Dellan
06 maggio 2008 ore 15:27
segnala
Vi invito a visitare un Blog realizzato a più mani:
http://lafabbrica.ilcannocchiale.it
Per pensare, leggere, riflettere, criticare... Io ci scrivo da tempo... Buona continuazione a tutti!!
9286224
Vi invito a visitare un Blog realizzato a più mani:
http://lafabbrica.ilcannocchiale.it
Per pensare, leggere, riflettere, criticare... Io ci scrivo da tempo... Buona continuazione a tutti!!
Post
06/05/2008 15:27:59
none
mi piace
iLikeIt
PublicVote
1
commenti
comment
Comment
1
Dellan
10 marzo 2008 ore 12:42
segnala
Oramai anche gli intellettuali e facoltosi della sinistra faticano ad accettare una società odierna ancora fondata su classi sociali differenti.
Di conseguenza, gli insegnamenti tramandati dalle precedenti generazioni, a partire dal mio tanto amato Marx, sono oramai prossimi alla semplice analisi storica perché, nell’attuale evoluzione della società, è fuori luogo ricollegarsi ad ideologie che supportino la “lotta di classe” come movimento in difesa delle fasce sociali più deboli.
Possiamo indubbiamente costatare che l’evoluzione del capitalismo ha dato a tutta la popolazione (o almeno alla stragrande maggioranza) degli strumenti, dei comfort, che tutto sommato apparentemente parificano il livello sociale medio. Anche i metalmeccanici, categoria meno pagata nel mondo del lavoro d’oggi in Italia, hanno la possibilità di sopravvivere magari in un monolocale, riducendo le spese al minimo, ma sempre con un bel televisore con il quale credere che vada tutto a meraviglia.
La potenza mediatica della televisione unita all’apparente benessere affievolisce quella appartenenza ad una categoria sociale nel suo significato più romantico.
La lotta di classe non può esistere se prima non vi è un senso di appartenenza di classe. Nella società attuale manca nei lavoratori un senso di appartenenza alla rispettiva categoria, dettato dalla mancanza di una classe politica e sindacale in grado di unire il movimento dei lavoratori. Se il sindacato viene meno al suo ruolo di avanguardia, di conseguenza anche i lavoratori faticheranno a trovare la propria identità di classe.
Per un momento le mie convinzioni ideologiche e politiche possono anche essere accantonate per analizzare il piano sociale, quello evidente e alla portata di tutti: la differenza economica fra coloro che arrivano a fatica a fine del mese e coloro che possono permettersi tre case, due macchine e sperperi di qualsiasi natura.
La disuguaglianza sociale è specialmente negli ultimi anni aumentata. Si sorreggono economicamente le imprese, mentre i contratti collettivi nazionali di categoria sono ritoccati sulla soglia dell’elemosina.
Il capitalismo è riuscito a non far morire di fame la propria popolazione. Al contrario ha reso succubi gli stessi cittadini, schiavi del nuovo millennio. Alla Tyssen si muore per 800 euro al mese con diverse ore di straordinario. All’ortomercato di via Mecenate a Milano si lavora in nero per 3 euro orari, nei cantieri edili le condizioni lavorative diventano spesso disumane, in particolar modo se sei cittadino straniero e quindi più facilmente ricattabile.
Però tutto rimane fermo, non esiste più la lotta per la difesa dei propri diritti. Il precariato ha ucciso anche le ultime possibili forme di autodifesa dei lavoratori e i sindacati appoggiando la concertazione hanno venduto l’anima degli stessi lavoratori.
Il movimento ha bisogno di piantare nuove fondamenta per arrivare in un secondo momento alla lotta di classe nel suo significato più nobile. Quello rivolto al lavoro sicuro e garantito e con salari dignitosi per il lavoratore e per la propria famiglia, quello rivolto alla dignitosità dell’individuo e alla parificazione sociale.
La politica erroneamente cerca di diminuire le tasse statali nelle buste paga dei lavoratori senza neanche ipotizzare una redistribuzione del reddito sociale che premetterebbe vantaggi sia ai lavoratori sia alle imprese.
Viviamo in una società speculativa, dove ognuno guarda i propri interessi economici. Prima di una rivoluzione fisica è necessaria una controtendenza culturale che ne prepari le basi.
8959418
none
mi piace
iLikeIt
PublicVote
commenti
comment
Comment
Dellan
09 marzo 2008 ore 21:21
segnala
Nella nebbia ci si ritrova, quantomeno nello spirito, nelle gioie quotidiane che ti permettono di affrontare le difficoltà fisiche e psicologiche della vita. Siamo veramente pronti a prenderci le nostre responsabilità? Potremmo guardare domani i nostri figli e regalargli il mondo che lasceremo loro? A cosa servono delle elezioni se non per ripartirsi il potere, le comode poltrone da 15mila euro, per le quali ogni politico doc sarebbe pronto a vendere qualsiasi ideale. Una società che concede spazio a coloro che agiscono in modo speculativo, per i propri interessi, a suon dell’ultima frottola che porti voti, consenso, popolarità. Oramai dal vocabolario politico il concetto di uguaglianza è andato in pensione, quasi come se l’uomo si fosse arreso con sé stesso nel trovare delle soluzioni comuni di pacifica convivenza. Viviamo intrinsecamente la competizione nel potere, nella ricchezza, nell’accettazione sociale, nell’essere quello che magari non siamo. Poi ci alziamo una mattina e scopriamo come in una favola di aver buttato via tanto tempo a rincorrere quella carota appesa costantemente ad un passo da noi. Allora ci accorgiamo che può bastare poco per essere felici, magari guardando il cielo e scoprendo se veramente è così azzurro come viene raccontato nei libri per bambini. Per una volta tutto il resto può venire anche dopo… (quella casa brutta…)
8956595
Nella nebbia ci si ritrova, quantomeno nello spirito, nelle gioie quotidiane che ti permettono di affrontare le difficoltà fisiche e psicologiche della vita. Siamo veramente pronti a prenderci le nostre responsabilità? Potremmo guardare domani i nostri figli e regalargli il mondo che lasceremo...
Post
09/03/2008 21:21:59
none
mi piace
iLikeIt
PublicVote
1
commenti
comment
Comment
Dellan
05 febbraio 2008 ore 11:35
segnala
Se vogliamo capire il ruolo dei partiti nella nostra società e quali alternative possono ancora dare alle future generazioni, dobbiamo inevitabilmente partire con un lavoro sintetico che tratti la sua evoluzione, ed analitico nei suoi contenuti ideologici e sociali.
Non mi addentrerò nell’analisi del significato di partito nelle altre epoche storiche, perché tali similitudini potrebbero diventare del tutto soggettive e con forzature spesso controproducenti per le numerose problematiche da affrontare. Riconosco la valenza storica delle democrazie assembleari delle polis greche, nella Roma repubblicana, nei Comuni medievali con lo scontro fra guelfi e ghibellini ma, attualmente, dobbiamo sforzarci di analizzare le forme di partito moderno che, per diversi aspetti, hanno rivoluzionato anche le stesse abitudini dell’uomo d’oggi.
Il partito moderno sorge contemporaneamente alla liberal-democrazia e trova il suo apice funzionale a metà dello scorso secolo. In pratica nell’arco di soli cinquant’anni di storia i partiti sono passati da un ruolo fondamentale per la società ad essere quasi del tutto ignorati dalle nuove generazioni.
Ma quali sono le cause di questo declino? Perché i partiti non sono più le avanguardie delle varie ideologie politiche?
Di analisi che possono portare ad una risposta sensata e giustificabile ce ne sono molte. Comunemente oramai il crollo del sistema partito moderno, almeno in Italia, è attribuito a Tangentopoli e alla crisi di valori della stessa politica. Vari partiti che hanno preferito lavorare per i propri interessi rispetto a quelli della collettività. La storia la conosciamo e non vale la pena ripeterla.
Questa analisi del crollo dei partiti dev’essere comunque presa con le pinze. Oserei dire che Tangentopoli rappresenta solo l’ultimo passo di un sistema partitico oramai saturo per mancanza di rinnovamento ideologico e culturale, emblematicamente segnato da ben quarant’anni di Democrazia Cristiana.
Il declino dei partiti è comunque iniziato almeno un ventennio prima, quando il loro stesso ruolo (in particolar modo per i partiti di massa) è stato sostituito dal sistema mediatico-informatico. I partiti negl’anni ’50 avevano forza sociale, erano strumenti di acculturazione e socializzazione. Avevano spinta propulsiva, comportando di conseguenza aggregazione ed interesse da parte della popolazione. Tale forza oramai è pressoché svanita e la colpa a livello europeo è da attribuire ai partiti di stampo socialista. Questo perché i socialisti in Europa sono stati il primo moderno partito di massa (per la loro struttura) fondato sul miglioramento globale della qualità di vita dei propri votanti. Il raggiungimento di una relativa sicurezza sociale “dalla culla alla tomba” comporta un affievolimento della stessa appartenenza al partito. Questo perché l’evoluzione della società capitalista ha radicato dei valori basati sul raggiungimento massimo che i ceti inferiori potevano ambire in un contesto partitico e politico.
Tale processo di “capitalismo assistenziale” ha portato nel bene e nel male alla moderna valutazione mediatica degli stessi partiti. Ha aperto le porte a quella democrazia rappresentativa costituita da una classe politica dirigente che ottiene consensi popolari sull’immagine e non sui contenuti ideologici. Esempio del tutto attuale sono le primarie americane: che differenze programmatiche vi sono fra la Clinton e Obama? Non sono un attento studioso della situazione politica statunitense, però le fonti che trattano l’argomento (i telegiornali in primis) pongono la questione come semplice duello d’immagine.
In Italia il sistema partito trasformato in immagine è evidente con Forza Italia, che è diventato in pochissimi anni il primo partito italiano grazie alla potenza mediatica (le televisioni) di Berlusconi. Infatti l’ex-premier è riuscito a vincere più che a livello politico a livello mediatico già nel 1994, quando nel dibattito sul conflitto d’interessi è riuscito a farsi garantire (dalla stessa sinistra) che le televisioni non sarebbero state toccate.
Berlusconi in Italia e Perot negli Stati Uniti sono stati i primi grandi innovatori della politica “pubblicitaria”, aprendo le porte al sistema moderno del ruolo della stessa politica. Il partito come azienda, capace di creare una macchina sociale basata sul consumo inevitabile di prodotti forzatamente venduti. È il caso delle televisioni di Berlusconi: inizialmente l’azienda Fininvest gestiva semplicemente un servizio privato rivolto a tutti i cittadini. Dato che questo servizio incominciava ad avere un forte potenziale (ovvero i telespettatori) Berlusconi ha avuto la lungimirante e redditizia idea di trasformare tale potere mediatico in potere politico, far nascere un partito e ottenere senza stravolgimenti ideologici ed epocali un netto consenso popolare. Vi ricordate le campagne pubblicitarie sui tre canali berlusconiani nel 1994? Io ero poco più che bambino è già mi angosciavano…
Il demerito dei partiti, e ripeto, in primis quelli socialisti, è non aver avuto forza e innovazione per continuare ad avere una valenza sociale. I partiti di massa sono sorti per convogliare il voto di massa, determinato dal progressivo allargamento del suffragio, diventato, col termine enfatico, “universale”. Diritto che col passare degli anni è esercitato in misura sempre minore in tutte le democrazie rappresentative. Quindi i partiti hanno un ruolo più marginale proprio perché gli elettori si astengono maggiormente col passare degli anni. Processo contorto ma accuratamente studiato dalle liberl-democrazie che hanno costruito una società di apparente benessere basata su livelli standard di vita.
Questa mancanza di valori rinnovativi nella politica fa nascere movimenti partitici in alcuni casi anche pericolosi. Mi riferisco al partito della Lega Nord che ha sfondato nei primi anni ’90 con affermazioni in stile “La Lega ce l’ha duro” o “Roma ladrona”, slogan che cavalcavano il malcontento della popolazione dopo gl’anni di Tangentopoli, utilizzando come mezzo la controcultura e la controinformazione. Del resto, dopo la scomparsa (finalmente!) della Dc, la situazione dei partiti conservatori non è andata migliorando, anzi la situazione è ulteriormente degenerata con la nascita dei vari partiti centristi di stampo democristiano (dall’Udc alla Margherita) che sono nati forzatamente e non naturalmente.
I partiti se vorranno sopravvivere dovranno riappropriarsi del loro ruolo sociale, essere propostivi e avere quegli strumenti di socializzazione che portino i cittadini a ritornare a discutere e interessarsi della politica.
Ringrazio chiunque abbia letto l'intero articolo (che non è stato scritto appositamente per un post di una chat...) però mi interessava proporvelo ugualmente....
8774492
none
mi piace
iLikeIt
PublicVote
commenti
comment
Comment
Dellan
23 gennaio 2008 ore 01:31
segnala
Pochi son quelli che cercano di chiarire a sé stessi il loro grado di libertà intellettuale.
In ogni momento della vita urgono problemi ed interessi più concreti, gravi o divertenti che assorbono il tempo di un uomo. Ben altro che pensare a “idee generali”.
Naturalmente ci sono infinite differenze e sfumature sulla varietà ed intensità di certi interessi. In alcuni prevale la curiosità di conoscere il mondo, la morale, la giustizia… in altri, l’esito di una partita di calcio.
Tra i minori non mancan di quelli che le semplici tavole pitagoriche (per il loro scarso grado di curiosità) avrebbero volentieri rinunciato a studiarle, se non vi fossero stati costretti.
E ognuno, a suo modo, ha una fede e qualche pregiudizio…
8702284
none
mi piace
iLikeIt
PublicVote
commenti
comment
Comment
Dellan
16 gennaio 2008 ore 14:07
segnala
Devo obbligatoriamente intervenire nel difficile discorso economico nazionale, in particolar modo quando sono pronunciati dati che possono essere utilizzati per buoni in base alla bandiera di appartenenza.
Prodi, in una lettera inviata all’Ansa, contesta i dati forniti dall’Eurostat che definisce il Pil/procapite spagnolo (a parità di potere d’acquisto) superiore a quello italiano. Prodi per smentire l’Eurostat ribatte a suon di controdati utilizzando quelli del Fondo Monetario Internazionale che definisce la situazione italiana migliore rispetto a quella spagnola. In pratica due enti di fama internazionale hanno pareri divergenti sulle condizioni economiche dei due paesi, ed ogni premier utilizza tali dati in base al proprio interesse d’immagine.
Non sono un economista e quindi non entro più di tanto in merito sulle effettive ragioni delle parti in causa. È però un dato di fatto che in Italia le condizioni di vita dei lavoratori sono notevolmente peggiorate. Anche in Spagna le famiglie non navigano nell’oro, ma il loro reflusso economico è iniziato già da decenni, almeno dal Governo socialista di Gonzales negli anni ’80.
Il reflusso economico italiano invece è iniziato ben dopo, quando i vari governi di centrosinistra hanno pensato di svendere i diritti dei lavoratori e mandare a rotoli il paese. Vi ricordate nel 1992 la Finanziaria-massacro di Amato? E successivamente quelle di Ciampi, Dini e Prodi primo per entrare in quei parametri di Maastricht che ha costretto il nostro paese a vendere il proprio sangue?
Prodi oggi appoggia i parametri del FMI per dimostrare che il PIL italiano è superiore a quello spagnolo, non considerando l’indice di Sviluppo Umano dell’Onu che pone l’Italia ben al ventesimo posto!
Del resto non si possono pretendere miglioramenti finché Prodi e il Ministro Padoa Schioppa (che dovrebbero dimettersi, e subito!) punteranno su una politica di Governo basata sul risanamento economico a tutti i costi, sulle missioni militari all’estero, sulla svendita delle aziende italiane e multinazionali straniere e l’acquisizione di aziende straniere da parte di multinazionali italiane. Questi come molti altri esempi di inefficienza del nostro Governo (istruzione, assistenza sanitaria, occupazione) non producono affatto un miglioramento del benessere sociale, bensì contribuisce ad aprire le forbici economiche che vede famiglie sempre più ricche da una parte e famiglie sempre più povere dall’altra.
Per le famiglie degli operai, Prodi dovrebbe spiegare come mai le buste paga di dicembre sono state addirittura più basse del 2007 a causa delle maggiori imposte pagate dai lavoratori sui propri salari.
La questione non è legata alla crescita o meno del PIL, bensì alla qualità dello sviluppo di un paese. Anche i problemi collegati ai redditi non devono essere visti nell’ottica della redistribuzione, bensì nella redistribuzione della ricchezza prodotta.
8665691
none
mi piace
iLikeIt
PublicVote
commenti
comment
Comment