

Deve passare un po' di tempo.
Non puoi, appena detto addio, appena sai che è finito tutto e mai più braccia e telefonate, in quel momento sei poltiglia.
Anche se ti ribelli, anche se pensi: "tanto domani sarò morta!".
Ma lì, al momento dell'addio c'è la disperazione che ti fa da anestetico.
Anestesia locale.
Sei tutta sveglia e viva, in agguato.
Aspettando che tra mezz'ora, mezza giornata, mezza settimana, ti esploda la testa.
Come fa male!
Amore, desiderio, amicizia sono stati insieme.
Ci sono momenti in cui si fatica a ritrovare se stessi e ci si sente frustrati a tal punto che l'unico conforto diventa il compiacersi della propria malinconia.
Scattano i rimorsi interiori; martellano con angoscia il tasto dell'autoaccusa.
Più il corpo si atrofizza, più la mente si scatena.
Sono sconvolta e sofferente.
In questo momento mi sembra una inaccettabile forma di violenza.
La passione non si può negoziare, ne sono consapevole.
Si può amare tanto da non amare più?
Me lo sono chiesta in passato.
Per nascere alla vita bisognerebbe darsi, la vera solidarietà inizia dove non attendi nulla, ma dobbiamo avere il "cuore" abbastanza grande, l'"immaginazione" abbastanza aperta per vedere ciò che gli altri non vedono, per incontrare l'uomo al di là del suo aspetto esteriore, là dove è unico, là dove solo quelli che amano possono penetrare.

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