C’erano già stati alfabeti di sguardi fra loro. Si amavano da lontano da così tanto tempo che guardarsi era stato già come fare l’amore decine di volte senza chiederlo.Si parlavano sottovoce in quella stanza,come se masticassero una preghiera privata, come se invocassero la grazia di poter toccare ancora e ancora con la punta delle dita, quella bocca che gli toglieva il sonno. Pregavano per vederla schiudersi in un bacio e per poter ricoprire quel bacio col proprio, come se fosse un buco che era necessario riempire.Tutte le notti si amavano, ma da letti diversi. Guardando soffitti ugualmente bianchi che si coloravano di sospiri, di fantasie impudenti, di desideri verticali come stalattiti.Si cercavano da così tanto tempo che li stupiva sempre l’idea di essersi infine trovati, riconosciuti, regalati l’un l’altro. Anche se solo quel giorno. Solo per qualche ora. Il tempo finalmente smise di correre, di avere fretta. E, come se fosse arrivato in anticipo ad un appuntamento molto atteso, trovò persino il tempo di pettinarsi un attimo i capelli e respirare senza affanno.All’improvviso le lancette dei loro orologi smisero di camminare, di scandire un tempo estraneo, perché non era mai il “loro” tempo. E allora restarono mute a guardarli finalmente vicini.Vicini al punto che le loro mani allungandosi si sarebbero trovate, al punto da riconoscere l’odore di bucato fresco che proveniva dai loro vestiti, al punto che se uno pensava una cosa l’altro gliela stava già leggendo sulle labbra.Non contava più che giorno fosse, di che mese, di che secolo, di che anno di grazia.I calendari avrebbero avuto solo giorni rossi finchè sarebbero potuti restare accanto. Non c’erano più appuntamenti da rispettare, doveri, obblighi, divieti, orari per fare ogni cosa, per fare sempre la cosa giusta ma sempre per qualcun altro. Non c’erano fornitori da contattare, telefonini che squillavano, riunioni da presenziare, vuote chiacchiere da snocciolare, bicchieri da svuotare parlando di nulla con grande amabilità.Sono qui davanti a te. Diceva il suo corpo. Sono qui per te, rispondeva l’altro.Non avevano ancora mosso un solo passo, forse temendo che non fosse vero di respirare la stessa aria della stessa stanza.Non dissero nulla. Forse per minuti interi, ma era difficile dirlo perchè il tempo non esisteva più in quella stanza. Era evaporato, insieme ai loro respiri, sopra i vetri freddi della finestra che lentamente si appannavano.Lei aveva sciolto i capelli soltanto per lui. Era il suo regalo tacito. Un muto messaggio d’amore. Perché sapeva quanto a lui piacesse tentare inutilmente di piegarli ai disegni delle proprie carezze, perchè potesse annusarli avvicinandosi e perdersi in quell’abbraccio come in un bosco di fragranze sconosciute.
Lui le scostò quel groviglio di ricci irrequieti e le sfiorò il viso. La sua mano aperta si fermò tra il collo e il mento, sorrise impercettibilmente alla sensazione che gli dava il calore della sua mano su quella pelle. Quante volte glielo aveva detto come se fosse un sussurro, una preghiera:
Voglio toccarti, voglio ricordarmi della tua pelle.
Lei conosceva un modo soltanto di guardarlo, ma era il modo giusto. E’ il modo in cui sa guardarci una persona che ci ama. A quello sguardo non servivano complementi, aggettivi o accessori.
E infatti lei non disse nulla, chiuse gli occhi e ripiegò il viso sopra la sua carezza, cercando con un bacio leggero il centro esatto della sua mano.
- Non vorrei mai mancarti - disse lui, inciampando in parole che, come il tempo, in quella stanza e in quel momento erano di troppo, non avevano senso.- Non vorrei mai esserti più distante di così come siamo ora -Lei gli sorrise ma era un sorriso pensieroso stavolta, velato di tristezza.- Lo so - gli disse - Ma adesso siamo insieme -
Cominciarono a spogliarsi con gesti misurati, perché l’amore doveva essere lento come lo era stata la lunga attesa. All’urgenza del desiderio preferirono l’imbarazzo dell’esposizione, della fragilità totale, il piacere della lentezza.
C’erano già stati alfabeti di sguardi fra loro. Si amavano da lontano da così tanto tempo che guardarsi era stato già come fare l’amore decine di volte senza chiederlo.
Si parlavano sottovoce in quella stanza, come se masticassero una preghiera privata, come se invocassero la grazia di poter...
bello.
avrei solo congelato l'ultimo paragrafo.
l'amor concettuale (stato gassoso delle idee dell'esserCI) quando passa per osmosi all'amor fattuale (stato liquido oggettuale del farSi), perde sempre di fascino ed eleganza, anche se "con lentezza"
:-)))
incoerence
....Incoerence, i tuoi commenti sono sempre "arguti" l'attesa è sempre superiore al momento.
Ciò non di meno perchè l'amore non resti solo una proiezione delle nostre attese/aspettative/idealizzazioni...l'osmosi ci deve essere no? Bisogna che passi attraverso tutte le sue fasi che cresca si consumi invecchi e infine finisca come tutte le cose vitali.
Un saluto. E come sempre grazie per l'attenta lettura.:-)))
Succede anche a me nello scriverlo. Nel momento in cui le parole prendono forma sulla carta, io me ne libero perchè smettano di farmi male e le regalo agli altri perchè possano riconoscersi. Buonanotte.:-)