Wrong room ( part II )
22 novembre 2007 ore 21:08 segnala
Parole d’amore in una stanza in penombra. Fluttuavano nell’aria ma senza alcuna leggerezza come se fossero fatte di fumo di sigaretta. A sentirle da lontano, a sentirle dall’altra stanza potevano sembrare soltanto il ronzio molesto di un vecchio ventilatore da soffitto o il cigolio scontato di un amore clandestino consumato in un qualunque pomeriggio di un qualunque albergo. Ma sussurrate sopra un letto di lenzuola tiepide a meno di un centimetro da quello che più amate, sono una preghiera, sono una religione, sono la vostra vita. E non vi sembra possibile che tutta la vostra felicità possa trovare posto in così poco spazio.
Lui disse:
Voglio misurarti la schiena bianca con i miei palmi. Voglio scoprirne il segreto, capire come fa a possedere i miei pensieri questo territorio così breve che va dal collo al tuo tallone.
Voglio baciare ogni centimetro della tua pelle: dargli un nome, tracciarne i confini esatti, segnarne i punti pericolosi come avrebbe fatto un antico cartografo in bilico tra l’esplorazione e l’ignoto. Perchè tu sei il pericolo più grande, le mie colonne d’Ercole e allo stesso tempo il mio Mondo Nuovo.
Lei disse:
Voglio sciogliere con la mia pazienza tutti i nodi che ti hanno legato assieme come malocchi i pensieri e i dolori, le malinconie ostinate e le gioie sempre troppo brevi. Voglio renderteli finalmente distinguibili, separandoli per misura, colore, forma. Voglio mettere ordine nella tua irrequietezza, nel disordine del tuo amore. Lasciare che le mie orme siano le prime a camminare lì dove hai permesso che la neve ti ricoprisse il cuore. Io voglio sfinirti con la mia dolcezza e scavare lentamente il cuore della tua roccia. Perché non c’è altro modo che questo per averti realmentei entrarti dentro e lì rimanere in silenzio ad ascoltare i tuoi silenzi. Imparerò a capirli.
Ma ben presto lo spazio intorno riprese il sopravvento. Ristabilì i propri diritti e le consuete distanze. Sotto la stessa coperta i loro corpi allacciati videro le pareti della stanza cambiare colore, le ombre allungarsi, il cremisi diventare color melograno.
Il pomeriggio moriva piano e allo stesso modo morivano loro all’idea di separarsi, ma senza arrossire.
C’è sempre una certa tristezza nei gesti che si compiono dopo l’amore. Il frugare tra i vestiti ripartendoseli equamente, dividere il mio dal tuo, quando fino a poco prima c’era stato un unico indistinto corpo. La nudità che improvvisamente diventa troppo visibile, quasi imbarazzante. L’intimità che sta per ritirarsi come una marea, che sta per essere sistemata, tirata per le orecchie come un monello, messa a posto come una camicia dentro un pantalone o un paio di collant tirati su senza una grinza.
Il tempo riprese a scorrere senza alcun preavviso e, come se fosse in ritardo ad un appuntamento di lavoro, non trovò nemmeno il tempo di stringersi bene il nodo alla cravatta che già si trovò a respirare con affanno, con l’acqua alla gola.
Le lancette dei loro orologi ripresero a camminare, come nella Danza delle Ore gli oggetti tornavano ad essere soltanto oggetti, inanimati, vuoti strumenti che ricominciavano a calcolare un tempo estraneo. Il tempo degli altri. Di colpo si ricordarono che era un mercoledì, di novembre, dell’anno di grazia 2007 e che non c’erano giorni rossi sui loro calendari. Si ricordarono che bisognava ricominciare a correre, a riaccendere i cellulari, si ricordarono di tutti gli appuntamenti del giorno seguente e di quello dopo ancora. Del traffico lento che li avrebbe portati altrove. Alla deriva. In direzioni e luoghi opposti. Distanti. A chilometri o anche ad anni luce da quella stanza dove tutto era semplice, tutto era senza spiegazioni.
Seduto sul bordo del letto lui la guardò rivestirsi. Ancora faticava a scrollarsi il torpore dell’amore. Se la sentiva ancora addosso, sentiva il suo profumo sulle mani.
Indugiava. In lei, in quella stanza. Ed entrambe già gli mancavano in un modo disperato.
Lei si fermò per un attimo a guardarlo nel suo modo, nel modo giusto, quello che gli fermava il respiro a metà del percorso.
- Ti amo - gli disse piano.
- Lo so - sospirò lui - Ma non dirmelo mai, perché mi uccide.
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Parole d’amore in una stanza in penombra. Fluttuavano nell’aria ma senza alcuna leggerezza come se fossero fatte di fumo di sigaretta. A sentirle da lontano, a sentirle dall’altra stanza potevano sembrare soltanto il ronzio molesto di un vecchio ventilatore da soffitto o il cigolio scontato di un...
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22/11/2007 21:08:59
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anonim72 22 novembre 2007 ore 22:37
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meteta 23 novembre 2007 ore 18:34
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Rutwen 23 novembre 2007 ore 20:07
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Jean.mg 24 novembre 2007 ore 07:45
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Mr.Adelphi 24 novembre 2007 ore 10:40
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manueladi 24 novembre 2007 ore 14:44
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ILREGOLATORE 26 novembre 2007 ore 00:25
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sgurz74 27 febbraio 2008 ore 18:09
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