Il "mio" Vespucci - In memoria di Alessandro (8)

20 febbraio 2015 ore 06:12 segnala


Nonostante il periodo estivo, l’avvicinarci al Nord europa non ci risparmiava dal clima nordico, spesso capriccioso e soprattutto uggioso.
La vita di bordo proseguiva comunque senza soste, a dispetto di Giove Pluvio.
I turni di navigazione in plancia scorrevano tranquilli, avevo preso ancor più dimestichezza con il timone e con tutte le operazioni previste per assicurare una rotta tranquilla. L’unica cosa che non mi era consentita era “l’assaggio”.

Uno degli Ufficiali di Navigazione era il Sig. Pasqualoni di Orvieto. Un Sottotenente di Vascello giovane e, fra tutti gli Ufficiali, quello che aveva uno spirito cameratesco molto più spiccato verso noi marinai piuttosto che verso i suoi colleghi. Un amico. Il destino mi avrebbe fatto incontrare, due anni più tardi, suo padre. Uno dei miei primi comandanti su quelle che sarebbero diventate il “leif-motiv” della mia vita, le petroliere. Pasqualoni era una bravissima persona, ma tanto gentile quanto pavido. Così come suo padre. Non ho mai capito negli anni cosa li avesse spinti a scegliere quel mestiere.

L’assaggio era una “cerimonia”. Prima dell’ora di pranzo, il responsabile di cucina inviava un cameriere che saliva in plancia con un vassoio contenente una parte di tutte le portate che sarebbero state propinate all’equipaggio in quel giorno e che doveva avere la “benedizione” dell’Ufficiale di Guardia in quel momento. In quell’atto Pasqualoni era uno spasso. Afferrava la forchetta con indice e pollice... alzava il dito mignolo come fosse un pennone... e con aria fintamente “schifata” assaggiava le varie pietanze guardando il malcapitato cameriere. Al termine dell’assaggio avveniva l’immancabile scena da aereo, in cui, da attore consumato, simulava di vomitare in un sacchetto appositamente portatosi appresso allo scopo. La faccia terrorizzata del cameriere (che non era mai lo stesso) ci ripagava di quello scherzo che finiva in un’enorme risata da parte di tutti...

ZEEBRUGGE (19/26 luglio)

Bum.... Bum.... Bum.... 42 salve di cannone salutarono il nostro ingresso nel porto belga, sbocco a mare di quella splendida città immersa nel cuore delle Fiandre, Bruges.

Li era prevista la sosta in porto più lunga di quelle programmate per la Crociera. Espletato il mio compito obbligatorio (la raccolta della posta in Consolato, dove notai che il sacco contenente le missive era “cresciuto”), io Ciro, Damiano, e altri ci prendemmo la libera uscita. Ci incamminammo verso la stazione, decisi a prendere il treno che ci avrebbe portato a Bruges. Dopo le soste obbligate in una pasticceria, un bar, un edicola, un negozio di souvenir arrivammo alla biglietteria. Feci per pagare il mio “ticket” quando, con sgomento, mi accorsi di non avere più il portafogli. Me lo avevano rubato ? Proprio li ? Non ci credevo. Insieme ai miei compagni, tornammo a ritroso cercando, con l’aiuto della memoria, di ripercorrere gli stessi passi fatti per arrivare in stazione. “Dove l’hai usato l’ultima volta ?” continuavano a chiedermi. Ma avevo un blocco mentale. Non ricordavo. Avevo già perso le speranze di ritrovarlo, quando entrammo nel primo negozio visitato dopo essere scesi dalla nave. La pasticceria.
C’erano ancora le due commesse che ci avevano servito, due ragazze veramente carine, e una in particolare che mi piaceva per il suo modo di guardarmi e per il suo sorriso. Ci accolsero con una risata. “Hey Sailor... You’ve lost this ?” mi disse quella che mi garbava di più, porgendomi l’oggetto perduto. Il mio portafogli. Lo avevo dimenticato li, dopo aver comprato un dolce locale. La memoria riapparve di colpo. Sollevato, controllai velocemente che ci fossero tutti i franchi che sapevo di avere... e poi, soddisfatto, la ringraziai in fretta, promettendole che sarei tornato, ma avevamo un treno che ci aspettava.

Sulla carrozza che ci portava a destinazione, mi venne l’istinto di prendere nuovamente il portafogli. C’era qualcosa nella risata delle ragazze (e nelle parole in fiammingo che si scambiarono e che naturalmente non compresi) a cui non riuscivo a dare un nesso logico al contesto.
I soldi c’erano... il documento pure... la foto di mio padre.... Ecco. Mancava qualcosa. Il profilattico.
E già. La Marina, per i suoi figli, oltre che a moneta e sigarette, provvedeva anche alla sua salute. Mai e poi mai un soldato dell’Italico Popolo sarebbe dovuto incorrere nel disonore di una malattia venerea. Io lo presi (il preservativo) solo perchè era mio dovere, ma ero convinto che sarebbe invecchiato come whisky pregiato nel mio logoro taccuino di pelle.
Ora al suo posto c’era un biglietto. Vi stava scritto Il nome di una discoteca di Bruges, un orario, le 23.00 e un nome. Sophie.
Bè... cominciavo a pensare che il detto “marinai, una donna in ogni porto” avesse qualche fondamento. Ma il merito era sicuramente della divisa.

Visitammo la città, e me ne innamorai subito. Cattedrali, edifici, i canali... tutto riportava indietro negli anni d’oro di quel popolo laborioso.
Io feci finta di dimenticarmene, ma Ciro e Damiano no. Mi portarono a forza in quella discoteca indicataci nel biglietto. Erano solo le 9 di sera obiettai, ma senza successo.

All’interno del locale fummo accolti con un’espansività a cui non eravamo abituati. C’erano già altri commilitoni ma, insieme a loro, una quantità incredibile di ragazze. Un paradiso. C’era solo l’imbarazzo della scelta. Ma non per noi. Per loro.

Fui letteralmente “abbordato” prima da Annemarte, graziosa biondina che però alle 10 vedeva scattare il coprifuoco familiare e dovette tornare a casa non senza dimostrarmi il suo “affetto” e lasciarmi il suo indirizzo.
Le dette il cambio, quasi immediatamente dopo, Juultje. Il DJ per enfatizzare la nostra presenza mise sul piatto il disco di Toto Cutugno “Sono un italiano vero” e quello fu un momento veramente imbarazzante. Mi sentivo letteralmente frastornato.

Ero ancora abbracciato a quest’ultima, quando mi si avvicina con un atteggiamento non proprio amichevole un ragazzo atletico e molto più alto di me. Puzzava d’alcool in maniera bestiale. Mi gridò parole incomprensibili. Mi alzai guardandolo negli occhi ma soprattutto guardando la bottiglia di vodka che teneva in mano a mò di martello, e come d’incanto mi trovai accanto quasi tutti i commilitoni presenti e che si erano accorti della scena.

Alla vista delle divise, l’esagitato sembrò calmarsi un pò. Juultje si mise di mezzo e mi spiegò, in inglese e con aria molto seccata, che l’ubriacone era un tenente della Regia Marina del Belgio convinto pure di essere il suo fidanzato. Ci mancava solo quello. La ragazza sembrava volesse fulminare con gli occhi il suo connazionale. Che prese a parlare inglese, finalmente. Mi spiegò che avrebbe fatto rapporto al mio Comando sul mio comportamento “riprovevole”.

Io, eh.
Mi chiese nome, cognome, grado e posizione. I miei compagni fremevano, soprattutto Mario detto la “bestia”, un nocchiere di 140 kg per 190 cm di origine cagliaritana, e avrebbero voluto chiudere la partita subito, convocando il “Signore” oltretutto in borghese fuori dal locale. Nessuno poteva permettersi di “toccare” il loro postino.

Li calmai. Non c’è problemi, dissi. Mi rivolsi al tenente: “ha da scrivere, Signore ?”. Come d’incanto prese bloc notes e penna. “Allora, segni. Scusi ma il documento è rimasto a bordo, ma mi chiamo Galileo Galilei, sottocapo elettricista come può vedere dalla categoria sulla spalla (quella di radarista aveva per simbolo qualcosa che assomigliava ad un fulmine), Nave Vespucci, come può vedere dal cappello”. Il tenente sorrise soddisfatto e, tronfio, mi confermò che avrebbe spedito il suo rapporto al mio Comando di Bordo.

Io speravo che nessuno dei miei connazionali si tradisse, e li guardavo di sottecchi. Ma fortunatamente stettero al gioco, soffocando una risata che sarebbe comunque esplosa nelle settimane successive durante le lunghe notti in navigazione, al racconto del “Tenente Belga, vuole un nome ? se lo scelga”.

Confidavo che, passata la sbornia, si sarebbe dimenticato tutto.

Juultje convinse ad uscire dalla discoteca quel poveraccio e lo accompagnò a casa, presumo, promettendomi che sarebbe tornata a breve. Ma nel frattempo era arrivata Sophie. Che si era goduta la scena ed aveva ancora le lacrime agli occhi per le risate. Mi abbracciò forte. Mi prese per mano... e mi portò fuori dal locale. Il bacio che seguì prometteva incanti.... Non rividi più Juultje. Non volevo rischiare che sortissero fuori altri pretendenti e per giunta ubriachi.

Tornando a bordo da solo, era ormai molto tardi, trovai per la strada Ciro di cui avevo perso le tracce nelle ultime ore. Lo vidi con lo sguardo perso nel vuoto. “Ciro, che hai ? ”. Mi preoccupai. Lui era napoletano dei Quartieri Spagnoli, un ragazzo secco secco e spilungone. Tanto alto quanto brutto. La sua risposta fu un suono incomprensibile di puro slang partenopeo. “Eh ? che hai detto ? ”. Andammo avanti così per 10 minuti. Fin quando mi guardò dritto negli occhi e, con un sorriso da beato angelico, mi disse in un italiano perfetto... “Ho fatto l’amore ! Per la prima volta in vita mia, ho fatto l’amore !”. La risata mi venne spontanea e genuina. Gli misi un braccio al collo e gli detti una pacca sulla spalla che quasi gli volava via il berretto. Qualcuno, a bordo, si sarebbe ricreduto sulla vita sessuale di Ciro.

Nonostante le poche ore di sonno, mi alzai presto. Volevo vedere Sophie. Avviandomi alla sua pasticceria passai davanti ad un’edicola. Detti uno sguardo distratto ai titoli esposti. Il fiammingo per me era incomprensibile. Feci due passi forse. Poi tornai indietro con il cuore in gola. C’era la foto in prima pagina di una devastazione. Tante parole che non capivo. Ma “Italia – Trento – 250 dood” era scritto a caratteri cubitali. Dood. In tedesco Tot. In Inglese dead. Morti. Il pensiero volò a mio padre.

Mi precipitai nella prima cabina telefonica che trovai. Grazie a Dio avevo delle monetine. Composi il numero di casa con la preghiera che lui rispondesse. Nessuna risposta. Cos’era successo ? Angosciato provai a chiamare il suo ufficio. Mi rispose dopo 8 interminabili squilli. Sentire la sua voce fu come rinascere. E mi raccontò quello che ancora oggi viene considerata una delle più grandi tragedie in terra trentina. Il disastro di Stava.

Mi rividi con Sophie tutti i giorni. Era una ragazza dolcissima. Invitai a bordo lei, sua madre e la sorellina per far visitare loro la nave. Mi consideravano della famiglia ormai.

Intanto Nocchieri e Allievi si addestravano per quello che sarebbe stato un evento memorabile nel porto successivo.



Ma arrivò il giorno della partenza. Sophie, quella mattina, mi portò nella spiaggia poco distante. Sabbia e dune a perdita d’occhio. Fu un’ora indimenticabile. Anche perchè, ma me ne accorsi solo a cose fatte, eravamo in piena vista della passeggiata litoranea, sotto gli occhi di parecchie famiglie che passavano il tempo a camminare in quell’area meravigliosa. L’imbarazzo mi accompagnò per parecchie settimane.

Il suo pianto, invece... no, non me lo dimenticherò mai.

Eravamo già quasi pronti a salpare. Lo sguardo di tutti, a bordo, fu rapito da una splendida Cadillac decapottabile che parcheggiò vicino alla scala. Alla guida c’era un nostro commilitone, e lo stupore continuò nel vedere le due splendide donne che vi erano sedute. Venimmo a sapere in seguito che il Nocchiere (effettivamente un bel ragazzo che avrebbe trovato posto in qualsiasi passerella di moda ) s’era innamorato (e felicemente contraccambiato) della splendida figlia di una facoltosa (e bellissima anch’essa) donna del luogo. Leggende marinare narrano che il commilitone, a fine Crociera, chiese il congedo e si stabilì nelle terre fiamminghe. Glielo augurammo tutti di cuore (e con un pizzico di invidia salmastra).

Era tutto pronto. In plancia c’eravamo tutti, compreso il Comandante che doveva dirigere la manovra.

Stavo osservando la carta nautica, e Defranceschi mi si avvicinò, serio, porgendomi un fascicolo. “Ne sa niente di questa roba ? ”, disse. Notai lo stemma della Reale Marina del Belgio. Allora quell’ubriacone l’ha fatto sul serio. Arrossii come un’aragosta. Stavo già cercando le scuse più improbabili, quando il Comandante scoppiò in una risata.

“Galileo, la prossima volta magari, dì che sei Cristoforo Colombo. Almeno risulti più credibile”. Sempre col sorriso sulle labbra si voltò e comandò al timoniere... “Tutto a dritta, rotta 020 e via così ! ”....

(continua)




*



Questo è l'ultimo frammento rimasto, ancora non ripubblicato, e che fa da unione tra i precedenti - dalla puntata 3 alla puntata 7 - salvati qui da me, e gli altri, dalla puntata 9 in poi, ancora esistenti nel blog di Odirke. La prima e la seconda puntata non sono più rintracciabili nel web. Buona lettura e ricordatevi di seguire il blog di Odirke.
857448ee-95ff-4964-bd6b-2af2f913f518
« immagine » Nonostante il periodo estivo, l’avvicinarci al Nord europa non ci risparmiava dal clima nordico, spesso capriccioso e soprattutto uggioso. La vita di bordo proseguiva comunque senza soste, a dispetto di Giove Pluvio. I turni di navigazione in plancia scorrevano tranquilli, avevo pres...
Post
20/02/2015 06:12:53
none
  • mi piace
    iLikeIt
    PublicVote
    4

Commenti

  1. MorganaMagoo 01 marzo 2015 ore 12:47
    sempre bellissimo rileggere.
  2. caryl 02 marzo 2015 ore 00:23
    x MorganaMagoo, vero, e con questa termina il recupero dei racconti del "mio Vespucci" in questo blog. sono rimasti un paio di altri testi sparsi, che usciranno più avanti.

Scrivi commento

Fai la login per commentare

Accedi al sito per lasciare un commento a questo post.