
Avvenne in una stagione di sole delle passate età. Lasciata Roma, attraverso l’agro che scende al mare, ci portammo verso il Lido di Ostia, meta Idroscalo. Tra catapecchie degradanti sulla spiaggia, cercavo un’impronta di Pasolini sopravvissuta al giorno dei morti del 1975. Mi chiamavano a quelle sabbie l'enigma della spigolosità di un volto, i fotogrammi di vecchie pellicole che inchiodano gelidi versi all'infetta solitudine del vivere. Un pastrocchio informe, come quel corpo violentato dalla morte, dove genio e pulsioni marcivano in un terminale di grandezze e miserie. Pier Paolo Pasolini e la sua catarsi capovolta, usignolo della Chiesa cresciuto tra le tonache dei preti, poi la dissacrante libertà dei ragazzi di vita. Le baracche erano rimaste come allora, con fantasmi rivestiti di stracci. Le stesse espressioni dei racconti scellerati, toni gutturali, denti guasti, le antropologiche visceralità che se ne fottono della logica. Il monumento di circostanza, eretto a sua memoria, si dissolveva nelle stoppie incolte, con ruggini e crepe di un cemento infelice. Più tardi, sulla strada del ritorno, un cane traballante si presentò sull'asfalto, mi fermai istintivamente, mentre con un guaito si accasciava al suolo. Lei subito cercò di soccorrerlo, nell'angoscia di quel soffrire affranto, la fermai strattonandola sulla spalla. Non toccarlo le dissi, potrebbe morderti, lei insisteva, lo voleva tra le braccia, per lenire il dolore, irradiare speranza. Allora sbottai… aspetta cretina... quindi con i guanti e dell’acqua ci accostammo lentamente. L’animale si riprese e subito fuggì, portando nei suoi occhi smarriti il tesoro di lacrime di chi avevo offeso. Tutto questo avvenne nel silenzio di una strada assolata, tra file di platani e fazzoletti di nuvole. All'ingresso di Roma, semaforo rosso, lei improvvisamente aprì la porta dell’auto e corse via. Mentre accostavo, dispiaciuto e indispettito per quella reazione, la vidi tornare con un girasole che aveva acquistato in una bancarella. Me lo porse come un richiamo al sorriso, alle parole, per scolpire nella memoria quel giorno passato insieme, perché diventasse per sempre. Pasolini e quel povero cane ne furono testimoni inconsci, nel molteplice passare delle cose e dei pensieri, negli accostamenti di visioni e sensazioni che uniscono, sia nella gioia che nella desolazione. Un giorno, un cane e un girasole che tornano puntuali nel tempo, per essere miei, per essere suoi.