Leccavo la mia tristezza
credendola una ferita. Era il freddo metallo di un corrimano da tram Era lana pungente di un cappotto premuto addosso a ripararsi dalla notte. Crudele come la verità esatta come un orologio implacabile come il tempo graffiante come sabbia come un nome rimasto in gola. Leccavo la mia tristezza credendola pioggia sul parabrezza. Movimenti meccanici la spazzolavano spostandola da un lato all’altro la moltiplicavano in mille gocce. Più che scacciarla in realtà la pettinavo prendendomene quasi cura. Al primo angolo mi aspettava come un ladro di caramelle o una puttana infreddolita. Era un cucciolo di iena che mi cresceva dentro e come se la rideva quando aprendo una porta qualunque l’avevo trovata a fare l’amore con la mia assenza.