
scritto da Odirke , prima pubblicazione 31 marzo 2013 ore 01:16
Ero rimasto al “Programma Nazionale di Sicurezza Marittima”.
Nella sua inutilità tipicamente italica (essendo speculare e più restrittivo dello ISPS Code internazionale)un punto di accordo comunque, tra gli Armatori, lo aveva trovato.
Ed era quello basato sulla presenza di militari sulle navi battenti bandiera italiana che attraversassero acque ritenute pericolose per la pirateria. Il tutto fu sancito a Piazza Santissimi Apostoli, Roma, sede della Confitarma (la confederazione degli Armatori). Ero presente. La richiesta fu dunque da parte della marineria italiana coinvolta nelle tratte a rischio. Richiesta accelerata, e poi accettata dal Governo, dagli eventi della nave “Montecristo”.Non fu quindi decisione del Governo, ma una mano tesa alle Compagnie di Navigazione nostrane. Il prezzo da pagare era 250 euro al giorno per ogni soldato imbarcato, più le spese di viaggio da e per i vari check point tra Africa ed Estremo Oriente. Un’inezia rispetto a quanto chiesto dalle società di assicurazione alle Compagnie per coprire il rischio se queste facevano transitare le proprie navi senza squadre armate.
Ecco quindi il percorso che ha portato Latorre e Girone a bordo della Erica Lexie.
Si sono scritti fiumi di parole, giuste e sbagliate.
Sono state dette parecchie sciocchezze e si è denotata molta superficialità sull’argomento.
Premetto che non giustifico fino in fondo il comportamento dei nostri marò.
Fino a quando non sarà fatta piena chiarezza sull’episodio, giudico l’accaduto come la morte di quel tifoso nell’area di servizio ad Arezzo, oppure di quel manifestante a Genova. Uccisi da un irresponsabile uso delle armi. Ma non con la volontà di ammazzare.
Un’altra premessa. Chi naviga sa cosa vuol dire effettuare una traversata in zona rischio pirati. Raddoppio delle vedette, turni straordinari, oscuramento notturno. E questo stato di cose può andare avanti per diversi giorni o settimane a seconda del viaggio da compiere, con il risultato di una tensione altissima ed un senso di inquietudine che non ti lascia fino a quando sei in porto.
La Erica Lexie, al momento dell’incidente, si trovava a circa 21 miglia dalla costa, in acque contigue quindi. Le acque territoriali si estendono dal bagnasciuga fino alla linea delle 12 miglia. Dalle 12 alle 24 si estende la zona contigua in cui lo Stato costiero può esercitare la propria Autorità ma solo a determinate condizioni. Oltre le 24 miglia ci sono le acque internazionali. Il tutto sancito dalla Convenzione di Montego Bay, accettata internazionalmente se pure qualche Stato la disattende, come ad esempio Gheddafi che pretendeva l’estensione delle acque territoriali fino a 200 miglia. Ma ce ne sono molti altri di esempi non ancora risolti.
Uno Stato ha il diritto di esercitare la propria Autorità su navi straniere nelle acque contigue, solo nel caso che esse siano sospettate di aver infranto le proprie leggi nelle acque territoriali. Altrimenti la giurisdizione spetta alla bandiera di appartenenza della nave o al limite da un tribunale internazionale. Ed è il caso della Lexie. Il fatto è successo in acque contigue, non territoriali.
Parlando con i miei colleghi della Compagnia a cui appartiene la Enrica, la decisione di entrare in porto a Kochi fu presa dal Comandante della nave, sotto richiesta del suo Armatore, nonostante il parere contrario del Governo italiano. Una nave militare NATO era già pronta a trasbordare i due marò. Ma le Autorità del Kerala avevano formalmente promesso di voler sentire solo l’accaduto, e di non arrestare nessuno. Ed il Comandante in buona fede ha attraccato. C’è stato inganno ? SI. E lo ribadisco. SI.
Mi è capitato, durante la mia carriera, di navigare con equipaggio di nazionalità indiana. Nella maggior parte delle note caratteristiche che compilavo riguardo a loro, ne indicavo l’inaffidabilità e sottolineavo che pensassero in un modo per poi agire in un altro. Sarà un caso ?
I pescatori indiani, vittime delle pallottole nostrane, sicuramente saranno state degli innocenti. Ma ne vorrei la prova certa, perchè di dubbi ne ho parecchi. Consideriamo questi fatti:
1)Qualsiasi navigante nel mondo, petroliere o pescatore che sia, sa che per meri motivi di sicurezza due natanti (peschereccio o petroliera enorme non fa differenza) non devono avvicinarsi tra loro in navigazione a meno di 0,5 miglia nautiche (900 metri). In una zona riconosciuta a rischio pirateria, dove transitano (e tutti lo sanno) navi mercantili con squadre armate, perchè il peschereccio si è avvicinato fino a 300 metri dalla Lexie, nonostante i continui e ripetuti avvisi di allontanarsi ?
2)Nella stessa zona e quasi allo stesso momento una nave greca, la “Olympic Flair”, ha denunciato un attacco di pirateria. Smentito dal Ministero della Marina Mercantile greca, ma mai dalla Compagnia di quella nave.
3)I “pirati” della Montecristo, arrestati in flagranza di reato dai Seals inglesi a bordo della nave italiana ed incarcerati a Roma (qui si è applicato il diritto in maniera corretta) cosa sono ? Pescatori e pastori. Proprio come i due sfortunati indiani. Povera gente a cui è stato messo in mano un lanciagranate RPG. Situazione ancor più pericolosa se si pensa ad un’arma micidiale in mano a degli sprovveduti. Ho ancora davanti agli occhi la devastazione del ponte di comando di quella nave a seguito di un colpo sparato non per avvertire ma per distruggere. Se avessero ucciso qualcuno dei nostri marittimi ? O se gli inglesi avessero ammazzato i “pirati” ? Di cosa parleremmo ora ?
4) Perchè le Autorità indiane hanno distrutto in fretta i resti del peschereccio ? Noi abbiamo ancora il relitto della strage di Ustica, dopo svariati anni. Non è più possibile analizzare quindi parte delle “prove”. Perchè ai tecnici italiani non è stato consentito di partecipare ai test balistici sulle armi incriminate ? Tutto questo è quanto meno sospetto.
La vicenda del ritorno in India dei marò, poi.
Anche qui si è fatto un clamore inutile. In tutto questo ho trovato estremamente grave ed inaudito solo l’imposizione indiana a non permettere al nostro Ambasciatore di lasciare quel Paese.
Ricordiamoci tutti che il nostro rappresentante, a nome del nostro Governo, aveva promesso (ben prima della licenza “elettorale”) la restituzione dei marò solo nel caso che non venisse violata la Costituzione italiana. E visto che il processo, nel frattempo, era stato spostato dal Kerala a quello Federale (dove è prevista la pena di morte in caso di omicidio, quindi contro la nostra Costituzione) il nostro Governo ha dichiarato che sarebbero rimasti in Patria, cioè come era previsto nell’accordo. Le Autorità Federali indiane lo sapevano bene. Ed infatti hanno dovuto mettere nero su bianco che i due soldati non saranno mai giustiziati. Ma alla fine, il nostro circo mediatico ha fatto sì che la parte dei buoni la facesse l’India e quella dei coglioni, l’Italia. Sonia Gandhi, le elezioni in Kerala e tutte le altre vicende di contorno servono solo a confondere la realtà dei fatti.
Ho letto anche di accostamenti alla tragedia del Cermis.
Che, dal mio punto di vista, non ha nulla a che vedere con questa vicenda. Quella tragedia l’ho vissuta in prima persona. Ero li. Con i miei figli, per una gioiosa giornata sulla neve. La nostra fortuna fu solo che non avevamo gli sci, ma una semplice slitta. E non avevamo bisogno di prendere la funivia.
A differenza della Lexie, i due militari statunitensi si trovavano in pieno territorio italiano. Se i due marines non sono stati consegnati alle nostre Autorità, è solo grazie agli accordi (dei quali molti sono tuttora segreti) che il nostro Paese ha dovuto firmare con gli USA a seguito della guerra. Che ci piaccia o no, non abbiamo fatto altro che essere fedeli ad un patto. Abbiamo mantenuto la parola. Io personalmente strozzerei con le mie mani i due aviatori. Ma non potrei mai mancare ad una promessa. Siamo pronti, come Stato Italia, a ridiscutere accordi e presenza americana qui in Italia ? Ne dubito.
Questo post era comunque nato per un motivo diverso, da come si è sviluppato.
Per la mia posizione, tra le altre cose, come CSO, ho la possibilità di ricevere giornalmente i rapporti che il Terzo reparto della Guardia Costiera manda per aggiornare la situazione delle aree a rischio. Arrivano notizie di attacchi o tentativi di attacco a navi mercantili dal West Africa, Oceano Indiano, Cina, Sudamerica a cadenza quasi quotidiana. I giornali ed i telegiornali ne parlano solo se scappa il morto, o se i pirati riescono a sequestrare una nave ed un equipaggio interi.
La domanda che mi posi, un tempo, era semplice. Ma è possibile che con tutta la tecnologia a disposizione non si riesca a stanare definitivamente quei pochi disperati senza arte ne parte e rendere liberi i mari ?
Poi con gli anni compresi.
Sono italiano, ergo malpensante.
Insieme ai rapporti della Guardia Costiera, mi arrivano mail di presentazione da parte di società private che offrono personale da imbarcare sulle navi per azioni di antipirateria. I pacchetti che mettono a disposizione sono variegati. Mercenari armati, non armati, professionisti, a gruppi di due tre o addirittura sei. Li vuoi in divisa ? Non c’è problemi. Li vuoi vegetariani ? Pronti. Il tutto a partire dalla modica cifra di 1250 euro al giorno (pacchetto base senza optional). I 250 euro spesi per i nostri soldati sono una mancia, quindi.
Di queste società nella sola area di Mogadiscio ce ne sono 150 (e la prima fu aperta da un italiano. Dove c’è da far soldi sulla pelle degli altri, chissà come mai, siamo sempre i primi). In tutto il mondo sono svariate centinaia. E stanno aumentando. Un’altra società italiana, ma con sede a Tunisi, mi ha offerto un lavoro con una prospettiva di paga doppia a quella attuale.
I gruppi assicurativi principali delle navi mercantili stanno aumentando il fatturato in maniera esponenziale.
I noli per le navi che transitano nelle aree a rischio sono aumentati a dismisura.
Il giro di affari che si sta sviluppando in questo settore propone delle cifre sbalorditive. Nel silenzio generale.
E in tutto questo quindi, c’è veramente la volontà di combattere e debellare la pirateria ? Io non lo credo proprio.
Ho solo la speranza che il sito “saveourseafarers” non sia un semplice bluff. La classica carota da offrire ai malpensanti come me.
Perchè tanto, alla fine, e come sempre.. chi ci rimette è solo chi, come me, va per mare.
Semper Fidelis
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