Divagazioni lavorative
04 marzo 2008 ore 01:50 segnala
Il piccolo Lord ha buone giornate e altre che lo sono davvero poco. La mattina annuso l’aria cercando di capire che giornata sarà, se mi è toccato in sorte il bambino che mi scrive appassionate lettere d’amore o quello che “gioca” a farsi penzolare dalla cordicella della tapparella dopo avergli fatto fare con accuratezza due giri intorno al collo.
Il piccolo Lord deve il suo soprannome al nostro primo incontro, quando tutta sorridente l’ho accolto con un: Buongiorno D. come stai? E per tutta risposta mi sono beccata un: Buongiorno un cazzo…seguito da un plateale lancio dello zaino contro la parete. Un inizio poco confortante. Io e il piccolo Lord abbiamo imparato in questi mesi a coesistere come certi animali selvatici che sopportano addosso qualche insettino parassita che gli tiene pulito il pelo in cambio di un buon habitat. Ovviamente l’insetto noioso sono io, fuori luogo con le mie strambe richieste di leggere e scrivere, come se servisse a qualcosa nella vita. Nella sua vita.
Nelle giornate buone il piccolo Lord mi si attacca addosso come un koala, mi segue anche nelle altre classi, mi insegna i trucchi dei prestigiatori e se è di buon umore capita anche che mi racconti una barzelletta “ sporca” come dice lui con un sorrisino malizioso. Quando è serio ci mettiamo sulle scale del giardino mentre il resto della classe fa ginnastica e allora mi spiega il perché delle sue nuvole nere. Il perché dei buchi neri del suo umore, ulcere che gli inghiottono il sorriso. E’ così che ho imparato a capirlo, a perdonargli cose che non permetto a nessun altro, ma non è pietismo.
Il Piccolo Lord mi ha insegnato tante cose che avevo dimenticato insegnando a bambini ben vestiti, ben educati e con una perfetta dizione di italiano. Il piccolo Lord indossa il suo dolore con una grande dignità, ma gli sta troppo largo addosso per le sue spalle esili e i suoi pochi anni. Gli casca da tutte le parti il suo dolore, come i vestiti di due misure più grandi, che prima di lui sono stati dei fratelli maggiori. D. porta entrambi senza lamentarsi, senza piagnucolare per un paio di nike nuove. E’ scombinato e dolce D. crudele e serioso, luminoso e perso. Negli occhi furbetti ha lo stesso disordine emotivo che hanno i libri nel suo zaino.
E’ solo colpa del caso, mi ripeto per dare un senso a ciò che non lo ha. Il caso ha voluto che mia madre mi riempisse il cestino di cose da mangiare e la faccia di baci prima di uscire di casa. Il caso ha voluto che la sua sia inchiodata in un letto d’ospedale ogni giorno per la dialisi. Il caso ha voluto che mio padre fosse una persona istruita e che abbia dato anche a me la possibilità di esserlo. Il suo invece è morto quando lui non aveva ancora sei anni. Il padre di D. è una fotografia sopra il comò della madre. E’ un altarino a cui lui rivolge preghiere e imprecazioni. Il caso ha voluto che a me non mancasse nulla nella mia infanzia, regali sotto l’albero, pizzicotti sulle guance dai nonni; il caso ha voluto che a D. gli insegnassero che l’affetto è una merce di scambio, è una moneta. Ti do un abbraccio se ti comporti bene, un bacio se non mi fai arrabbiare. Il caso ha voluto che io avessi tutte le cure necessarie per crescere bene, il caso ha voluto che D. abbia più carie che denti in bocca perché non ha i soldi per un dentista. Il caso ha voluto che questa bambina che ha avuto tutto e non se ne può sentire in colpa, abbia incrociato la sua strada. Cosa ne so io di D. come posso permettermi di giudicarlo o peggio di compatirlo. Io non so niente di ciò che può provare dentro, ma mi metto alla finestra a guardarlo, resto sempre in ascolto perché ogni tanto intercetta i miei sguardi e persino le mie parole e allora mi restituisce il senso di questo strano mestiere.
Forse ancora non ci siamo capiti del tutto, forse non ci capiremo mai veramente. Ma abbiamo imparato in questi mesi a parlare una lingua solo nostra, che non è fatta solo di bei gesti e belle parole, tuttaltro. Alle volte è una lotta fisica la nostra, come due gorilla ci guardiamo senza abbassare gli occhi e ci battiamo i pugni in petto per stabilire chi è il più forte. Metterlo dietro a una lavagna lo farebbe morire dal ridere, buttarlo fuori dalla classe è quello che più desidera. No, non ci sono ricette giuste, nessun metodo rivoluzionario, non sono né la Montessori, né Anna dei miracoli. Nessuna teoria pedagogica spiega me e il piccolo Lord. Noi non siamo una teoria. Lui è la mia sfida, poverino non lo sa. Non voglio lasciarlo perdere perché mi piace quella luce che vedo nei suoi occhi quando non li attraversano le sue nuvole nere e non voglio che quella luce si spenga, almeno non quest’anno, almeno non con me. Stasera ho finito il disegno che ho fatto per lui perché glielo avevo promesso già mercoledì scorso. E D. non dimentica mai le promesse che gli fanno e non dimentica mai le delusioni che gli danno le mancate promesse. Glielo darò domani…sperando che sia una buona giornata.
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Il piccolo Lord ha buone giornate e altre che lo sono davvero poco. La mattina annuso l’aria cercando di capire che giornata sarà, se mi è toccato in sorte il bambino che mi scrive appassionate lettere d’amore o quello che “gioca” a farsi penzolare dalla cordicella della tapparella dopo avergli...
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lamadiluna 04 marzo 2008 ore 01:57
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Lunamoon 04 marzo 2008 ore 02:27
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Matitarosa 22 aprile 2008 ore 12:07
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