ed all’ultimo raccattapalle dello stadio della Nocerina F.C.
Persi il conto di quanti “giri” furono offerti intorno a quel tavolino vista atlantico. La “fregatura” fu che quel liquore scendeva proprio bene e, al momento, non dava fastidio.
A mezzanotte fui riportato a bordo dai miei colleghi. Mi tenni aggrappato alle loro spalle per tutto il tragitto in treno da Cascais a Lisbona e per il tratto a piedi dalla stazione al bordo.
Il sergente, al corpo di guardia, ci accolse con un sorriso. Chissà in tutti i suoi anni di carriera quanti ne aveva viste di reclute nelle mie condizioni. Si raccomandò ai miei “accompagnatori” di portarmi direttamente in branda, senza farsi vedere dall’Ufficiale di Ispezione. Potevo rischiare l’arresto. E poi si rivolse a me... “e tu smettila, sottocapo, sveglierai tutti !”
Si. Erano ore ormai che stavo intonando le note di “God save the Queen” con il sorriso più ebete che mai possano aver visto in Portogallo....
Prima di addormentarmi, guardando i tubi a pochi pollici dal mio viso e "vederli" ballare il rock'n roll, mi ripromisi di aggiornare la classifica di "madre di tutte le sbornie"....
(continua)
NON CHI COMINCIA MA QUEL CHE PERSEVERA
Semper Fidelis