Si dice che prima di morire un uomo riviva i momenti importanti della sua vita in un susseguirsi di immagini. Questo mi succede tutte le sere, sedendo di fronte al fuoco, poco prima di coricarmi. Sono in viaggio assieme ad un gruppo per l'ennesima missione contro il Caos, impersonificato in una strega contadina, stavolta.
Il Caos, quell'abisso da cui nascono i venti della magia. Alcuni bramano i suoi doni, come la capacità di vedere e manipolare quei venti per plasmarli in forme ed effetti con cui appagare i loro desideri. Lentamente ne vengono corrotti sia nel corpo che nell'anima, distorcendosi in forme demoniache che alla fine collassano su se stesse. Il Caos è male, e nessuno dovrebbe accettare il dono del Maligno.
Eppure, nonostante l'evidente pericolo che rappresenta, molti preferiscono abbracciarlo, considerandosi abbastanza forti da poter rischiare. L'orgoglio, la presunzione, l'arroganza sono i peggiori difetti che un uomo possa avere, rendendoli ciechi sul loro destino.
Così nascono i circoli di cultisti che non paghi di avere un dono casuale, lo cercano attivamente, desiderandone sempre di più, arrivando a osceni rituali per evocare entità da quell'abisso recanti promesse di potere e dominio. Di loro non mi disgusta tanto la cieca stupidità dei loro intenti, quanto la totale mancanza di scrupoli per raggiungerli. A loro porto la giustizia di Sigmar.
Sedendo a terra, tra le fiamme del falò intravedo un ricordo. I miei genitori che discutevano per l'ennesima volta, sempre per lo stesso motivo: la partenza di mio padre per qualche altra caccia alle streghe, che forse sarebbe durata settimane, forse mesi. Mia madre esasperata che grida: "è più importante combattere il Caos che star con la tua famiglia? Crescere i tuoi figli?", "il Caos è una piaga che minaccia il mondo. Proteggendo il mondo, proteggo te e i nostri figli", era solito rispondere con la sua voce profonda ed aspra, per poi partire senza una parola. Così cominciava un altro mese di solitudine per nostra madre, persa nella paura di non vederlo più tornare, risentita che l'uomo che amava mettesse la sua fede più in alto della sua famiglia, che lei e noi venissimo dopo Sigmar.
L'immagine trema e scompare, mentre vengo riportato alla realtà da mio fratello che alimenta il fuoco con qualche ciocco di legno. Vedo il suo viso teso, tirato. Non so se ricordi quanto successo. Non glielo mai chiesto ed era piccolo all'epoca. Forse sì, ma non ho mai voluto rievocare quanto accaduto. Finisco di mangiare la mia spartana razione da viaggio, per poi coricarmi, sperando in un sonno senza sogni.
La sveglia è all'alba, come tutti i giorni, annunciando una giornata piena di pratiche ripetitive, di un gruppo che sembra non aver gioia di vivere, forse per la natura della nostra missione, forse per il temperamento, forse per altro. Qualcuno tra i più giovani prova talvolta a intavolare un dialogo o almeno una chiacchiera, ma in genere durano poco, scontrandosi con un muro fatto di impenetrabile silenzio. Poi arriva la sera, ognuno con la sua razione, ognuno con i suoi ricordi.
C'è mia madre, che tra le fiamme è rimasta da sola nella villa, mentre cerca di riempire la sua giornata di nulla nel tentativo di distrarre la mente con impegni su impegni, senza però trovare qualcosa che davvero scacci malinconia e tristezza, imparando a dipingere, a scolpire, a cantare e a suonare l'arpa. Vedevamo maestri di ogni genere entrare nella villa per qualche mese, insegnare tutto quello che sapevano finché non arrivava l'inevitabile abbandono. Tutti, tranne uno. Era un maestro di canto elfico, un'arte difficile nella quale nostra madre arrancava non poco, ma lui sembrava avere una pazienza infinita, scherzando sui suoi errori senza mai apparire né offensivo né derisorio. Vedemmo nostra madre tornare a sorridere, tornammo a vederla vestire di colori allegri e persino a dare qualche festa ogni tanto. Nostro padre mancava, ma ero felice di vederla ridere. Felice come non lo ero da molto.
Organizzò anche una festa in maschera, simile, dicono, a una di quelle feste tileane dove la gente si veste di seta e velluto con maschere di ceramica o porcellana. Mi divertii con mio fratello piccolo quella sera, nascondendoci con gli altri bambini dietro maschere di animali, di mostri o di eroi dell'impero, rincorrendoci per tutto il palazzo. E in un giardino al centro di un chiostro interno vidi mia madre e il maestro di canto elfico chiacchierare. Era diverso però, mia madre sembrava divertirsi, ma era più rigida, più timida del solito, quasi inquieta. Vidi l'uomo togliersi la maschera, per poi toglierla anche a mia madre, e baciarla. All'epoca ignoravo cosa fosse corteggiamento, il matrimonio e il rapporto tra uomo e donna, però percepivo che c'era qualcosa di sbagliato in questo.
Fu in quei giorni che vidi tornare mio padre, per una breve visita, prima di ripartire. Era sorpreso di vedere nostra madre felice di aver trovato nelle arti nuove passioni. Notai mia madre inquieta, forse per i sensi di colpa, che tuttavia aveva anche mio padre. Per questo non indagò più di tanto, ma lasciò che mia madre coprisse la sua solitudine di moglie con arti di ogni genere. Poi ripartì. Mia madre non lo fermò questa volta, ma si limitò ad abbracciarlo con un sorriso malinconico. Mio padre la guardò negli occhi cercando di capire cosa fosse cambiato, forse riproponendosi di approfondire al suo ritorno. Poi si allontanò ancora una volta. Mi accorsi solo dopo che durante la settimana di permanenza di nostro padre il maestro di canto elfico non era venuto neanche una volta a trovarci.
Nei giorni che seguirono vidi mia madre diventare sempre più radiosa, sempre più felice. Sembrava addirittura più bella. Il maestro di canto elfico aveva cominciato anche a cenare con noi, proponendoci di insegnarci la sua difficile arte. Mia madre gentilmente rifiutò, dicendo che eravamo ancora troppo piccoli. Quando durante la cena scoppiava qualche temporale, gli fu offerto di dormire in una delle stanze degli ospiti, fintanto che divenne quasi una prassi normale, mentre io speravo che mio padre tornasse. Stavo vedendo lentamente mia madre cambiare, era diventata solare e gioiosa all'inizio, ma si stava lasciando andare anche ad altre abitudini che prima non aveva, come il bere vini rari e costosi o l'inebriarsi con profumi e spezie esotiche, sempre consigliata dal maestro di canto elfico. A volte usciva a sera per non rientrare se non quando albeggiava.
Durante una cena il maestro di canto elfico propose ancora di insegnare a mio fratello, e ancora mia madre rifiutò, ma stavolta con meno decisione, quasi avesse paura di contraddirlo.
Anche le feste ora erano diverse. Ormai erano solo feste in maschera e avevo l'impressione che lentamente gli invitati stessero cambiando, che fossero altre persone a partecipare. C'era un'atmosfera diversa, meno gioiosa, con stanze che venivano chiuse senza una ragione apparente e qualche urla che riecheggiava tra i corridoi ogni tanto, ma senza destare interesse in alcuno dei partecipanti. Fu verso mezzanotte che venne portato un servo seminudo. Dicevano che era stato sorpreso a rubare, e il maestro di canto elfico ordinò che fosse frustato. Gli altri servi guardarono impauriti mia madre con aria interrogativa, che disse "siete forse sordi? Che sia frustato". Mai avevo visto mia madre punire qualcuno. Fu così che di fronte a tutti gli ospiti quel pover'uomo ricevette venti schiocchi di frusta. Il giorno dopo più della metà dei nostri servitori si licenziò. Rimasero solo quelli più anziani ed affezionati. Qualcuno provò a parlare con mia madre, ma fu irremovibile sulla sua scelta, sostenendo che alcuni nobili per furto avrebbero anche potuto giustiziare il colpevole.
Arrivarono nuovi servitori con forti accenti provenienti per lo più dal sud, forse Tilea o forse Estalia. Erano diversi anche nel comportamento rispetto ai vecchi, molto più silenziosi e con volti tirati, spesso sorridenti in modo inopportuno. Uno di loro una volta si avvicinò per parlare, sedendosi e invitandomi a sedermi sulle sue ginocchia. In quel momento arrivò uno dei vecchi servitori e mi disse di sbrigarmi che dovevo finire i mie compiti giornalieri, portandomi via nella mia camera. Lì mi chiese cosa fosse successo e mi disse di non avvicinarmi ad alcuno dei nuovi. Fu in quel momento che arrivò mia madre che dopo essere entrata chiuse lentamente la porta dietro di sé. Mi accorsi di quanto fosse cambiato il suo volto. Era più bello rispetto a prima, ma di una bellezza fredda e affilata. Si sedette sul mio letto e mi disse di avvicinarmi. Mi abbracciò e la sua espressione, fino a poco prima seria, quasi crudele, si sciolse in un sorriso triste. Con mani tremanti mi accarezzò il viso e mi chiese se stavo bene, se sapevo che lei amava me e mio fratello più di qualunque altra cosa. Risposi confusamente di sì. Si alzò di nuovo in piedi e chiamò il servitore. Gli porse una scatola di legno intarsiato chiusa con un chiavistello e disse: "proteggi i miei figli nel modo che ritieni più opportuno. E' l'ultimo ordine che ti do". Poi uscì. In quel momento il servitore rimase fermo a fissare la porta, con un'espressione mista tra il terrore e lo sgomento. Mi disse di prepararmi per uscire, poi andò via di fretta. Tornò dopo pochi minuti con mio fratello e un altro servitore. Mai in vita mia avevo provato tanta paura senza capirne il motivo.
Uscimmo dalla villa sotto gli sguardi sospettosi dei nuovi servitori, che tuttavia non fecero nulla per impedirlo, forse frenati per la presenza delle vecchie guardie che nel frattempo ci affiancarono, e, presa la carrozza, proseguimmo fino in paese, dove il servitore parlò con quello che dicevano essere un magistrato. Ci portarono in una locanda dove dormimmo per alcuni giorni in attesa di non so quali eventi. Cercavo di mostrarmi tranquillo con mio fratello per non terrorizzarlo più di quanto già lo fosse, ma con scarsi risultati, tanto che una notte scappò per tornare in villa da nostra madre. Il magistrato ordinò che fosse cercato, ma nessuno dei servitori, abbassando lo sguardo, volle tornare alla villa. La paura emergeva chiara dai loro volti. Li odiai per questo tradimento, ma con il tempo capii che erano semplici servitori, servi nati per servire. E' compito dei nobili combattere. Quella sera vidi arrivare nostro padre, tornato dal suo viaggio. Mi chiese cosa fosse successo nei dettagli. Partì di fretta per la villa, ordinandomi di non muovermi.
Né prima né poi, in tutta la mia vita, ebbi più paura ed ansia di quanto stava succedendo, ma non potevo lasciare mio padre e mia madre da soli. Non avrei dovuto farlo, avrei dovuto ascoltare mio padre, ma per la prima volta in vita mia non lo feci, e approfittando della confusione scappai dalla locanda per seguirlo.
Ricordi di un prete guerriero.
22 novembre 2022 ore 13:05 segnala78126cde-dca2-423d-a52f-21fcad92ed18
Si dice che prima di morire un uomo riviva i momenti importanti della sua vita in un susseguirsi di immagini. Questo mi succede tutte le sere, sedendo di fronte al fuoco, poco prima di coricarmi. Sono in viaggio assieme ad un gruppo per l'ennesima missione contro il Caos, impersonificato in una...
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22/11/2022 13:05:22
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Ciuccellone 02 ottobre 2024 ore 13:35
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