Quei salari troppo bassi…
13 gennaio 2008 ore 20:48 segnala
Il ragionamento è semplice: se le buste paga dei lavoratori aumentano, questi potranno ampliare i propri acquisti, rilanciando di conseguenza la produttività italiana. Purtroppo non è sempre così, o meglio, tale analisi è sterile per la mancanza di alcune variabili.
Innanzitutto la perdita del potere d’acquisto dei lavoratori è dovuta alla cancellazione della scala mobile avvenuta con gli accordi di concertazione nel luglio ’92. Oltre alla cancellazione di uno dei diritti inviolabili dei lavoratori, si introdusse per la prima volta il generico lavoro in affitto, aprendo le porte al pacchetto Treu e quindi al mondo della precarietà.
Non si possono risolvere le problematiche inerenti ai bassi salari se prima non si attua una politica in difesa del diritto al lavoro. La precarietà nelle varie forme studiate negli ultimi quindici anni hanno portato povertà, insicurezza per il futuro dei giovani e, di conseguenza, minore competitività nazionale.
Le mancanze di garanzie di un posto di lavoro fisso per un giovane aprono le porte ad una precarietà della stessa esistenza. Mi spiegate come può oggi un giovane acquistare una casa o investire in un progetto familiare se non ha la certezza di poter lavorare anche il prossimo mese? Il problema è ancor più grave se si pensa ai sindacati concertativi che attualmente fanno la voce grossa col Governo, ma negli ultimi anni sono stati i primi responsabili della drammatica situazione lavorativa d’oggi.
Oramai sul precariato si è radicato quel velo di omertà e rassegnazione. Anche la sinistra di matrice comunista ha pressoché abbandonato la lotta. Adesso i sindacati si accontentano di intervenire sulle aliquote fiscali, ovvero incentivare la defiscalizzazione del salario aziendale. Un contentino che è dato ai lavoratori per permettergli di sopravvivere nella nostra società. Puntare alla redistribuzione del reddito evidenzia la situazione oramai prossima al collasso dei lavoratori. Defiscalizzare i salari aziendali significa affrontare il problema nel cerchio concentrico più esterno. Innanzitutto perché le aziende presentano spesso bilanci che neanche i sindacati di categoria interni hanno accesso. Inoltre, la quota (al netto, ovvero quello che più interessa alle tasche dei lavoratori) soggetta a defiscalizzazione è nell’ordine delle poche decine di euro.
Quindi anche nella migliore delle ipotesi la situazione dei lavoratori non sarà risolta, bensì temporaneamente rinviata ai prossimi rincari dei beni di prima necessità.
Il Governo Prodi durante la campagna elettorale aveva promesso una reimpostazione del sistema lavoro in Italia. Accordi non rispettati e che addirittura incentivano le politiche liberiste del precedente Governo Berlusconi.
L’Italia ha bisogno di ripartire dal lavoro, quello vero, di diritto, sicuro e a tempo indeterminato. Attualmente, come dimostrano gli accordi di luglio, la strada che sta percorrendo questo Governo e diametralmente opposta.
L’unica possibilità che hanno i lavoratori e l’unità sindacale, con una nuova classe dirigente rispetto a quella attuale. I lavoratori, il motore del nostro paese, devono unirsi in un fronte unico per il ripristino dei propri diritti. Questo processo non deve essere compiuto quando l’esasperazione della classe lavoratrice sarà già irrimediabilmente compromessa. Bisogna partire da subito per costruire un nuovo futuro.
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Il ragionamento è semplice: se le buste paga dei lavoratori aumentano, questi potranno ampliare i propri acquisti, rilanciando di conseguenza la produttività italiana. Purtroppo non è sempre così, o meglio, tale analisi è sterile per la mancanza di alcune variabili.
Innanzitutto la perdita del...
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13/01/2008 20:48:59
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Commenti
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nembo79 14 gennaio 2008 ore 00:46
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Dellan 14 gennaio 2008 ore 02:12
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