salut Gilles

08 maggio 2017 ore 19:35 segnala
Era un primo pomeriggio di maggio, uno di quelli in cui non vedevi l’ora di uscire con gli amici a giocare a calcio dopo una settimana di scuola. Era il 1982, avevo solo 11 anni appena compiuti ma ricordo esattamente quel pomeriggio. Dopo aver pranzato, scesi velocemente le scale di casa per raggiungere il mio amico del cuore, Marco, un vero fratello a cui mi legava praticamente tutto, financo la passione incredibile per la F.1. Solitamente passavamo le giornate nel soppalco della sua bellissima casa, due piani sotto la mia, a sfogliare avidamente Autosprint, Rombo e Gran Prix per poi cimentarci in vere e proprie gare con dei modellini di macchina in scala che facevamo correre come biglie su dei teli cerati dove avevamo disegnato praticamente tutti i circuiti più importanti di quell’epoca. Quando però c’era un GP, le nostre autistiche abitudini erano scombussolate dalle voci di Poltronieri e Zermiani che d’incanto riuscivano a sottrarci da qualsiasi cosa stessimo facendo in quel momento. Quel giorno fu lo stesso. Arrivato sull’uscio di casa, appena Marco mi aprì, senza nemmeno salutarlo gli chiesi:“ hai sentito il telegiornale? c’è stato un incidente a Villeneuve in prova.Dicono sia morto”. Di corsa, salimmo le scale del soppalco ed accendemmo quel televisore che solitamente per noi voleva dire passione a quattroruote e non tristezza od ansia. Ricordo che sul secondo canale cominciava la trasmissione Sabato sport. Già dalle prime inquadrature di un attonito De Laurentis, si capiva che la situazione era realmente tragica. Sul video passavano le immagini di quel terribile volo, con il commento attonito di un Poltronieri che, in collegamento da Zolder, non sapeva trovare le parole per descrivere ciò che era successo. In studio si susseguivano servizi su Gilles, spezzati solo da laconici aggiornamenti dal Belgio, Io e Marco - in un insolito silenzio - ci guardavamo attoniti negli occhi, quasi increduli per quello che stavamo vivendo. Nessuno dei due era tifoso Ferrari; lui sfegatato fan di Nelson Piquet ed io con una nazionalistica fede per l’Alfa Romeo di Giacomelli.Amavamo però la F.1 e tutto quello che le girava attorno. Amavamo quindi chi era capace di emozionarci con sorpassi mozzafiato, staccate funamboliche ed incredibili vittorie. Passammo così l’intero pomeriggio a seguire tutti gli aggiornamenti che arrivavano da Zolder prima e dall’Ospedale di Lovanio dopo. Ricordo ancora la faccia sconsolata dell’Ing.Forghieri intervistato da Zermiani davanti al Centro Medico del circuito mentre rispondeva a monosillabi all’incalzare delle domande del cronista, anch’egli visibilmente provato. Ricordo le interviste ai piloti colleghi e l’insensibile tentativo di trovare per forza un responsabile volontario in ciò che era accaduto. Chiamarono in TV persino un avvocato specializzato per spiegare cosa giuridficamente significasse la morte di un pilota su di un circuito anche se a quell’ora il pilota era ancora vivo. Ricordo gli inviati davanti alla sede di Maranello, l’intervista a “Don Ruspa” cappellano della Ferrari. Era ormai arrivata la sera e straniti dai fatti io e Marco, continuando a non dirci nulla, riponevamo le nostre macchinine come se stessimo chiudendo la serranda di un box. Tornai a casa a cena ma non avevo fame. In sala da pranzo la TV accesa continuava a parlare di ciò che era successo. Per la prima volta avevo provato l’imbarazzo davanti ai miei genitori di piangere per un qualcosa di non mio ma che sentivo profondamente dentro. Per la prima volta quello sport che tanto amavamo io e Marco era diventato tragedia. Era l’8 maggio 1982, il giorno in cui agli angeli si è acceso il motore. Corri Gilles, Salut....
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Era un primo pomeriggio di maggio, uno di quelli in cui non vedevi l’ora di uscire con gli amici a giocare a calcio dopo una settimana di scuola. Era il 1982, avevo solo 11 anni appena compiuti ma ricordo esattamente quel pomeriggio. Dopo aver pranzato, scesi velocemente le scale di casa per...
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08/05/2017 19:35:15
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