Goodnigth song

11 dicembre 2008 ore 22:26 segnala

Lo straccio, la nonna, lo strazio...insomma tutte noi insieme ce ne andiamo a letto.

Un gran film, una bellissima canzone, un dubbio amletico: WHERE IS MY MIND?

Dei Pixes il film va da sè, vi offenderei.

Sindrome del Bianconiglio

11 dicembre 2008 ore 21:37 segnala

Mi sveglio la mattina, le azioni coordinate come il balletto del Bolscoj, i minuti contati per fare colazione, mi riduco a guidare con la brioche in bocca, il verso che mi viene sempre più spesso in mente è quello di Guccini "nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento", torno a casa sfranta, mi spalmo sul letto, le ultime forze sono per infilarmi il pigiama e soprattutto non sogno neanche più...ecchecaxxxx Devo essere finita in un racconto di Asimov dove gli androidi hanno preso il posto degli umani.

Rivoglio il mio tempo, il piacere di una passeggiata a zonzo senza meta, stiracchiarmi nelle coperte la mattina e poter avere il privilegio di dire e oggi cosa faccio?

Decisamente sono tutti sintomi della terribile, famigerata sindrome del Bianconiglio...

E' tardi è tardi è tardi...

E' sempre tardi e a fine giornata non so dire dove è finito il mio tempo, fra le pieghe delle mie ingomranti cartacce o nella voce squillante della terribile Regina di Cuori.

UFFF PARTITO UFFICIALMENTE IL CONTO ALLA ROVESCIA PER LE VACANZE DI NATALE...MENO 12

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Mi sveglio la mattina, le azioni coordinate come il balletto del Bolscoj, i minuti contati per fare colazione, mi riduco a guidare con la brioche in bocca, il verso che mi viene sempre più spesso in...
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11/12/2008 21:37:59
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Imperdonabili Amnesie

09 dicembre 2008 ore 23:34 segnala
La donna attraversò la sala fumosa come se danzasse, con un passo leggero di odalisca da harem che non produceva alcun rumore. Il fruscio elegante della seta e una scia di profumo erano le sole tracce che rendevano reale il suo passaggio.

A passo deciso si avvicinò al tavolo dove uomini in smoking, rigorosamente nero, giocavano a black jack perdendo sfacciate somme di denaro con la stessa disinvoltura con cui sorseggiavano il loro Lagavulin, passandosi il sigaro da un angolo all’altro della bocca senza dargli pace.

Pensai, vedendola scivolarmi accanto, che c’era in quell’eleganza qualcosa di naturale e allo stesso tempo di non guadagnato, senza merito. Come possedere gli occhi azzurri piuttosto che nocciola, qualcosa di genetico.

“Femme fatale”, sussurrò al vicino di tavolo l’uomo a cui stavo versando da bere.

Pensai che quel nome suonava bene per un cocktail. Femme fatale, ripetei mentalmente cercando come mia abitudine di ricordare tutto quello che vedevo, sentivo, respiravo in quella sala e ripromettendomi dopo di prendere appunti, di documentarmi, di imparare; che si trattasse di noiosi discorsi sulle concessioni petrolifere o piccanti particolari su amanti abbandonate o acquistate come recenti proprietà. Fortune.

In un modo o nell’altro tutto si riduceva a quello. Fortune al gioco, fra le lenzuola, in borsa. Questi uomini affidavano interamente le loro esistenze alla scienza esatta dell’azzardo, del gioco, del rischio a basso calcolo.

Chance. “Il faut avoir de la chance.” Come avevo imparato solo poche settimane prima.

Persi per un istante i movimenti sinuosi della donna. Avvicinatasi al tavolo a una distanza sufficiente per essere notata senza interrompere il gioco, si fermò dritta appoggiando una mano, ovviamente guantata, alla spalliera di una sedia e chiamò con un segno impercettibile del capo il ragazzino che portava da bere. Ordinò sussurrando all’orecchio del cameriere che dovette sentire pulsare e rimbalzare quelle parole nel ventre, come se il fiato caldo della donna, avesse reso qualcosa da bere un atto intimo, quasi erotico.

Il ragazzino si allontanò arrossendo fino alla punta delle orecchie. La scena mi strappò un sorriso per la figura da bamboccio toccata al ragazzino. Sarei voluto essere al suo posto. Niente confidenze per carità, ma avrei tenuto meglio l’onda di quella tempesta. Ne avevo viste molte più di lui di Femme Fatale, anche se non sapevo ancora con che nome chiamarle.

La donna tirò fuori un accendisigari d’argento cesellato come una piccola opera d’arte, da cui estrasse Cartier bianche con filtro, una rarità per quei tempi. Con voce misurata e bassa  chiese ai giocatori se la facessero accendere. Il gioco, che pure seguiva fasi convulse a quell’ora, parve sospendersi per un lungo istante a quella voce.

Soltanto allora il vero scopo di quella studiata messinscena si voltò. Era l’uomo che le dava le spalle, la sola buona ragione per non aver notato il suo ingresso impeccabile ed essere rimasto indifferente al fruscio del satin del suo vestito blu notte.

“Cherie, che incantevole sorpresa vederti qui” mi sembrò ingessato e troppo affettato in quella risposta come qualcuno che nasconda male una punta di fastidio.

“ Ero sicura di trovarti qui...caro” lo aggiunse dopo, con una sottolineatura ironica.

“Mi annoiavo a morte stasera, spero non ti dispiaccia se divido con te qualche minuto.”

“Niente affatto cherie, ma temo dovrai pazientare un po’ e credo di contribuire ad aumentare la tua noia in questo modo, piuttosto che sollevarti”

“Correrò questo rischio. Del resto ho aspettato così a lungo per poterti rivedere”.

A quella sottile stoccata di fioretto l’uomo si alzò dal tavolo cedendo il posto e il cattivo giro delle carte ad un nuovo giocatore.

Vieni cara, andiamo in un privè. Parleremo con più tranquillità – disse lui cingendole la vita con una consumata confidenza.

“Anch’io ti ho aspettata a lungo”

“Immagino, in modo struggente direi”

“Cherie che lingua tagliente, mi fai torto così…guarda che coincidenza, senti.? E’ la nostra canzone..”

A quelle parole la donna si fermò come paralizzata, lo guardò seria, per istanti che sembrarono anni. Vidi il sorrisino furbo dell’uomo sbiadire lentamente sotto i baffetti curati. Impallidì come se avesse visto un fantasma.

Fu un attimo soltanto, un lampo.

Dalla borsetta la donna tirò fuori una rivoltella ancora più elegante dell’accendisigari di poco prima. Era di quelle col manico in madreperla e due soli colpi in canna. Trovai il gesto più affascinante che folle, nessuno nella sala si mosse erano tutti come in teatro, in attesa dell’epilogo.

La donna esplose i due colpi in sequenza, con mano ferma e senza chiudere neanche gli occhi.

L’uomo cadde a terra portandosi istintivamente la mano al petto, come per proteggerlo.

La donna schiuse un sorriso perlaceo tra il fumo della canna ancora calda.

Entrambi i colpi erano andati a segno con una precisione che la riempì d’orgoglio.

Aveva colpito con precisione il vecchio Steinway & Sons a coda, che faceva bella mostra di sé sopra un piccolo palchetto. Il pianista terrorizzato si era ribaltato a terra, coprendosi la testa con le mani e ovviamente interrompendo la canzone in questione.

“Non è mai stata questa la nostra canzone.”

Di come Yoghi e Bubu sbarcarono a Bologna

08 dicembre 2008 ore 21:31 segnala

Il 6 dicembre 2008 resterà una data storica nel mio personalissimo annuario degli eventi. In occasione dell'omonimo ponte l'Immacolata ha fatto il miracolo. Ho passato le ultime 48 ore in compagnia dei miei genitori. Bella forza penserete voi e invece no è davvero un evento straordinario. Mio padre e mia madre sono figure mitologiche: metà uomini e metà tana. L'ultima volta che hanno fatto un week end fuori risale ai tempi del giurassico più o meno. Già molti anni fa io e mio fratello li avevamo ribattezzati con una certa lungimiranza Yoghi & Bubu, per il loro tenace attaccamento alla tana, al calduccio, al camino e alle ciabatte. Papà è un iperattivo ma spende tutte le sue energie nel lavoro, per cui il poco tempo libero lo passa col naso infilato in un giornale e il divano di casa ha ormai preso la sua forma. Mamma invece ai primi sentori di inverno si arrotola tipo baco in una copertina di pail e più che parlare mugula o sbuffa perchè fa troppo freddo. Fa troppo freddo a qualsiasi latitudine per lei. Da piccola sapevo che era inverno quando le vedevo indossare il maglione di lana turchese fatto da nonna, diventava una sorta di muta, di pelliccia. Tornava la primavera quando il maglione finalmente spariva inghiottito dall'armadio.

Mentre gli andavo incontro sul binario ero divertita e emozionata come se andassi ad un appuntamento amoroso. Da quando vivo a Bologna non erano mai venuti a trovarmi. Mi sono divertita come una matta fin da quando li ho visti scendere dal treno, bardati come astronauti per l'allunaggio. Sciarpone, piumini, cuffia di lana in testa. Forse pensavano davvero di arrivare a Sanpietroburgo.

La cosa meravigliosa è che fa davvero freddo in questi giorni a Bologna, anche se ci sono ancora delle belle giornate di sole. La versione Dolomiti insomma ha scatenato il freddo. Devo dire che mi hanno fatto molto felice perchè so, orsi e pigri come sono, quanto deve essergli costato infilarsi sul treno e venire "su al nord".

Mio padre ha avuto per tutto il tempo i peli della barba dritti come stalattiti. Mentre mamma non si è tolta la sciarpa nemmeno per andare al bagno. Stamattina mentre preparava i bagagli la sentivo che sbraitava scherzando a mezza voce...sembra la Siberia...in Siberia dovevi venire a vivere!! Come fa a piacerti qui, ci mandavano i dissidenti in confino.

Che spettacolo Yoghi&Bubu, più di una volta mi hanno sorpresa in questi giorni, quando per esempio incuriositi si sono fermati a mangiare un kebab (!) mio padre che è uno strenuo difensore della pasta al sugo, un purista dell'involtino col ragù. O quando al bar vedendo il minuscolo bicchierino d'acqua che danno insieme al caffè (da noi te ne danno un secchio senza che la paghi) ha chiesto candidamente al barista se fosse grappa.

Qualche difficoltà l'ho avuta solo la sera al momento di andare a nanna. I miei si sono prodotti in un virtuoso concerto per trombone e controfagotto, con papà che si riservava gli assoli e gli acuti e la mamma che lo accompagnava in un costante contrappunto per i toni più bassi...marò non ho chiuso occhio.

Quando li ho accompagnati in stazione nel pomeriggio li ho presi in giro per tutto il tempo chiamando papà il dottor Zivago e mamma Lara.

Morale della storia: niente week end in trentino,niente mercatini di Natale di Bozen, domani torno a scuola con occhiaie tipo panda...ma sono tanto tanto felice che quella scombinata coppia dei miei genitori sia venuta a trovare la figlia "emigrante" a cui per tanto tempo non avevano perdonato il suo ritorno qui. Penso che sarà un bel Natale questo

Compleanno col botto...

03 dicembre 2008 ore 13:53 segnala

Per capire chi è Ritiana bisognerebbe sdraiarsi su un lettino e cominciare da lontano... da quando per esempio le chiesi da dove venisse fuori quel nome così strano aspettandomi una risposta banale del tipo avevo una nonna molto esotica. Invece tirò fuori una storia che sembrava scritta dalla Allende, con tanto di mamma preoccupata per la gravidanza difficile (Ritiana rompeva i coglioni già in fase prenatale) che per tenere fede ad un sogno premonitore alla vigilia del parto l'ha battezzata così. Oppure del meraviglioso racconto di quando da piccola la sola cosa che avesse imparato a scrivere senza errori era la frase IO SONO RITIANA e per festeggiare questa nuova abilità imbrattò tutti i muri del nuovo condominio dove si erano trasferiti da poco...una volpe eh? Più che un aneddoto era un'ammissione di colpevolezza. Perchè Ritiana è rimasta così, una bimba simpatica, ironica un pò imbranata e incapace di nascondere le cose. Oggi è il suo compleanno, è nata 3 giorni e 5 anni dopo di me e questo è il mio modo di farle gli auguri. Ritiana è una mia collega di lavoro di quelle che ringrazio il cielo di aver messo sulla mia strada e con le quali il rapporto umano non finisce appena suonata la campanella. Viaggiamo insieme la mattina e lei allieta le mie giornate con aneddoti buffi sulla sua presunta sfiga, con puntuali analisi metereologiche del giorno e di quelli a venire (frasi del tipo: domani piove, mi fa male la mano destra. Oppure: portati l'ombrello domani che poi ti ammali e non dire che non ti avevo avvertita..) Parliamo anche di stitichezza (che combatte ogni giorno come un paladino di altri tempi) e di tutti i rimedi a tutti i possibili mali e acciacchi fisici. Ritiana sembra la curandera dei villaggi degli indios amazzonici, una vera autorità in materia. Ti tocchi un pò la gola e lei dalla borsa alla Mary Poppins (rigorosamente abbinata al vestito) tira fuori il rimedio adatto, scientifico o omeopatico che sia.

Prima ho detto che è un pò imbranata, ma ho sbagliato termine, sembra solo che le capitino tutte a lei. E' un pò ansiosa la bimba glielo ricordo sempre quando la lascio sotto casa e un pò ipocondriaca, ma in una maniera non irritante auto ironica.

Stamattina per il suo compleanno prima di uscire di casa le mando il segiuente messaggio: Auguri Audrey de noartri (per la somiglianza con la Hepburn), buon compleanno. Ci stiamo tutte chiedendo se come regalo preferiresti Brad Pitt vestito solo di 2 gocce di Chanel o una peretta tempestata di diamanti disegnata esclusivamente per te da Cartier :-)

invece del sms di risposta mi arriva una chiamata. Passo sotto casa sua e la trovo fuori, con l'aria tutta agitata...

C'è una perdita di gas nelle condutture della strada che finisce proprio nella mia stanza...ecco che cos'era quell'odore di tartufo che sentivo da giorni!!! Ti rendi conto che potevo saltare in aria o morire asfissiata nel sonno (Ha un pò l'inclinazione al melo, non so se lo avevate capito)

Beh Riti comunque buon compleanno...

Grazie ci vediamo dopo a scuola?

Volentieri, mica mi vorrai saltare in aria proprio oggi? Vuoi una sigaretta?

l'espressione tra il truce e il divertito che è seguita accompagnata da una parolaccia non si possono ripetere, ma lei lo sa che mi deve sopportare così come sono.

Buon compleanno Riti....:many

Alfabeto smarrito

02 dicembre 2008 ore 22:35 segnala

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leccavo la mia tristezza

credendola una ferita.

Era il freddo metallo

di un corrimano da tram

Era lana pungente di un cappotto

premuto addosso

a ripararsi dalla notte.

 

Crudele come la verità

esatta come un orologio

implacabile come il tempo

graffiante come sabbia

come un nome rimasto in gola.

 

Leccavo la mia tristezza

credendola pioggia sul parabrezza.

Movimenti meccanici

la spazzolavano

spostandola da un lato all’altro

la moltiplicavano in mille gocce.

 

Più che scacciarla

in realtà la pettinavo

prendendomene quasi cura.

Al primo angolo

mi aspettava

come un ladro di caramelle

o una puttana infreddolita.

 

Era un cucciolo di iena

che mi cresceva dentro

e come se la rideva

quando aprendo una

porta qualunque

l’avevo trovata a fare l’amore

con la mia assenza.

Come fa lo stegosauro ?

01 dicembre 2008 ore 09:46 segnala

Ripensavo l'altro giorno con quanta grazia Greta Garbo si abbandonasse sfinita su una poltrona nel film La Signora delle Camelie oppure con quanto pathos Eleonora Duse, chiamata a interpretare sul palcoscenico lo stesso ruolo, si aggrappasse alle tende della scenografia per rendere l'idea del dolore fisico unita a quella dell'abbandono di "piccola minchia" Arman Duval.

Ci ripensavo per rimarcare quanto poco fosse credibile tanta eleganza dei movimenti rapportati ad uno stato di malattia. Infatti su di me il più piccolo bacillo ha l'effetto di annientare la già poca grazia che posseggo. La mia femminilità va in vacanza a Rio e aspetta che io sfebbri per tornare. Così un'estranea mi si aggira per casa e se la incrocio nello specchio del bagno non la riconosco.

Pigiama in pail (perchè ha freddo) calzerotti morbidosi e sfacciatamente colorati (perchè quando si ammala ella ha una regressione infantile) questa estranea vagolava da qualche giorno nella mia stanza con un termometro sotto un braccio e un libro di Alice Munro da finire nell'altro. No non aveva decisamente niente a che fare con la Garbo. Lo struscio delle ciabattine nel corridoio richiamava alla mente più truci figure...Mariangela Fantozzi o Selma Simpson per esempio.

Questa sconosciuta, che dicono mi somigliasse, ha avuto la febbre alta due giorni e una tonsilla improvvisamente trasformatasi in una zucca in gola, sicuramente un sortilegio per cui per l'intera durata della degenza si è nutrita esclusivamente di pappine, minestre, cremine e brodini tutti accompagnati da un tripudio di suoni senili: risucchi e schiocchi di lingua. Che bei momenti... che bel week end.

Essendo la febbre alta, il primo giorno la nostra Signora dei Carciofi ha avuto persino un momento mistico di delirio, e siccome nelle lezioni di storia la nostra eroina sta spiegando i dinosauri ai suoi giovani allievi, la sua prima notte di febbre l'ha trascorsa con un simpatico stegosauro che le andava su e giù nella testa, accompagnato da un fragoroso rumore di zampe e alberi lacerati al suo passaggio.

Per rendere l'incubo perfetto una manina dall'ultimo banco si sollevava timida e poneva il terrore di tutte le insegnanti: la domanda a cui non sai rispondere. Il piccolo paleontologo chiedeva candido: "che verso fa lo stegosauro?" e alla mia risposta non è possibile saperlo sono animali estinti, nel sogno attaccava come per magia la musichetta della Prova del cuoco " Il coccodrillo come fa" con la Clerici che cominciava a sculettare.

Bene.Capirete che al mio risveglio, seriamente preoccupata da questo incubo potevo fare due sole cose: chiamare un analista yunghiano o prendermi due giorni di malattia.

Ho optato per la seconda e il terzo giorno, come Lazzaro, sono risorta.

 

Il fascino discreto del tartufo

10 novembre 2008 ore 22:10 segnala
Splendida domenica di sole, un vero regalo considerato che è novembre inoltrato, penso questo mentre col viso schiacciato contro il finestrino guardo lo spettacolo delle cime degli appennini. Il sole esalta i colori autunnali, il cielo è terso come se lo avessero appena steso ad asciugare di un azzurro imbarazzante. Mi sento come quando da ragazzina quelle rare volte di domenica andavamo con tutta la famiglia a fare una gita fuori porta. C’è l’aria svagata e serena di quelle occasioni. Non conosco quasi nessuno dei miei compagni di viaggio e questo mi permette di sentirmi molto libera di pensare ad altro, di non partecipare con un apporto determinante alla conversazione. Ci penserà Cate col suo entusiasmo contagioso a fare gli onori di casa. Io sono tutta di questo sole oggi, dell’aria buona degli alti colli e soprattutto di sua maestà il tartufo.

La compagnia si dimostra tuttavia epica nel momento della verità. Arrivati a Savigno lottiamo con caparbietà per un parcheggio, i nostri accompagnatori sono degli abituèe della Tartufesta per cui ci sollecitano a dirigerci dritti agli stand, prevedendo come avevano ragione  file chilometriche tipo esodo di ferragosto sulla A 14…a mala voglia mi stacco dalle bancarelle (centinaia) di antiquariato e cianfrusaglie da soffitta che si susseguono una dopo l’altra. Arrivati in piazza, capiamo subito che è quello il cuore pulsante del Mostro, occorre attaccarlo con una precisa strategia… Come la calata dei barbari la razzia è feroce ma chirurgica, mirata. Con un piglio da Fed Mareshall delle SS, il nostro capo ci divide in gruppi prestabiliti. Il gruppo A farà la fila allo stand del menu a base di tartufo, il gruppo B contemporaneamente si occupa del beveraggio, il gruppo C va in avanscoperta a fare la fila per i Burlenghi per tamponare la fame. Appuntamento qui all’ora X, penso di essere finita in una riedizione del ponte sul fiume qway. E’ l’applicazione della divisione scientifica del lavoro allo sciacallaggio….quest’uomo diventa il mio eroe per il resto della giornata. Mi diverto come un’imbecille persino a fare la fila, con ovviamente ampie escursioni nei dintorni con le scuse più becere, lasciando la santa del gruppo buona buona in fila.  

Giornata epica.Ci siamo difesi con onore e senza soccombere al tartufo. Rotolanti, ma felici torniamo alle macchine.

State lontani da questo film (2)

09 novembre 2008 ore 21:58 segnala
Giovedì sera dopo un aperitivo, 4 donne diverse fra loro decidono di concludere la serata recandosi al cinema insieme. Per sfortuna di tutte avevano delegato a me la scelta del film. Forse fidandosi del fatto che ultimamente la cosa più intellettuale che avevo proposto era stata Kung fu panda e confidando su questo stato di prolungata latitanza da tutto quello che richiede un impegno cerebrale superiore a quello di un’ameba, speravano di farsi due risate in relax… ma stavolta ho toppato. La “vecchia” me sempre in agguato nell’ombra, mi ha teso un’imboscata e mi ha trascinato a vedere al buio di una sala “ L’uomo che ama” di Mariasole Tognazzi, una che fa un film ogni 5 anni mediamente ma devo dire che li prende tutti.

Note tecniche: il film è molto bello, la storia ben costruita senza essere lacrimevole o stucchevole malgrado i temi affrontati, la regia è sapiente, il montaggio a flashback molto efficace, gli attori bravissimi (Favino lo guarderei recitare anche lo spot di un lassativo) ma un gradino su tutti metto Mercedes Paredes attrice icona di Almodvar (vedi Tacchi a spillo e Tutto su mia madre) infine la colonna sonora è firmata dalla cantantessa Carmela Consoli che ha avuto il coraggio di tirarmi fuori una canzone tristissima e di intitolarmela “senza farsi male”…ma vaff…

Insomma questo film è ben confezionato in tutti i sensi, allora perché ho intitolato questo post così?

Più che altro è un consiglio spassionato. Se siete in coppia e state vivendo un momento felice della vostra relazione NON ANDATE A VEDERE questo film, vi aprirebbe una voragine di dubbi. Se invece la vostra storia è finita (da tempo) dolorosamente questo film potrebbe persino sembrarvi terapeutico. Come qualcuno che ci dice nell’orecchio la soluzione di un enigma sul quale ci stavamo scervellando da mesi. E tu, sentita la risposta, cominci a ridere. Anche se è un riso amaro e senza divertimento.

La risposta è che non ci sono risposte vere alla fine di un amore, ma è giusto che tu te le faccia e le cerchi fino a sfinirti, fino ad arrenderti.

La risposta è che l’amore finisce e basta, con la stessa naturalezza con cui ti finisce il caffè in cucina eppure eri sicuro di averne fatto una buona scorta.

Tutto il resto: le scuse, le giustificazioni. i mi dispiace, i ti amo troppo, sono solo paracadute che servono ad addolcire la caduta di chi va giù e la decisione di chi deve buttarti di sotto.

Purtroppo è solo quando ti accorgi di non avere più caffè in casa che te ne viene una voglia disperata. Ti manca l’aroma che si diffondeva la mattina nella casa, ti manca ogni stupido particolare diventato importante, ingigantito solo dalla lente deformante dell’assenza. E’ la sua assenza a renderlo prezioso. Tu non vuoi un altro caffè, tu vuoi proprio quello che ti sei fatto finire sotto al naso senza accorgertene.

Ho pensato molto dopo questo film. Ho pensato che la metà delle battute di questo film me le hanno dette e ricordo benissimo di averle percepite come pugnalate. L’altra metà però ero io a dirle, quando il caffè era finito e io non sapevo bene quando o perché o come fosse successo.

Ho anche pensato che non si può evitare di farsi del male quando una storia finisce, anche se vorresti limitare i danni il più possibile e ti dispiace causare tanto dolore (o al contrario subire tanto dolore ti sembra un’ingiustizia).

Un’ultima cosa che ho capito è che la fine di un amore va vissuto esattamente come una morte. Passando attraverso le stesse identiche fasi: incredulità, inaccettazione, rabbia, impotenza, dolorosa rassegnazione, quiete.

Quante cose che si possono capire andando a vedere un film eh?

la prossima volta andrò allo stadio…

 

E se hai capito...allora mò traducilo

05 novembre 2008 ore 19:11 segnala

Una canzone spettacolare. Un inno celebrativo per i "capoccioni" come me

Vi prego di apprezzare in particolare l'assoluta mancanza di accenti dialettali della canzone.

Dalla geniale ironia di Daniele Silvestri, Testardo. Colonna sonora di Novembre