A cosa servono i poeti?
06 maggio 2007 ore 12:14 segnala
Stretto tra il mare e la montagna Monterosso non è che una striscia di terra avara e aspra che la tenacia dell’uomo ha conteso per secoli alla natura. Inventandosi i terrazzamenti le hanno strappato anno dopo anno qualche metro, qualche morso di campo. Mi chiedo come abbiano fatto a realizzare tutto questo a 200 metri di altezza, in un periodo in cui non esisteva neanche la luce elettrica, senza nessuna laurea in ingegneria e senza nessun mezzo a motore, ma solo con la loro fatica e determinazione, pelle bruciata dal sole e chili di pietra ardesica portati a spalla.
Oggi la fatica di quegli uomini è finita sui murales che adornano alcune strade dei borghi. Che i tempi siano cambiati lo si capisce dal fatto che la locale università bandisce dei master per “la costruzione dei muri a secco”,chissà come se la riderebbero a sapere che oggi si va all’università ad imparare quello che per loro era naturale come respirare, come svegliarsi ogni giorno.
Monterosso è un’idea, un tributo all’immaginazione di quegli uomini. Ci vuole davvero del talento a vedere un paese dove c’è solo roccia a picco sul mare. A progettare case, vicoli, e giardini dove c’erano solo sterpaglie e acacie.
Eppure eccolo lì, a sorridervi beffardo da sotto il promontorio, quattro casine tutte di colore diverso radicate nella roccia come se ancora le appartenessero.
A Monterosso, come in tutti gli altri paesini delle cinque terre hai l’impressione di esserci già stato, tutto è così piccolo e vicino che ti diventa subito familiare. A Monterosso non puoi mai perderti e non hai bisogno di cartine, navighi a vista: il lungomare, il centro storico, la statua del gigante, si visita tutto in qualche ora e il resto del tempo lo passi a contemplarlo, ad impararlo a memoria.
C’è un percorso che conduce al convento dei cappuccini, è una salita faticosa come l’esistenza, gradini su gradini, la sola cosa che ti fa andare avanti è la bellezza del panorama e l’odore di fiori d’arancio nell’aria. Così continui, tirando il fiato di tanto in tanto fingendo di fare qualche foto. Sulla cima c’è una chiesetta piccola e semplice.
Niente marmi policromi, niente fastosità barocche, una sobria e solida costruzione color della roccia su cui è costruita. Lo spiazzo davanti è fatto di ciottoli incastrati uno ad uno a mani nude, compongono un disegno elementare, una croce, una scritta in latino con l’anno dell’edificazione. C’è una pace che disarma. Entriamo.
Non c’è una guida, non un sacrestano o una perpetua a controllarti col loro sguardo severo. Da dietro l’altare, dove probabilmente c’è l’ala del convento, si sentono dei canti a cappella di una grazia che lascia senza parole, sembrano dire: siamo altrove, siamo in contemplazione, lasciaci in pace visitatore distratto,frettoloso turista di un giorno solo.
La grazia del canto mi accarezza i pensieri mentre osservo il quadro attribuito a Van Dick “La Crocefissione”. Usciamo, stiamo per riprendere la discesa, quando una piccola lastra accanto al muro in un angolo opposto all’edificio attira la mia curiosità.
Era un frammento di una poesia di Montale, che si era innamorato a tal punto di quei posti da comprarci una casa ed invecchiare, e diceva:
“ Ho sceso dandoti il braccio,
almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.”
Non immaginavo potesse esserci tanta bellezza in pochi centimetri di pietra. All’improvviso tutto intorno mi è sembrato secondario, semplicemente un contorno a quelle parole. Mi è sembrato meno intenso il profumo di fiori nell’aria, meno faticosa la salita, meno coinvolgenti i canti sacri, meno bello il quadro di Van Dick.
Per dieci lunghi minuti sono stata di quella poesia, le sono appartenuta, le sue parole sembravano averle scolpite sulla mia pelle.
Ecco a cosa servono i poeti, ti fanno sentire meno solo, ti fanno sentire tutta la miseria e la bellezza della tua umanità, ti danno barche di carta invitandoti però a solcare oceani, ti indicano la strada nascondendoti quanto sarà tortuosa, ti costruiscono ali di pece e cera e ti chiedono di avvicinarti con loro al sole. E tu lo fai. Semplicemente perché te lo hanno chiesto in quel modo perfetto.
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Stretto tra il mare e la montagna Monterosso non è che una striscia di terra avara e aspra che la tenacia dell’uomo ha conteso per secoli alla natura. Inventandosi i terrazzamenti le hanno strappato anno dopo anno qualche metro, qualche morso di campo. Mi chiedo come abbiano fatto a...
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