Si dice "avrebbe dovuto essere" o "sarebbe dovuto essere?

05 febbraio 2012 ore 18:51 segnala


DIPENDE DAL RESTO DELLA FRASE:

Ausiliare avere: quando si esprime l'azione in sé e nel significato di partecipare ad una corsa.

Ausiliare “essere”: quando esprime o sottintende una meta: -Ho corso tutto il giorno-
con “avere” si indica l'azione del correre in sè e considerata nella sua durata.

LA REGOLA SAREBBE:

Correre: nei tempi composti, viene ausiliato da “essere” o “avere” secondo i casi.

Da “avere”, quando è usato nel significato di azione in sè e quando ha significato transitivo:
- correre il pericolo, correre i 100 metri, ecc. -

Da “essere”, in tutti gli altri casi, come ad esempio in: -è corso verso casa; è corso ad aiutarmi; son corso a casa, ecc.-

Esistono verbi che richiedono a volte l'ausiliare “avere”, oppure l'ausiliare “essere”, a seconda della sfumatura di significato (correre: ho corso come un matto; ma: sono corso subito a casa).

Quindi: "sarebbe dovuto essere" in virtù della regola secondo cui i verbi servili: “dovere”, “potere”, “volere”, prendono l'ausiliare del verbo che segue:

-ho parlato / ho dovuto parlare-
-sono andato / sono dovuto andare-
-sarei andato / sarei dovuto andare-

In realtà, nell'italiano corrente, i verbi servili hanno sempre l'ausiliare AVERE quando sono seguiti dal verbo “essere”:
-non ho potuto essere presente.-

- I DUBBI NEI VERBI -

Ausiliare di “mangiare” e “atterrare”:

"Mi sono mangiato un piatto" oppure "ho mangiato un piatto"?
"L'aereo è atterrato" o "l'aereo ha atterrato"?


"Mangiare" è un verbo transitivo attivo e quindi richiede come ausiliare "avere".
E' giusto dunque dire, e scrivere:
"Ho mangiato un piatto".

-Mangiarsi-, rimane una forma transitiva che, per la presenza della particella pronominale "si" (che ha un valore intensivo), ammette l'uso del verbo "essere".
Quindi è anche giusto: "Mi sono mangiato un piatto".

In quanto ad "atterrare", siamo di fronte a un verbo intransitivo che ha come ausiliare "avere": dunque si dice: "l'aereo ha atterrato", anche se è attestato, in casi rari, l'uso di "essere".
Il verbo intransitivo "piovere":

Si dice "ieri ha piovuto" o "ieri è piovuto"?
Per i verbi intransitivi manca una regola precisa, alcuni hanno l'ausiliare "essere" (sono venuto) altri "avere" (ho corso).

Danno molta incertezza proprio questi verbi intransitivi e impersonali meteorologici. In realtà sono corrette entrambe le forme, sia quella con il verbo "avere", sia quella con il verbo "essere".
Adottare "essere" per indicare un'azione momentanea o comunque breve o non specificata nella sua durata (ieri finalmente è piovuto), e invece di usare "avere" quando si indica un'azione prolungata: (ieri ha piovuto per quattro ore).

I VERBI SERVILI:

si chiamano così perché "servono" il verbo all'infinito a cui sono accompagnati.
La regola generale dice che l'ausiliare da usare con i verbi servili è quello richiesto dal verbo all'infinito: "Sono dovuto andare", "Non sono potuto andare", "Sarei voluto andare", "Sarebbe dovuto venire".
Eccezioni. Molte grammatiche consigliano di usare l'ausiliare "avere" quando il verbo all'infinito è "essere", perciò è corretto scrivere: "Avrei dovuto essere".
Infine una regola per i casi in cui il gruppo verbo servile+infinito sia accompagnato da una particella pronominale: se la particella è unita all'infinito, l'ausiliare è sempre "avere": "A Natale ha voluto vestirsi elegantissimo". Se la particella precede il servile, l'ausiliare è sempre "essere": "A natale si è voluto vestire elegantissimo".

Si dice: "le cose che ho viste"?, oppure, parlando a una donna, "ti ho vista"?
Mettere la "o" ovunque?: "Questa cosa mi ha sconcertato"? oppure "Questa cosa mi ha sconcertata"?

E ancora:"Le lettere che ho scritte"? oppure "Le lettere che ho scritto"?

Si dice: se riferito a un uomo, "Lei è già stata qui" oppure "Lei è già stato qui".

“Dati i limiti di tempo a disposizione" oppure "Dato i limiti di tempo a disposizione".

C'è una regola generale: il participio è concordato con il soggetto nei verbi composti con l'ausiliare "essere" (Le ragazze sono entrate in classe).

Il caso atipico: (Lei è stata già qui) riferito a un uomo, è formalmente giusto, anche se diventa segno di grande deferenza. Non sarebbe errato, per dare un tono di familiarità, trattandosi di soggetto femminile solo apparente, usare il participio passato al maschile.

Il participio invece rimane invariato, vale a dire nella forma maschile singolare, quando l'ausiliare è "avere": "I cani hanno continuato ad abbaiare".

La grammatica consente (non obbliga) di concordare il participio dei verbi transitivi con il complemento oggetto, quando questo precede il verbo. E' giusto dunque dire: "Le lettere che ho scritte", "Le cose che ho viste", "Ho letto i libri che mi hai prestati". Va da sé che non costituiscono errore le forme corrispondenti non concordate (Le lettere che ho scritto, ecc.).

La stessa cosa accade per i verbi riflessivi apparenti: si può dire "mi sono lavato le mani" come pure "mi sono lavate le mani".

C'è un unico caso in cui il participio va concordato obbligatoriamente con l'oggetto. Ciò avviene quando il complemento oggetto è costituito dai pronomi atoni "lo", "la", "li": "Mi hai portato i libri? Sì, te li ho portati".

Con le particelle "mi", "ti", "ci", "vi" in funzione di complemento oggetto l'obbligo di concordanza è facoltativo.

E' ugualmente corretto dire, parlando di una ragazza, "ti ho visto" come anche "ti ho vista".
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“Sta” con l’apostrofo o senza apostrofo?

27 settembre 2011 ore 09:57 segnala


Come l’imperativo di “amare” è “ama” (plurale: amate), è giusto che l’imperativo di “stare” sia “sta” (plurale: state). “Sta” con l’apostrofo o senza apostrofo? Chi scrive “sta”, chi scrive “ sta’ ”, chi si rifugia nel più popolaresco “stai”, che ripete la seconda persona singolare dell’indicativo, usata con funzione imperativa come quando diciamo: “ Tu oggi passi a casa mia e poi mi accompagni alla stazione…”. Anche quelli che scrivono “ sta’ “ si riferiscono a “stai” e l’apostrofo segna la caduta di quella lettera finale. Ma la forma “sta” senza apostrofo è la preferibile. Né questa volta, a differenza di “ fa’ “, di “ va’ “ e di “ di’ “, si tira in ballo il latino: anche in questa lingua l’infinito è “stare” e l’imperativo è “sta “. Scrivete dunque:

Sta fermo, sta buono, sta a casa, eccetera.

Altro verbo corto con l’imperativo in proporzione: “dare”. Anche per questo sono in uso il “dai” popolaresco e il “ da’ ” apostrofato:

Forza, dai: metticela tutta!
Dai qui codesto arnese;
Da’ retta a chi ne sa più di te.

Ma anche qui l’apostrofo non è giustificato etimologicamente: in latino dal verbo “dare” abbiamo l’imperativo “da”. In italiano la voce verbale “dà” (presente indicativo) si scrive con l’accento, per distinguerla dalla preposizione “da”. Dunque sembrerebbe meglio scrivere anche il “ dà ” imperativo con l’accento e non con l’apostrofo:

Dà a Cesare quel che è di Cesare.

Invece gli imperativi “ fa’ ”, del verbo “fare”, e “ va’ “ , del verbo andare, possono fregiarsi dell’apostrofo. Infatti, questi due verbi sono nella matrice latina “facère” e “vadère” e i rispettivi imperativi sono “fac” e “vade” (“fac” a sua volta era già un troncamento di “face”): quindi sono giustificati gli apostrofi. Ma poiché sono centinaia, forse migliaia, i vocaboli italiani formatosi da troncamenti di vocaboli latini, e non hanno di andare sempre intorno con distintivo dell’apostrofo, lo stesso potrebbero “fa” e “va”. E’ sempre per lo scrupolo di distinguere dalle voci gemelle dell’indicativo che si ricorre al segno dell’apostrofo. Dunque, scrivete pure “ va’ “ e “ fa’ “, se vi par meglio, oppure “va” e “fa”:

Fa’ (o fa) sempre il tuo dovere:
Va’ (o va), pensiero, su l’ali dorate…


Anche un verbo in “-ire”, cioè “dire”, il quale però, come abbiamo già accennato, appartiene propriamente alla seconda coniugazione, e non alla terza, perché è forma contratta del latino “dìcere”, ha il suo imperativo “ di’ “, dove la presenza dell’apostrofo è giustificata sempre per il troncamento dell’originario verbo latino (da un imperativo “dice” la prima riduzione a “dic”, già nel latino classico, e quindi “ di’ “). Si può anche con questo accontentarsi dell’accento (dì), per distinguere la voce verbale dalla preposizione “di” (ma qui poi c’è di mezzo anche il nome “ dì “ (giorno)). Ecco perché tutti scrivono “ di’ “ e non “ dì “:

Di’ la verità; Di’ quel che è successo.

Riassumiamo dunque così:

“sta” meglio che sta’, stai (sbagliato “stà”)
“dà” meglio che da’, dai (sbagliato “da”)
“fa’” meglio che fa, fai (sbagliato “fà”)
“va’“ meglio che va, vai (sbagliato “và”)
“di’“ meglio che dì, (sbagliato “di”).
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Scrivere

10 settembre 2011 ore 17:14 segnala


Scrivere è atto nobile nel migliore dei casi, ingenuo nel peggiore.
Tranne poche eccezioni di grafomani arroganti inediti che imitano grafomani arroganti già editi, scrivere non peggiora il mondo. I libri sono firmati parola per parola. I loro pregi e tradimenti sono visibili, la loro libertà o corruzione e inutilità apparirà chiaramente, sulla pagina sterminata dei secoli. Alcuni dureranno, altri scompariranno. Ogni segno su di loro è nobile ruga di tormentata e ripetuta lettura, logorio del breve vento da una pagina all’altra, sbiadire di copertine tra amori e rifiuti, sottolineature, polvere di abbandono. Mentre inalterabili, mai scelti né respinti, mai veramente nostri, i dominanti schermi ci circondano di felicità non abitata, colpiscono ipocritamente, con falsa neutralità e velenosa indifferenza, creano parodie di sentimenti che evaporano nello spazio di una sigla. Hanno soldi, potenza, ma meno idee di una singola pagina. Scrivere nasce da leggere e al leggere è grato. Scrivere è una delle poche cose rimaste uniche nostre, dalla firma al romanzo, dal primo tema al testamento…

STEFANO BENNI (Achille piè veloce)
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« IMMAGINE: http://3.bp.blogspot.com/_C0MFeiKlDuk/TCGmRrSZPwI/AAAAAAAAC5Y/ym65NNMVskw/s1600/libro%5B1%5D.jpg » Scrivere è atto nobile nel migliore dei casi, ingenuo nel peggiore. Tranne poche eccezio...
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USO DELL'ACCENTO

30 agosto 2011 ore 11:02 segnala


Quando ci vuole e quando no.

Quando si parla, l'accento si fa sentire in tutte le parole, perché tutte lo hanno, tranne rarissime eccezioni. Quando si scrive, non sempre c'è bisogno di segnare l'accento, anzi; i casi in cui è obbligatorio indicarlo sono pochi.

Nello scritto, l'accento va segnato:

• nelle parole tronche (cioè accentate alla fine) con più di una sillaba: La servitù emigrò in Perù;

• nelle seguenti parole formate da una sola sillaba: dà, dì, è, là, lì, né, sé, sì, tè, ciò, già, giù, più, può, scià. Ma attenzione: le prime nove parole di questa lista hanno dei corrispettivi che vanno scritti senza accento.

l'accento va messo su:

dà (verbo dare): Mi dà fastidio
dì (il giorno): La sera del dì di festa
è (verbo essere): È’ stanca
là (avverbio di luogo): vai là
lì (avverbio di luogo): Rimani lì
né (congiunzione negativa): Né carne né pesce
sé (pronome): Chi fa da sé fa per tre
sì (affermazione): Sì, mi piace
tè (la bevanda): Una tazza di tè

l'accento non va messo su...

da (preposizione): Vengo da Bari
di (preposizione): È amico di Marco
e (congiunzione): coltelli e forchette
la (articolo o pronome): La pizza, la mangi?
li (pronome): Non li vedo
ne (avverbio o pronome): Me ne vado; te ne importa?
se (congiunzione): Se torni, avvisami
si (pronome): Marzia non si sopporta
te (pronome): Dico a te!

In tutte le altre parole di una sillaba l'accento non va segnato.

• Nei casi di ambiguità, quando una parola si distingue da un'altra solo per la diversa posizione dell'accento, può essere utile indicarlo.
Per esempio:
mi pare che àbitino qui è un bell'abitìno
l'àncora della nave non è ancóra tornato

• Alcuni, quando il pronome -sé- è seguito da stesso e medesimo, tralasciano di indicare l'accento, perché in questo caso il -se- pronome non può confondersi con -se- congiunzione: se stesso, se medesimo. Si consiglia d'indicare l'accento anche in questo caso, e quindi di scrivere sé stesso, sé medesimo.

• Per quanto riguarda la parola su, è meglio scriverla sempre senza accento: "Venite su!"

• Scrivete do (prima persona del presente indicativo di dare) e soprattutto sto (prima persona del presente indicativo di stare) sempre senza accento: "Ti do ragione", "Sto qui ad aspettarti". Qualcuno mette l'accento sul verbo do, per distinguerlo dalla nota musicale: ma nessuno confonderebbe questi due do, così come nessuno confonde i due re! (Re sovrano, re nota musicale)

• La stessa indicazione vale per fa e sta (terze persone del presente indicativo di fare e stare) e per gli avverbi qui e qua, che non devono mai avere l'accento.

Acuto e grave: due diversi tipi di accento che possono caratterizzare le parole.

L'accento di perché, per esempio, non è lo stesso di caffè: il primo, che va dal basso verso l'alto, si chiama acuto, mentre il secondo, che va dall'alto verso il basso, si chiama grave.

In genere, quando si scrive, non si fa attenzione al tipo di accento, e lo si segna come un trattino obliquo da appoggiare distrattamente sulla vocale finale. Ma nell'uso veramente corretto le cose non stanno così: con l'accento acuto (´) indichiamo la -e- chiusa di perché, con l'accento grave (`) indichiamo la -e- aperta di caffè. Se vogliamo che il nostro scritto sia impeccabile, dobbiamo rispettare queste differenze: soprattutto se non scriviamo a mano, ma usiamo il computer, distinguiamo fra la -é- e la -è-: sulla tastiera c'è un tasto apposta per questo!

Parole più comuni che richiedono l'accento acuto sulla e finale:

affinché, benché, cosicché, finché, giacché, né, nonché, perché, poiché, purché, sé (quando è pronome: "Marco pensa solo a sé"), sicché, ventitré e tutti i composti di tre (trentatré, quarantatré, centotré, ecc.); infine, le terze persone singolari del passato remoto di verbi come battere, potere, ripetere, ecc.: batté, poté, ripeté, ecc.

In tutti gli altri casi, l'accento sulla -e- finale è grave. Ricordate, in particolare, di segnarlo sulla terza persona del presente indicativo del verbo essere: è, su tè e su caffè.
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« IMMAGINE: http://www.shadeofsalvation.it/eqdkp/data/ce2fe84c1441df1ff815a270ad1f4aa0/eqdkp/news/accento.png » Quando ci vuole e quando no. Quando si parla, l'accento si fa sentire in tutte le parol...
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PLURALI DOPPI

01 agosto 2011 ore 18:19 segnala


• Il braccio:
i bracci, le braccia.
Il femminile si usa propriamente per indicare gli arti superiori dell’essere umano, nonché il plurale del braccio unità di misura; il maschile in tutti gli altri significati: i bracci della gru, i bracci A e B di un edificio.

• Il budello:
i budelli, le budella.
Il femminile indica le interiora di un animale (o di un essere umano); il maschile invece si usa per ‘passaggi angusti, vicoli stretti’.

• Il calcagno:
i calcagni, le calcagna.
Il maschile indica la parte posteriore del piede, il femminile, disusato, si è cristallizzato in alcune espressioni come stare alle calcagna.

• Il cervello:
i cervelli, le cervella.
Il primo si utilizza come semplice plurale di cervello, il secondo, come per budella, indica la materia di cui è fatto il cervello, specialmente nell’espressione far saltare le cervella.

• Il ciglio:
i cigli, le ciglia.
Il maschile indica l’insieme dei singoli cigli oppure il bordo di una strada ecc.; il femminile si usa per l’insieme delle ciglia degli occhi.

• Il corno:
i corni, le corna.
Il primo si impiega per gli strumenti musicali e per "le estremità" di qualcosa (i corni della luna), il femminile invece per le corna degli animali.

• Il cuoio:
i cuoi, le cuoia.
Il primo per le ‘pelli conciate’, il secondo per ‘"’insieme della pelle umana", praticamente solo nella colorita espressione tirare le cuoia "morire".

• Il dito:
i diti, le dita.
Il maschile si usa quando si fa riferimento alle singole dita: i diti indici delle sue mani, il femminile quando ci si riferisce al loro insieme.

• Il filo:
i fili, le fila.
Il maschile va adoperato nel significato concreto: i fili del telefono ecc., il femminile invece sta per "trama di un ordito" oppure nel senso metaforico di "intreccio": le fila di una congiura ecc. ATTENZIONE! È sbagliato l’uso di fila come plurale di fila "serie, successione", ad esempio nella locuzione, spesso impiegata, (serrare le fila) in luogo del corretto: serrare le file.

• Il fondamento:
i fondamenti, le fondamenta.
Il maschile indica basi: i principi di una disciplina, di un pensiero’ ecc., il femminile designa solo "le strutture su cui poggia un edificio": le fondamenta della casa.

• Il fuso:
i fusi, le fusa.
Il primo indica gli arnesi usati nella filatura, il secondo "il ronfare del gatto" nella locuzione fare le fusa (probabilmente per la similitudine tra il suono prodotto dal gatto e quello del fuso che gira).

• Il grido:
i gridi, le grida.
Il maschile per i versi degli animali (i gridi dei gabbiani), il femminile per "voci o lamenti emessi dagli umani".

• Il labbro:
i labbri, le labbra.
Il maschile si usa per i bordi di una ferita o per i margini superiori di una fontana o similare, il femminile per le labbra della bocca o di altre parti anatomiche.

• Il lenzuolo:
i lenzuoli,le lenzuola.
Il primo designa più lenzuoli presi uno per uno, il secondo la coppia di lenzuola con cui si prepara il letto.

• Il membro:
i membri, le membra.
I membri sono coloro che appartengono a un’associazione, a un gruppo; le membra sono l’insieme delle parti del corpo umano.

• Il muro:
i muri, le mura.
Il maschile per i muri di una casa, o quelli che costeggiano una strada; il femminile per le mura di cinta di una città, oppure per indicare la casa nel suo complesso: stare fra le proprie mura.

• L’osso:
gli ossi, le ossa.
Come per i diti, il maschile sta per vari ossi presi separatamente; le ossa indica l’insieme dell’ossatura umana.

• Lo staio:
gli stai, le staia.
Il primo indica i singoli recipienti per misurare il peso del grano, il secondo l’unità di misura relativa allo staio.

• L’urlo:
gli urli, le urla.
In linea di massima, stessa distinzione che per gridi/grida.

Anche ginocchio ha un doppio plurale: ginocchi/ginocchia, senza alcuna rilevante differenza di significato. Si ipotizza che tra i due plurali ci possa essere una distinzione simile a diti/dita, con il plurale maschile che designa i ginocchi presi singolarmente e quello femminile nel loro insieme, (tuttavia in troppi casi i due usi si sovrappongono l’uno all'altro). Stesso discorso vale per lo strido: gli stridi,le strida e anche: il vestigio (usato anche il singolare vestigie, rifatto arbitrariamente sul modello di effigie): i vestigi/le vestigia.

Vanno inoltre citati alcuni casi di sostantivi che hanno sia un doppio singolare che un doppio plurale, non per forza con differenza di significato.

• Strofa, strofe:
strofe,strofi, senza differenze di significato:

• Orecchio,orecchia:
orecchi, orecchie:
tutte forme corrette, senza differenze di significato.

• Frutto, frutta:
frutti, frutte:
qui le differenze di significato sono molto definite. Il maschile singolare si impiega per il singolo (prodotto delle piante derivato dal fiore) oppure in senso figurato, es.: il frutto delle mie fatiche, e il maschile plurale ne continua tali significati. La frutta designa la categoria alimentare, usato talvolta anche come forma plurale: molte frutta; il corrispondente femminile plurale frutte esiste ma è desueto.
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« IMMAGINE: http://3.bp.blogspot.com/_XGNoscEd3-E/TKt79OqYFUI/AAAAAAAAABc/bfyuSx87p0k/s1600/reflectionbyborahm9.jpg » • Il braccio: i bracci, le braccia. Il femminile si usa propriamente per indicare...
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Quando si usa o non si usa l’Apostrofo?

21 luglio 2011 ore 18:55 segnala


Poiché è frequente la confusione tra Accento e Apostrofo, ecco un elenco di parole che vanno sempre e solo scritte CON APOSTROFO, anche se parlando sembra che siano parole accentate ma scrivendo, bisogna invece tenere conto del loro significato (gli esempi aiutano a comprendere):

da’ – es.: Carla, da’ il libro a Giovanni!
di’ - es.: Mario, di’ con parole tue cosa hai capito
fa’ - es.: Muoviti, fa’ in fretta, perché è tardi
mo’ - es.: Dire a mo’ d’esempio
po’ - es.: Un po’ di pane
sta’ - es.: Marco, sta’ fermo, per piacere!
va’ – es.: Fabio, va’ dritto a casa e non fermarti per strada!

Particolare attenzione va prestata al modo in cui si scrive l’articolo indeterminativo UN / UNO, UNA / UN’ quando la parola che segue inizia con vocale.
Ecco degli esempi:

* un asino raglia, un elefante nella boscaglia, un orso marsicano, un intelligente progetto, un ulteriore rinvio.
In questi casi l’ARTICOLO E’ MASCHILE E NON VIENE APOSTROFATO.

* un’amica sincera, un’edera rampicante, un’orsa e i suoi orsacchiotti, un’ira improvvisa, un’uva molto matura.
In questi casi, poiché l’ARTICOLO E’ FEMMINILE, VIENE APOSTROFATO.

Quando UN / UN’ fanno parte di aggettivo o pronome composto, seguono la stessa regola ortografica.
es.: qualcun altro dica pure queste sciocchezze.
nessun uomo dorma in questi momenti tragici.
qualcun’altra ti amerà più di me?
nessun’altra nuotatrice ha mai vinto quel premio.

ATTENZIONE!
* Non bisogna mai apostrofare la consonante “C” seguita dalle forme verbali del verbo avere inizianti per “ h” oppure davanti a parole inizianti con vocale “a” , “o” , “u”.
Per esempio è sbagliato:
“che c’azzecca” (come dice un certo personaggio!)
“c’ha detto”
“c’udirai” (nel senso di “ci, cioè a noi, ha detto” e “ci udirai, cioè udirai noi”).

La particella pronominale “CI” NON si apostrofa MAI e non conserva suono dolce nei casi suddetti!

* Gli aggettivi TALE e QUALE seguiti da parola iniziante per vocale NON SI APOSTROFANO MAI, neanche se seguiti da parola femminile.
Quando appaiono nella forma TAL o QUAL hanno subito un troncamento, non un’elisione e quindi NON si apostrofano.

* L’articolo maschile plurale GLI si apostrofa SOLO davanti a parola che inizia per
“ i ”
es.: gli inglesi oppure gl’inglesi.
Ma scriveremo: gli amici, gli ospiti, gli uccelli, gli elefanti, eccetera.

E’ appena il caso di ricordare che davanti a “z”, “x”, “gn”, “ps”, “s più consonante” (-s- impura) si usa sempre l’articolo “gli”.
es.: gli zoccoli, gli xenofobi, gli gnocchi, gli gnomi, gli psichiatri, gli psicologi, gli sciocchi, gli spensierati, gli stupidi, eccetera.

* Gli articoli LO e LA si apostrofano davanti a parola iniziante per vocale.
es.: l’angelo, l’esquimese, l’ordine, l’intrigo, l’usciere, l’amica, l’edera, l’organizzazione, l’istrice, l’uva, eccetera.
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« IMMAGINE: http://profile.ak.fbcdn.net/hprofile-ak-snc4/49137_1653576757_6114_n.jpg » Poiché è frequente la confusione tra Accento e Apostrofo, ecco un elenco di parole che vanno sempre e solo scrit...
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DUBBI ED ERRORI PIU’ COMUNI dalla A alla Z (A) continua...

17 luglio 2011 ore 19:11 segnala



a
preposizione, quando è usata come prefisso per comporre parole, richiede il raddoppiamento della consonante: esempio a-lato, allato; a-canto, accanto; a-torno, attorno; a-fondo, affondo; a-dosso, addosso; a-posizione, apposizione, ecc.

Nelle locuzioni avverbiali a mano a mano, a poco a poco, a passo a passo, a corpo a corpo, a spalla a spalla, a tre a tre, a goccia a goccia e simili, la preposizione a deve essere ripetuta per ogni parola; non è raro, però, incontrare locuzioni con una sola a, secondo l'uso francese: gomito a gomito, faccia a faccia, poco a poco, uno a uno, mano a mano, ecc.

Altre espressioni entrate ormai nell'uso sono: spaghetti al sugo, uova al burro, bistecca ai ferri o alla gratella, gelato alla crema, che rientrano nel complemento di mezzo; perciò si dovrebbe dire più correttamente: spaghetti col sugo, uova col burro, bistecca sui ferri o sulla gratella, gelato di crema. Così sono entrate nell'uso le espressioni: alla francese, all'americana, all'antica (sottinteso: maniera), al trotto, al galoppo (che indicano appunto un modo di correre dei cavalli); tuttavia, chi vuole essere assolutamente corretto dirà: di trotto, di galoppo.

Rientrano nel complemento di tempo le espressioni invalse nell'uso: una volta al giorno, al tramonto, a notte alta, alla mattina, alla sera. Altri modi errati sono: a mezzo di (è più corretto dire: per mezzo di), a nome di (in nome di), a nome Giulio (di nome Giulio), insieme a (insieme con).

Francesismo da evitare è l'uso di a con l'infinito nelle espressioni: a riportare, a registrare, a spedire.

In tutti questi casi si dovrebbe usare la preposizione da (da riportare, da registrare, da spedire).

* * *

àbbino
errore comune in certi dialetti; si deve dire: abbiano.

* * *

accento
nella nostra lingua l'accento si segna soltanto nei seguenti casi:

Nelle parole polisillabe:

a) quando l'accento cade sull'ultima sillaba (parole tronche): ad esempio, virtù;

b) quando varia il significato della parola, secondo la sillaba su cui cade l'accento: esempio àncora, ancóra; bàlia, balìa;

c) quando varia il significato della parola secondo che l'accento sia grave o acuto: ad esempio, fóro (buco), fòro (piazza); ésca (nutrimento), èsca (imperativo del verbo uscire), ecc.

Nelle parole monosillabe:

a) quando terminano in dittongo e potrebbero sembrare due sillabe: ciò, può, già, più, ecc. Però qui, qua non si accentano mai, poiché la u è parte integrale del suono della q;

b) quando si debbano distinguere da altri: ché (perché) diverso da che congiunzione; dà (verbo) diverso da da preposizione; là (avverbio) da la articolo; ecc.

* * *

acre
ha il superlativo irregolare: acerrimo. La forma acrissimo non è più usata.

* * *

adempíre
(o adémpiere meno comune) è verbo transitivo e quindi è errato usarlo intransitivamente, con la preposizione a: adempire ai propri doveri; si dovrebbe dire adempire i propri doveri.

* * *

aereo
prefisso adoperato per comporre parole attinenti all'aeronautica. Nell'uso corrente è spesso sostituito da aero: aeroporto invece di aereoporto, aeroplano invece di aereoplano; mai però: areoplano, che è un errore non raro.

* * *

affatto
significa interamente, del tutto; è quindi errato l'uso che alcuni fanno di questo avverbio in senso negativo, quando non sia preceduto da negazione.

Esatto è dire: non mi è affatto simpatico; ma questa stessa frase, senza la negazione, mi è affatto simpatico, significa proprio il contrario: mi è del tutto simpatico.

* * *

affinché e acciocché
sono congiunzioni che introducono proposizioni finali. Reggono sempre il congiuntivo: te lo dico affinché tu possa provvedere.

* * *

affittare
è limitato ai fondi rustici. Da questo verbo derivano affittavolo, fittavolo, ma esso si usa anche per case, botteghe, ecc., per le quali sarebbe più appropriato utilizzare appigionare, locare, dare a pigione.

In ogni modo non significa mai prendere in affitto; quindi, è un grossolano (e frequentissimo) errore dire: io ho affittato un appartamento, per dire che io l'ho preso in affitto.

Tuttavia è nell'uso commerciale la locuzione "affittasi, affittansi". Attenzione: un errore molto comune è quello di usare il verbo al singolare quando il soggetto è plurale.

Ad esempio, è errato scrivere "Affittasi case per l'estate"; la forma corretta è "Affittansi case per l'estate".

* * *

aggettivo
concorda in genere e numero con il nome a cui si riferisce. Però, quando i nomi sono di genere diverso, l'aggettivo va al maschile se si tratta di nomi di persona: Marco e Luisa sono bravi.

Se si tratta di cose o nomi astratti, allora si deve cercare di disporre l'aggettivo in modo che concordi col nome più vicino: il giglio e la rosa odorosa, prati e selve vastissime, vastissimi prati e selve; la virtù e il gènio italiano, oppure si può adoperare il plurale maschile (ad esempio, lo sguardo e la fàccia stravolti, Manzoni).

Se l'aggettivo forma parte del verbo, esso si dovrà mettere al maschile plurale quando è riferito a nomi di diverso genere, anche se inanimati: il giglio e la rosa sono odorosi.

Riguardo alla collocazione dell'aggettivo, è bene tener presente alcune osservazioni di carattere generale.

L'aggettivo si antepone al nome quando ha senso generico o esprime qualità essenziale del nome stesso: il biondo Tevere, gli ottimi vini, le ricche vesti.

Si pospone al nome quando, invece, indica qualità che lo distingua da altri nomi dello stesso genere: vino spumante, tavola rotonda; o quando l'aggettivo sia accompagnato da complementi: uomo illustre per molti meriti.

Taluni aggettivi assumono sfumature di significato diverso secondo la posizione in cui sono collocati. Si noti: un uomo povero e un povero uomo; un bravo figliolo e un figliolo bravo; un gentiluomo e un uomo gentile; un uomo galante e un galantuomo.

* * *

ala ha il plurale irregolare: le ali.

* * *

all'infuori
di modo erroneo di fuori di. E' sconsigliato l'uso di all'infuori di, al posto di : fuorché, eccetto, ad eccezione, ecc.

* * *

ambedue, entrambi, ambo
rifiutano l'articolo, ma lo vogliono sempre dinanzi al nome a cui si riferiscono: ambedue i fratelli, entrambe le donne, ambo le mani.

* * *

ampio
ha il superlativo assoluto irregolare: amplissimo.

* * *

andare
verbo irregolare della prima coniugazione. Attenzione a non cadere nell'errore di dire andiedi, andetti (riprendendo le forme del verbo "dare") invece di andai. Si usa con il gerundio di altro verbo per indicare azione continuata: andava dicendo sciocchezze.

La costruzione del verbo andare con a e l'infinito di un altro verbo per dire che si sta per compiere l'azione indicata da esso, è un francesismo da evitare: si va ad incominciare (più correttamente si dovrebbe dire: si sta per cominciare).

Si può invece costruire il verbo andare con a e l'infinito quando si vuole esprimere una proposizione finale: allora si va a (per) vedere nel tal libro.

* * *

ante (anti)
è una preposizione che, usata come prefisso per comporre parole, richiede dopo di sé la consonante semplice: anteporre, anteguerra, antenato.

Il prefisso anti in alcuni casi significa precedenza: anticamera, antidiluviano; più spesso, invece, indica opposizione, avversione: antipapa, antipodo, antincendio, antiaereo.

* * *

apostrofo
è il segno dell'elisione o dell'apocope; ma mai del troncamento. Quindi è un errore apostrofare un dinanzi a nome maschile cominciante con vocale: un uomo, un animale, perché in questo caso si tratta di troncamento e non di elisione.

Si dovranno apostrofare, invece, un'anima, un'aquila e simili, perché il femminile una si elide e non si potrebbe troncare, appunto perché femminile in a.

* * *

appena
è un avverbio di tempo per indicare azione già compiuta e quindi non va mai usato con un futuro semplice; potrà essere usato con un futuro anteriore: appena avrai fatto questo, ecc.; ma non nel caso di appena farai questo, ecc.

* * *

articolo
si omette davanti ai nomi propri di persona (Carlo è buono); però, nell'uso popolare e familiare, spesso i nomi femminili si fanno precedere dall'articolo (la Lucia, la Giuditta).

Va ricordato che l'articolo si può omettere davanti ai nomi di parentela preceduti da un aggettivo possessivo che non sia loro (mio padre, mia madre), a meno che il nome non sia plurale (i miei fratelli) o preceduto da un aggettivo qualificativo (la mia vecchia nonna), o che il possessivo segua il nome (il padre mio. Col nome mamma o babbo unito al possessivo, si deve mettere sempre l'articolo: la mia mamma, il mio babbo.

Col superlativo relativo è un grave errore ripetere l'articolo quando il nome a cui l'aggettivo si riferisce precede l'aggettivo e abbia già l'articolo: la nazione più gloriosa (e non la nazione la più gloriosa); tuttavia, l'articolo si deve ripetere quando davanti al nome c'è l'articolo indeterminativo (un'alunna la più brava della classe) oppure quando l'aggettivo, anziché essere unito al nome come attributo, svolge
la funzione di predicato (il tuo bambino è il più bello del palazzo).

* * *

articolo partitivo
è usato erroneamente con cose che, essendo solamente due, quando sono usate al plurale non possono essere più prese in parte, ma sono indicate necessariamente tutte: quella signora ha degli occhi bellissimi. Si deve dire semplicemente ha occhi bellissimi.

Se ne avesse più di due, si potrebbe usare il partitivo; ma, avendone due soli, quando si dice ha occhi bellissimi, li si indica già tutt'e due.

* * *

aspro
ha il superlativo assoluto irregolare: asperrimo.

* * *

assisa (tribunale)
fa al plurale assise e non assisi (che è la città di San Francesco).

* * *

ausiliare
i verbi transitivi attivi vogliono sempre l'ausiliare avere. L'ausiliare essere si usa per tutti i tempi della forma passiva (io sono abbandonato), per i tempi composti della forma riflessiva (noi ci siamo aiutati) o pronominale (tu ti duoli).

Si usa altresì con i verbi impersonali (era nevicato, si è combattuto) e nei tempi composti della forma attiva di numerosi verbi intransitivi (siamo venuti, si è recato dalla mamma).

Con i verbi indicanti fenomeni atmosferici si trova anche l'ausiliare avere, specie per indicare un'azione continuata (Aveva diluviato tutta la notte; Ha nevicato tutto il giorno).

I verbi servili (volere, potere, dovere e sapere nel senso di potere) hanno sempre l'ausiliare avere quando siano usati in modo assoluto: io ho voluto, potuto, dovuto; quando invece siano seguiti da un verbo all'infinito, prendono l'ausiliare essere o avere, secondo che voglia l'uno o l'altro il verbo che li accompagna: sono voluto andare; ho voluto mangiare.

* * *

automobile
(abbreviato spesso in auto, alla maniera francese) è femminile, essendo un aggettivo sostantivato, poiché viene sottinteso il nome carrozza, vettura. Quindi si deve dire un'automobile grigia, spaziosa, ecc.

"Automobile è femmina!" disse D'Annunzio, a cui fu richiesto il genere della parola.
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« IMMAGINE: http://digiphotostatic.libero.it/asiettadgl5/med/9b345924fc_1328728_med.jpg » a preposizione, quando è usata come prefisso per comporre parole, richiede il raddoppiamento della consonante...
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17/07/2011 19:11:02
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DUBBI ED ERRORI PIU’ COMUNI dalla A alla Z (B) continua...

17 luglio 2011 ore 19:02 segnala


babbo
quando è unito a un aggettivo possessivo vuole sempre l'articolo: il mio babbo; è un errore dire mio babbo. Si potrà invece dire mio padre.

* * *

barabba
resta invariato al plurale: i barabba.

* * *

barbarie
nome femminile che resta invariato nel plurale: le barbarie.

* * *

belga
al plurale fa irregolarmente belgi; ma il femminile è regolare, belghe.

* * *

bello
si elide dinanzi a vocale e si tronca davanti a consonante, purché non sia s impura, z, gn, ps (oppure l'aggettivo non sia posposto al nome): bell'azione (però anche bella azione), bell'animale; bel consiglio, bel libro. Negli altri casi va detto: bello gnomo, bella psicologa, bello scopo, libro bello.

Al plurale: begli davanti a vocale, s impura, z, gn, ps; bei davanti alle altre consonanti; belli, quando è posposto al nome ed è usato come predicato nominale. Ad esempio, begli occhi, begli scherzi, begli zaini; bei cavalli, bei sandali; giovani belli; tutti gli sport sono belli. Al femminile: bella, belle.

* * *

benché
congiunzione che introduce una proposizione concessiva. Preferisce il verbo al congiuntivo, salvo rare eccezioni in poesia: benché tu sia stanco, ora devi partire; dimagriva sempre, benché mangiasse molto. Un esempio di eccezione poetica: "Benché la gente ciò non sa né crede" (Petrarca).

* * *

benedivo
forma errata di benedicevo, perché il verbo è un composto di dire che fa dicevo nell'imperfetto indicativo. E così è anche erroneo benedissi per benedicessi, nell'imperfetto del congiuntivo. Benedissi è voce del passato remoto.

* * *

benéfico
ha il superlativo assoluto irregolare: beneficentissimo.

* * *

bisognare
è un verbo impersonale. Quando si costruisce con l'infinito, rifiuta ogni preposizione: bisogna lavorare, bisogna partire.

E' pure costruito con la particella pronominale che esprime la persona a cui bisogna qualcosa, mentre ciò di cui si ha bisogno è rappresentato dal soggetto: ti bisognava il nostro aiuto; mi bisognano mille euro.

* * *

boia
è uno dei pochi nomi maschili terminanti in a. Resta invariato al plurale: i boia.

DUBBI ED ERRORI PIU’ COMUNI dalla A alla Z (C) continua...

17 luglio 2011 ore 18:59 segnala


camera
è soltanto la stanza da letto. E' quindi errato dire la camera da pranzo, si dirà la sala da pranzo. Ed è anche sconsigliabile, perché pleonastico, dire la camera da letto.

Invece di "alloggio di sette camere", si dovrebbe dire "alloggio di sette vani, locali, stanze".

* * *

canocchiale è la forma scorretta di cannocchiale.

* * *

celebre ha il superlativo assoluto irregolare: celeberrimo.

* * *

celibe al femminile fa nubile.

* * *

che
pronome relativo, che può essere usato solo come soggetto o come complemento oggetto: Il libro che mi hai dato (complemento oggetto); Il ragazzo che parla (soggetto).

Per gli altri complementi si dovrebbero usare le forme del pronome relativo: il quale, la quale, cui, i quali, le quali. Tuttavia, si può usare ancora che in funzione di altro complemento:

a) per indicare circostanza temporale: nell'anno che (= in cui) nascesti;

b) nelle comparazioni, quando il verbo sia sottinteso: tu soffri dello stesso male, che (di cui soffro) io;

c) quando si riferisce ad un'intera frase con valore neutro e significa la qual cosa; nel qual caso prende di solito l'articolo: tu non studi, del che io mi dolgo; ti sei messo a lavorare: il che è giusto.

* * *

che
congiunzione, da non confondersi col pronome relativo. Dopo il comparativo si può usare che o la preposizione di. (Vedere COMPARATIVO).

* * *

che bello!
modo errato dialettale dell'Alta Italia. Si deve dire: Che cosa bella! o Come è bello!

Il che esclamativo è un aggettivo e perciò non si può usare senza un nome.

* * *

chiunque
è pronome indefinito ma anche relativo; perciò è un errore usarlo in modo assoluto, senza cioè che stia a congiungere due proposizioni: lo dirò a chiunque; in questo caso, bisogna dire lo dirò a chicchessia. Invece esso è usato correttamente nella frase: lo dirò a chiunque vorrà sentirmi.

* * *

ci
è particella pronominale che significa a noi; qualche rara volta, nel linguaggio familiare, può anche significare con lui, da lui: non ci discorro, con lui; non ci vado, da lui. Costituisce un grave errore usarlo, come molti fanno, nel significato di a lui, a lei, a loro: ci dico invece di gli dico, le dico, dico loro.

* * *

cia
i nomi femminili terminanti al singolare in cia (senza l'accento sull' i) hanno il plurale in cie quando la c è preceduta da vocale (audacia, audacie; fiducia, fiducie; socia, socie); in ce, quando la c è preceduta da consonante (faccia, facce; guancia, guance; quercia, querce).

* * *

codesto
va usato solo quando si riferisca veramente a persona o cosa vicina a chi ascolta, cioè alla seconda persona. In Toscana di solito si è precisi nell'uso di codesto.

* * *

cognomi
restano invariati nel plurale: i Savoia, i Colonna, gli Orsini. Salvo che negli elenchi in ordine alfabetico, si pospongono sempre al nome: Vittorio Alfieri, Alessandro Manzoni, Giovanni Verga.

I cognomi di persone illustri vogliono, di regola, l'articolo: il Petrarca, il Manzoni.

Ma nell'uso corrente possono non essere preceduti dall'articolo: Dante, Boccaccio, Petrarca; le musiche di Verdi; gli scritti di Mazzini. I cognomi vogliono sempre l'articolo quando si riferiscono a donne: Oggi ho visto la Rossi; Ha telefonato la Bianchi.

* * *

collo
e similmente colla, cogli, colle sono forme errate di preposizioni articolate, poiché la preposizione con si fonde solo con gli articoli il, i, formando le voci col, coi; con gli altri articoli non si fonde bene e, pertanto, è più corretto scrivere separatamente con lo, con la, con gli, con le.

* * *

come
se il secondo termine di paragone è un pronome, va usato nelle forme del complemento oggetto (me, te, lui, lei, loro): Sei bravo come me.

Seguito da se e il congiuntivo, equivale a quasi che: Parla come se avesse vinto.

* * *

comparativo
nei comparativi di maggioranza o di minoranza, in relazione a più o a meno si deve usare:

a) la preposizione di, quando segue un nome: Giulio è più buono di Carlo; Carlo è meno buono di Giulio;

b) la congiunzione che in tutti gli altri casi: Egli è più generoso che cattivo; è un affare meno utile che rischioso.

* * *

con
dopo il con deve essere evitato l'articolo partitivo: ci vado con amici, con alcuni o con certi amici, e non con degli amici, che è una espressione poco gradita ai grammatici.

* * *

concordanze
il predicato verbale concorda col soggetto nel numero e nella persona (io canto, noi cantiamo).

Nei tempi composti il participio concorda anche nel genere se l'ausiliare è essere (Maria si è alzata) e non concorda né in genere né in numero se l'ausiliare è avere (le rose hanno profumato la stanza).

Se una proposizione ha più soggetti, alcuni dei quali espressi dai pronomi personali, il predicato verbale deve avere la prima persona plurale se c'è un soggetto di prima persona, la seconda plurale se c'è un soggetto di seconda persona (tu ed io andremo a casa; io e lui partiremo domani; tu e lui studiate).

Anche se la forma può suscitare perplessità, nella Grammatica di Fernando Palazzi si legge che i verbi impersonali possono restare al singolare sebbene siano seguiti da un soggetto al plurale (c'è degli uomini che vivono a lungo; or fa dieci anni).

Il predicato resta al singolare, sebbene i soggetti siano più, quando questi siano considerati separati dalle congiunzioni disgiuntive o, né (né la minaccia né la lusinga valse a fermarlo), oppure quando i due soggetti siano uniti dalla preposizione con (egli coi suoi amici venne a trovarci).

Quando il soggetto è un nome collettivo seguito dal complemento di specificazione, il predicato può essere messo al plurale e concordare col complemento (un'intera squadra di atleti erano partiti per le gare).

Il participio dei verbi composti con l'ausiliare avere concorda col complemento oggetto quando questo è preposto al verbo e non concorda se è posposto (egli ha scoperto molte cose; molte cose ha scoperte).

* * *

contra
è un prefisso che, adoperato per la formazione di parole, richiede il raddoppiamento della consonante iniziale nella parola a cui si premette, purché non sia s impura, z, x, gn, ps : contraddire, contrapporre.

* * *

contravvenzione
elevare una contravvenzione è espressione poco corretta; meglio: intimare, contestare una contravvenzione.

* * *

contro
preposizione impropria, che regge il termine direttamente o per mezzo delle preposizioni a o di (quest'ultima è d'obbligo con i pronomi personali): contro il muro, contro al muro; contro di te, contro di noi.

* * *

convenire
nel senso di mettersi d'accordo vuole l'ausiliare avere: abbiamo convenuto che questa è l'unica via da seguire.

Nel senso di giovare, bisognare, vuole l'ausiliare essere e rifiuta la preposizione di, quando si costruisca con un infinito: ci è convenuto partire subito.

* * *

correre
e tutti gli altri verbi di moto vogliono l'ausiliare avere, quando l'azione è considerata in sé; vogliono invece l'ausiliare essere quando l'azione è considerata in rapporto ad una mèta: ho corso a lungo; sono corso a Roma, dal medico.

* * *

cosa
nelle interrogazioni dirette o indirette si usa unito al che: Che cosa dici?, Voleva sapere che cosa io facessi di bello. Ma è entrata nell'uso anche la forma abbreviata:

Cosa dici?, Voleva sapere cosa facessi di bello.

* * *

cui
pronome relativo usato come complemento, sempre preceduto da preposizione. Non può essere adoperato né come soggetto, né come complemento oggetto.

Perciò può essere sostituito dalle forme composte del pronome relativo (il quale, la quale, i quali, ecc.), ma mai da che: Ho visto lo spettacolo di cui eri entusiasta; Mi hai indicato l'uomo con cui dovrò parlare; Ecco la persona a cui (o semplicemente cui) alludevo.

Deve fare a meno della preposizione di, quando sia frapposto tra l'articolo e il nome cui l'articolo si riferisce: il cui padre, la cui madre, i cui fratelli; mentre sarebbe un errore dire il di cui padre, la di cui madre, i di cui fratelli.

Non si può usare in senso neutro, cioè sottintendendo la parola cosa e riferendolo a un concetto o ad un'intera proposizione; pertanto è errore dire: siete stati buoni, per cui vi offrirò un gelato; più correttamente si dovrebbe dire e perciò vi offrirò un gelato.

DUBBI ED ERRORI PIU’ COMUNI dalla A alla Z (D) continua...

17 luglio 2011 ore 18:51 segnala


da
preposizione usata irregolarmente al posto della preposizione di nelle frasi festa da ballo, messa da requiem, biglietto da visita, coperto dalla neve; tuttavia, tali espressioni sono ormai entrate nell'uso e sono comunemente accettate.

Da non si apostrofa mai, tranne che in alcune locuzioni avverbiali, come d'altro lato, d'altronde, d'ora in poi.

Quando questa preposizione è usata come prefisso per comporre parole, richiede il raddoppiamento della consonante iniziale della parola a cui si premette: dabbene, daccapo, daccanto, dapprima.

* * *

dare
verbo irregolare. E' erroneo dire dassi, dasti, dammo, daste, invece delle forme corrette dessi, desti, demmo, deste. Poco corretto è dire dar dentro a fare una cosa, per mettercisi di proposito; peggio è dire dar fuori, per scattare, impazzire.

* * *

datare
non va usato intransitivamente per indicare "cominciare da un tempo determinato": a datare da oggi. Invece, si dirà invece: incominciando da oggi, a partire da oggi.

* * *

difensore fa al femminile difenditrice.

* * *

dinanzi
è erroneo scrivere (come molti fanno) dinnanzi, poiché la voce è composta dalla preposizione di che non richiede raddoppiamento e da nanzi.

* * *

dio
ha il plurale irregolare Dei. E irregolarmente al plurale vuole l'articolo gli invece di i: la forma corretta è gli Dei.

* * *

dipendenza (in)
è una espressione scorretta dire: in dipendenza di, invece di in conseguenza di: In dipendenza di ciò (più correttamente si dovrebbe dire "in conseguenza di ciò") sei stato esonerato dal servizio.

* * *

discorso indiretto
il passaggio dal discorso diretto a quello indiretto implica un cambiamento nei verbi delle proposizioni dipendenti, secondo le seguenti regole:

1) l'indicativo presente del discorso diretto diventa indicativo imperfetto nel discorso indiretto: Carlo disse: "Vado al cinema". Carlo disse che andava al cinema;

2) un tempo passato del discorso diretto diventa trapassato prossimo dell'indicativo nel discorso indiretto: Mio padre diceva: "Ho sempre rispettato i miei superiori". Mio padre diceva che aveva sempre rispettato i suoi superiori;

3) l'imperativo o il congiuntivo esortativo del discorso diretto diventano congiuntivo imperfetto o infinito presente nel discorso indiretto: Il maestro ci ordinò: "Studiate e meditate". Il maestro ordinò che studiassimo e meditassimo, oppure: Il maestro ordinò di studiare e di meditare;

4) il futuro del discorso diretto diventa condizionale passato nel discorso indiretto: Lucio annunziò: "Partirò domani". Lucio annunziò che sarebbe partito domani.

Le altre proposizioni si regolano come nel discorso diretto.

* * *

disegnamo
voce erronea per disegniamo, poiché ignora la corretta desinenza "iamo" richiesta dai verbi della prima coniugazione (prima persona plurale).

* * *

dittongo mobile
sono chiamati dittonghi mobili uo, ie perché, quando su di essi non cade l'accento, si semplificano in o ed e. Quindi si dovrebbe scrivere: buòno, giuòco, sièdo, piède, mièle e bonissimo, giocava, sedeva, pedestre, pedata, melato.

Le sole eccezioni sono rappresentate dai verbi vuotare e nuotare che conservano il dittongo anche nelle voci in cui non cade l'accento, per distinguerle dalle voci simili dei verbi votare, notare; nonché dai verbi mietere e presiedere: nuotava, vuotava, mieteva, presiedeva.

* * *

dovere
quando è in funzione di verbo servile, si coniuga con l'ausiliare del verbo che accompagna: E' dovuto partire; Era dovuto andare; Ho dovuto bere.

Con i verbi riflessivi sono ammesse due costruzioni: Ho dovuto pentirmi, oppure: Mi son dovuto pentire.

* * *

dovunque
è un avverbio relativo ed è pertanto erroneo usarlo in frasi non relative, come un semplice avverbio locale. Si dovrà dire: dovunque tu sia, saprò trovarti; l'ho cercato dappertutto e non dovunque.
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