Qualche sera fa l’amabile sguardo color foglia di Alda Merini ha fatto capolino dallo schermo della tv illuminandolo all’improvviso.
Confesso che la preferisco scolpita sulle pagine di un libro, stampata a fuoco nella mia mente che in una scialba intervista televisiva eppure quello sguardo vacuo, sempre altrove che ha in sè qualcosa dell’ebete e allo stesso tempo del mistico mi affascina profondamente. Mi affascina il suo permettersi di poter essere altrove, estranea ad un contesto ben definito, a se stessa, ai giudizi o al sentire comune.
Alda Merini è una diversa che non si vergogna affatto di esserlo, ha fatto della sua diversità una stigma di distinzione, un’incandescenza che l’ha forgiata, trasformata e purificata.
Marchiata dalla società dei benpensanti come pazza, trasfigurata e salvata dal demone della poesia, Alda Merini riesce a trovare la Bellezza anche dove non c’è e ha il dono straordinario di saperla comunicare.
Se riuscite a trovare in un manicomio la salvezza della vostra anima guardando un raggio di sole che si infila tra due sbarre o un piccolo fiore nato tra le crepe muschiose di un muro di cinta, lo stesso muro che vi separa dal mondo, dagli altri, dalla presunta normalità, ebbene allora siete davvero liberi. Avete trovato voi stessi, il Vostro senso e solo quello conta. Un respiro più alto, uno sguardo diverso su tutte le cose, una giusta distanza dalla velocità del mondo, avete capito il trucco, l’inconsistenza di tutte le cose, siete riusciti a conservare la leggera incoscienza dei bambini e dei matti.
Con la sua voce roca, col filo esile dei pensieri che ogni tanto si ingarbugliano come matasse, Alda mi dice quello che sospetto da sempre, ma forse dovrò arrivare alla sua età per dirmelo senza delusione, senza un senso di ironica amarezza: che la Vita non ha nessun senso. Anzi che è la Vita stessa a dare un senso alla finitezza del singolo individuo. Dice che bisogna rinunciare alla felicità per trovare la vera serenità.
Non lo so se ha ragione, perchè la Vita io la immagino come un kit di un complicato meccanismo, ci sono tutti i pezzi nella scatola ma mancano le istruzioni per l’uso, per cui ognuno di noi si ingegna a costruirlo da solo come meglio gli riesce, dandosi delle personalissime interpretazioni, credenze, alibi e scaramanzie.
E’ come raccontare una storia nel modo in cui piace di più a te. Ci si affanna dal giorno in cui ci abbandona l’inconsapevolezza dell’infanzia fino al giorno in cui chiudiamo gli occhi sul mondo. E se qualcuno per caso ci chiede ma cos’è che hai costruito? Facciamo qualche passo indietro, incliniamo di lato la testa come se ci trovassimo davanti ad un’opera di un quotato artistoide post moderno e con un sorrisetto imbarazzato e con lo sguardo spalancato rispondiamo: Non lo so, ma l’ho fatto come meglio mi è venuto.