Ho portato in un luogo appartato questo sentimento diventato ingombrante ormai come un cadavere nascosto in cantina. Avevo bisogno di un luogo e di un tempo solo miei, avevo bisogno di una certa distanza e di silenzio, per guardarlo da sola. L'ho smontato pezzo per pezzo con la stessa pazienza con cui un detenuto intaglia un oggetto di legno, riscrive la stessa lettera da anni senza mai spedirla o ama ogni sera la stessa donna che nella sua fantasia resta intatta, immortale, non invecchia, lo aspetta. Cercavo il difetto, il neo, l'imperfezione. Cercavo lo sbaglio, la falla, la crepa sottile diventata faglia. Quanto meno cercavo la garanzia, la scadenza. Riportarlo indietro, chiedere un cambio come un indumento comprato ai grandi magazzini. Sbagliavo punto di vista. Cercavo l'errore nel sentimento stesso ed erano i personaggi che si muovevano su di lui come su un palco ad essere sbagliati. Recitavano male la loro parte di estranei, parlavano attraverso battute pessime, con voci troppo piene di rancore. Io mi ero messa dal lato sbagliato del quadro, quello del bravo apprendista chirurgo cui il dott. Tulp mostrava con abilità e dovizia di particolari come procedere con freddezza e professionalità ad una buona autopsia. Mano ferma. Stomaco forte. Cuore immobile.
Ma su quel banco dottor Tulp c'era il mio sentimento.
Ho sbagliato punto di vista. Dovevo indossare i panni di Rembrant, guardarmi dall'esterno, nel ridicolo affannarsi di quegli studentelli compiacenti che accerchiavano di sguardi e mani il "mio" sentimento.
Quante altre persone dovranno ancora accomodarsi sullo zerbino del mio cuore, in quanti altri modi dirmi che era una ferita infetta, un arto in cancrena, che ho fatto bene, che sono stata davvero forte e brava, l'allieva migliore del dottor Tulp.
Ma quello lì sul banco signori, quello è il mio sentimento.
E' lui che vi ho aiutato a fare a pezzi, a sezionare, a giudicare.
E anche se forse era davvero necessario, non ditemelo più vi prego, lasciatemi sola a contemplarlo ancora un minuto...