Seduta tra le mie parole guardo ottobre entrare dalla finestra. Ha la forma di un sorriso di luce
impigliato in mezzo a nuvole capricciose di cui assecondo i movimenti, perché non ho voglia di battaglie. Così mi lascio trasportare, mi rabbuio quando sono loro a vincere, a coprirmi. Oppure mi schiudo, come quel fiore che vorrei essere, appena mi lasciano respirare. Seduta tra le mie parole accartocciate cercavo quelle più adatte per guardarmi dentro, ma erano solo pezzi inservibili di uno specchio frantumato: un’immagine irrimediabilmente parziale, frammentata e tagliente il mio ritratto più fedele in un certo modo… Su ogni foglio scrivevo una parola diversa, una soltanto. Come un Mantra, poi però la accartocciavo insoddisfatta e la buttavo via. Intorno a me, lontano da me. Alcune delle parole che ho scritto, benché fatte solo di carta e inchiostro, andavano in pezzi subito appena toccavano terra: come Cuore. E’ banale lo so, ma il cuore resta la prima cosa a soccombere, ad andare in pezzi. Sebbene anche orgoglio abbia fatto la stessa fine per quanto sia largamente sopravvalutata come parola. Altre invece toccavano terra e si incendiavano:come Passione, come Follia. Altre ancora sparivano lasciandomi solo l’amnesia di averle mai veramente scritte: come Anima, come Vita. Altre poi erano dure come sassi, spigolose e tenaci: come Attesa, come Persistenza, come Devozione. Qualcuna soltanto era più furba. Toccando terra cominciava a rimbalzare, diventava elastica e incontrollabile: un cane sciolto, un permesso di libera uscita. E poi tornava indietro tra le mie mani:come Desiderio, come Dubbio, come Malinconia. Come il tuo nome. Seduta tra le mie parole cercavo un senso che non c’è, una definizione irrimediabilmente parziale, frammentata e tagliente come me. Cercavo una logica inconsistente, una mediazione semantica, una convenzione ortografica. Cercavo quello che né la grammatica, né la sintassi, né nessun vocabolario sanno spiegarmi: cercavo il significato di te. Ma né le parole che vanno in pezzi, né quelle che ci incendiano, né quelle che spariscono, né tanto meno quelle che rimbalzano hanno saputo dirmi qualcosa sul tuo conto. Perché cercavo nel posto sbagliato. Perché tu sei altrove, in un punto imprecisato fra lo stomaco e la pancia e da lì ti fai sentire con brontolii o vertigini o vuoti incomprensibili. Da lì non ti muovi, né ti interessa farlo e tutto quello che ho di te è questo sbattere d’ali di farfalle dentro. E né io, né tutte le mie stupide parole sappiamo ancora spiegarcelo. Ma finchè ci sei resta pure, perché tirarti fuori farebbe davvero più male.