Circo Barnum

02 marzo 2008 ore 18:28 segnala

 

 

 

 

 

Il Circo Barnum:

Dalla deformità ributtante alla spettacolarizzazione dell’orrore.

 

 

Il Signor Phineas Taylor Barnum era a suo modo un genio. Senza dubbio un precursore dei tempi. Non era un volgare truffatore, lui era un affabulatore, un bugiardo con del grande talento. Qualcuno direbbe un ciarlatano, come quelli che giravano di paese in paese su sgangherati carrozzoni vendendo miracolose lozioni che promettevano di guarire allo stesso modo: la gotta, i piedi gonfi, la caduta dei capelli, l’impotenza e i peli superflui, garantendo in tutti i casi gli stessi strepitosi risultati. Ma questa definizione sarebbe ingiusta e riduttiva per il Sig. Barnum. Egli non si limitava infatti ad inventare menzogne, le imbastiva con straordinari e immaginifici particolari, le cesellava con la cura di un orafo. Attraverso un uso sapiente che mescolava la diceria, la leggenda metropolitana con il potere nascente dei primi media: i quotidiani, egli le faceva diventare quelle bugie probabili, verosimili. Il linguaggio televisivo e quello della pubblicità sono in qualche modo debitrici a questo eccentrico personaggio. Il Signor Barnum era un creatore di storie, un inventore di fantasie. Se avesse avuto del talento letterario sarebbe diventato probabilmente un nuovo Jules Verne o un nuovo Tolkien. Ma quello in cui il Signor Barnum era davvero bravo era fare soldi.

Si considerava un impresario, un rispettabile uomo d’affari che aveva scelto un ramo piuttosto particolare: la mostruosità, il deforme, la rarità.

Il Signor Barnum rivoluzionò completamente l’idea del Circo affiancandolo alla fiera di paese. Nei suoi spettacoli non c’erano trapezisti, clowns, belve feroci o mangiatori di fuoco. Ma potevi trovare la donna più vecchia del mondo, la ballerina da una gamba sola, la gigantessa Swan e i suoi selvaggi australiani, la donna barbuta, il nano, l’uomo pachiderma. Alla tradizionale magia del circo, che tiene gli spettatori con gli occhi sgranati e la bocca spalancata, egli aggiunse il gusto del grottesco, solleticando quella curiosità morbosa tipica degli esseri umani per tutto ciò che è diverso dalla normalità, dall’armonia della natura.

Il circo Barnum e tutt’oggi sinonimo di carrozzone, di calderone indistinto di cose del tutto diverse fra sé. Non era decisamente un uomo political correct il Sign. Barnum, ma la sua assoluta mancanza di ipocrisia me lo rende molto simpatico. Non ha mai detto di essere qualcosa di diverso da un impresario, da uno che faceva soldi vendendo qualcosa. Mi chiedo in particolare se sia da biasimare lui ad aver messo in piedi questo spettacolo degli “orrori” o le centinaia di persone che ogni giorno lo affollavano, si accalcavano intorno a questi personaggi storcendo il naso o coprendoselo con fazzoletti profumati, come se stessero per visitare un lazzaretto di lebbrosi. Se non altro il sign. Phineas Taylor Barnum dopo lo spettacolo beveva qualcosa con i suoi dipendenti, chiacchierava del più e del meno con la gigantessa Swan e forse consolava le afflizioni amorose dell’uomo pachiderma. Forse c’era davvero più umanità in Barnum, che trattava bene i suoi “tesori” perché erano la sua impresa, di quanta ce ne fosse nell’accaldata alto borghesia americana che andava a visitare il suo museo. Quello che mi interessa comunque non è riabilitare la figura del Signor Barnum, quello che mi ha colpito della sua storia è il processo che egli compie sul concetto di diversità. Da Barnum in poi infatti si è andato assistendo ad una spettacolarizzazione della diversità che è andata via via degenerando. E’ lo stesso principio che è oggi alla base di un certo tipo di trasmissioni televisive che puntano tutto sul caso umano, sulla storia strappalacrime, sul dolore vissuto minuto per minuto come una cronaca di calcio, sui delitti  di bambini seguiti come se fossero fiction, sulle domande stupidamente cattive a cui io continuo a non capire come le persone possano prestarsi, o sulla presenza nella casa del grande fratello di un trans che risponde solo ad un esigenza di marketing: cosa ci mettiamo quest’anno? Con cosa droghiamo gli ascolti? Con cosa facciamo parlare di noi?

Ma anche questo non è che un altro modo di ghettizzare, di usare la diversità in tutte le sue forme.

Storicamente, fin dall’antichità, coloro che erano diversi venivano tenuti ai margini della società come non graditi alla vista. La diversità era interpretata come una stigma mandata come punizione dagli dei (nel caso dei greci) o da Dio (qualche secolo dopo). Era cioè un monito, un segno distintivo. Il messaggio di fondo era insomma che se era nato così c’era un motivo intelligibile, una volontà soprannaturale di segnarlo, di additarlo agli occhi di tutti. Al danno del Caso, all’errore di calcolo della natura, si aggiungeva insomma la beffa. Chi era deforme era anche cattivo, aveva una colpa da pagare e Dio lo puniva in questo modo. La stessa etimologia della parola “monstrum” deriva da dimostrare, palesare qualcosa. I diversi dovevano nascondersi, evitare il contatto con gli altri, potevano al massimo trascinarsi agli angoli di una strada o sul sagrato di una chiesa per chiedere l’elemosina nei giorni di messa, purché finita la funzione strisciassero di nuovo da dove erano venuti. Tornassero nel nulla. I diversi devono stare con i diversi, così come i neri con i neri, gli ebrei nel loro ghetto, gli africani a casa loro e via discorrendo. La ghettizzazione è sempre stata vista come una forma di difesa per preservarsi da un contagio, da un imbastardimento, da un’invasione.

E’ davvero cambiato molto da allora? Oggi i ghetti si creano in maniera spontanea, non c’è bisogno di alzare muri, le distanze fra le persone si misurano col silenzio, con l’incapacità reale e tangibile di capire l’altro, ma anche solo di fare lo sforzo di ascoltarlo. L’integrazione è una bella parola di cui qualcuno ogni tanto si riempie la bocca da sopra un palco, ma realmente dov’è?

La nostra società è sulla carta senz’altro più civile di quella del medioevo, o del secolo scorso. Il nuovo glossario political corect ha dato una bella ripulita ad alcune definizioni del passato, una mano di vernice semantica sulle parole inopportune da dire. Così il cieco è diventato non-vedente, il tetraplegico è un diversamente abile e così via. Ma basta davvero questa operazione simpatia a far cambiare un atteggiamento, una propensione umana che è millenaria, è atavica in noi? La nostra società si è sviluppata intorno ad uno stato di diritto che tutela le fasce più deboli e gli incapaci di intendere. Sono state messe in pratica leggi lodevoli sui diritti dei disabili, eppure questo non basta ad evitare le risatine stupide tra ragazzetti, gli episodi di bullismo verso i minorati, lo scegliere donne-kamikaze disabili per farle esplodere in un mercato affollato dell’Iraq. Noi siamo lontani anni luce da un atteggiamento realmente civile o tollerante o di integrazione, perché queste cose non si possono imporre per legge. L’educazione, la cultura, il confronto vero con realtà diverse dalle nostre sono la sola strada che possono fare sviluppare la microcefalea da cui siamo afflitti.

Forse è per questo che leggendo di Barnum e del suo Circo delle rarità mi è risultato simpatico oggi, probabilmente lui non si sarebbe nascosto dietro ad una definizione corretta, non avrebbe detto: Hey lei, uomo affetto da nanismo come si chiama? Gli avrebbe detto: John ti fai una birra dopo questo fottuto spettacolo?  

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          Il Circo Barnum: Dalla deformità ributtante alla spettacolarizzazione dell’orrore.     Il Signor Phineas Taylor Barnum era a suo modo un genio. Senza dubbio un precursore dei tempi. Non era un volgare truffatore, lui era un affabulatore, un bugiardo con...
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02/03/2008 18:28:59
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Commenti

  1. fili.g 02 marzo 2008 ore 22:49
    Letto tutto d'un fiato e poi fermato a riflettere per qualche attimo in più. Quello che hai scritto è qualcosa che tutti noi non vorremmo mai ammettere e forse per questo abbiamo cambiato alcuni nomi quasi a nascondere la testa tra la sabbia sperando di non essere visti. Ma io voglio per una volta non essere troppo pessimista. Son sicuro che non siamo quello che vogliamo far credere di essere ma sono altrattanto certo che siamo un pò meglio di quello che erano i nostri antenati del medioevo. Il problema sta solo nel fatto che certi cambiamenti avvengono in un'arco temporale molto ampio. Sradicare alcuni preconcetti, sovvertire alcune mentalità, evolversi culturalmente non è cosa che può avvenire in poco tempo. E' però importante vigilare perchè il processo, per quanto lento, sia sempre in evoluzione.
  2. lamadiluna 02 marzo 2008 ore 23:59
    ...che mancava un pezzo al mio post, sicuramente troppo lungo ma mi è uscito così a fiume stavolta... Forse è per questo che leggendo di Barnum e del suo Circo delle rarità mi è risultato simpatico oggi, probabilmente lui non si sarebbe nascosto dietro ad una definizione corretta, non avrebbe detto: Hey lei, uomo affetto da nanismo come si chiama? Gli avrebbe detto: John ti fai una birra dopo questo fottuto spettacolo?
  3. lamadiluna 03 marzo 2008 ore 00:04
    grazie del commento sono d'accordo con te si tratta di cambiamenti importanti per cui procedono lentamente, ma mi sembra che mille anni siano già passati dal medioevo o ho dimenticato di aggiornare il calendario. Il fatto è che sono un pò scettica sulla natura umana, penso che siamo animali che si sono dati delle regole perchè l'evoluzione le ha imposte progressivamente come necessarie, ma certe volte intravedo ancora la coda che esce fuori dai calzoni, tutto qui. Un saluto a te
  4. Ack13 03 marzo 2008 ore 13:07
    Mia cara, da etologo quale ogni tanto mi pregio di essere nell'osservare noi umani, devo anch'io ammettere di non avere grande fiducia nella nostra natura. La coda ce l'abbiamo e come! E siamo una specie estremamente sociale e incredibilmente aggressiva e competitiva (gli scimpanzé danno un'idea mica male del "da dove veniamo"). I diversi, tralasciando i casi in cui siano in gruppo (subentrano forse meccanismi di altro tipo, quali minaccia e paura) rappresentano da sempre quello che nessuno vorrebbe essere. Sono spesso inadeguati alla vita sociale e, peggio, non possono davvero competere per le posizioni dominanti. E' per questo che hanno sempre attirato lo scherno e sono stati emarginati. Rappresentano la paura atavica del non essere all'altezza, del non potersi integrare. Quale la causa e quale l'effetto è difficile da dire, ma finché i neogenitori sospireranno pensando "speriamo che non sia down" o "speriamo che non sia gay", non credo che saranno intimamente percepiti dalla massa se non come "diversi". Le poche menti elette che con grande sforzo hanno nei secoli lottato per una visione equa e distaccata dalla nostra naturale cupidigia però, credo abbiano fatto un grande lavoro. Oggi possiamo almeno dire, senza urtare il senso comune, che un diverso ha gli stessi diritti di un uguale... e tu puoi indignarti per quanto ipocrita sia una tale affermazione nella realtà. Forse quando ci saranno decine di top manager e calciatori dichiaratamente gay, i gay saranno più integrati... o saranno semplicemente più uguali. Per chi nella sua diversità porta il seme dell'inadeguatezza a questo nostro spietato mondo, la vedo dura. Si potrà solo difenderli... Ehm... ho l'impressione di essermi dilungato... ciao.
  5. ZucchettoMau 03 marzo 2008 ore 14:51
    mi hanno sempre attratto i "freaks" (visto il film di Tod Browning, vero?), perchè li ho sempre considerati molto simili alle persone con cui ho a che fare quotidianamente. Le stranezze dei corpi dei primi ricalcano spesso le stranezze dell'anima dei secondi, e davvero non rilevo differenze. Mi chiedo a volte come sarei io, se fossi un freak, se si vedessero sul mio corpo le mie deformità interiori...Barnum fu un imprenditore, ma lo ritengo molto meno "squalo" degli imprenditori odierni. Con i suoi mostri (nell'accezione etimologica del termine) lui ci cenava, allo stesso tavolo, da pari. Perchè alla fine io credo che il segreto sia tutto lì. Siamo della stessa carne. E chi ritiene che il suo sangue, la sua pasta, valga di più, ha deformità inguardabili nell'anima.
  6. lamadiluna 03 marzo 2008 ore 14:57
    Mi fa piacere quando ti dilunghi...vuol dire che l'argomento ti ha stimolato. in linea di massima sono d'accordo con te solo una frase stona tanto Luca. Nessun genitore dovrebbe sospirare pensando: speriamo non sia down o speriamo non sia gay... mah sarebbe veramente grottesco il contrario, nessuno spera che il proprio figlio sia diverso dagli altri, perchè significherebbe in qualche modo condannarlo al dolore, alla sofferenza, all'esclusione. Non chiedo questo. Mi piacerebbe che tutti i genitori e gli educatori in generale riusciscero a trasmettere il messaggio della diversità intesa semplicemente come altro modo di essere. Se si riuscisse semplicemente a non guardare le persone come se fossero extra terrestri, se si riuscisse a non allevare piccole testine di cazzo che prendono in giro chi non è come loro, ma su tutto anche se hai la marca di jeans sbagliata oggi sei etichettato come " sfigato" è questo che non va bene. L'identificazione indifferenziata, la cosidetta normalità è solo omologazione, massificazione anonima. Un saluto Ack, baciuz.
  7. lamadiluna 03 marzo 2008 ore 15:01
    Sì intendevo dire proprio questo, era più umano Barnum che noi finti perbenisti a favore delle pari opportunità. E non ti nascondo che questo post nasce da tante ragioni...compresa quella di essere spesso a contatto con chi è nato nel posto sbagliato e non ha altra scelta a volte che fare spazio al freak che si porta dentro. Un saluto mau
  8. tancredi55 03 marzo 2008 ore 15:41
    ....fatta oggetto di censura, per essere stata ingiustamente accusata di messaggi offensivi nella chat,accusa del tutto infondata per la correttezza della stessa e per la assoluta estraneità hai fatti contestati.Sosteniamo la nostra amica e facciamo nota che altri episodi analoghi sono stati segnalati e che da qualche tempo tali accadimenti sono sempre più frequenti.:staffManlio:fuma
  9. Ack13 03 marzo 2008 ore 16:33
    E' una frase forte, ma indica quanto la diversità ci spaventi a prescindere dalla cultura e dalla massificazione. Credo che siamo una società in cui i diversi (o percepiti come tale) hanno una vita molto difficile. Il meccanismo è più profondo e radicato delle mode o dell'omologazione portata dai media. Forse è all'origine stessa della mode. E' atavico. Poi sono assolutamente d'accordo con te sull'importanza di educare noi stessi e i nostri figli al rendere tale condizione migliore possibile. Il contrario di sospirare "speriamo non sia diverso" non è "speriamo sia diverso" ma qualcosa del tipo "speriamo sia una brava persona". E' sempre un piacere chiacchierare qui...
  10. Lunamoon 03 marzo 2008 ore 23:32
    ...ho come l'impressione di stare ad un incontro con colleghi a dibattere circa la "diversità" dell'essere umano. Inutile dire quanto io concordi con tutto ciò che avete detto voi, però, circa l'uso della terminologia sono del parere che a volte anche partire da fatti superficiali come cambiare le parole sia un inizio di cambiamento che si auspica possa concludersi con un cambiamento reale nella visione della "diversità" e del concetto stesso di "diversità" o uguaglianza o normalità. Io personalmente preferisco non usare certi termini che spesso hanno assunto,a causa di molti idioti,una connotazione offensiva come "handicappato" o "mongoloide" o "down"(sono più up di noi!!)..io uso trisomia 21 per esempio. Non condivido le etichette in genere e identificare la parte col tutto, la caratteristica con tutta la persona è l'errore più grande che viene fatto specie in campo sanitario. Dunque ben vengano le modifiche in tal senso anche se, inizialmente e apparentemente ipocrite. Speriamo nell'educazione, certo, avete ragione, ma avete visto quali adulti educano oggi i bambini e i giovani? Avete visto i nostri coetanei fare i genitori? E la scuola? Avete visto in che condizioni si trova la scuola in Italia? Sono molto pessimista purtroppo e anche molto arrabbiata. Lama scusa se mi sono dilungata ma l'argomento è da me molto sentito. Un bacio, Luna.

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