Zucchero Filato

27 febbraio 2009 ore 20:16 segnala
Certi giorni avevano la consistenza impalpabile e appiccicosa dello zucchero filato. Era più il fastidio, del gusto che le restava sotto al palato.

Aveva sempre trovato piuttosto inutile scambiare cerimoniose chiacchiere sullo spostamento delle nuvole e sull’altalenarsi dei gradi centigradi nei giorni della settimana. Non aveva mai trovato particolarmente avvincente la meteorologia e anche quando la incrociava in tv a fine di un telegiornale, prestava un orecchio distratto solo se il giorno seguente aveva una meta particolare da raggiungere.

Nell’autobus che la riportava a casa aveva appena assistito a quella che lei chiamava una sanguinosa strage di parole. La signora A, nel suo cappotto color miele chiuso con una spilla dorata che faceva tanto retrò, trovandosi nell’imbarazzante posizione di essersi collocata a pochi centimetri di distanza dalla signora B, nerboruto donnone di mezza età dai modi sbrigativi, si era fatta prendere dalla famigerata “sindrome dell’ascensore”. Poco spazio, eccessiva vicinanza: cosa fare? Difendere l’esigua distanza come i soldati della Grande guerra tenevano la posizione della propria trincea, o riempire il silenzio prima che diventi pesante con le prime 100 parole che vi saltano in mente?

Notoriamente le persone propendono per questa seconda strategia, così per gentilezza, come si usa spesso dire.

E così, tanto per gentilezza le due donne, nelle sette fermate che precedevano la loro comune destinazione, si sono scambiate, ed hanno messo a parte di tutto ciò almeno i dieci passeggeri più prossimi, una discreta quantità di informazioni più o meno personali: numero di ore passate al lavoro, posizione sociale, non sposata per scelta - io invece sì ma per errore, no figli è un brutto mondo questo- io sì ma solo una, intervallate da una discreta quantità di  illuminanti banalità, così per gentilezza.

Tra uno squillante “Sembra proprio una giornata di primavera” e un meditabondo “Si però la mattina presto è ancora freddo” le due signore si scambiavano battute come Mc Enroe e Borg dei tempi epici.

Per l’intero tragitto, che ad essere sinceri era sembrato a tratti interminabile, la donna che pensava alla sua giornata come ad un enorme fuso di zucchero filato, si era ben guardata dal sollevare gli occhi dalla borsa da lavoro di un passeggero vicino, un po’ logora negli angoli e che cominciava a mostrare le prime screpolature della pelle dovute all’usura. Era una blanda precauzione, non aveva voglia che qualcuno le chiedesse, così per gentilezza, qual era la sua posizione esistenziale nei confronti degli acquazzoni improvvisi o dei danni delle grandinate fuori stagione sui prodotti agricoli. Aveva voglia di casa, di sfilarsi le scarpe, e se fosse stato meno freddo di camminare un po’a piedi nudi. Aveva voglia di un bagno caldo, aveva voglia di vedere il mare, anche se era così fuori stagione da sembrare fuori luogo, ma le cose fuori stagione le piacevano da morire. Erano primizie, privilegi, capricci del suo umore e ogni tanto andavano sfamati, perché non si poteva essere sempre imperturbabili come monaci tibetani, ogni tanto bisognava essere indulgenti con le proprie inclinazioni. Ma soprattutto occorreva avere qualche inclinazione, mentre  nell’ultimo periodo la sua ricerca della serenità, condotta con successo, cominciava a mostrare le stesse screziature della borsa da lavoro dello sconosciuto passeggero. Era serena, tranquilla come un’ anatra in uno stagno immobile, ma la serenità non coincide che per brevi momenti con la felicità. La felicità era picco, impennata, vertigine prima di una sicura caduta, ma dava emozione, certezza della propria vitalità. Aveva sempre odiato per quella ragione la filosofia zen, perché predicava il distacco dalle passioni, l’atarassia, la rinuncia dei desideri che ci rendono schiavi di bisogni inutili e superficiali. Rendendosi conto che cominciava a pensare come una canzone di Battiato, la donna scrollò la testa e si rimmerse nella conversazione  tra la signora A e B, che fortunatamente volgeva al termine, giacché si era alla impeccabile frase di chiusura “Tante belle cose, signora” e “Buona serata” e mentre le due si dirigevano in direzioni opposte ciascuna col suo peso, la sua sporta di spesa e di fatica accumulata in quella giornata, alla donna dello zucchero filato venne in mente che sì forse lei doveva senz’altro appartenere ad una serie difettosa di modelli venuti con qualche strano difetto e immessi comunque sul mercato, ma che almeno non era ipocrita. A quelle due signore non fregava assolutamente nulla l’una della vita dell’altra e non per crudeltà o cinismo, ma perché si erano parlate solo così per gentilezza, senza che una sola volta si fossero guardate negli occhi, senza che una sola volta una delle due avesse chiesto

“ Lei come sta?” e avesse veramente aspettato la risposta.

Tornò a casa che i pensieri le dolevano come sassolini nelle scarpe.

Si potessero sfilare anche i pensieri insieme alle scarpe, sarebbe tutto molto più semplice. Pensò infilando la chiave rumorosamente nella serratura.

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Certi giorni avevano la consistenza impalpabile e appiccicosa dello zucchero filato. Era più il fastidio, del gusto che le restava sotto al palato. Aveva sempre trovato piuttosto inutile scambiare...
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News...

24 febbraio 2009 ore 17:00 segnala

...Le buone notizie si intrecciano sempre a quelle stronze... in un giorno di scarsa autostima arriva la notizia telegrafica e meravigliosa...il suo racconto è stato selezionato per la pubblicazione...stop...firmi la liberatoria in allegato...stop...pubblicazione prevista per marzo....stop.

La liberatoria la firmo domani, stop. Confido in più favorevole congiunzione astrale e meno vorticoso orbitare dei miei satelliti, stop. Vivessi su un'isola deserta sarei forse più felice, stop. La notizia mi riempie il cuore di felicità, stop. E' la testa ad essere vuota come un guscio d'uovo. Stop.

la pubblicazione non è a scopo di lucro, quindi come al solito insomma non vedrò una lira, ma ho in dote 10 copie da regalare (9 una vorrei tenerla per me).

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...Le buone notizie si intrecciano sempre a quelle stronze... in un giorno di scarsa autostima arriva la notizia telegrafica e meravigliosa...il suo racconto è stato selezionato per la pubblicazione...stop...firmi la liberatoria in allegato...stop...pubblicazione prevista per marzo....stop. La libe... (continua)
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La traviata...

22 febbraio 2009 ore 21:12 segnala

Week end impegnativo lo ammetto, figlio di una settimana ancora più complessa. Ho saltato un pò di puntate, tipo il meraviglioso concerto di Pacifico di mercoledì scorso al bar Wolf e la conseguente fase acmatica di scaricaggio di sue canzoni, masterizzazione selvaggia di cd per evangelizzare gli amici, acquisto di cd originale perchè sono sempre una signora e la buona musica va finanziata (non è vero, menti, solo perchè costava 15 euri e te lo autografava pure)...coscienza del cavolo, ma non eri partita per la Jamaica? Devo anche postare un pò di foto dell'avvenimento, ma aspetto l'umore adatto.

Più che un week end questo che si sta concludendo mi è sembrata la prova del cammino di Santiago, 12 ore di treno in due giorni, tre ore dal dentista a ricostruire il mio delizioso premolare scheggiato dalla Rosticciana (tribale piatto toscano di carne, buono ma pericoloso) e dulcis in fundo era proprio il sabato del compleanno di MariJo, mitica amica di tante battaglie, metà amazzone e metà Janis Joplin e come dirle di no? Ottima competenza nella scelta dei vini, MaJo ha un solo difetto: le piacciono solo i bianchi e solo determinati bianchi, campani. Per cui ho passato momenti indimenticabili tra un signor Fiano di Avellino (di cui porto ancora i segni addosso) e un Biancolella d'Ischia di tutto rispetto, accompagnati da un favoloso prosecco leggermente fruttato (di cui per ovvie ragioni non ricordo più il nome :-) ) Comunque maJo auguri e soprattutto grazie, per l'impegno e la devozione che ci hai messo a farci uscire breschi FRADICI da quella casa ieri sera. Sappi che ho dovuto persino guidare, perchè mio fratello era più suonato di me e mi ha fatto guidare la sua macchina NUOVA (chiaro segno che non era sobrio). Sorvolo, perchè ti stimo, sugli effetti conseguenziali della seratona di ieri. Tipo mal di testa epocale in euro star, crampi al basso ventre, orecchie ovattate, malumore e colazione con un'aspirina... Meno male che fai gli anni una volta all'anno va...

Ho un pò di messaggi arretrati a cui rispondere...

Dignità e Rispetto

10 febbraio 2009 ore 23:10 segnala

Due parole poco consuete in Italia, in questo secolo, in questa follia collettiva, sottile e trasparente come uno strato di celophane, che toglie l'aria ai pensieri, ma noi non ce ne accorgiamo. Asfissia l'intelletto, ma noi crediamo che ci protegga dal marcio, dal pericolo, dal batterio del botulino. Si può scegliere di essere laici o di essere fedeli ed io rispetto entrambe le scelte. Si può scegliere se andare a messa la domenica o allo stadio, si può scegliere che è meno peggio Bossi che Fini, si può scegliere se comprere l'Unità o il Giornale, se andare a piedi al lavoro o prendere l'auto. Si può scegliere. Ogni giorno lo facciamo. La vita è un'infinita bava di piccole scelte insignificanti e quotidiane, simili alle scie delle lumache. Si può scegliere. A volte invece si deve scegliere tra una rosa di possibilità molto più ristretta. Si deve scegliere tra un dolore e uno più grande. Tra una fine dignitosa e una finzione di vita. Certe volte ci vuole più cuore che coraggio nel decidere. E nessuna decisione era più difficile di questa. 

Io rispetto quest'uomo. Ne ammiro la pacatezza dei modi e dei toni. Ammiro il suo continuare a parlare sottovoce in mezzo a gente che urla slogan di un colore e dell'altro. La sua tenacia caparbia, friulana fino all'osso, fino al punto di essere scambiato per pazzo. Rispetto la dignitosa compostezza del suo dolore, che è tragedia privata, data in pasto al Circo dei leoni, nani e ballerine, di cui nostro malgrado facciamo tutti parte.

L'avventura di un'insonne

08 febbraio 2009 ore 18:29 segnala
A pancia in giù nel letto, abbracciata al cuscino, Eva aspettò per una buona mezz’ora che arrivasse il sonno. Col dorso della mano accarezzava meccanicamente la parete liscia e fredda dietro al suo letto privo di sponde.

Quel contatto con una materia così reale e stabile, in qualche modo la rassicurava. Era come piantare bene i piedi a terra per evitare di perdere l’equilibrio su una superficie più insidiosa.

Eva sentiva con dolente certezza, che quella sarebbe stata un’altra notte in cui il sonno ci avrebbe messo troppo a trovarla, ormai interpretava con chiarezza i segnali, sapeva anche che se si fosse girata a pancia all’aria a guardare il soffitto, sarebbe stata la fine. Così se ne restava silenziosa in quell’abbraccio complice col suo cuscino, nella finzione degli occhi chiusi, sperando di ingannare se stessa ancor più della sua insonnia.

Il fruscio delle lenzuola accanto a lei non la ingannò nemmeno per un momento. Si ricordava bene che quel corpo già mollemente abbandonato ad un sonno composto non le apparteneva, non era lì per lei.

“Il tuo corpo aveva un altro peso dentro al letto - pensò Eva -  Il tuo corpo non avrebbe mai lasciato tanto spazio dal mio.”

Fu un pensiero fugace, rapido come la nostalgia, un pensiero che poteva fare solo con se stessa perché  non sarebbe stato giusto dirlo ad alta voce, adesso che aveva deciso, adesso che ne era sicura, adesso che per l’ennesima volta aveva fatto a pezzi con le sue mani, come Penelope, la trama pazientemente intessuta.

Eva per addormentarsi non contava pecore che saltavano immaginari recinti. Contava occasioni mancate, frasi poco felici, battute troppo taglienti, situazioni in cui avrebbe voluto tornare per cambiarle, per operarci su con la precisione di un tecnico del montaggio.

Avrebbe tagliato una scena inutile, doppiato una frase cretina, seguito meno il copione e più l’istinto, recitato più spesso a braccio. Sì. Certe frasi adesso le avrebbe dette meglio, soprattutto le avrebbe dette.

Ma la vita non era il set di un film, era più un buffo documentario girato in presa diretta sul comportamento di una specie in via di estinzione. Non c’era mai tempo per prove di nessun tipo, non c’erano battute da imparare a memoria o appassionate interpretazioni. La vita era veloce, un istant movie, sebbene sembrasse procedere lenta e noiosa come un fiume dal corso troppo vasto e prevedibile.

Non bisognerebbe mai sottovalutare le conseguenze di un’insonnia.

E’ incredibile la quantità e la varietà di pensieri che possono attraversare la mente di una persona che non ha nessuna intenzione di dormire.

In meno di un’ora Eva aveva ripercorso gli ultimi tre anni della sua vita, le storie più importanti, i momenti vissuti davvero e quelli soltanto immaginati. Alternava decisioni ontologiche a buoni propositi da inizio d’anno. Per esempio aveva appena deciso che avrebbe smesso di fumare, si sarebbe messa a dieta, avrebbe chiamato tutti gli amici che non sentiva da mesi e, ancora non paga, che avrebbe fissato con urgenza un appuntamento dalla manicure.

Eva sapeva che era un gioco fin troppo facile cadere nelle sabbie mobili del rimpianto, del “e se fosse… e se io avessi…” Per due anni era stato il suo gioco preferito, ci si era auto- torturata con un insospettabile compiacimento, era stato un po’ come scoprirsi improvvisamente dipendenti da tecniche masochiste e bontage. Eva non poteva più permetterselo. Non voleva ripensare alle possibilità inesplorate, né valutare tutte le variabili impazzite che ogni tanto come fuggiaschi, riuscivano ad uscire dal corso del fiume lento e prevedibile. Sì, le sarebbe piaciuto molto avere una macchina che permettesse di far vedere dove avrebbero portato le strade che non aveva imboccato, come sarebbero finite le storie che aveva lasciato scivolare tra le dita o che le avevano chiuso in faccia come porte sbarrate. Le sarebbe piaciuto, ma una macchina così non esisteva. La sola cosa che l’uomo era riuscito ad inventarsi a riguardo si chiamava Rimpianto&Nostalgia Spa, ed Eva ne era una consapevole e vecchia cliente.

“Fottuta insonnia” - pensò Eva – girandosi su un fianco e tirandosi un po’ più su le coperte.

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A pancia in giù nel letto, abbracciata al cuscino, Eva aspettò per una buona mezz’ora che arrivasse il sonno. Col dorso della mano accarezzava meccanicamente la parete liscia e fredda dietro al suo...
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08/02/2009 18:29:59
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Come musica

26 gennaio 2009 ore 22:57 segnala

.....:stampella ....

Metereopatia

20 gennaio 2009 ore 21:22 segnala

Sono irrimediabilmente un animale che ama il sole. Soffro ogni minimo spostamento del barometro come i vecchietti con la sciatica incorporata. Ufff. Più di tutto è la pioggia che mi sfinisce lentamente. Preferisco la neve a questo stillicidio di gocce sul vetro della mia finestra. Sono sicura che c'è qualcosa di freudiano in tutto ciò e se avessi un buon analista mi spiegherebbe che la mia non è affatto metereopatia, ma mancanza di altro. Poi però mi chiederebbe se io abbia mai visto i miei genitori copulare, oppure mi tirerebbe fuori che il termometro è un simbolo fallico e allora la mia già scarsa stima nelle tesi del barbuto di Vienna naufragherebbero del tutto e mi verrebbe l'istinto di mandarlo a cagare. La verità è che la pioggia ha certamente il suo fascino, anche se a me è capitata di apprezzarla solo in rari momenti, magari sentendola scendere giù mentre ero al calduccio nel mio letto, magari mentre avevo la certezza allungando distrattamente la gamba nel dormiveglia, di strofinarmi contro un'altra. E allora la pioggia sarebbe stata sì musicale, quasi erotica. Ma non stasera. Stasera è solo noiosa e triste. Il ronzio del silk epil dall'altra stanza è l'unico segnale di vita da parte di Amelie, la mia coinquilina fischiettante, che sembra non conoscere mai la malinconia. Non so se invidiarla o chiedermi seriamente se in passato non sia per caso stata lobotomizzata a sua insaputa nel sonno. Di solito curo questi momenti con massicce dosi di auto ironia, con i cartoni della dreamwork o con le canzoni ignoranti anni 70-80, ma neanche questi rimedi servono stasera. La mano è scivolata senza incertezze sulla pila dei cd e ha tirato fuori jazz...bruttissimo segno. Ciondolo tra il pc e la camera da letto guardando senza troppo entusiasmo il mucchio selvaggio di fogli ancora da correggere...sbuffo come un treno a vapore delle regie ferrovie borboniche... ho voglia di sole. O di qualcosa che gli somigli. Domani ho una giornata campale, mi chiedo perchè diamine mi hanno iscritta a quel penoso corso di educazione stradale, proprio io che parcheggio la macchina peggio dell'ispettore Colombo e colleziono multe perchè dimentico di esporre i grattini, non sono esattamente un ligio esempio da imitare, inoltre ho una viscerale antipatia per gli ausiliari del traffico,che assimilo ad una piaga sociale. La sola cosa che mi fa sorridere è l'idea del corso di tango che ricomincia...forse è lì che si nasconde il raggio di sole che cercavo. Vabbè, nel cazzeggio malinconico da pioggia se non altro ho trovato una piccola perla di canzone Ryuiki Sakamoto: "Rain". E che rain sia. Per me e per voi

Laboratorio di scrittura

20 gennaio 2009 ore 15:42 segnala

Da ottobre a dicembre ho partecipato ad un laboratorio di scrittura interculturale. Un'esperienza molto bella per due ragioni: mi ha permesso di fare quello che più amo (scrivere) confrontandomi con altri punti di vista, accenti, suoni, colori, penne e modi di riempire i fogli totalmentediversi da me.

Due: Mi ha fatto conoscere una persona spettacolare, la prof. che teneva il corso: Christiana, brasiliana di Bahia, di cui sono stati preziosi i consigli, "le digas" le dritte come le chiamava lei, l'illuminante ironia e il cobalto imbarazzante dei suoi occhi.

Linko (che brutto termine, ma così si dice) il sito dell'associazione che ha realizzato tutto ciò, in collaborazione col dipartimento di italianistica di Bologna. Dove se avete voglia (o non avete una minkia da fare in una giornata uggiosa come questa) potete trovare il frutto dei nostri sforzi letterari. Hanno messo anche la foto dei corsisti (che fegato).

http://www.eksetra.net/home/home.php

 

Una bella occasione. Felice di averne fatto parte.

Una risata vi seppellirà

17 gennaio 2009 ore 16:14 segnala

Non è colpa mia se tra l'aggressiva Santanchè e la servizievole Prestigiacomo, io voterei la Cortellesi...

L'intelligenza e l'ironia sono le vere doti che apprezzo nelle persone, peccato siano piuttosto rare accompagnate insieme.

La politica dovrebbe imparare a ridere di se stessa, perchè nei fatti già lo fa.

Queta chicca mi è venuta in mente ieri, passeggiando a zonzo per Bologna con un'amica in una giornata "polare". Così si spiega da dove ho tirato fuori questa espressione: "Ne ho timore" che spesso sfodero.

 

Noche tanguera

14 gennaio 2009 ore 21:29 segnala

Ieri, malgrado le 8 ore di lavoro sul groppone, la spesa e il traffico, la mia anima tanguera (o quel che ne è rimasto) mi hanno spinto ad andare a teatro, come resistere. Occhi sgranati come i bimbi, mani spellate a forza di applaudire, semiparesi alla mandibola a forza di tenerla spalancata. C'erano loro Miguel Angel Zotto e Milena Plebs. Potrei tediarvi con succulente spiegazioni e sottili distinzioni tra una milonga e un tango de salon, ma per fotruna di tutti stasera sono un pò stanca.

Cose a cui pensavo durante la loro stupenda esibizione:

1) Ma come non basta che uno si iscriva al corso per avere in dotazione un culo marmoreo come il suo? Che truffa...

2) Deve essere proprio comoda quella gamba prensile, uno può sfruttarla, spolverare sui ripiani più alti, rispondere al cellulare mentre stai cucinando, che so io...

3) Madò, quanto fa sangue questo ballo...

4) Voglio tornare a ballarlo, che mi importa se ogni volta l'anca mi duole come se fosse un argano e quelle caxx di scarpe mi uccidono le dita...

Troppa grazia, bellezza, eleganza e sensualità...troppo Tango insomma, sono andata in iperglicemia