Sulla Guerra (in breve)
14 gennaio 2008 ore 18:27 segnala
L’umanità tutto sommato è composta da persone intelligenti che spesso agiscono da stupidi, scendendo la trafila di un “ordine” che non ha mai responsabili. Purtroppo tutte le nostre attività, che a breve termine sono razionali, dopo un certo periodo, più o meno lungo, conducono alla guerra. Essa può apparire come lo scoppio di una ribellione generica, dove tutto pare diventi lecito, l’omicidio eroico, la morale accantonata e Dio lontano.
È un’esigenza naturale la guerra?
Si potrebbe rispondere in molti modi: si, ma, però…
Il fatto è che in certi casi noi anneghiamo nelle nostre parole.
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Indigenismo, socialismo e lotta di classe
14 gennaio 2008 ore 12:06 segnala
Il tema ideologico ed intellettuale sul superamento del socialismo è oramai trattato da mesi sotto vari profili ed angolature. Analisi che diviene ancor più significativa se anche il Presidente della Camera, nonché responsabile (possiamo dire anche ufficiale) di Rifondazione Comunista si permette di fare analisi politiche ed ideologiche che aprono nuovi scenari anche a sinistra del Partito Democratico.
Fausto Bertinotti, nel recente viaggio effettuato nei paesi dell’America Latina, ha lasciato dichiarazioni che devono quantomeno far riflettere per il futuro di un’ideologia (quella socialista) che sta per essere definitivamente parcheggiata sui libri di storia; anche dagli stessi dirigenti dei partiti comunisti.
Bertinotti afferma che oramai vi deve essere il superamento del socialismo, bisogna predisporre la storia dell’uomo a nuove prospettive ideologiche. La ricetta è già pronta e Bertinotti la ritrova nei movimenti dell’America Latina, il cosiddetto Indigenismo. Etimologicamente “Indigenismo” vuol significare quella politica che mira a “restituire il petrolio, gas e acqua agli indigeni boliviani, restituire i redditi delle terre agli indios che le abitano”. Un processo sicuramente da non mettere in secondo piano ma che trova senza dubbio le sue fondamenta nella matrice socialista (almeno nei contenuti dell’azione).
Che la democrazia rappresentativa vada integrata con processi di partecipazione e convivenza diretti da parte del popolo è in sé positivo, anche se prima di arrivare a collegamenti diretti all’Indigenismo bisogna attuare molte analisi spesso contraddittorie fra loro e con le proprie radici.
Innanzitutto l’America Latina è in una fase storica molto complessa e non unificata da un punto di vista politico. Chavez in Venezuela sta facendo un buon lavoro, forse l’unico che sta compiendo nel sud America un processo di rinnovamento sociale su basi realmente socialiste. Tale processo in questa fase non può essere paragonato alla situazione della Bolivia di Evo Morales o alla politica sindacal-riformista di Lula in Brasile, senza considerare il Chile che con la Bachelet rappresenta una delle forme di Governo più moderate di tutto il Sud-America.
Bertinotti probabilmente ha trovato nel suo viaggio nuovi orizzonti politici, afferma che il Socialismo nel sistema moderno non può essere realizzabile. Perché allora non si dimette da qualsiasi carica del suo partito? Se pensa che l’unico futuro è l’Indigenismo, perché non fonda una nuova realtà partitica piuttosto che dirottare lo stesso partito su posizioni neanche discusse nel Cpn?
Il Socialismo nelle grandi opere scritte da Marx, Owen e Lenin deve essere studiato e rapportato con il contesto sociale, politico e storico dei nostri anni. Detto questo, il Socialismo dei giorni d’oggi deve portare avanti battaglie su temi sociali quali la sicurezza e il diritto al lavoro, rendere completamente pubblici i beni comuni (acqua, gas, smaltimento rifiuti, energia), diritto allo studio, sanità pubblica e di qualità, tenore di vita decoroso per tutti gli ambiti lavoratori con un’adeguata spartizione dei profitti aziendali.
Non importa che tali conquiste prenderanno il nome dal socialismo, l’importante è che si attuino nel più breve tempo possibile. Bertinotti paragona la situazione dell’attuale America Latina con quella dell’Italia degli anni passati. La nostra penisola affronta invece una fase storica a sé, che non può essere paragonata a quella dei paesi del Sud America.
Questo è il tipico esempio di come si può perdere tempo in intellettualismi quando le questioni pratiche da risolvere sono numerose. Anche nella nostra quotidianità: quante volte nelle nostre giornate siamo soliti incontrare persone emarginate o pressoché tali? Barboni, tossicodipendenti, cittadini stranieri, ma anche persone anziane, nuclei familiari che vivono con meno di mille euro al mese, giovani coppie che non hanno garanzie di lavoro per il mese futuro perché interinali...
Quindi la società non è ancora divisa in classi ben distinte? Semplicemente rispetto a qualche decennio fa la scala di valori è stata spostata su altri piani. I lavoratori devono riacquistare la loro coscienza. Capire che non si può morire sul lavoro per mille euro al mese. Concetti difficili per i lavoratori d’oggi, dato che per le categorie interinali (ovvero la buona parte di giovani) non esiste neanche diritto sindacale o possibilità di sciopero.
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Quei salari troppo bassi…
13 gennaio 2008 ore 20:48 segnala
Il ragionamento è semplice: se le buste paga dei lavoratori aumentano, questi potranno ampliare i propri acquisti, rilanciando di conseguenza la produttività italiana. Purtroppo non è sempre così, o meglio, tale analisi è sterile per la mancanza di alcune variabili.
Innanzitutto la perdita del potere d’acquisto dei lavoratori è dovuta alla cancellazione della scala mobile avvenuta con gli accordi di concertazione nel luglio ’92. Oltre alla cancellazione di uno dei diritti inviolabili dei lavoratori, si introdusse per la prima volta il generico lavoro in affitto, aprendo le porte al pacchetto Treu e quindi al mondo della precarietà.
Non si possono risolvere le problematiche inerenti ai bassi salari se prima non si attua una politica in difesa del diritto al lavoro. La precarietà nelle varie forme studiate negli ultimi quindici anni hanno portato povertà, insicurezza per il futuro dei giovani e, di conseguenza, minore competitività nazionale.
Le mancanze di garanzie di un posto di lavoro fisso per un giovane aprono le porte ad una precarietà della stessa esistenza. Mi spiegate come può oggi un giovane acquistare una casa o investire in un progetto familiare se non ha la certezza di poter lavorare anche il prossimo mese? Il problema è ancor più grave se si pensa ai sindacati concertativi che attualmente fanno la voce grossa col Governo, ma negli ultimi anni sono stati i primi responsabili della drammatica situazione lavorativa d’oggi.
Oramai sul precariato si è radicato quel velo di omertà e rassegnazione. Anche la sinistra di matrice comunista ha pressoché abbandonato la lotta. Adesso i sindacati si accontentano di intervenire sulle aliquote fiscali, ovvero incentivare la defiscalizzazione del salario aziendale. Un contentino che è dato ai lavoratori per permettergli di sopravvivere nella nostra società. Puntare alla redistribuzione del reddito evidenzia la situazione oramai prossima al collasso dei lavoratori. Defiscalizzare i salari aziendali significa affrontare il problema nel cerchio concentrico più esterno. Innanzitutto perché le aziende presentano spesso bilanci che neanche i sindacati di categoria interni hanno accesso. Inoltre, la quota (al netto, ovvero quello che più interessa alle tasche dei lavoratori) soggetta a defiscalizzazione è nell’ordine delle poche decine di euro.
Quindi anche nella migliore delle ipotesi la situazione dei lavoratori non sarà risolta, bensì temporaneamente rinviata ai prossimi rincari dei beni di prima necessità.
Il Governo Prodi durante la campagna elettorale aveva promesso una reimpostazione del sistema lavoro in Italia. Accordi non rispettati e che addirittura incentivano le politiche liberiste del precedente Governo Berlusconi.
L’Italia ha bisogno di ripartire dal lavoro, quello vero, di diritto, sicuro e a tempo indeterminato. Attualmente, come dimostrano gli accordi di luglio, la strada che sta percorrendo questo Governo e diametralmente opposta.
L’unica possibilità che hanno i lavoratori e l’unità sindacale, con una nuova classe dirigente rispetto a quella attuale. I lavoratori, il motore del nostro paese, devono unirsi in un fronte unico per il ripristino dei propri diritti. Questo processo non deve essere compiuto quando l’esasperazione della classe lavoratrice sarà già irrimediabilmente compromessa. Bisogna partire da subito per costruire un nuovo futuro.
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Fermiamo la corsa agli armamenti
10 gennaio 2008 ore 13:22 segnala
Il Ventunesimo secolo si sta caratterizzando per la corsa agli armamenti che la maggior parte degli stati occidentali sta attuando in segno di “difesa” dalle altre forze militari mondiali.
Dall’11 settembre in poi in ogni vertice annuale della Nato si analizzano le armi di distruzione di massa a disposizione dei paesi considerati terroristi, spesso sparando dati che non hanno riscontri oggettivi con la realtà. Volontà in primis è creare un elemento di paura generale che porti ogni stato ad armarsi fino ai denti per difendersi da un nemico dalle generalità ancora non chiare. Una strategia politica che non risparmia nessuno Stato “moderno” a partire dall’Italia. Secondo il Sipri (Istituto di studi per la pace di Stoccolma), nel mondo le spese militari sono cresciute nel 2006 del 3,5% rispetto all'anno precedente, superando i mille miliardi di dollari (quasi 680 milioni di euro). Nella classifica dei Paesi produttori di armi, l'Italia è al settimo posto, con 20 miliardi di euro. Il nostro Paese destina al settore difesa l'1,5% del proprio prodotto interno lordo.
Le spese militari rappresentano una delle voci più onerose nel bilancio del nostro Paese. La nuova finanziaria del Governo Prodi prevede lo stanziamento di 23 miliardi e 352 milioni di euro (21 miliardi nel bilancio preventivo della Difesa, 2.424 aggiunti dalla Finanziaria) per spese di carattere militare. Un aumento vertiginoso rispetto al 2007, con un incremento effettivo dell’11,1%!!
Le previsioni di spesa per il comparto militare, invece di far capo solo al Ministero della Difesa, sono disseminate nelle più disparate allocazioni: oltre alla Finanziaria e al bilancio della Difesa, come detto, i contributi spaziano dal ministero per l'Economia a quello dello Sviluppo economico. Essendo sparse in vari bilanci, le risorse rendono opaca la loro interpretazione. Vediamo di cominciare a far luce sulla loro allocazione, andando a verificare, punto per punto, dove e a cosa sono destinate le risorse stanziate nella Legge Finanziaria. L'articolo 5, comma 12, stanzia un fondo di 107 milioni di euro per il pagamento dell'accisa (imposta) sui prodotti energetici delle Forze Armate. All'articolo 21 del Disegno di Legge, il comma 1 cita: "Per l'organizzazione del vertice G8 previsto per l'anno 2009 è stanziata la somma di euro 30 milioni per l'anno 2008”. Il vertice si terrà alla Maddalena, in Sardegna, da dove il mese scorso sono partiti 1.500 soldati Usa, nell'ambito della dismissione della base militare, che sarà definitivamente lasciata dalla Marina statunitense nel febbraio 2008. L'articolo 22 integra con 30 milioni di euro il taglio del 15% della scorsa Finanziaria per la 'professionalizzazione' delle Forze Armate; stanzia inoltre 140 milioni di euro per “garantire la capacità operativa” delle stesse. Venti milioni di euro vanno poi all'arsenale della Marina militare di Taranto e 40 per il funzionamento dell'Arma dei Carabinieri. Nell'articolo 31 si propone l'allocazione di risorse per 15 velivoli addestratori Aermacchi M346; 12 elicotteri Agusta Westland EH101; sistema di comunicazioni Sicote per i Carabinieri in funzione anti-terrorismo; progetto Soldato futuro; partecipazione, con la Francia, alla costruzione del satellite di comunicazioni Sicral 2. Per l'attuazione di tale piano sono autorizzati contributi quindicennali per un totale di un miliardo e 50 milioni di euro. All'articolo 31, comma 2, figurano, per la partecipazione al programma del Caccia Eurofighter 318 milioni di euro per il 2008, 468 per il 2009, 918 per il 2010, 1.100 per il 2011 e 1.100 per il 2012. Aggiunti a quelli già previsti dalla Tabella F della Finanziaria (importi da iscrivere in bilancio alle autorizzazioni di spesa delle leggi pluriennali), si raggiungono, per 5 anni, 4.884 milioni di euro. Al comma 3, si dispone l'erogazione di ulteriori fondi per il programma di sviluppo delle fregate multiruolo Fremm, in cooperazione con la Francia. Il totale è di un miliardo e 50 milioni in 15 anni. Sempre nella Tabella F della Finanziaria vi sono fondi aggiuntivi per le fregate Fremm di circa 800 milioni di euro. Nell'articolo 93, per esigenze legate alla tutela dell'ordine pubblico, è previsto, per un piano di assunzioni, uno stanziamento di 50 milioni di euro per il 2008, di 120 per il 2009 e di 140 per il 2010. Risorse destinate all'Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza, alla Polizia penitenziaria e al Corpo forestale. L'articolo 95 destina 200 milioni di euro in più per 2008, 2009 e 2010 ciascuno per i rinnovi contrattuali e la valorizzazione delle specifiche funzioni svolte nella tutela dell'ordine pubblico e della difesa nazionale. Destinatari il corpo di Polizia e le Forze Armate. Nella tabella del ministero per l'Economia è inoltre iscritto oltre un miliardo di euro per il finanziamento delle missioni italiane all'estero.
Prodi, durante la campagna elettorale della scorsa primavera, aveva promesso al proprio elettorato che nell’ambito della cooperazione europea avrebbe sostenuto una politica che consentiva la riduzione delle spese per gli armamenti. Una promessa sbugiardata dagli eventi che porta addirittura un innalzamento vertiginoso delle spese militari.
Un tema spesso scottante, che vede i politici anche della sinistra radicale assenti nel dibattito politico.
Un business mondiale che potrà negli anni essere fatale all’uomo. Per il sostentamento dell’industria bellica bisognerà prima o poi utilizzare queste armi (in alternativa non ci sarebbe più mercato) e questo farà scaturire nuove guerre, nuovi nemici da combattere, altri morti uccisi dall’interesse del capitalismo.
Non possiamo stare a guardare come spettatori passivi, dobbiamo alzare la testa e manifestare con tutti i metodi possibili lo strapotere dei massimi sistemi dei paesi occidentali. Per il nostro bene e per il bene delle future generazioni. Un’inversione di tendenza è possibile, anzi necessaria.
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Sintesi di sintesi
05 gennaio 2008 ore 02:16 segnala
L’uomo “stupido”, l’uomo “massa” è la vera forza trainante, cieca profonda di tutta la nostra vita, sociale e politica.
Noi siamo tutti parte e soggetti che variano in base agli effetti di questa forza che ci governa.
Pratichiamo le elezioni democratiche e questo ci lusinga…
Ma anche un dittatore è sempre il prodotto del popolo-massa che lo consente.
Nel tempo contingente, il Caos aggroviglia tutte le più raffinate teorie e le semplifica, ma noi continueremo a cercar ragioni, a parlare a parlare…
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Non sarò mai un soldato!
21 dicembre 2007 ore 11:20 segnala
Si piange per la guerra, civili e militari morti in nome di chi? Della pace? Del benessere? Del potere dei pochi?
Cadono gli italiani in Afghanistan: vie dedicate, lutto nazionale, disperazione. Per chi? Per coloro che difendono i poteri forti? Per una bandiera? Perché non c’è lavoro e quindi si va all’estero a fare il soldato per cinque mila euro al mese?
Mentre i morti sul lavoro? Quelli contano meno? Loro alla fine non difendono nulla, se non la loro dignità di vita.
Vedere militari allineati a seguire gli ordini, la disciplina, il verticismo del potere. Imbracciare le armi, imparare a sparare per uccidere uomini, loro simili, in difesa di simboli, in difesa dei propri confini (?), per sentirsi ancora una volta superiori a qualcuno.
No, io non piango per nessun soldato, italiano, giapponese, americano, etiope che sia. Non li piango perché è una loro scelta, come la mia è quella di boicottare con tutti i metodi a me possibili l’utilizzo delle armi, l’industria bellica, le guerre.
Chi imbraccia un fucile non può farlo per in difesa della pace. È un controsenso passato per buono dai media degli ultimi anni, un modo per scaricarsi le colpe, per pulirsi apparentemente l’anima.
Gran bella fregatura questa informazione, ci fa passare per giuste persino le guerre e fa diventare eroi i soldati che invadono una popolazione.
E se tutti gli uomini si rifiutassero di utilizzare le armi? Non dovremmo perlomeno stare a piangere le migliaia di morti (spesso purtroppo civili) che ogni anno cadono sotto le nostre “bombe intelligenti”.
Le guerre si fanno perché ci sono gli eserciti. Perché l’uomo nella sua natura vuole avere la supremazia sul proprio simile. Ci vuole un rinnovamento culturale di pensiero a livello globale. Prima di dire no alla guerra bisogna dire no alle armi!
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Il Socialismo è ancora possibile
20 dicembre 2007 ore 02:10 segnala
La storia dell’uomo è stata accompagnata da ideologie che ne hanno caratterizzato le singole fasi. Epoche collegate ad una determinata corrente di pensiero e superate nei secoli col rinnovamento culturale. Il passaggio dei massimi sistemi di pensiero è sempre avvenuto in modo irruento, con processi di rinnovamento culturale fondati principalmente sulla denigrazione della precedente corrente.
Alla fine dell’800 la Socialdemocrazia tedesca lanciò delle parole d’ordine per enunciare la fine della forza propulsiva della Comune di Parigi. Non era un attacco sferrato alla Comune di Parigi in sé, bensì un superamento ideologico dalle posizioni di classe a quelle riformiste.
Nel secolo scorso anche Enrico Berlinguer affermava che la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre si stava esaurendo, proponendo nuove parole d’ordine alla base dell’ideologia comunista. Anche in questo caso non erano contestati i contenuti della Rivoluzione in sé, poiché il centro della discussione era la trasformazione del Pci da forza comunista a forza socialdemocratica (ovvero la premessa della Bolognina).
Oggi siamo in un altro processo storico, un invisibile cambiamento orchestrato dalle forze liberiste, volto alla denigrazione di ideali che vanno ben oltre al semplice concetto di appartenenza politica.
Il vergognoso modo in cui il Tg2 ha parlato, a più riprese, ed "educato" venti milioni di italiani sulla Rivoluzione d'Ottobre; l'invocazione di Luca Volontè (Udc) volta a mettere i comunisti fuorilegge anche in Italia; l'articolo di Bifo pubblicato il 7 novembre da Liberazione , nel quale si sostiene l'idea stravagante (ma pericolosa) secondo cui la Rivoluzione d'Ottobre sarebbe stata prodotta dalla depressione di Lenin: sono solo gli ultimi segni di un attacco su vasta scala contro la Rivoluzione russa che passa sui grandi media di destra e a volte anche di sinistra.
La Rivoluzione d'Ottobre è stata e rimane un evento di così grande portata nell'intera storia dell'umanità che non bastano certo alcune cialtronerie di fase a sminuirne il ruolo oggettivo. Essa - per l'immensa portata che ha avuto la sua concreta evocazione di un mondo nuovo - si difende da sé, come l'invenzione della ruota o la nozione della doppia elica del Dna.
La Rivoluzione d’Ottobre ebbe il grande merito di dire a tutta l’umanità che i rapporti di produzione capitalistici non sono immutabili. Disse una volta per tutte che il socialismo è possibile.
Riconosco il contributo che il cristianesimo, attraverso il quinto comandamento -"non uccidere" - ha dato alla costituzione, sul piano planetario, del tabù dell'assassinio. Come si fa a non riconoscere ai comunisti, alla Rivoluzione d'Ottobre, il tentativo di costituire un altro tabù, altrettanto rivoluzionario e volto a cambiare la storia dell'umanità e cioè il tabù dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo?
La destra tende a demonizzare il comunismo attraverso la strumentalizzazione dei suoi errori e delle sue degenerazioni. I comunisti conoscono la loro storia. Sanno ammettere l’errore dove realmente vi è stato. Con questo non si può ridurre il pensiero comune al semplice superamento del comunismo e dei comunisti. Ragionamento portato avanti anche dalla stessa dirigenza del Prc e dal giornale Liberazione, oramai rassegnati all’evoluzione di una società fondata sul capitalismo e sul potere della moneta.
La “Cosa Rossa” può diventare un grosso pericolo storico per il nostro paese, in particolar modo se si continua sulla linea d’onda di superare simbolo e nome di un’ideologia che non può tramontare. È ancora necessaria all’uomo per un possibile trasformazione della società attuale.
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In ricordo del 12 dicembre 1969
12 dicembre 2007 ore 19:36 segnala
Comunemente è passata alla storia come la “Strage di Piazza Fontana”, una delle giornate più buie per la storia della nostra repubblica.
Piazza Fontana, 12 dicembre 1969, 16.37: un ordigno esplode nella Banca dell’Agricoltura. Muoiono 16 persone e ne rimangono ferite altre 88.
Inizia quella che è stata denominata “La strategia della Tensione”, durata fino ai primi anni ’80. Attentati con bombe e ordigni contro gente civile, spesso impunite.
Inizialmente le colpe del vile gesto sono state attribuite ai militanti della sinistra extraparlamentare. Gli anarchici nello stile del famoso ponte della Ghisolfa per intenderci. L’evoluzione della vicenda negli anni ha dimostrato che la mano dinamitarda era appartenente a gruppi disorganizzati dell’estrema destra.
Un’indagine che non ha ancora avuto fine, una triste pagina che probabilmente non sarà mai letta nel suo significato originale.
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Le colpe dell’ignoranza
10 dicembre 2007 ore 13:31 segnala
Si dice che ignoranza e fanatismo siano la prima causa dei mali nel mondo. Ma non è solo così.
È vero che a volte noi subiamo o facciamo del male per errore, distrazione, ignoranza, o…
Ma se noi fossimo tutte persone per bene, oneste e razionali, impegnate a compiere globalmente le medesime operazioni materiali atte ad assicurarci la sopravvivenza, avremmo forse eliminato le gelosie, le incomprensioni ed i risentimenti che causano il male?
Io ne dubito.
E noi non avremmo nemmeno la consolazione di pensare che il Male che ci facciamo reciprocamente sia frutto della sola ignoranza, dato che si tratterebbe di scelte razionali.
Bisognerebbe che l’uomo fosse… … ma l’unico tipo che esiste è quello che c’è!!
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Analisi
07 dicembre 2007 ore 14:57 segnala
Stati Generali della sinistra: un cambiamento epocale delle nostre tradizioni?
Domani e domenica si terranno gli stati generali della sinistra. Un momento atteso da lungo tempo, in particolar modo da quando è nato il Partito Democratico che, indubbiamente, ha alterato nel bene e nel male gli equilibri della sinistra ma anche di tutto lo scenario politico nazionale.
Tale congresso potrebbe far trovare una soluzione alla diatriba in corso fra le varie anime della sinistra. Mussi (sinistra democratica) vuole l’unità sotto il nome (alquanto poco originale) de La Sinistra. Non più quindi Cosa Rossa, ma semplicemente un’unità dei partiti che generalmente si considerano di sinistra…
Giordano, segretario del Prc, segue l’idea di Mussi, pronunciando ufficialmente che sarebbe pronto al superamento del simbolo della Falce e Martello per un simbolo comune con gli altri partiti. Ovviamente, questa posizione trova in disaccordo la base del primo partito comunista in Italia che non accetta le politiche burocratiche ed arriviste del suo segretario.
Rifondazione Comunista è dal mio punto di vista davanti ad una spaccatura inevitabile, proprio in un momento dove i veri ideali di sinistra dovrebbero riunirsi.
Il problema è che con la nascita del Pd vi sono state due reazioni nettamente contrastanti da parte della sinistra radicale: chi come Giordano, Bertinotti, Mussi vogliono spostarsi verso il centro, probabilmente per riottenere un’alleanza col Pd (assurda posizione sia da un punto di vista politico sia storico) e chi come Diliberto, Grassi e sinistra critica vogliono il mantenimento della falce e martello come tradizione insegna.
Oltre a sinistra democratica e Prc al congresso dei prossimi giorni parteciperanno anche i Comunisti Italiani che con il loro segretario Diliberto non intendono sciogliersi in un unico soggetto politico, preferendo una congregazione di partiti della sinistra, ognuno con la propria autonomia politica.
Infine, dovrebbero in qualche modo salire sul treno della sinistra anche i Verdi di Pecoraro Scanio, attualmente latitanti nello scenario politico nazionale.
Una situazione molto delicata che deve essere risolta nel bene comune della collettività e dell’elettorato che vota ancora sinistra. Non credo che un partito unico sarà possibile, le divergenze fra le varie componenti è troppo evidente per fondarsi in un unico partito. Già la confederazione (alla Linke tedesca) potrebbe essere una soluzione possibile per rimanere a galla nei maxi partiti di Berlusconi e Veltroni.
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Scrive dal: | 26/11/2007 |
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