Thinking of you

15 maggio 2007 ore 18:29 segnala
Il signor G. entrò nella stanza con aria curiosa. Cercava,col suo sguardo attento di scrutatore di emozioni, di memorizzare ogni particolare. Dicono che gli oggetti di cui ci circondiamo finiscano col somigliarci, si impregnino in qualche modo della nostra personalità e ne conservano brevemente una memoria, un sapore.

Così, con una rapida occhiata, si disse che quella stanza in qualche modo la rifletteva. Quel caos sotterraneo dietro un ordine apparente le apparteneva.

Per prima cosa andò verso la scrivania, soffocata di quaderni e libri sparsi alla rinfusa. Toccò gli oggetti che lei usava solitamente, la cercò nel freddo della sua stilografica provando ad immaginarla mentre,seduta lì, si fermava per un attimo a guardare dalla finestra per cercare la parola più adatta, la frase perfetta, con quella mania tutta sua di mettere sempre i puntini sulle i, e quella deformazione professionale che a volte ne faceva  l’irritante maestria dalla Penna Rossa.

Sollevò per un momento lo sguardo sullo scaffale dei libri, ritrovando anche lì la sua colorata confusione. Si schiacciavano fra loro, senza alcuna logica,saggi storici,romanzi e testi di filosofia. Non c’erano i libri che più aveva amato, ma solo quelli che la sua curiosità le aveva imposto di acquistare. Perché lei sempre proseguiva a ondate incostanti, assecondando le maree dei propri tormenti e delle passioni del momento, guidata soltanto dalla curiosità infaticabile, dall’inquietudine perenne.

Intravide nell’angolo sinistro della scrivania un portafotografie da cui gli sorridevano due ragazzini, in uno, pur faticando, riconobbe lei, l’altro doveva essere il suo compagno.

Gli sorridevano da un’altra vita, quando erano una coppia insolentemente felice, non come adesso che il claudicante riflesso di quella felicità smarrita, li costringeva a stare ancora insieme, a riprovarci, non sapendosi spiegare dove si fosse potuta nascondere, tutta quella felicità. Dove avevano potuto perderla, su quale treno, in quale centro commerciale, in quale piega delle lenzuola si era allontanata da loro?

Ma tutto questo il signor G. non poteva saperlo. Semplicemente guardò la foto e senza comprenderne neanche lui il motivo, ne fu infastidito. Forse pensava che avrebbe voluto conoscerla già allora, che avrebbe voluto sapere tutto di lei, spezzare con lei i ricordi come si fa col pane, contarne le malinconie, conoscere il colore dei suoi sorrisi.

Perché il signor G. ama i particolari, le piccole cose. Potrebbe restare indifferente davanti ad un panorama da cartolina, fatto di una bellezza prevedibile e invece struggersi per una ruga all’angolo degli occhi o per una mano chiusa sopra la sua. Perché per il signor G. conoscere è vivere. E conoscere è possedere realmente una persona. Il signor G. voleva persone con un’anima e senza la paura di mostrarla nuda. Voleva che quell’anima gli appartenesse,lui non l’avrebbe mai chiusa in un portafotografie sulla scrivania, ma l’avrebbe portata a casa con sé, l’avrebbe cucita nella tasca interna della sua giacca, come si faceva un tempo con le lettere d’amore. L’avrebbe portata a letto per goderne o farla a pezzi con metodo, come si fa per certi orologi complicati per studiarne i meccanismi. Forse l’avrebbe infilata come un segnalibro tra le pagine dei libri che amava. L’avrebbe letta e riletta fino ad impararla a memoria, a tatuarla sulla pelle. Il signor G. infatti scorreva le persone come si scorrono le righe di un libro, perché quella pelle e quelle dita diventassero il prolungamento della storia che stava leggendo, fino a smarrirsi in essa e a non essere più capace di distinguere tra il libro e la sua vita. Il signor G ha molti talenti tra cui quello di possedere mani sapienti, che muove con abilità consumata e grazia sconosciuta. A volte fruga, a volte accarezza. Ed ha parole da incantatore d’api e ne conosce la forza. Schiaffeggia e bacia, brucia e guarisce. Con le sue parole ubriaca le cose, come il vento caldo della sua terra che,dicono, faccia impazzire le donne in certe notti di agosto. Non regala mai rose,il signor G, ma ha mazzi di stelle infuocate nascoste nelle maniche come i prestigiatori e le mette ai tuoi piedi come tappeti di Damasco. Ma lei queste cose non poteva saperle, preoccupata com’era a nascondersi dietro il paravento dei propri dubbi. Così le immaginava, quando da sola sorrideva un sorriso che nessuno potesse sorprendere.

Cosa ci fa in quella stanza estranea il signor G? Cosa cerca? Intanto, appeso sul muro a spezzare la fissità bianca della parete, un unico quadro attira la sua attenzione. E’ una foto: Le Baiser de l’hotel de ville di Doisneau. Il bacio più famoso del mondo dopo quello di Klimt. E’ un bacio d’altri tempi, un bacio in bianco e nero. Uno scatto rubato all’esistenza di quegli amanti e fermato così nel tempo,mentre tutto intorno a loro continua a scorrere, indifferente e veloce, come poteva essere veloce il 1950.

“Ecco cosa vuole lei”- si disse il signor G.- con un sorriso improvviso come un lampo, felice come un’intuizione. Cerca un’emozione che la inchiodi nel tempo, che sia vera, pulsante e dolorosa nella sua verità, che piena di sé, le faccia ignorare l’indifferenza degli altri, la loro pallida banalità”. Soddisfatto il signor. G. uscì dalla stanza, con l’entusiasmo che sempre gli mettevano addosso una nuova sfida, un progetto da realizzare e andò a cercarla. “ Non può essere così lontana -pensava- se mi ha permesso di visitare la sua stanza”.

 

 

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Il signor G. entrò nella stanza con aria curiosa. Cercava,col suo sguardo attento di scrutatore di emozioni, di memorizzare ogni particolare. Dicono che gli oggetti di cui ci circondiamo finiscano col somigliarci, si impregnino in qualche modo della nostra personalità e ne conservano brevemente una...
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15/05/2007 18:29:59
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Commenti

  1. Mr.Adelphi 15 maggio 2007 ore 21:33
    Uscì con aria furtiva dalla stanza, portando con sé un libro di Nietzsche – quello della prima edizione italiana dell’ottantuno; quello che tanto cercava per librerie ma mai trovava. Sedette al tavolo di un bar, ordinando un caffè e il giornale più grande che avevano – era quello che gli bastava per passare inosservato agli occhi dei passanti, pensò. Due ore ad aspettare Sophie e le sue gambe levigate. Mezzo pomeriggio di tormento e di attesa, con la mente ai particolari della stanza e a quei cassetti chiusi ma con una voglia sulle venature del legno che ti dicevano di entrare e farci ciò che volevi – erano cassetti che non potevano parlare, altrimenti il signor G. li avrebbe ascoltati per poi sedurli; ma semplicemente per sapere cosa nascondeva dentro di sé la padrona di casa, perché: erano mesi che il signor G. moriva dalla voglia di sapere delle lacrime e dei sorrisi nascosti in quell’anima apparentemente di pietra. Durante l’attesa, pensieri di terra e di mare lo accompagnavano. Le voci sgradevoli dei mercanti di Via Merchanise ogni tanto lo distraevano; ma, il signor G., non se ne fece particolare fastidio quel giorno. Ormai, malgrado le avversità e le incertezze, dopo tanto esitare, quel giorno era giunto a destinazione. *** Ma ancora non sapeva cosa lo stava aspettando – lo temeva soltanto; anche se lui, il signor G., non l’avrebbe mai dato a vedere a Sophie. (continua)
  2. chiaraoscura 24 ottobre 2007 ore 22:00
    leggendo il tuo passato, Lamadiluna... Troppi zuccheri. Meno male che hai fatto l'analisi e hai cominciato l'insulina... :-)))

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