Vento di una mattina d'autunno
06 novembre 2011 ore 19:56 segnalaPensieri che volteggiano abbracciati a ricordi, nel silenzio di una musica impercettibile, trasportati dal vento di una mattina d'autunno. E mi siedo in riva al mio mare, ad osservare la luce dorata e prepotente che sorge lontana. Ed a occhi chiusi, immobile, li abbraccio.
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Sator Arepo
11 ottobre 2011 ore 13:30 segnalaCi sono giorni in cui loro mi mancano particolarmente. Ieri è stato uno di quelli, e quei giorni coincidono invariabilmente con gli stessi giorni nei quali io, manco a me stesso. E' la piccola catarsi consacrata dall'atto del sipario che la disvela lentamente, nella porpora del silenzio che mi circonda.
ATTO I
Miserabile spettacolo di miseria umana di coloro che hanno rinunciato, costretto impotente a vedere il compagno gettatosi nel fango in drogata beatitudine, ho teso la mano per aiutarlo a rialzarsi e gli ho offerto un pasto dignitoso e confacente al suo alto rango. Più alto del mio, più volte mi trovai a constatare. Gli chiesi di venire via con me, che la vista di quello spettacolo mi era già intollerabile ma nondimeno la sopportavo e l'avrei sopportata per tutto il tempo necessario. Qualcuno di quegli osceni si avvicinò strisciando sino a me, mi cinse i piedi. Dovevo attendere, li lasciai fare in attesa che il compagno si rialzasse. Quando tutto fosse stato compiuto, un calcio li avrebbe allontanati da noi. Gli parlai, riuscivo a vedere ancora un barlume in fondo ai suoi occhi, non tutto era perduto dunque. Avevo attraversato molte terre e molta umanità, prima di ritrovarci e poter così chiudere il mio cerchio. E gli parlai di nuovo, e sembrava ascoltarmi senza cura del chiacchericcio sgraziato circostante. Avevo riacceso il suo Fuoco, avevo gettato il seme del Grande Ritorno. Gli dissi di venire con me al banchetto, che onori e giustizia li avrebbe ritrovati lì. Lo vidi a terra strisciare, allontanarsi ancora una volta, in turbine di schiamazzi e contese infime.
ATTO II
Seduto ancora sulla colonna di Cartagine, come un tempo, rifletto tra i mulinelli di sabbia che il vento fa giocare tra le strade abbandonate della Città Spenta. Ho percorso deserti e valli, per arrivare qui. E ancora penso alle scene, al barlume in fondo a quegli occhi, a ciò che ho lasciato, a ciò che ho dato, a ciò che mi è stato sottratto, a ciò che ho portato con me. Troppo, o troppo poco. Guardo l'orizzonte, infuocato da un tramonto ocra della stessa tonalità di quel fuoco che riaccesi nel suo sguardo. Immobile come statua silenziosa, il vento e la sabbia mi accarezzano ancora come un tempo, danzando davanti al mio sguardo fisso ai cieli lontani. Che fine avrà fatto quel fuoco, che ne sarà del seme del Grande Ritorno?
Sono ritornato alla mia dimora, che spazio e tempo, per me, non ce n'era più. Sono tornato al luogo da dove un tempo era iniziato il mio lungo viaggio.
Intanto, passando sotto le mura della Città, ho visto da lontano la rocca con i resti delle antiche catene di Prometeo, spezzate.
EPILOGO
Sator Arepo tenet opera rotas.
Io, sono Saturno il seminatore.
Io, sono il solitario guardiano di Cartagine.
Io, sono l'Uomo errante
(dal mio blog su Netlog, "Le_Seagull_Magique")
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Ci sono giorni in cui loro mi mancano particolarmente. Ieri è stato uno di quelli, e quei giorni coincidono invariabilmente con gli stessi giorni nei quali io, manco a me ste...
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11/10/2011 13:30:43
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Le rovine di Cartagine
15 giugno 2008 ore 10:49 segnala
Seduto per la spossatezza del lungo viaggio, osservo e rifletto sulle vestigia dei sacrifici al Moloch.
Vi era un tempo, in Cartagine, in cui la nostra potenza correva per mari e per dune, e di fronte a noi ori e alabastri.
Erano notti di lampade di terracotta ad olio e profumi orientali, al suono di cetra e di Mediterraneo.
Il suono del Mediterraneo....culla e carezza, orrore e schiavitù, orizzonte infinito e prigione abissale.
L'Azzurro dello sguardo di Poseidone ed il Piombo di quello di Ade...entrambi ci lambivano, ed entrambi erano la nostra forza.
Dietro di noi, il rosso intenso delle dune sabbiose, come fuoco che si contrapponeva al mare.
Ma l'Aquila è forte....e non fummo più noi.
Delenda Carthago.
Deleta Carthago.
Strana sorte....noi figli degli Atlantidei, abbiamo ripercorso la parabola dei padri.
Ora la cetra é persa tra la sabbia, é diventata sabbia essa stessa.
Gli ori e gli alabastri sono lontani, perduti per sempre e sparsi per le terre del mondo.
Nessuno saprà che provenivano da Cartagine, perchè nessuno si ricorderà più dell'esistenza di Cartagine.
Il silenzio soffia tra i tronconi delle colonne bruciate, un tempo alte.
Le stelle illuminano un paesaggio lunare....no.
I fantasmi sfilano nel silenzio tombale delle urla dei mercanti e delle voci stentoree degli attori.
Io osservo tutto e sento tutto, con estrema chiarezza: vedo ogni sfumatura del nulla e ascolto la chiarezza di ogni sillaba del silenzio.
La nostra temibile flotta é all'ancora, perfettamente compatta, laggiù nell'abisso.
Le nostre armate sono all'erta e aqquartierate nella sabbia che le ricopre.
Lo nostra forza é ben presente e molto temuta dai fantasmi.
No.
Con lo sguardo percorro il deserto....delle figure compaiono all'orizzonte, viandanti sperduti che attraversano ciò che rimane dell'antica Porta orientale....camminano incerti, lo sguardo perso nel vuoto....io li seguo con gli occhi.
Chissà da dove vengono, quando son partiti, e come hanno fatto a giungere in un luogo che non esiste più.
Quale mano...quale mano, quale beffarda mano li guida in un posto che non c'è più? perchè li porta qui, dove non c'è più nulla per nessuno?
Ricorderò in particolare una di queste figure, negli anni che mi rimangono.
Si girò e mi chiese chi fossi.
Io le risposi che ero un filosofo seduto sulle rovine di Cartagine.
E lei mi chiese cosa fosse Cartagine, dato che non ne aveva mai sentito parlare e non la vedeva da nessuna parte.
E fu in quel momento, che mi accorsi che io non esistevo.
L'ultimo ricordo, mentre svanivo, é quello di alcuni granelli di sabbia che, trasportati dal vento, si andavano a posare sul capitello dove poco prima ero seduto io.
Vi era un tempo, in Cartagine, in cui la nostra potenza correva per mari e per dune, e di fronte a noi ori e alabastri.
Erano notti di lampade di terracotta ad olio e profumi orientali, al suono di cetra e di Mediterraneo.
Il suono del Mediterraneo....culla e carezza, orrore e schiavitù, orizzonte infinito e prigione abissale.
L'Azzurro dello sguardo di Poseidone ed il Piombo di quello di Ade...entrambi ci lambivano, ed entrambi erano la nostra forza.
Dietro di noi, il rosso intenso delle dune sabbiose, come fuoco che si contrapponeva al mare.
Ma l'Aquila è forte....e non fummo più noi.
Delenda Carthago.
Deleta Carthago.
Strana sorte....noi figli degli Atlantidei, abbiamo ripercorso la parabola dei padri.
Ora la cetra é persa tra la sabbia, é diventata sabbia essa stessa.
Gli ori e gli alabastri sono lontani, perduti per sempre e sparsi per le terre del mondo.
Nessuno saprà che provenivano da Cartagine, perchè nessuno si ricorderà più dell'esistenza di Cartagine.
Il silenzio soffia tra i tronconi delle colonne bruciate, un tempo alte.
Le stelle illuminano un paesaggio lunare....no.
I fantasmi sfilano nel silenzio tombale delle urla dei mercanti e delle voci stentoree degli attori.
Io osservo tutto e sento tutto, con estrema chiarezza: vedo ogni sfumatura del nulla e ascolto la chiarezza di ogni sillaba del silenzio.
La nostra temibile flotta é all'ancora, perfettamente compatta, laggiù nell'abisso.
Le nostre armate sono all'erta e aqquartierate nella sabbia che le ricopre.
Lo nostra forza é ben presente e molto temuta dai fantasmi.
No.
Con lo sguardo percorro il deserto....delle figure compaiono all'orizzonte, viandanti sperduti che attraversano ciò che rimane dell'antica Porta orientale....camminano incerti, lo sguardo perso nel vuoto....io li seguo con gli occhi.
Chissà da dove vengono, quando son partiti, e come hanno fatto a giungere in un luogo che non esiste più.
Quale mano...quale mano, quale beffarda mano li guida in un posto che non c'è più? perchè li porta qui, dove non c'è più nulla per nessuno?
Ricorderò in particolare una di queste figure, negli anni che mi rimangono.
Si girò e mi chiese chi fossi.
Io le risposi che ero un filosofo seduto sulle rovine di Cartagine.
E lei mi chiese cosa fosse Cartagine, dato che non ne aveva mai sentito parlare e non la vedeva da nessuna parte.
E fu in quel momento, che mi accorsi che io non esistevo.
L'ultimo ricordo, mentre svanivo, é quello di alcuni granelli di sabbia che, trasportati dal vento, si andavano a posare sul capitello dove poco prima ero seduto io.
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Il profumo del rosmarino
08 giugno 2008 ore 11:56 segnala
(liberato ispirato A e DA "Mediterraneo" di G. Salvatores)
Erano arrivati nell'isoletta bianca persa in mezzo all'azzurro intenso del Mediterraneo, quell'azzurro tipico delle mattinate di giugno, cariche di venticello e di profumi.
In fin dei conti, per alcuni erano colori, odori e sensazioni identiche a quelle di casa....anche se da casa erano lontani.
Scesi dalla nave grigia, si apprestavano a compiere una missione di cui loro stessi non avevano ancora chiari limiti e contenuti.
Inizialmente, pensavano di dover conquistare, li avevano mandati per questo....ma alla fine, non conquistarono altro che sè stessi...e fu la conquista più importante della propria vita, aver riconquistato la propria vita.
Essersi ritrovati proprio nel momento in cui si é perduti e abbandonati a sè stessi....quando non puoi fare altro affidamento che su te stesso, quando la tua radio é rotta e non puoi comunicare con nessuno.
E allora ti siedi, e osservi il mare davanti a te...un mare antico, antico quanto il tuo.
E a poco a poco, riemergi...come se tu stesso fossi stato troppo a lungo sotto quell'acqua davanti a te.
Riemergi e guardi il bianco accecante delle scogliere calcaree...ed é in quel momento, vedendola da riva, che ti accorgi che quell'acqua era azzurra e limpida, e non nera e opprimente come ti era sembrato quando ti sei svegliato là sotto.
Hai finalmente aperto gli occhi, hai visto un barlume di luce sopra di te....a poco a poco hai iniziato a muovere le braccia per risalire...e sei riemerso. Una grande boccata d'aria, quell'aria di giugno mediterraneo...e ora sei seduto sullo scoglio bianco, giocando con una stoppia di grano in bocca...e riempi i tuoi occhi di quel bianco e di quel meraviglioso azzurro.
Accanto a te, il tuo vecchio fucile ormai esausto e l'elmetto...poggiati lì, per terra.
Un giorno, fra tanti anni, verranno ritrovati proprio dove tu li hai lasciati lì quella mattina. Nessuno li ha più toccati, da allora. Del resto, non servivano più a niente e a nessuno...non c'è nessuna guerra da combattere, nessun nemico da abbattere, lì dove sei adesso.
Che le abbiamo portate a fare, tutte 'ste cose?
Qui ci sono solo bambini che giocano festanti e donne che ricamano, sedute sull'uscio di tante casette.
C'erano fin da quando sei arrivato...solo che non te ne sei mai accorto, stavi lì di sentinella, sempre sul chi va là, notte e giorno, con l'elmetto calato sulla fronte ed il fucile imbracciato e carico...aspettando un avversario che non sarebbe mai arrivato, un colpo di mitragliatrice che non sarebbe mai stato sparato.
La bandiera sventolante ed austera che avevi issato sul fortino, quando sei arrivato, é ancora lì che garrisce al vento...ma ormai é sfrangiata e scolorita dal sole....la riconosci, é sempre la tua...ma la lasci lì dov'è. Ti ricorda che sei e chi sei stato, e vuoi che anche lei goda di questi odori e di questa atmosfera. Perchè ripiegarla? cosa ci farebbe, ad ammuffire in un cassetto?...
Poi, a poco a poco, anche la tua vecchia divisa viene meno....ora stai diventando tuttuno con la nuova terra...indossi un paio di pantaloni che ti ha dato un vecchio del posto, e balli la sera con loro, le loro danze.
Giochi con quei bambini, come se fossero dei tuoi figli ritrovati.
E quando arriva il tramonto, i tuoi occhi si riempiono dell'amaranto carico del sole che scende sul mare.
Ti commuovi, pensando al velo che é caduto ed a quanto tempo ci é voluto.
Pensi a casa tua, e ti manca....ma poi ti accorgi che tu, da casa, non ti sei per nulla allontanato.
Ci sei semplicemente ritornato, l'hai ritrovata....
Ora la Luna sta sorgendo, e si specchia sul mare mentre le barchette dei pescatori lasciano il porticciolo...e ti abbandoni nella sera al profumo inebriante dei cespugli di rosmarino.
Erano arrivati nell'isoletta bianca persa in mezzo all'azzurro intenso del Mediterraneo, quell'azzurro tipico delle mattinate di giugno, cariche di venticello e di profumi.
In fin dei conti, per alcuni erano colori, odori e sensazioni identiche a quelle di casa....anche se da casa erano lontani.
Scesi dalla nave grigia, si apprestavano a compiere una missione di cui loro stessi non avevano ancora chiari limiti e contenuti.
Inizialmente, pensavano di dover conquistare, li avevano mandati per questo....ma alla fine, non conquistarono altro che sè stessi...e fu la conquista più importante della propria vita, aver riconquistato la propria vita.
Essersi ritrovati proprio nel momento in cui si é perduti e abbandonati a sè stessi....quando non puoi fare altro affidamento che su te stesso, quando la tua radio é rotta e non puoi comunicare con nessuno.
E allora ti siedi, e osservi il mare davanti a te...un mare antico, antico quanto il tuo.
E a poco a poco, riemergi...come se tu stesso fossi stato troppo a lungo sotto quell'acqua davanti a te.
Riemergi e guardi il bianco accecante delle scogliere calcaree...ed é in quel momento, vedendola da riva, che ti accorgi che quell'acqua era azzurra e limpida, e non nera e opprimente come ti era sembrato quando ti sei svegliato là sotto.
Hai finalmente aperto gli occhi, hai visto un barlume di luce sopra di te....a poco a poco hai iniziato a muovere le braccia per risalire...e sei riemerso. Una grande boccata d'aria, quell'aria di giugno mediterraneo...e ora sei seduto sullo scoglio bianco, giocando con una stoppia di grano in bocca...e riempi i tuoi occhi di quel bianco e di quel meraviglioso azzurro.
Accanto a te, il tuo vecchio fucile ormai esausto e l'elmetto...poggiati lì, per terra.
Un giorno, fra tanti anni, verranno ritrovati proprio dove tu li hai lasciati lì quella mattina. Nessuno li ha più toccati, da allora. Del resto, non servivano più a niente e a nessuno...non c'è nessuna guerra da combattere, nessun nemico da abbattere, lì dove sei adesso.
Che le abbiamo portate a fare, tutte 'ste cose?
Qui ci sono solo bambini che giocano festanti e donne che ricamano, sedute sull'uscio di tante casette.
C'erano fin da quando sei arrivato...solo che non te ne sei mai accorto, stavi lì di sentinella, sempre sul chi va là, notte e giorno, con l'elmetto calato sulla fronte ed il fucile imbracciato e carico...aspettando un avversario che non sarebbe mai arrivato, un colpo di mitragliatrice che non sarebbe mai stato sparato.
La bandiera sventolante ed austera che avevi issato sul fortino, quando sei arrivato, é ancora lì che garrisce al vento...ma ormai é sfrangiata e scolorita dal sole....la riconosci, é sempre la tua...ma la lasci lì dov'è. Ti ricorda che sei e chi sei stato, e vuoi che anche lei goda di questi odori e di questa atmosfera. Perchè ripiegarla? cosa ci farebbe, ad ammuffire in un cassetto?...
Poi, a poco a poco, anche la tua vecchia divisa viene meno....ora stai diventando tuttuno con la nuova terra...indossi un paio di pantaloni che ti ha dato un vecchio del posto, e balli la sera con loro, le loro danze.
Giochi con quei bambini, come se fossero dei tuoi figli ritrovati.
E quando arriva il tramonto, i tuoi occhi si riempiono dell'amaranto carico del sole che scende sul mare.
Ti commuovi, pensando al velo che é caduto ed a quanto tempo ci é voluto.
Pensi a casa tua, e ti manca....ma poi ti accorgi che tu, da casa, non ti sei per nulla allontanato.
Ci sei semplicemente ritornato, l'hai ritrovata....
Ora la Luna sta sorgendo, e si specchia sul mare mentre le barchette dei pescatori lasciano il porticciolo...e ti abbandoni nella sera al profumo inebriante dei cespugli di rosmarino.
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Scrive dal: | 08/06/2008 |
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