
Data di prima pubblicazione in Internet: 08.08.2009
C'era una volta, oltre il fiume che attraversava il villaggio, una capanna antica ma costruita solidamente con forti pietre all'esterno e tronchi d'albero all'interno a fare da pareti, e questi tronchi erano stati cesellati e scolpiti finemente attraverso una moltitudine di anni. Anni che avevano lasciato il segno ricoprendo di un folto tappeto di muschio il tetto, sin quasi a lambire il terreno, proteggendo l'abitazione dai rigori del freddo e rendendola gradevole nel calore dell'estate.. Le sue pareti, che dall'esterno sembravano basse, dall'interno rivelavano la loro altezza poichè subito passato l'ingresso si scendeva per accedere ad una camera molto più spaziosa di quanto si sarebbe immaginato. Chi vi abitava non ricordava più quanti anni avesse o, forse, non voleva più ricordarlo. Veniva da lontano, da terre che gli abitanti del villaggio non avevano mai sentito nominare, terre che neanche esistevano più, celate nell'oblio dei secoli. Aveva visto torri gigantesche diventare polvere, aveva vagato per colline che ora erano letti di fiumi. Era stato un uomo e milioni di uomini, aveva visto crocifiggere il figlio di Dio e aveva spezzato per la vergogna la lancia con cui l'aveva colpito. Aveva solcato i mari, ucciso l'albatros che indicava la rotta e visto morire tra i ghiacci tutti gli uomini del suo equipaggio. Aveva chinato la schiena sotto la frusta mentre implorava per una birra con i muscoli distrutti dalla fatica di trascinare le pietre per erigere le piramidi. Aveva perduto la strada nella foresta , alla ricerca di Cybola, e mentre i suoi uomini morivano sotto le frecce degli indigeni era sfuggito su una zattera. Aveva raggiunto Londra una notte, solo, sul ponte di un veliero che aveva attraccato al porto senza che mano umana lo comandasse ed era disceso portando dietro di sè i topi e la peste. Molte cose aveva fatto e più ancora ne aveva viste ma la via del Bene era sempre sfuggita tra le sue dita come cenere impalpabile. Sapeva di avere su di sè una maledizione che non avrebbe potuto infrangere ma ormai non se ne curava più. Aveva imparato tutte le filosofie, tutta la storia, ogni argomento dello scibile e infine si era rivolto alla Magia, nel vano tentativo di trovare un indizio che lo avrebbe liberato. Certe sere, seduto davanti al fuoco, ricordava ancora le discussioni avute con Ermes Trismegister, le danze sfrenate dell'oracolo di Delfi, la fuga sui tetti insieme a Giuseppe Balsamo. A volte, ghignando, gli tornava alla mente il viso pallido di Cotton Mather, l'unico che aveva intravisto nella profondità dei suoi occhi tutto quel che c'era da vedere e anche di più, e se ne era ritratto terrorizzato per sfogare poi la sua rabbia a Salem... Alfine, il vecchio aveva preso una curiosa abitudine: ogni giorno, da anni, andava nel bosco a raccogliere rami, li scortecciava, ammollava il legno bianco e morbido in certi calderoni e stendeva questa pasta di legno su degli stampi, formando pagine e pagine. Centinaia di pagine, migliaia di pagine, che pazientemente rilegava unendole con colla d'uovo e farina. Era cosa rara incontrarlo nel bosco vicino al quale viveva, la gente del villaggio si comportava come se non esistesse e lui non si curava di loro. Aveva la sua porta magica, nell'angolo più buio della casa, attraverso la quale riusciva ad andare qua e là per il mondo ma anche questo non gli dava diletto alcuno e da tempo non la usava più se non per portare indietro quel poco che gli serviva per mangiare.Un giorno d'estate, il bambino e suo padre, il narratore, passavano nel bosco alla ricerca di piante di timo serpillo da mettere nel loro giardino, quando lo incontrarono. Si rivolsero cenni di saluto cortesi poi, per la prima volta dopo un tempo infinito, il vecchio rivolse loro la parola invitandoli a desinare con lui. Il narratore aveva una vaga idea sul vecchio ma non era confortata da certezze e accettò, anche se prudentemente. Una volta seduti il vecchio volle dir loro quanto si sentisse solo e iniziò a raccontare la sua storia. Più che una storia, era un insieme di leggende, di miti, di cose talmente favolose che il bambino, nella sua ingenuità, non sapeva se accettare per vere o mettersi a ridere ma suo padre stava attento e così fece anche lui. Scese la notte e tutte le sue iniquità, tutti i suoi peccati, tutto il male che gli uomini fanno era ormai lì tra loro, uscito come un fiume in piena da una fessura dell'inferno. Padre e figlio avevano gli occhi pieni di lacrime per quanto avevano udito e la tristezza e la commozione stringevano i loro cuori; poi il piccolo si avvicinò al vecchio e, prendendogli la mano, disse: "Io ti perdono". Il padre lo guardò e capì che chi parlava non era suo figlio ma qualcuno molto più grande di tutti loro. Un raggio di luce invase la stanza e videro distintamente il vecchio dissolversi in un pulviscolo dorato che prese a vorticare nella stanza. Quando sparì il vecchio non c'era più e tutti i libri bianchi che aveva rilegato erano coperti di milioni, miliardi di parole. Tutto quel che era stato ora era conservato per sempre in quelle pagine, a testimoniare quel che l'uomo non dovrebbe mai fare. Uscirono in silenzio chiudendo la grossa porta di legno e il narratore portò via la chiave affinchè nessuno potesse infrangere il silenzio di quelle storie.