il mio cane
27 agosto 2020 ore 10:10 segnala
E' molto dura sai, festeggiarti quest'anno? E' dura perché non riesco a non pensare che il nostro tempo è agli sgoccioli, che ogni cosa che facciamo insieme potrebbe essere l'ultima. Sei molto più di un cane e questo tu lo sai. Sei l'insieme di ciò che di buono la vita mi ha riservato in questi 12 meravigliosi anni passati in totale simbiosi. Hai lottato, lo stai facendo ancora, e questi sono i regali più belli che tu fai a me e non viceversa. Sono un debole, lo so...ma tu rimani sempre e per sempre al mio fianco, anche in questo tempo che scandisce un triste conto alla rovescia. Buon compleanno cucciolo, nessun male potrà togliermi la voglia di festeggiarti come meriti. Auguri Gugo
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E' molto dura sai, festeggiarti quest'anno? E' dura perché non riesco a non pensare che il nostro tempo è agli sgoccioli, che ogni cosa che facciamo insieme potrebbe essere l'ultima. Sei molto più di un cane e questo tu lo sai. Sei l'insieme di ciò che di buono la vita mi ha riservato in questi 12...
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27/08/2020 10:10:01
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ricordo del passato
20 luglio 2020 ore 10:13 segnala
1985 l’anno della mia maturità. Ero fidanzato con una mia compagna di classe bellissima che conoscevo praticamente da sempre. Si chiamava Maria Elena ma per tutti era la Pila, diminutivo del suo aristocratico cognome polacco che un meraviglioso soldato aveva portato in terra Italica. Visto che i nostri cognomi erano l’uno dopo l’altro, il giorno degli orali era il medesimo, lei prima ed io subito dopo. Soddisfatti entrambi per come avevamo risposto (lei molto piu brava di me prese 60 e io 45) non indugiammo molto in festeggiamenti perché avevamo immediatamente un treno da prendere destinazione Roma, o meglio, destinazione stadio Flaminio. Eh si, se poche cose ci accomunavano caratterialmente,una invece ci univa quasi in maniera maniacale: la passione per Baglioni. Non so dire quante ore passavamo ad ascoltarlo e quante melense frasi delle sue canzoni ci siamo scambiate scritte sulle cartine delle Brooklyn ma tanto è. Il caro Humberto, suo papà, persona unica e di una intelligenza poliedrica che mai ho più ritrovato ed a cui mi legava una ammirazione sconfinata anche per la sua innata eleganza, ci accompagnò in stazione dove un treno ci aspettava. Arrivati a Roma, pur avendo un fratello che già ci abitava da anni, decisi di andare in un albergo di via Rasella per poi muoverci per le vie della Roma vecchia, sempre con il naso all'insù e la mano nella mano. Eravamo belli veramente, fidanzati da 4 anni ma legati da un insieme di cose che ci rendevano sicuramente particolari. Cenammo a Trastevere con Giovanni (il fratello romano) per poi tornare in albergo nell'attesa del giorno successivo. Dormimmo poco ma non per il doveroso trasporto adolescenziale di stare finalmente liberi nello stesso letto senza timore di essere sorpresi (cosa che accadde in effetti alcune volte con comprensibile imbarazzo dei protagonisti) quanto invece per l’ansia del concerto che sognavamo da tempo. Baglioni in effetti per 5 anni era sparito dalla circolazione e il nostro amore aveva dovuto reggersi su canzoni vecchie e ascoltate sino allo sfinimento. Poi nel 1990 uscì Oltre, meraviglioso doppio album dove si regalò alla storia musicale un apice mai più raggiunto e nemmeno sfiorato nelle successive sue produzioni, album a cui seguì il mega concerto con palco al centro che appunto stavamo raggiungendo per ridare anche aria nova al ns repertorio di frasi da citare nelle ns esternazioni amorose. Alle 9 eravamo già in giro, alle 12 a pranzo in una trattoria sulla via Flaminia e alle 14.30 già sotto lo stadio. Calcolando che i cancelli aprivano alle 18.30 di tempo ne avevamo ma la paura di perdersi ogni prezioso istante la fece da padrona e così ci unimmo a quelle migliaia di persone che come noi inseguivano forse un sogno invece che un semplice cantante. Avevamo biglietti di tribuna ma l’anticipo voluto e l’avvenente capacità della Pila ci permise di sgattaiolare nel prato sino a raggiungere la prima fila su uno dei 4 lati di quell'incredibile palco. Quando le luci si abbassarono noi ci abbracciammo e così siamo rimasti per tutto il concerto, senza parlarci ma cantando a squarciagola ogni singola canzone nuova o vecchia che fosse. Poi arrivò il tempo proprio di questa canzone e allora, da ingenui ragazzi con una vita ancora da vivere e con il sapore del latte ancora nella bocca, ci staccammo dall'abbraccio e ci promettemmo che quel momento sarebbe stato per sempre...Fu bello, fu il primo giorno in cui diventammo adulti, in cui la maturità non era solo un esame ma un traguardo esistenziale. Dopo quel concerto, Tornammo al nostro mondo reale e le ns strade, con l’Università, si allontanarono per sempre ma ogni volta che passano questa canzone non posso non ricordare quell'esame, quel treno, quel concerto ma soprattutto lei... 1991/2020 oggi, stesso giorno quasi trent'anni dopo.
PS: qualche anno dopo, questa stessa canzone mi accompagnerà in tante albe lampedusane passate a credere che la strada tra Bergamo e Mantova potesse essere breve per chi la percorreva con il cuore o sotto un cielo stellato della Val Ferret a Courmayeur...
PS: qualche anno dopo, questa stessa canzone mi accompagnerà in tante albe lampedusane passate a credere che la strada tra Bergamo e Mantova potesse essere breve per chi la percorreva con il cuore o sotto un cielo stellato della Val Ferret a Courmayeur...
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ricordo
14 luglio 2020 ore 13:23 segnala
Ogni persona penso abbia una musica che ha fatto da sottofondo ad alcuni momenti delle sua vita: amicizie, viaggi, amori, delusioni,ecc... Spesso (ed è questo il vero potere della Musica) quando le risentiamo, ci si accende come una luce nell'anima, un proiettore 8 mm che ci proietta dentro quelle emozioni che avevamo provato e che adesso rimangono custodite in qualche cassetto, insieme alle note che le hanno accompagnate. Oggi è volato tra gli spartiti più alti un vero Maestro di emozioni. Non l'ho mai conosciuto e non so dire se fosse una brava e bella persona; non posso lodare cose che non conosco di lui o farne un eroe postumo per seguire l'ondata emotiva che ha portato con se la sua scomparsa.Posso però ricordarlo per quella sua musica che, anche per il sottoscritto,ha rappresentato momenti particolari. Dopo l'uscita del film Mission, il mio saggio fratello comprò il Cd della sua colonna sonora, un concentrato di musica esemplare ed eccelsa nei suoi sbalzi di andamento che ne sottolineavano alcuni passaggi centrali. Qualche anno dopo, mentre tentavo di studiare a fatica per i primi esami universitari, decisi che l'andamento della mia ansia doveva seguire quello degli spartiti del Maestro Morricone, tant'è che il forzato ripetere dei principi di diritto appena acquisiti era diventato quasi la recita di quello stesso Miserere che concludeva le tracce di quel Cd. Proprio quelle note, quel ripetersi a cascata di effetti ed interludi mi ha accompagnato sino alla laurea, quasi fosse la mia coperta di Linus.
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stasera per caso
17 giugno 2020 ore 18:12 segnala
Stasera, per caso, è capitato di ricordare con una amica vecchi film ed attori che per me hanno avuto una incredibile importanza in gioventù, storie in cui sono cresciuto e che ancora oggi sono come quelle “orecchie” che si fanno a margine delle pagine di un libro, per segnare un passaggio da riguardare. Poi, e sta qui l’immensa meraviglia dell’imprevedibilità del destino, cambi canale e trovi proprio uno di quei films e, tutto d’un tratto, riassapori vecchi ricordi mai sbiaditi e scopri che quelle immagini sono oggi lenti d’occhiale attraverso cui guardare ció che oggi si è diventati. Molte volte in questi anni (30 per la precisione da questa sequenza) mi sono interrogato sul perchè fossi ció che sono, sul perché mi disegnassi con i muscoli nascondendo i cristalli che invece mi compongono. Un giorno confessai al qualificato confessore laico di anime pazienti che sono così perché ho visto troppi film generazionali anni 80, quelli in cui tutti erano amici e dove il finale era sempre un bacio
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solo
17 luglio 2019 ore 12:32 segnala
Anime fragili...forse lo siamo tutti, chi più e chi meno. Tutti portiamo fardelli pesanti che spesso ci schiacciano la schiena e tolgono il respiro. Alcuni, la maggior parte, riescono a liberarsene per poi ricominciare a correre, più leggeri da pesi e più pesanti di speranze. Altri non ci riescono e aspettano solo che la candela si sciolga per sempre. Oggi mi dicono che sei volato come quegli uccelli che avevi tatuati e allora ti rimando quelle righe che avevo scritto in quei 3 gg infernali, dove boffonchiavamo parole di vergogna reciproca, nel tentativo di capirci. Ciao vecchio sconosciuto. Ci rivedremo un giorno senza bisogno di sentirsi fare delle domande come queste...
"Tu lo sai cosa significhi sentirsi solo? Sentirsi solo non vuol dire essere solo, anzi. Ci si sente soli proprio quando si è in mezzo alla gente…a tanta gente che continua ad esternarti la sua vicinanza ma che non puoi né sentire né vedere. Sentirsi solo è uno stato dell’essere, è avere vicino qualcuno e sentirlo nessuno. E’ vagare con la testa e le gambe senza una meta precisa, è correre per seminare la propria ombra sulla strada, è svegliarsi senza sapere cosa fare di una inutile giornata se non aspettare la successiva notte per ricominciare un film già visto. Tu lo sai veramente cosa significhi sentirsi solo? Prova a non dare alcun senso a tutto ciò che fai, prova a lottare ogni singolo secondo per trovare forze che non esistono, prova a fingere un sorriso anche quando dentro non hai più nulla che funziona, prova a sperare di trovare una voce in quei silenzi assordanti che fanno da colonna sonora alle tue giornate. Tu sai veramente cosa significhi sentirsi solo? Siediti in un posto che senti essere tuo, rifugiati in quel metro quadrato di protezione e cerca quell’abbraccio che non hai, respira l’aria di una mattina di sole e poi scappa di corsa rasentando i muri per l’imbarazzo di sentirsi cedere le gambe, alza una tazzina da caffè vergognandoti perché non la sai tenere con quelle mani che tremano più di un terremoto. Ecco, adesso sai cosa voglia dire sentirsi soli in mezzo ad una vita che è piena di persone ma dove solo una assenza pesa più di mille presenze. Non sparare quindi sentenze su chi scrive, non biasimare chi magari oggi si sente solo. Forse un giorno tutto tornerà normale o forse quel giorno non arriverà mai, ma fa lo stesso, tu non giudicare e nemmeno compatire. Non puoi farci nulla se in mezzo a tutta questa gente io mi sento solo..."
"Tu lo sai cosa significhi sentirsi solo? Sentirsi solo non vuol dire essere solo, anzi. Ci si sente soli proprio quando si è in mezzo alla gente…a tanta gente che continua ad esternarti la sua vicinanza ma che non puoi né sentire né vedere. Sentirsi solo è uno stato dell’essere, è avere vicino qualcuno e sentirlo nessuno. E’ vagare con la testa e le gambe senza una meta precisa, è correre per seminare la propria ombra sulla strada, è svegliarsi senza sapere cosa fare di una inutile giornata se non aspettare la successiva notte per ricominciare un film già visto. Tu lo sai veramente cosa significhi sentirsi solo? Prova a non dare alcun senso a tutto ciò che fai, prova a lottare ogni singolo secondo per trovare forze che non esistono, prova a fingere un sorriso anche quando dentro non hai più nulla che funziona, prova a sperare di trovare una voce in quei silenzi assordanti che fanno da colonna sonora alle tue giornate. Tu sai veramente cosa significhi sentirsi solo? Siediti in un posto che senti essere tuo, rifugiati in quel metro quadrato di protezione e cerca quell’abbraccio che non hai, respira l’aria di una mattina di sole e poi scappa di corsa rasentando i muri per l’imbarazzo di sentirsi cedere le gambe, alza una tazzina da caffè vergognandoti perché non la sai tenere con quelle mani che tremano più di un terremoto. Ecco, adesso sai cosa voglia dire sentirsi soli in mezzo ad una vita che è piena di persone ma dove solo una assenza pesa più di mille presenze. Non sparare quindi sentenze su chi scrive, non biasimare chi magari oggi si sente solo. Forse un giorno tutto tornerà normale o forse quel giorno non arriverà mai, ma fa lo stesso, tu non giudicare e nemmeno compatire. Non puoi farci nulla se in mezzo a tutta questa gente io mi sento solo..."
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Anime fragili...forse lo siamo tutti, chi più e chi meno. Tutti portiamo fardelli pesanti che spesso ci schiacciano la schiena e tolgono il respiro. Alcuni, la maggior parte, riescono a liberarsene per poi ricominciare a correre, più leggeri da pesi e più pesanti di speranze. Altri non ci riescono...
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17/07/2019 12:32:51
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fare per gli altri
11 maggio 2019 ore 10:52 segnala
Fare per gli altri per sentirsi come vorresti far sentire gli altri
Da sempre il mantra della mia pigra esistenza: dare per essere. A volte tacciato di una esibizionistica necessità di apparire, altre apprezzato per l’ingenuità di un gesto sincero quanto necessario. Il dare non lo si ostenta, lo si fa ed in silenzio ci si mette dall’altra parte della strada ad osservare la reazione di chi lo riceve. Diventa, per alcuni, una necessità per pulirsi dalla sporcizia di una brutta azione fatta, per altri invece un vero ed unico modo per sopravvivere. Certo, a volte, mi è capitato di rinfacciare il donato davanti alla scarsa attenzione ricevuta ma,se l’ho fatto,era solo per capire se l’inadeguato fosse chi aveva ricevuto o chi, con coscienza, aveva cercato di spendersi per dare una mano. Ridendo, mentre ricordavo una situazione passata, la mia “necessaria patologia dell’aiuto incondizionato” è stata definita “sindrome del buon samaritano”. Oddio nulla di male, sia chiaro, ma fa sorridere pensando all’associazione tra una parabola ed il mio edonistico essere peccatore. Insomma, il bello dell’esserci, del darsi, dell’aiutare è stato categorizzato nella mia intima necessità di sentirmi realizzato solo nel sapere di aver fatto qualcosa per qualcuno...I recenti passaggi a vuoto della mia vita avrebbero dovuto allontanarmi da questa pericolosa scommessa fatta sugli altri, fatta per gli altri...e invece trovo proprio ancora in quel piacere nell’osservare dall’altra parte di un marciapiede una persona essere felice anche grazie a me, il senso vero e reale della mia esistenza. Continuerò a prenderla in quel posto aprendo porte a chi me le sbatterà in faccia, a regalare sedie a chi continuerà a togliermele da sotto il sedere, a farmi in quattro per chi mi farà a pezzi, ad esserci per chi sparirà..ma almeno sarò sempre me stesso, difficile, contorto, cialtrone, musone, sorridente o distrutto ma comunque un uomo che oggi, alla soglia della maturata maturità, sa bene che tutto si fa per gli altri quando negli altri vedi la tua stessa felicità. Ci avete provato a sfrattarmi dalle mie stanze ma non ci siete riusciti. Vinco sempre io che non Saró mai “gli altri”.
Da sempre il mantra della mia pigra esistenza: dare per essere. A volte tacciato di una esibizionistica necessità di apparire, altre apprezzato per l’ingenuità di un gesto sincero quanto necessario. Il dare non lo si ostenta, lo si fa ed in silenzio ci si mette dall’altra parte della strada ad osservare la reazione di chi lo riceve. Diventa, per alcuni, una necessità per pulirsi dalla sporcizia di una brutta azione fatta, per altri invece un vero ed unico modo per sopravvivere. Certo, a volte, mi è capitato di rinfacciare il donato davanti alla scarsa attenzione ricevuta ma,se l’ho fatto,era solo per capire se l’inadeguato fosse chi aveva ricevuto o chi, con coscienza, aveva cercato di spendersi per dare una mano. Ridendo, mentre ricordavo una situazione passata, la mia “necessaria patologia dell’aiuto incondizionato” è stata definita “sindrome del buon samaritano”. Oddio nulla di male, sia chiaro, ma fa sorridere pensando all’associazione tra una parabola ed il mio edonistico essere peccatore. Insomma, il bello dell’esserci, del darsi, dell’aiutare è stato categorizzato nella mia intima necessità di sentirmi realizzato solo nel sapere di aver fatto qualcosa per qualcuno...I recenti passaggi a vuoto della mia vita avrebbero dovuto allontanarmi da questa pericolosa scommessa fatta sugli altri, fatta per gli altri...e invece trovo proprio ancora in quel piacere nell’osservare dall’altra parte di un marciapiede una persona essere felice anche grazie a me, il senso vero e reale della mia esistenza. Continuerò a prenderla in quel posto aprendo porte a chi me le sbatterà in faccia, a regalare sedie a chi continuerà a togliermele da sotto il sedere, a farmi in quattro per chi mi farà a pezzi, ad esserci per chi sparirà..ma almeno sarò sempre me stesso, difficile, contorto, cialtrone, musone, sorridente o distrutto ma comunque un uomo che oggi, alla soglia della maturata maturità, sa bene che tutto si fa per gli altri quando negli altri vedi la tua stessa felicità. Ci avete provato a sfrattarmi dalle mie stanze ma non ci siete riusciti. Vinco sempre io che non Saró mai “gli altri”.
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Fare per gli altri per sentirsi come vorresti far sentire gli altri
Da sempre il mantra della mia pigra esistenza: dare per essere. A volte tacciato di una esibizionistica necessità di apparire, altre apprezzato per l’ingenuità di un gesto sincero quanto necessario. Il dare non lo si ostenta, lo...
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11/05/2019 10:52:03
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la carità
19 settembre 2018 ore 09:24 segnala
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.
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Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi...
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19/09/2018 09:24:57
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foibe rosse
18 luglio 2018 ore 10:55 segnala
Norma Cassetto venne gettata ancora viva nella foiba di Villa Surani nella notte tra il 4 e il 5 ottobre del 1943. Aveva ventitré anni ed era iscritta al quarto anno di lettere e filosofia, all'Università di Padova. I suoi assassini, partigiani di Tito, che dopo il crollo del regime fascista tentano di prendere il potere in Istria non hanno pietà della sua giovinezza e innocenza e, prima di ucciderla, la violentano brutalmente. L'assassinio di Norma Cossetto e di tutti quegli uomini e quelle donne che furono infoibati o morirono a causa delle torture subite, annegati in mare per mano dei "titini" mostra verso quale orizzonte ci si dirige "quando si ritiene che la verità della vita è lotta, e che non tutti gli esseri umani sono provvisti della medesima dignità".
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mai più piazzale loreto
04 agosto 2017 ore 17:00 segnalacf17a57e-a6f5-4f8c-8e33-d24f32186462
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salut Gilles
08 maggio 2017 ore 19:35 segnala
Era un primo pomeriggio di maggio, uno di quelli in cui non vedevi l’ora di uscire con gli amici a giocare a calcio dopo una settimana di scuola. Era il 1982, avevo solo 11 anni appena compiuti ma ricordo esattamente quel pomeriggio. Dopo aver pranzato, scesi velocemente le scale di casa per raggiungere il mio amico del cuore, Marco, un vero fratello a cui mi legava praticamente tutto, financo la passione incredibile per la F.1. Solitamente passavamo le giornate nel soppalco della sua bellissima casa, due piani sotto la mia, a sfogliare avidamente Autosprint, Rombo e Gran Prix per poi cimentarci in vere e proprie gare con dei modellini di macchina in scala che facevamo correre come biglie su dei teli cerati dove avevamo disegnato praticamente tutti i circuiti più importanti di quell’epoca. Quando però c’era un GP, le nostre autistiche abitudini erano scombussolate dalle voci di Poltronieri e Zermiani che d’incanto riuscivano a sottrarci da qualsiasi cosa stessimo facendo in quel momento. Quel giorno fu lo stesso. Arrivato sull’uscio di casa, appena Marco mi aprì, senza nemmeno salutarlo gli chiesi:“ hai sentito il telegiornale? c’è stato un incidente a Villeneuve in prova.Dicono sia morto”. Di corsa, salimmo le scale del soppalco ed accendemmo quel televisore che solitamente per noi voleva dire passione a quattroruote e non tristezza od ansia. Ricordo che sul secondo canale cominciava la trasmissione Sabato sport. Già dalle prime inquadrature di un attonito De Laurentis, si capiva che la situazione era realmente tragica. Sul video passavano le immagini di quel terribile volo, con il commento attonito di un Poltronieri che, in collegamento da Zolder, non sapeva trovare le parole per descrivere ciò che era successo. In studio si susseguivano servizi su Gilles, spezzati solo da laconici aggiornamenti dal Belgio, Io e Marco - in un insolito silenzio - ci guardavamo attoniti negli occhi, quasi increduli per quello che stavamo vivendo. Nessuno dei due era tifoso Ferrari; lui sfegatato fan di Nelson Piquet ed io con una nazionalistica fede per l’Alfa Romeo di Giacomelli.Amavamo però la F.1 e tutto quello che le girava attorno. Amavamo quindi chi era capace di emozionarci con sorpassi mozzafiato, staccate funamboliche ed incredibili vittorie. Passammo così l’intero pomeriggio a seguire tutti gli aggiornamenti che arrivavano da Zolder prima e dall’Ospedale di Lovanio dopo. Ricordo ancora la faccia sconsolata dell’Ing.Forghieri intervistato da Zermiani davanti al Centro Medico del circuito mentre rispondeva a monosillabi all’incalzare delle domande del cronista, anch’egli visibilmente provato. Ricordo le interviste ai piloti colleghi e l’insensibile tentativo di trovare per forza un responsabile volontario in ciò che era accaduto. Chiamarono in TV persino un avvocato specializzato per spiegare cosa giuridficamente significasse la morte di un pilota su di un circuito anche se a quell’ora il pilota era ancora vivo. Ricordo gli inviati davanti alla sede di Maranello, l’intervista a “Don Ruspa” cappellano della Ferrari. Era ormai arrivata la sera e straniti dai fatti io e Marco, continuando a non dirci nulla, riponevamo le nostre macchinine come se stessimo chiudendo la serranda di un box. Tornai a casa a cena ma non avevo fame. In sala da pranzo la TV accesa continuava a parlare di ciò che era successo. Per la prima volta avevo provato l’imbarazzo davanti ai miei genitori di piangere per un qualcosa di non mio ma che sentivo profondamente dentro. Per la prima volta quello sport che tanto amavamo io e Marco era diventato tragedia. Era l’8 maggio 1982, il giorno in cui agli angeli si è acceso il motore. Corri Gilles, Salut....
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Scrive dal: | 24/12/2016 |
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