Apologia del Qualunquismo
18 gennaio 2008 ore 11:52 segnala
Che cos’è che ci dice se siamo davvero vivi o morti?
Il suono della sveglia la mattina? Il click del cartellino timbrato in fabbrica o in ufficio?
Sono le abitudini a proteggerci a darci sicurezze? Il metodico ripetersi di eventi consueti? La liturgia di gesti sempre uguali? I battiti regolari del cuore? O quelli aritmici di un’emozione?
Cos’è che rende una giornata degna di essere stata vissuta?
Il signor Nemo aveva risolto ogni problematica esistenziale applicando il puro raziocinio ad ogni piccolo gesto, persino il più insignificante.
Non andava mai a dormire senza aver prima lavato i denti, preparava in anticipo il vestito che aveva deciso di indossare il giorno seguente, riempiva la macchinetta di caffè e la metteva già sul fuoco la sera prima.
La mattina divideva l’ora in cui doveva prepararsi ad affrontare una nuova giornata in 4 porzioni esatte di 15 minuti. Nella prima si lavava e radeva, nella seconda si vestiva ascoltando in sottofondo le notizie del primo tg flash, nella terza preparava con cura la borsa da lavoro, i documenti che gli sarebbero serviti quel giorno, nella quarta sorseggiava il suo caffè, l’unica cosa che somigliasse ad un piacere privato ma mai a un vizio, eppure anche lì aveva l’accortezza di spostarti di lato la cravatta dal nodo impeccabile e di scostare la tazzina quel tanto che bastasse a prevenire qualche piccolo incidente.
Vivere per il signor Nemo come fare l’amore indossando due preservativi uno sopra l’altro, sentiva poco, ma in compenso era pieno di traboccante sicurezza. Prevenire del resto era il suo lavoro. Da dieci anni era un consulente finanziario. Occorre necessariamente essere rassicuranti se devi convincere attempati signori di mezz’età a farti affidare i risparmi di una vita e ad investirli secondo le tue indicazioni.
Persino nel vestire era rassicurante. Completi grigio antracite in lana pettinata d’inverno, blu scuri e di cotone d’estate. Camicie rigorosamente azzurre. Il massimo della trasgressione per lui era concedersi il vezzo di una cravatta più sgargiante. Osare un fucsia o un verde marcio piuttosto che il solito marrone. Il suo piccolo motivo di orgoglio, il suo vero vanto era invece la cabina armadio ricavata da un piccolo sgabuzzino attiguo alla camera da letto. Era come sfogliare un catalogo ikea impaginato da un ingegnere tedesco, l’apoteosi dell’ordine, il parossismo dell’ “ogni cosa al suo posto”. Non era un uomo da cui ti aspettavi spuntare una moto o capelli rasta dal passato. Non era un uomo da cui ti aspettavi che avesse un passato.
Da bravo investitore metteva sempre in conto il fattore “imprevisti”, ma gli suscitavano una violenta irritazione simile ad una dermatite o un’allergia misteriosa.
Per un uomo come il signor Nemo costituiva un imprevisto essere uscito di casa senza un ombrello mentre il cielo prometteva pioggia, un ritardo imprevisto del solito tram delle 7 e 30, una coda troppo lunga alla posta o non avere in tasca monetine per il distributore del caffè. Niente di drammatico insomma, solo di “disdicevole” come avrebbe laconicamente commentato lui.
Il signor Nemo era la classica persona da cui ti aspetti che una mattina qualunque entri puntuale in ufficio, magari senza cravatta però, e tiri fuori una calibro 9 cominciando a sparare ai colleghi. O da cui ti aspetti che una mattina si svegli e si ritrovi nel corpo di un grosso scarafaggio, come Igor Samsa.
Ottimizzare, massimizzare, razionalizzare, produrre. Il Vangelo secondo il signor Nemo. Egli era l’elogio vivente al capitalismo in doppio petto, quello che aveva plasmato la classe media tuttaltro che a propria immagine. Modellando la cosiddetta vecchia cara borghesia, secondo la propria idea di correttezza, di perbenismo, di moderazione. E adesso se ne stava seduto in poltrona ad osservare grasso e compiaciuto il buon lavoro fatto. L’ordine sociale rispettato come nella cabina armadio del signor Nemo. Ogni cosa al suo posto, ogni classe il proprio ruolo, le giuste pretese, le giuste esigenze, poche rivendicazioni e tutte fondamentalmente corruttibili. Molti falsi bisogni indotti e commisurati al proprio status: la casa in costa Smeralda e la barca per i primi, il viaggio esotico a febbraio per i secondi, l’abbonamento sky calcio per un anno per tutti gli altri. Già tutti gli altri. Una volta gloriosamente identificati nell’anonima ed enorme Massa Proletaria e oggi sostituiti meno gloriosamente da lavoratori precari, operatori di call center, lavoratori a progetto, on demand, ecc. con stipendi da garzoni di bottega ma sogni di stile di vita da ricchi.
La differenza sostanziale è che questa nuova classe sociale non ha trovato nessun Marx che la celebri o la sollevi, che scriva noiosi e voluminosi tomi di economia politica su di essa e che la inviti a prendere coscienza di sé.
Questa nuova classe sociale non sa nemmeno di essere una classe, intrisa com’è di individualismo come tutti quelli che vivono nel nostro tempo. Così sognano vacanze alle Maldive (e come dargli torto) ma intanto picchiettano su tasti tutto il giorno per 800 euro al mese, quando gli va di lusso. Si sentono adulti a metà, non potendo ancora economicamente essere del tutto indipendenti dai genitori malgrado abbiano passato i trenta. Sognano una casa tutta loro anche se con un mutuo cinquantennale sulle spalle e quel viaggio a Istambul che continuano a rinviare dalla laurea.
Ma il signor Nemo tutte queste cose non se le chiede mai mentre al mattino si rade di fresco, si passa una crema antirughe sul contorno occhi, rinfresca il viso con due gocce appena di un buon dopobarba e si compiace di sé, trovandosi piuttosto bello, piuttosto in forma.
Il signor Nemo è un razionale fondamentalmente egocentrico, per cui se le cose vanno come vanno non se ne sente mai chiamato in causa direttamente. E’ l’ordine naturale delle cose, la necessaria gerarchia che garantisce la solidità della struttura portante. Non era colpa sua se altri guadagnavano una miseria. Ci pensi chi di dovere, lui aveva fatto buoni studi, coltivato buone frequentazioni e probabilmente, se non lo avesse attivato anche la sua azienda, non avrebbe nemmeno mai saputo dell’esistenza dei call center e meno che mai di chi ci lavora dentro. Il signor Nemo non faceva mai la carità per strada per non offendere i mendicanti, però era il primo a Natale a staccare un generoso assegno a Telethon, non si sa mai un domani lo cogliesse la distrofia. O non si sa mai un domani dovesse davvero esserci un Paradiso e una giustizia divina. Il signor Nemo non si sentiva colpevole per i mali del mondo, per la fame in Africa, per il buco nell’ozono e per l’effetto serra.
In questa sua distaccata franchezza, in questo menefreghismo da quartieri alti, in questo ostinato egoismo, egli risultava quasi ammirevole, perché almeno non si ammantava mai di ipocrisia, di falso buonismo.
Il signor Nemo non ha un sogno ma statelo comunque a sentire. Il signor Nemo ha la sua fede e niente da insegnare a nessuno. Il signor Nemo non rilascia dichiarazioni e comunque mai se non in presenza del suo avvocato. Il signor Nemo è solo anche in coda al supermercato. Il Signor Nemo odia gli sfigati. Il signor Nemo non va ai concerti per piacere, ma solo per presenziare soirèe molto mondane. Il signor Nemo non ha una donna ma mantiene almeno tre puttane. Il signor Nemo per addormentarsi non conta le pecorelle, se mai lo ha fatto almeno da bambino, ma le gocce di lexodan che saltano lo steccato del bicchiere. Il signor Nemo ha l’arroganza naturale del potere e quella riflessa dell’eccessiva sicurezza e 20 paia di scarpe che fanno pendant con altrettante cinture. Non c’è niente di cui il signor Nemo possa aver paura. Il signor Nemo dice sempre che i cavalli di razza si vedono alla fine corsa, che non si sposa perché crede nell’amore, che non sono mai esistite le mezze stagioni, che ogni cosa e ogni persona ha il suo prezzo e il giorno che troveranno il suo darà via anche il culo. Il signor Nemo odia i sentimentalismi e chi nella stessa frase mette più di due volte la parola per favore. Il signor Nemo preferisce il Barboun al liquore. Il signor Nemo: che grande invenzione. Non sai mai se detestarlo fino in fondo, o lasciartene affascinare, ma sai che ti viene la tentazione di aprirlo a metà per frugargli dentro e vedere dove mette da parte tutte le emozioni e se quel ticchettio che gli senti passandogli accanto è ancora il cuore, il suo nuovo Rolex o una bomba a tempo che sta per brillare.
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Che cos’è che ci dice se siamo davvero vivi o morti?
Il suono della sveglia la mattina? Il click del cartellino timbrato in fabbrica o in ufficio?
Sono le abitudini a proteggerci a darci sicurezze? Il metodico ripetersi di eventi consueti? La liturgia di gesti sempre uguali? I battiti...
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18/01/2008 11:52:59
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Commenti
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incoerence 18 gennaio 2008 ore 12:21
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meteta 03 febbraio 2008 ore 13:02
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