
scritto da Odirke, data di prima pubblicazione 15 marzo 2013 ore 09:57
La nascita della pirateria marittima si perde nella notte dei tempi e non si hanno certezze su chi o su cosa la causò. Dal diciannovesimo secolo in poi, sembrava che questo fenomeno fosse scemato del tutto, tranne sporadici raid nello stretto di Malacca, Singapore o in Sudamerica. Ma questi ultimi si limitavano ad episodi in cui i pirati si accontentavano di una cassa di sigarette, qualche dollaro e tutto finiva li. A me personalmente, in Perù, l’abbordaggio di quattro “pellegrini” mi costò un cavo di ormeggio. Niente di più.
Poi la recrudescenza. Dal 2005 ad oggi soprattutto nella regione del Corno d’Africa, in Somalia, Nigeria, Oceano Indiano gli episodi di pirateria sono comparsi con sempre più frequenza e violenza. Con dei danni stimati, ad oggi, di oltre quattro miliardi di sterline all’anno (fonte www.SaveOurSeafarers).
Anche se di pirateria non si è trattata, la vicenda dei due marò italiani già prigionieri in India è molto legata ad essa.
Come si è arrivati a questo episodio iniziato male, e finito ingloriosamente ?
Per capire meglio la questione nella sua interezza, bisogna fare alcuni passi indietro.
Nel 1959 nasce l’IMO (International Maritime Organization) che, sotto l’egida dell’ONU, viene fondato con l’intenzione di fissare regole uniche per disciplinare la marineria mondiale. E’ singolare come all’IMO abbiano voce e dettino legge quasi solo ed esclusivamente i rappresentanti degli Stati Uniti e del Regno Unito. Che sono quei Paesi responsabili dei più grandi disastri marittimi che si ricordi a memoria d’uomo, partendo dal citato Titanic, passando per la Exxon Valdez e finendo con la piattaforma BP nel Golfo del Messico. L’Italia ha un solo rappresentante messo li per pura figura e ottimo solo per intrattenimenti da pranzi conviviali.
Il primo frutto dell’IMO, nel 1960, fu la Convenzione SOLAS (Safety Of Life at Sea). Questo codice stabilisce, fra le altre cose, regole su come vanno costruite le navi, i mezzi di salvataggio, su come dotare questi mezzi in ambito di sicurezza.
Nel 1972 nasce la COLREG (Collisions Regulation) che regola il traffico in mare, stabilendo come due imbarcazioni, ad esempio, che si trovino in rotta di collisione, debbano comportarsi con le precedenze. Uno dei punti più importanti stabiliti con questo Codice fu la definizione dei primi schemi di separazione del traffico nelle zone più congestionate al mondo di navi, come il Canale della Manica.
A seguire, nel 1978, entra in vigore la MARPOL (Marine Pollution) che invece decreta per quanto concerne il trattamento degli idrocarburi (sia trasportati come carico che come combustibile), delle emissioni in atmosfera dai fumaioli, i rifiuti generati dal bordo (dalla buccia di banana fino alla batteria scarica) ed i liquami (acque nere e grigie). Nello stesso anno viene ratificata la STCW (Standards of Training, Certification and Watchkeeping) che stabilisce lo standard minimo dei marittimi per quanto riguarda le qualifiche professionali a partire dal marinaio per finire al Comandante. Studi, corsi, addestramenti… Questa convenzione ha reso certamente la categoria di lavoratore marittimo come quella più certificata al mondo.
Nel 1998 viene sancito lo ISM Code (International Safety Management) che regola le procedure operative a bordo ma, soprattutto, negli uffici della Compagnie armatrici delle navi. Questo è stato un passo fondamentale nella storia della marineria perché, per la prima volta, veniva dato un nome, un volto ed un indirizzo a coloro i quali gestiscono la nave, Armatore compreso. Fino a quell’anno le ispezioni di controllo periodiche avvenivano solo a carico di marittimi e della nave. Ora anche verso gli uffici di gestione a terra ed i loro responsabili.
Solas, Colreg, Marpol, Stcw, Ism. 5 libri. 5 Costituzioni. 5 bibbie per chi lavora in mare. Leggi che devono essere seguite alla lettera, per evitare pesantissime sanzioni pecuniarie, il fermo della nave in porto o, peggio, l'arresto dell'equipaggio. Tutto questo sistema porta ,per ogni nave, a dover sostenere mediamente oltre 100 certificazioni all’anno che vanno rinnovate a periodi diversi, verificate dalla Autorità Marittima e dall’Ente Tecnico di Classifica. Un dispendio di energie, denaro e tempo sostanzioso.
Nel 2004 invece, la chicca dell’IMO. Nasce lo ISPS (International Ship and Port Facility Security) Code. Nella prefazione di questa ulteriore “bibbia” c’è scritto a chiare lettere che nasce, tra le altre cose, dopo i tristi avvenimenti dell’ 11 settembre. In pratica esso stabilisce le misure di sicurezza (attenzione, intesa come security, non come salvaguardia della vita) da mantenere a bordo per evitare eventuali attacchi terroristici.
Il primo pensiero che mi venne in mente all’epoca, ricordo, fu quello della fregata americana Uss Cole saltata in aria per colpa di un barchino saturo d’esplosivo nello Yemen. Come possono quindi pretendere da dei marittimi non addestrati e soprattutto non armati la difesa della propria nave da carico, se 200 marines non sono stati in grado di difendere la propria?
Mentre i 5 codici citati prima hanno un senso anzi, hanno contribuito a migliorare lo standard delle navi e degli equipaggi, questa ultima “creatura” è di una assurdità e inutilità disarmante.
Il risultato dello ISPS ? Ogni Compagnia di navigazione ha dovuto istruire, formare e certificare un proprio dipendente come CSO (Company Security Officer). Per farvi capire la portata di questa novità vi riporto le cifre sborsate dal mio datore di lavoro. La mia formazione da CSO costò 2000 euro, ed altrettanti per il mio vice (obbligatorio). Almeno due marittimi a bordo di ogni nave certificati come SSO (Ship Security Officer). La nostra è una piccola Compagnia. Il costo per una decina di ufficiali fu di circa 15.000 nel primo anno, la media degli anni successivi 5.000 euro ogni dodici mesi. Ogni nave deve disporre di uno SSP (Ship Security Plan), ovverosia un Piano di Security (segreto) con tutte le procedure da attuare in caso di terrorismo o sospetto terrorismo. Costo 4.000 euro per nave. Inoltre deve installare un sistema SSAS (Ship Security Alert System) che è composto da un’antenna,un dispositivo e due pulsanti nascosti che, una volta attivati, inviano un allarme silenzioso al Comando Generale delle Capitanerie di Porto. Costo per nave circa 5.000 euro (più le certificazioni annuali da 800 euro cadauna). Poi sigilli, lucchetti, catene e, dulcis in fundo… l’hand metal detector, il cui scopo dovrebbe essere quello di rivelare la presenza di armi di persone che si trovano a dover salire a bordo (sic!). Ho dovuto addestrare di persona non so quanti marinai all’uso di questo aggeggio. Ma è stato come mettere la cravatta ad un cinghiale. Costo di un HMD, circa 500 euro.
E mi fermo qui perché potrei andare avanti per ore. Dovrei parlare della famosa “cittadella” cioè quella zona della nave (preferibilmente la sala controllo macchina blindata e dotata di mezzi di comunicazione satellitare, atta ad ospitare tutto l’equipaggio per qualche giorno in attesa dei soccorsi. Il costo per allestirla? 20.000 euro)che ha salvato i marittimi della “Montecristo” due anni fa. Parlando con il mio collega, responsabile di quella nave, non fu comunque il “fortino”a salvarli, ma la prontezza di spirito dei marinai italiani ed ucraini ed una buona dose di fortuna. Tonnellate di carta che va riempita ogni scalo della nave. Esercitazioni. Prove.
Pensate alle cifre citate e moltiplicatele per tutte le navi e tutte le Compagnie sparse per il mondo. Un mare di soldi sperperato.
Ma non solo navi. Chi vive in una città di mare avrà senz’altro notato che la fisionomia del porto è cambiata dal 2004 in poi. Fili spinati, guardie, recinzioni. Entrare nella zona commerciale non è più agevole come una volta.
Fatevi un giro al porto Petroli di Genova Multedo se ne avete occasione. In una linea d’aria di nemmeno 200 metri ci sono: abitazioni, petroliere, depositi di carburanti, un porticciolo turistico da diporto (accessibile a tutti) e la pista di atterraggio dell’aeroporto. Entrare nel porto petroli e successivamente a bordo è più difficile che entrare nudi a Montecitorio. Ma se dal porticciolo turistico, il talebano di turno sale sul suo guscio di noce, lo imbottisce di tritolo e dà due colpi di remo, ha solo l’imbarazzo della scelta se far saltare una nave carica di carburante o un aereo. Assurdo.
E l’Autorità italiana cosa ha pensato bene di fare ?
Oltre a recepire in toto lo ISPS Code, ha ideato “Il Programma Nazionale di Sicurezza Marittima” che, dopo una protesta collettiva di tutti i CSO (me compreso) italiani è stato stralciato in più punti (deliranti) ma che purtroppo è rimasto in parte come ulteriore fardello al codice internazionale già esistente.
Ed è da questo che ripartirò, nella seconda parte,per arrivare ai nostri due marò.
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