La cosa della metafora

29 maggio 2009 ore 18:30 segnala
(Dentro)

 

“Siete voi due?”

“Ehm... sì, beviamo qualcosa...”

“Prego, accomodatevi pure là...”

“Sì, ecco... non potremmo metterci da quell’altra parte, sui divanetti? Sa, odio le sedie, preferisco il morbido...”

 “Ti prego, non cominciare...”

“Certo, si figuri, guardate che non è un problema!”

“La ringrazio...”

“Bene, qui può andare?”

“Uhm... non è che ci sarebbero dei posti vicini alle finestre? Sono un po’ claustrofobico, mi perdoni...”

“Allora... guardi là, può andare? Proprio di fianco alla nostra vetrata”

“Santo cielo, ma la vuoi piantare?”

“Ma che vuoi? Ehm... sì, grazie, va benissimo signorina...”

“Perfetto allora...”

“Mi perdoni, una cosa soltanto...”

“Dica...”

“La vetrata dove si affaccia? Insomma che cosa si vede fuori?”

“Cosa si vede? Ecco, sì... dà sul nostro parcheggio, perché?”

“No no, non se ne parla...”

“Scusi?”

“Oddiosanto, mi stai mettendo in imbarazzo, vuoi piantarla per favore?”

“Ma cos’hai ancora? No... mi scusi signorina, è che guardare un parcheggio mentre bevo un caffè mi dà uno strano senso di angoscia, di staticità: tutte quelle macchine ferme... terribile...”

 “Oddiosanto...”

“Senso di angoscia? Certo signore... Forse dovrebbe essersi liberato quel tavolino, vicino a quella piccola finestra... Ha qualche problema con le piccole finestre?”

“Ecco, adesso ti prende per il culo anche lei, sei contento?”

“Senti ma vuoi stare zitta?  No signorina, nessun problema, va benissimo”

“Bene signori, se volete accomodarvi...  Da qui si vede il parco giochi, per cui nulla di angosciante...”

“Quindi bambini?”

“Sì, bambini...”

“Oddio ci risiamo...”

“No è che...”

“Che cosa signore? Che cosa la disturba dei bambini? Guardi che abbiamo i doppi vetri e non si sente alcun rumore...”

“No, non è per il rumore...”

“Oddiosanto, non dire la cosa della metafora...”

“... ma ecco, guardare bimbi innocenti mentre sto seduto a bere un caffè, non so... vederli mi fa pensare a com’ero... a com’eravamo anzi, e di riflesso a come siamo diventati e quindi a cosa saremo, cosa saremo alla fine, capisce? Quei piccoli angioletti - mi lasci dire signorina - sono una paradossale, moccolosa metafora di morte, si fidi”

“L’ha detta, l’ha detta cazzo...”

“Una... metafora di morte signore?”

“Senta, non ci faccia caso, il mio ragazzo...”

“Hey ma che fai? Vuoi farmi passare per scemo?”

“Signori... da quel che vedo forse il nostro locale non è sufficientemente attrezzato per le vostre... esigenze...”

“No, davvero, non c’è problema. Ci metteremo dove vuole signorina, lo deve scusare... qui va benissimo... signorina?”

 

(Fuori)

 

“Lo dovevi proprio fare, vero? Possibile che ogni cosa sia un problema per te?”

“Scusa, ma è...”

“... più forte di te, lo so tesoro... “

“Torniamo in macchina?”

“Certo... Perlomeno non le hai detto se poteva togliersi la molla per capelli perché ti ricordano delle orribili vagine dentate...”

“Ma sai che ero lì per dirlo? Certo che ormai mi leggi nel pensiero... “

“Come no...”

“Allora, vuol dire che un po’ mi ami, eh?”

“Sali in macchina idiota”

 

(Dentro)

Sara arrivò

10 luglio 2008 ore 01:48 segnala






























Sara arrivò. Il pomeriggio sprizzava un insopportabile calore mentre il cinguettio degli uccellini risuonava tra gli alberi di ciliegio...
 

Sì, certo, e le colline sono in fiore... rifa rifa...
 

Sara arrivò. Scese trafelata dal monopattino e lo appoggiò tutta trafelata al muro. Che strano quel pomeriggio, così caldo, così umido, così... così...  

Trafelato? Bene, cancelliamo questa parola da Word che si riparte...
 

Sara arrivò. Saltò giù dal monopattino e fece un lungo mezzo sospiro, non completato in effetti perché Matteo era già lì, in soggiorno, nudo, con i calzini gialli, l’orologio, e quel penzolante gigantesco mostro nodoso...
 

XXX?!!
 

Sara arrivò. Piena d’amore, esattamente com’era partita. Al solito, senza dubbi, sempre così coerente con i propri sentimenti, con quelle sensazioni che per lei erano tutt’altro che impalpabili ma concrete e solide come un Ministro della Semplificaz...  

Ora comincio io ad essere trafelato...


Sara arrivò. La vidi scendere da una cosa veloce ed iniziò ad emanare uno strano odore appena lo vide. Anche lui cambiò il suo odore, che per la verità ammetto di conoscere bene. Emisero un po’ di suoni e poi entrarono dentro quell’enorme cuccia che ogni volta che Matteo ci entra ho paura che non esista più e mi tocca guaire. Poi al solito Matteo urla il suono che so che è il mio e allora bevo un po’ d’acqua e torno tranquillo nella mia cuccia a leccarmi le palle...
 

La prospettiva di uno Schnauzer nano? Magari un’altra volta...
 

Sara arrivò. Bottiglie e salatini facevano bella mostra sul tavolino in legno.
“Vorrei vivere per sempre con te”, ella disse.
“Oh, tesoro... “, ribatté egli, “Ma hai mai pensato che è proprio la nostra mortalità che ci definisce? E non parlo solo dell’ovvio punto di vista anagrafico; è infatti la nostra caducità, anzi la nostra biologica finitezza che ci rende esseri ‘umani’, che dà sostanza, un proprio posto alle nostre azioni, alle nostre emozioni, al nostro sentire che così trova un suo Ordine e quindi un Senso. Non si vive se non si muore, così come il nostro amore morirà proprio adesso, celebrando così la sua meravigliosa esistenza, e te lo dico con tutta la gioia che il mio cuore può contenere...”
Ella lo colpì con una Cedrata Tassoni.
 

Voglia di “noccioline” stasera, eh Durdy?
 

Sara arrivò.
Fu veloce col suo mezzo,
il destino non ha prezzo!
Matteo? Non so.
 

Persi nei versi, uff...
 

Sara arrivò. Scese dall’orologio, bussò su Matteo e finalmente vide il soggiorno, nudo, con i calzini gialli. Estrasse il suo monopattino e lo cosparse di vaselina. Il vibratore segnava le sedici e trenta...
 

Ordine ragazzi ordine!
 

Sara arrivò. Com’era irreale Gotham City a quell’ora del pomeriggio. Così chiara, formicolante di cose e persone, a ben vedere così drammaticamente diversa da Cornate d’Adda...
 

Certo...
 

Sara arrivò. Quella vacanza aveva reso piuttosto strano Matteo, anche nell’aspetto: adesso sembrava una specie di Michael Jackson. Solo un po’ più effeminato.
 

Yooo oooh!!!
 

Sara arrivò. “Beh, sempre meglio che una pedata nei coglioni...”, pensò Matteo il buddista.
 

Eddai...
 

Sara arrivò. La tubercolosi la raggiunse in taxi un attimo dopo.
 

Uhm...


Sara arrivò. “Ma perché non pensi mai al futuro?!”, urlò disperato Matteo.
“Non mi hanno accentata”, rispose lei sfilandosi i fuseaux...
 

Wow...
 

Sara arrivò. Splash!!!
 

Eh eh...
 

Sara arrivò. Ma in fondo, non lo facciamo tutti?
 

Uh?!
 

Sara arr...
 

Forza...
 

Sara arriv...
 

Dai che ci siamo... 

Sara arrivò...  

E... e... adesso!!!!
 

Sara arrivò. Ma si accorse che doveva andare.  

Eccola! Concisa, cristallina. Perfetta. Pagnotta guadagnata? Pagnotta guadagnata...  


E Niente Storie.

Jimmy da legare

08 febbraio 2008 ore 01:19 segnala
Jimmy è bravo con le parole. Ne ha un sacco dentro e non si fa scrupoli a buttarne fuori qualcuna quando serve.
Che poi a ben vedere non è che sia così vero. Perché in fondo Jimmy non è così bravo, nel senso che per quanto le usi bene ha costantemente la sensazione di non riuscire mai a dire quello che davvero vorrebbe: tutto quello strano mondo di sensazioni paure vanità che si porta dentro sembra in qualche modo intraducibile per lui, e il tempo non ha migliorato le cose, anzi. Ora che ha superato i trenta sembra che tutto si sia ancora più complicato, e adesso pure i suoi gesti gli sembrano sempre più fuori sincrono rispetto a quello che vorrebbe davvero esprimere. Ma cosa vorrebbe esprimere in realtà? E’ questa la domanda, la domanda vera, e Jimmy lo sa benissimo, meravigliosamente bene. Jimmy non è un coglione. Ma non può rispondere - non adesso almeno - perché Simona è di fronte a lui e lo sta guardando come ogni tanto è bello essere guardati dalle donne. E la sua bocca è socchiusa. E uno sguardo e una bocca così non ammettono paranoie: “the show must go on” cantavano gli Oasis, no? (lo so che sono i Queen, ma volevo vedere se eravate attenti).
Jimmy ci sa fare e le cuce addosso una catenina di parole dolci che su quella camicetta bianca stanno una favola (quando bisogna dirlo bisogna dirlo). Lei sorride, ascolta, guarda. Lei non ha bisogno di tante parole, e lui la invidia per questo; lui le invidia tutte per questo.
Poi le disegna un bel cappellino di aggettivi leggeri leggeri appena un po’ zavorrati da qualche sostantivo apparentemente fuori luogo, ma ben stretti da efficaci preposizioni articolate, giusto per creare un po’ di contrasto con i suoi capelli corvini e lucidi. E profumati. Mammamia che buon profumo quei capelli, la brezza di questa serata in città sembra non voglia soffiare altro. Che sciocchezza, no?
“Il taxi sta arrivando”, sussurra. Quando parla lei bisogna ammettere che dice verità inappellabili. Jimmy si avvicina al suo visino, e lei al suo brutto muso. Si guardano intensamente mentre il rumore della macchina pian piano si insinua nelle loro orecchie.
Poi le sfiora la guancia, e con il pollice le tocca appena il labbro superiore (lui avrebbe voluto quello inferiore, ma come vi dicevo non sempre fa quello che vuole). Le soffia addosso un po’ di impalpabili figure retoriche, solo un filo, come nuvolette di cipria. Così lei è costretta a chiudere gli occhi, si aggrappa a lui e poi anche lui chiude gli occhi (ma, diavolo, ci ha dovuto pensare?) e si baciano, un bel bacio pieno di trasporto e paura, d’altronde è un primo bacio e non c’è niente di male (tutti e due lo sanno), ma Jimmy al solito ci mette qualcosa di più perché sa che sarà anche l’ultimo (purtroppo questo lo sa solo lui).
Il taxi in folle è ormai la stonata colonna sonora di questo contatto, gli scoppiettii del motore rimbalzano come un singhiozzo imbarazzato nei loro petti, appiccicati in un modo che neanche vi immaginate, lo giuro.
“Allora, io vado...”
“Ciao Simona...”
Lei lo accarezza.
“Sono stata...”
Lui fa cadere un paio di avverbi (rimbalzano un paio di volte prima di fermarsi), lei si china per raccoglierli ma quando si rialza Jimmy non c’è più. Adesso la sta guardando da dietro qualcosa mentre si volta incredula e smarrita con in mano i suoi avverbi sporchi di asfalto e mozziconi di sigaretta e lentamente si aggrappa al sedile del taxi. La vede far uscire la testa dal finestrino per guardarsi in giro un’ultima volta, poi un’ultima volta ancora. Adesso è partita.
Jimmy guarda il taxi allontanarsi, sempre più piccolo, adesso solo una piccola e stupida virgola rumorosa in mezzo a un milione di virgole rumorose e ridicole e bellissime.
Il sole è quasi sparito del tutto ormai. Un bambino tira piangendo la gonna di sua madre. I cani pisciano.
Poi Jimmy prende un po’ di belle rime alternate, si costruisce un deltaplano e vola così lontano che sembra un punto.

La ballata del chi

29 gennaio 2008 ore 09:56 segnala
“Chi?”
“Ho bisogno di tempo”
“Chi?”
“La sbadataggine... quell’incidente fu davvero terribile. Sopravvissi solo perché mi dimenticai di morire”
“Chi?”
“Devo farmi la tipa della profumeria”
“Chi?” “Maradona è stato il più grande di tutti. Assolutamente lui”
“Chi?”
“Sopra il tavolo da giardino, quel meraviglioso tavolo da giardino...”
“Chi?”
“Invecchiare, crescere...“
“Chi?”
“Le cose succedono”
“Chi?”
“Mi sento come una macchina ferma in garage da troppo tempo, e il garage è in un grande palazzo. E il grande palazzo è sotto terra. In Corea. Nel 2031 (E’ agosto ma fa freddo) ”
“Chi?”
“Non sopporto vedere invecchiare i miei”
“Chi?”
“Certo che sono proprio fantastico porca paletta”
“Chi?”
“Amore amore amore...”
“Chi?”
“I gattini sono nazisti”
“Chi?”
“Per metà era lui, per l’altra metà era l’altra metà di lui”
“Chi?”
“Vedi, è che non è così facile...”
“Chi?”
“... per niente facile...”
“Chi?”
“Pamela Anderson mi arrapa”
“Chi?”
“Non so...”
“Chi?”
“Non so... davvero...”
“Chi?”
“Uhm...”
“Chi?”
“...”
“Chi?”
“Ok, io”
“Così va meglio”

Trallallerotrallallà.

Caro Durden ti scrivo...

29 dicembre 2007 ore 18:42 segnala
Dieci succosi propositi per il nuovo anno.

1- Tornare a studiare. Qualunque cosa, ma tornare a studiare.


2- Fumare di meno. Sigarette comprese.


3- Evitare il solito siparietto quando sono in discoteca, in cui fingo di fare la breakdance (con tanto di chiusura con mani appoggiate su un “finto muro” alla Marcel Marceau).


4- Smettere di mandare lettere minatorie al baffo dei Ricchi e Poveri.


5- Basta provarci con la cugina del mio commercialista che prima o poi potrebbe anche starci.

6- Non perdere i treni.

7- Pubblicare sul blog la mia collezione di foto di gattini gattosi che si sono macchiati di atti efferati solo per noia esistenziale.

8- Svelare la verità sull’omicidio Kennedy, anche se ciò comporterà un sacco di problemi per Ringo Starr.

9- Andare in palestra, farci qualche sonora scoreggia, poi scappare via.


10- Evitare nelle mie fantasie sessuali la costante presenza sul finale di Alda D’Eusanio, che davanti ad un pubblico di terribili anziani nudi, mi chiede con infinito trasporto se sono soddisfatto di quello che ho appena fatto.

Buon Nataler

23 dicembre 2007 ore 11:04 segnala


















a) Il mio Natale è ricco e colorato.
b) Il mio Natale no.
a) Il mio Natale somiglia a Orlando Bloom quando ha i capelli lunghi e il pizzetto.
b) Il mio Natale somiglia a Charles Bukowski quando aveva i capelli unti dietro le orecchie. E la piorrea.
a) A Natale in famiglia addobbiamo un albero alto due metri con un sacco di palle e luci a intermittenza.
b) A Natale in famiglia, da quando nostro nonno è semiparalizzato, addobbiamo lui.
a) Il mio Natale ci ricorda ogni anno di essere più buoni e generosi l’uno con l’altro.
b) Il mio Natale ci ricorda ogni anno che lo zio Arturo non ci ha ancora restituito il compressore che tiene nascosto dietro due scatole di cartone vuote in garage.
a) Il mio Natale è così buono che l’anno scorso mi ha regalato delle casse Creative Inspire 5.1 Home Theater Surround per il mio pc.
b) Il mio Natale è così sarcastico che l’anno scorso mi ha regalato l’otite. Per la seconda volta.
a) Il mio Natale ci ha insegnato che niente è più bello di donare.
b) Il mio Natale ci ha consigliato che ogni tanto non è male neanche ricevere.
a) Il mio Natale mi ha detto che non c’è nulla di più difficile che Amare per davvero.
b) Il mio Natale mi ha detto che non c’è nulla di più difficile che Disamorarsi per davvero.
a) Il mio Natale ama tutti.
b) Anche il mio Natale. E con venti euro te lo dimostra pure.
a) Il mio Natale ama anche te.
b) Il mio non ne ha bisogno, probabilmente gli stai pure un po’ sul cazzo; ma in fondo in fondo non ti vuole male.

(Ingresso di “Jingle Bells Rock” in dissolvenza)

b) E dalle nostre parti è già qualcosa.

(“Jingle Bells Rock” ad libitum)

Ditelo a Durden (l'Amore)

10 dicembre 2007 ore 16:14 segnala

Durden, cos’è l’amore? (Alessandro, Como)


Prova a pensare a un orsacchiotto. A un orsacchiotto rosa. A un orsacchiotto rosa su un monopattino. Blu. Un orsacchiotto rosa su un monopattino blu che corre come un pazzo su una strada ripidissima. Di marmellata. Ok? Di pere. Un orsacchiotto rosa su un monopattino blu che corre come un pazzo su una strada ripidissima di marmellata di pere. Ci sei? E le pere sono profumatissime. Un orsacchiotto rosa su un monopattino blu che corre come un pazzo su una strada ripidissima di marmellata di pere che sono profumatissime. Ci stai pensando? Ecco, continua a pensarci mentre t’invento una risposta coglione.

Ciao Durd. Sei mai stato innamorato? (J. S.)


Certamente. Si chiamava Roberta. L’amavo immensamente, quasi più di sua sorella per intenderci. La mia storia in assoluto più importante.


Ciao Durden, che voto ti dai come amante? (Ludovica, Napoli)


Non dovresti chiederlo a me, non amo bullarmi da macho. Diciamo solo che l’ultima con cui sono stato a letto appena finito mi ha chiesto subito se poteva rifarlo. Ma non con me. Quantomeno le avevo fatto venire un po’ di voglia, no?


Durd, hai qualche hobbie, che fai nel tempo libero (ammesso che tu abbia del tempo “occupato”)? (Serena, Lugano)

Sorvolerò sul sarcasmo con cui hai permeato la domanda. Comunque ultimamente quando non ho niente da fare amo passeggiare con il mio impermeabile negli angoli più isolati dei parchi pubblici e quando vedo una giovane (o anche non più giovane in effetti) donna sola, mi piazzo all’improvviso davanti a lei e lo spalanco, mostrandole i miei nuovi boxer Calvin Klein che una mia amica avvocato mi ha regalato. Si terrorizzano, potete crederci.

Ciao Durden, sono una studentessa di filosofia, ho 24 anni e sono ancora vergine. Sto col mio ragazzo da quasi tre anni ormai e dopo le sue sempre più pressanti insistenze abbiamo deciso che domani… beh, che domani sarà il grande giorno… Per l’occasione ho deciso di farmi trovare in casa (i miei non ci sono…) ricoperta solo di tre veli che avranno anche un valore simbolico: il primo velo coprirà il mio seno (simbolo materno di protezione), il secondo nasconderà la mia “cosina” (il salto nel buio della passione), mentre l’ultimo sarà sul mio viso (che mi rappresenta come persona e non solo come un semplice oggetto sessuale). Sai, per me i simbolismi sono molto importanti e con questo sistema voglio scoprire che cosa rappresento veramente per lui. Sono cinque giorni che cerco di immaginare cosa sceglierà. Secondo te cosa vorrà togliermi come prima cosa? (Mariella, Brescia)


L’imene.


Durd, ma non riesci a pensare alle donne senza tirare in ballo il sesso? Non vorrei sconvolgerti con questa notizia: le donne non sono solo corpi, ma esseri pensanti, e con ogni probabilità anche molto più pensanti di te... (Emanuela, Frosinone)


Guarda che concordo perfettamente. Ricordo che un paio di anni fa, mentre ero via per lavoro, incontrai una ragazza. Attaccai discorso con una battuta pseudo-filosofica e lei mi cazziò con argomentazioni eccellenti, ogni volta che cercavo di ribattere lei rispondeva con ragionamenti ineccepibili, con frasi forbite e taglienti come rasoi; era fantastica ed ogni sua parola mi metteva sempre più all’angolo perché con lei non c’era davvero via di scampo. Quel giorno mi stuprò intellettualmente. Purtroppo solo intellettualmente.


Hey Durdy, da cosa ti sei travestito per Halloween? (Patrizia, Ancona)


Da Dignità. Si sono spaventati tutti.

Si faccia una domanda...

06 dicembre 2007 ore 02:33 segnala
“Ma se l’Arbre Magique è in tasca... dove diavolo l’avrò lasciato il vibratore?”