UNA GIORNATA AL VILLAGGIO

22 ottobre 2011 ore 22:49 segnala
"Dalle Novelle di Madonna Alessandra"
(di Messer Luca da Sassoferrato 1452 – 1519)


Cap. 1 – SEBASTIANO.

Mentre due guardie gigantesche lo trascinavano lungo le scale che conducevano alle segrete del castello, il povero Sebastiano meditava su quello che gli era piovuto sulla testa. Come era stato possibile? Come potevano accadere cose così terribili?
Quella mattina si era svegliato così contento per la visita della contessina nel suo villaggio. Aveva interrotto, come tutti del resto, il lavoro nei campi per correre ad ossequiare la beneamata Signora.
E poi era successo. Proprio al passaggio del corteo, mentre tutti attendevano impazienti, qualcosa dietro di lui aveva attirato la sua attenzione, si era voltato per un momento, si era distratto e così era rimasto colpevolmente ritto mentre tutti gli altri si inginocchiavano.
Quando si era accorto dello sbaglio ormai era troppo tardi. In pochi istanti due armigeri, che camminavano a fianco della carrozza, lo avevano raggiunto e trascinato via in catene.
A nulla era servito giustificarsi, piangere, dimenarsi. Erano stati irremovibili. Adesso, sporco e malnutrito, in una angusta cella che puzzava terribilmente di escrementi e di vomito, si chiedeva con angoscia: Messer Luigi da Pontemarconi sarebbe riuscito a salvarlo?


Cap. 2 – MESSER LUIGI.

Nell’anticamera della Sala del Consiglio, Luigi da Pontemarconi era visibilmente a disagio.
La seduta della seggiola era come se fosse piena di chiodi che gli pungolavano le natiche, impedendogli di stare fermo.
Le due guardie armate di alabarde, che stavano ai lati della porta, non gli toglievano gli occhi di dosso, neanche fosse un ladruncolo.
E poi, cosa avrebbe potuto rubare? L’arazzo di venti metri quadrati appeso alla parete? I portacandele d’argento alti più di due metri a forma di puttini che erano intorno agli stipiti? Suvvia! In ogni caso si sentiva tremendamente a disagio.
Come aveva potuto prendere le difese di quello zotico? (Sebastiano gli sembrava di ricordare). Come aveva potuto andare a cacciarsi in quella brutta situazione?
Il perché lo sapeva bene. Si era lasciato convincere da Lisetta, la figlia diciassettenne del villico.
Ah! Lisetta, Lisetta! La natura l’aveva formata proprio per il piacere dell’uomo. Era da qualche mese che lui si trastullava con la giovinetta tutta curve e vestiti succinti.
A dire la verità, non è che fosse particolarmente intelligente ma nell’intimità dimostrava partecipazione, fantasia e spirito d’iniziativa…
Beh! La settimana precedente, all’apice del piacere, mentre lui sbuffava come il mantice di una fornace, Lisetta gli aveva strappato la promessa che avrebbe aiutato il padre. E così era rimasto fregato!
Quando l’indomani mattina lo aveva comunicato a suo padre Umberto, stimato Notabile di Offida, questi dapprima si era infuriato, poi aveva cominciato ad ansimare e quindi aveva avuto un malore.
Dopo essersi ripreso, lo aveva messo in guardia dall’ira della Contessa. La colpa di quello zotico era gravissima e sicuramente meritava una punizione esemplare ma, con un po’ di fortuna, forse avrebbe potuto salvare la testa…


Cap. 3 – IL VERDETTO.

Erano passate due ore e ancora nulla. Brutto segno.
Poi, ad un tratto, la porta si era spalancata, un paggio gli aveva fatto cenno e lui, un po’ esitante, era entrato nel salone.
Seduta sul suo trono, circondata da uno stuolo di lacchè, Madonna Alessandra lo scrutava altera …
Dopo un inchino così profondo che i suoi capelli avevano sfiorato il pavimento, era stato invitato a parlare.
Aveva cercato di argomentare meglio che poteva la difesa dell’uomo: aveva insistito sul fatto che era anziano, che il suo udito non era più quello di una volta, che la dedizione per Madonna Alessandra era assoluta, ma il Ciambellano, che rispondeva al posto della Contessa, era stato inamovibile.
La situazione sembrava compromessa.
Poi aveva avuto un’idea geniale che avrebbe salvato il bifolco dal patibolo e lui da una contadina che stava diventando un po’ troppo appiccicosa.
""Una vita per una vita!"" Aveva quasi gridato, rivolgendosi direttamente a Sua Signoria. ""Salva la vita del padre e servitù a vita per la figlia!""
Con un leggero, enigmatico sorriso, Monna Alessandra (che sicuramente era a conoscenza della sua tresca) aveva detto semplicemente: ""Sia!"" facendogli capire, con un leggero movimento della mano, che poteva allontanarsi.
E così, mentre prostrandosi lasciava l’udienza, rifletteva sul fatto che, alla fine, erano tutti felici e contenti: Sebastiano era di nuovo in libertà, la Contessa aveva una nuova e giovane serva e lui si era liberato finalmente di Lisetta.
Ah, Lisetta… Beh! Mettere gli occhi su un Pontemarconi!
Al servizio di Monna Alessandra, sicuramente avrebbe avuto tutto il tempo per meditare sulle sue ambizioni…
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"Dalle Novelle di Madonna Alessandra" (di Messer Luca da Sassoferrato 1452 – 1519) Cap. 1 – SEBASTIANO. Mentre due guardie gigantesche lo trascinavano lungo le scale che conducevano alle segrete del castello, il povero Sebastiano meditava su quello che gli era piovuto sulla testa. Come era stato...
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LA POZIONE MIRACOLOSA

06 settembre 2011 ore 20:37 segnala
Dalle “NOVELLE DI MADONNA ALESSANDRA”
(di Messer Luca da Sassoferrato 1452 – 1519)

Jacopo Pisani Stozzi era il medico di corte da oltre trent’anni, dapprima al servizio del Conte Rolando e poi della figlia Alessandra.
Una volta al mese, su ordine diretto di quest’ultima, visitava nel castello la povera gente, che per l’occasione, giungeva da tutti i villaggi della contea.
Si dilettava di chimica e alchimia con notevoli risultati e preparava pozioni, pomate e unguenti che avevano proprietà terapeutiche ormai sperimentate.
Quando si era sparsa la notizia che la Signora avrebbe donato una goccia del suo nobile sangue per preparare un unguento prodigioso, frotte di donne di tutte le età erano arrivate nel villaggio.
In molti casi nemmeno un miracolo avrebbe potuto renderle attraenti, ma per la maggior parte di loro si prospettavano cambiamenti significativi.
Il cerusico aveva già in mente di combinare il sangue purissimo della contessina, la cui bellezza toglieva il respiro, con l’acqua che sgorgava da una montagna in un borgo lontano chiamato Pergola (che si diceva avesse poteri straordinari).
L’ultimo componente sarebbe stato la cenere dei fuochi accesi durante la processione per l’Immacolata Concezione, raccolta e conservata nella Curia Vescovile di Ancona.
Dopo una notte di lavoro, il composto era pronto.
Le donne, ordinatamente in fila, aspettavano il loro turno. Alle prime luci del giorno, già le prime uscivano sorridenti. I mariti, i padri, i fratelli in attesa non credevano ai loro occhi.
Il cambiamento, in molti casi, era così drastico da far pensare ad uno scambio di persona. Molti cadevano in ginocchio, pregando in lacrime.
"Miracolo! Miracolo!", "Evviva Madonna Alessandra!", "Evviva Sua Signoria!", "Lunga vita alla Contessina!", erano queste le esclamazioni che si levavano alte verso il cielo.
La processione era continuata un giorno e una notte.
Nessuna aveva atteso invano. Nessuna era rimasta delusa…


(segue)
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Dalle “NOVELLE DI MADONNA ALESSANDRA” (di Messer Luca da Sassoferrato 1452 – 1519) Jacopo Pisani Stozzi era il medico di corte da oltre trent’anni, dapprima al servizio del Conte Rolando e poi della...
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IL PRELIEVO

06 settembre 2011 ore 13:21 segnala
(segue)

IL PRELIEVO
Dalle “NOVELLE DI MADONNA ALESSANDRA”
(di Messer Luca da Sassoferrato 1452 – 1519)

Madonna? Il medico di corte vorrebbe prelevare una stilla del vostro sangue.
Gli necessita per poter preparare, sapientemente diluito, un unguento della bellezza.
Molte sue pazienti, invero, sono un po’ bruttine e trarrebbero giovamento certo dall’applicazione del medicamento.
Mi garantisce, altresì, che nessuna potrebbe mai lontanamente eguagliare la beltà di Vostra Signoria.
Il vostro umile servitore.


(segue)
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(segue) IL PRELIEVO Dalle “NOVELLE DI MADONNA ALESSANDRA” (di Messer Luca da Sassoferrato 1452 – 1519) Madonna? Il medico di corte vorrebbe prelevare una stilla del vostro sangue. Gli necessita per...
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Le "Novelle di Madonna Alessandra"

01 settembre 2011 ore 20:57 segnala
A te che leggi.
Devi sapere che stamani, curiosando nel cassetto di una antica scrivania avuta in eredità da un mio bisnonno, ho trovato un vecchio pennino per scrivere ed una boccetta di colore nero.
Spinto dalla curiosità, ho voluto provare come si scrivesse tanti anni fa.
Mi sono seduto, ho preso un foglio di carta completamente bianco, anzi per la verità un pò ingiallito dal tempo, ho svitato, a fatica il tappo, ho intinto leggermente la punta nel liquido viscoso e con la mano tremolante e la mente che vagava per suo conto ho cominciato a tracciare a caso, senza un disegno preciso, delle linee su quello spazio incontaminato...
Quando mi sono ripreso, non so quanto tempo fosse passato, sotto ad alcuni segni sconclusionati, vi erano delle frasi, scritte con uno stile tutto svolazzante che...

LE NOVELLE DI MADONNA ALESSANDRA
(di Messer Luca da Sassoferrato 1452 – 1519)

Buongiorno Madonna Alessandra, Contessa di Ancona e Fermo, Signora di Camerata Picena, Polverigi, e Offagna.
Possa Domine Iddio illuminare il Vostro cammino verso la conoscenza e la verità.
Il vostro umile servitore, Luca da Sassoferrato.
______

Madonna Alessandra? Alcuni villici dei vostri possedimenti mi hanno pregato di sottoporVi una supplica.
Vorrebbero che al termine delle lezioni di canto, che tenete presso la Schola Cantorum del Convento di Agugliano, passaste nei villaggi a benedire i pargoli nati di recente ed i campi seminati.
Sono certi che la Vostra benevolenza farebbe crescere sani i primi e preserverebbe i secondi dalla nebbia e dalle prime gelate di quest’inverno che incalza.
Vostro devotissimo, Messer Luca.
________
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A te che leggi. Devi sapere che stamani, curiosando nel cassetto di una antica scrivania avuta in eredità da un mio bisnonno, ho trovato un vecchio pennino per scrivere ed una boccetta di colore...
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Il mio Angelo

05 luglio 2011 ore 12:28 segnala
Ricordi felici, lontani...
ricordi che ogni momento si accendono nella mia mente...
la vita ha calpestato i miei sogni.
Di essi ne rimane uno splendido ed odiato...
dolce ed aspro, lontano ed indimenticabile ricordo.
Il sole accende i ricordi...
ricordi che se ne vanno piano ma che sempre rimarranno nel mio cuore .
Cadi, cadi...non riesci a rialzarti...
è la paura che ti invade il cuore. Non ti fà muovere, non ti fà vivere: è la morte dell'anima...
La solitudine è un bellissimo posto da visitare,
ma un pessimo posto in cui vivere...
Nessuno può farti più male di quanto tu possa farne a te stesso...
io cercherò di non smettere mai di sognare...
percorro con fatica questo tunnel oscuro ma in fondo ad esso vedo la luce...
e la mano di un Angelo che mi ha trovato...
Un Angelo che mi accompagna ogni giorno lungo il mio cammino...
che mi fà ritrovare il sorriso anche quando è difficile sorridere...
che mi dà tanto senza volere nulla in cambio...
che mi aiuta a vivere e a cercare di vedere le cose belle della vita.
Alla fine il mio Angelo riesce sempre a farmi tornare il sorriso...
e a farmi sentire la sua presenza accanto a me...
fino a quando lo incontrerò al termine della mia vita.
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Ricordi felici, lontani... ricordi che ogni momento si accendono nella mia mente... la vita ha calpestato i miei sogni. Di essi ne rimane uno splendido ed odiato... dolce ed aspro, lontano ed...
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Memole, folletto gentile.

06 giugno 2011 ore 21:26 segnala
Ieri sera sul tardi, sicuramente ben oltre la mezzanotte, ero seduto davanti alla mia scrivania cercando disperatamente l’ispirazione per un nuovo romanzo.
Tenevo la penna tra le dita e la mano appoggiata su un foglio desolatamente bianco perché, come ormai mi accadeva da tempo, le idee sembravano essere fuggite via dalla mia mente.
Sul comò vicino alla porta, una pila di fatture e bollette non pagate mi ricordavano continuamente la necessità di inviare un nuovo lavoro, almeno decente, al mio editore.
All’improvviso ho sentito un soffio di vento che mi ha scompigliato i capelli.
Istintivamente ho girato la testa verso la finestra, convinto di averla lasciata aperta, ma questa era chiusa regolarmente.
Quando ho rivolto lo sguardo di nuovo in avanti, l’ho vista, sul tavolo vicino alla lampada.
Da principio, non mi sono reso conto di cosa fosse quella piccola figura, abbigliata in modo così strano, capelli viola appena coperti da un buffo cappello a punta sulla testa.
Una … bambina? Troppo piccola. Appena qualche centimetro, forse dieci o quindici, non di più.
Mi fissava sorridendo e il suo sorriso mi trasmetteva una sensazione di serenità e di calma.
Dopo il primo attimo di esitazione, ma anche di spavento, visto che avevo sobbalzato finendo quasi giù dalla sedia, mi sono fatto coraggio e l’ho salutata.
“Ciao piccola” ho detto con un filo di voce, “Sono Luca, tu chi sei? Come ti chiami?”
“Memole” mi ha risposto una vocina leggera e vibrante come un’ala di libellula, “sono un folletto del bosco, non avere paura”.
Poi ha allungato una mano verso di me. Una mano così piccola che a stento potevo individuare tutte le dita. Istintivamente ho proteso la mia verso di lei e quando le nostre mani si sono toccate…
Dapprima ho sentito un brivido, come una piccola scossa elettrica, quindi un formicolio su tutto il corpo.
Poi qualcosa dentro di me ha cominciato a mutare. Non riuscivo a capacitarmi di cosa mi stesse succedendo…non era possibile…non volevo credere a quello che stava accadendo…
Stavo rimpicciolendo! Diventavo più piccolo a vista d’occhio e senza alcun dolore, giramento di testa o altre spiacevoli sensazioni.
In pochi secondi eravamo l’uno di fronte all’altra su quella, che fino a poco prima era la mia piccola scrivania ed ora, da quella insolita prospettiva, assumeva dimensioni gigantesche.
Memole rideva, ma non di una risata di scherno nei miei confronti, piuttosto di piacere per il mio stupore. Aveva un odore strano, un odore che rimandava la mia mente a quando mia madre mi portava a giocare nella pineta vicino al mare. Uno odore di resine, di pino, di fiori di campo…
“Sei pronto per viaggiare?” mi aveva detto poi all’improvviso, “Come viaggiare?”, avevo risposto io tra lo stupito e il preoccupato.
Allora, dopo avere aperto un piccolo ombrellino giallo, aveva proseguito: “Teniamoci per mano, chiudi gli occhi e libera la mente”. “Mi raccomando non guardare, qualunque cosa tu senta”.
Allora ho chiuso gli occhi, ancora inquieto per tutta quella situazione. La mano di Memole era calda e la sua presa sicura. Poi, improvvisamente, mi sono sentito sollevare; ero leggero come una piuma e un’aria fresca mi accarezzava il viso, come se mi librassi nel vuoto.
La tentazione era così grande che non ho potuto fare a meno di socchiudere gli occhi. Ma…com’era possibile! Volavamo! Eravamo sospesi in una specie di lungo e sinuoso tunnel trasparente, un tunnel senza pareti, fatto solo di aria. Era come un grande scivolo vorticoso e insieme a noi si muovevano all’interno tante…non capivo bene, ma sembravano stelline colorate.
Al di là di quel turbinio luccicante si intravvedevano, nel buio della notte, colline, ruscelli, villaggi addormentati. Ormai gli occhi erano spalancati e mi godevo appieno quello spettacolo stupefacente. “Occhi chiusi!” aveva sentenziato Memole ed io avevo obbedito a malincuore.
Dopo poco, senza che ci fosse stato alcun preavviso, il mio corpo era diventato di nuovo pesante e all’improvviso avevamo iniziato a precipitare. Stavamo cadendo…e poi…puff! Siamo atterrati in una piccola radura, per fortuna sopra ad cespuglio. Che dolore però! Per buona combinazione, i rami e le foglie avevano attutito la caduta, ma comunque mi sentivo tutto indolenzito.
“Sbrigati che dobbiamo fare un bel po’ di cammino”, aveva detto il folletto, cominciando a camminare verso quello che sembrava l’inizio di un bosco fittissimo.
“Dove andiamo?” - avevo chiesto io - “Seguimi senza fare troppo rumore, il bosco che stiamo per attraversare non è popolato solo da spiriti gentili come me…”
Dopo questa frase sibillina, che mi aveva un po’ preoccupato, avevo proseguito in silenzio dietro a Memole, seguendo i suoi passi tra la vegetazione che si faceva sempre più fitta.
Alberi giganteschi si stagliavano nella notte quasi assoluta. Tenui raggi di luna filtravano a tratti tra le fronde e le chiome.
Dopo un cammino che mi era sembrato molto lungo, alla fine eravamo arrivati ai piedi di una quercia gigantesca che sembrava essere lì da secoli.
“Eccoci arrivati”, aveva detto il folletto. “Adesso fai attenzione perché la discesa sarà un po’ difficoltosa”. Così dicendo, aveva scostato un grosso arbusto che si trovava vicino ad una radice della quercia, mostrando un passaggio che era celato. “Dobbiamo scendere di là. E’ buio, quindi dammi la mano”.
In silenzio avevo preso la mano di Memole e mi ero lasciato guidare all’interno di quel passaggio buio come la pece. C’era una specie di scala che si protendeva verso il basso e noi l’avevamo imboccata ad una passo sostenuto, il che denotava la familiarità del folletto con quel percorso.
Dopo alcune centinaia di gradini, sempre facendo attenzione a non scivolare, avevo cominciato ad intravvedere un chiarore in fondo al cammino. Si, era una luce, che diveniva mano a mano più forte.
E alla fine eravamo arrivati in fondo. Quel tunnel buio e lungo finiva in un grande salone sotterraneo, illuminato da tantissime piccole luci. Ma come poteva esserci luce, se ci trovavamo sotto terra? No! Impossibile, le luci si… muovevano in continuazione…lucciole??? Migliaia di lucciole, con la loro luminescenza opaca davano a tutto l’ambiente un’atmosfera nebulosa.
Neanche il tempo di meravigliarmi che un gruppo di altri…Memole, simili ma non uguali, alcuni giovani, alcuni anziani, maschi e femmine, mi erano venuti incontro, mi avevano circondato e scrutato attentamente.
Memole, quella vera, mi aveva presentato come Luca, un amico del “mondo di là” (evidentemente questo era il modo che loro usavano per indicare il nostro mondo) e di rimando avevano cominciato a dire i loro nomi: Popi, Grazia, Mariel, Oscar, Piwy, Barba, Cinzia, Nicky, Bemolle, Arsenio, Ermelinda, Michel….. e tanti altri che non ricordo più.
Poi la mia guida aveva detto: “Vuoi vedere come viviamo qui?” E mi aveva sottratto alla curiosità di tutti, prendendomi sotto braccio e trascinandomi quasi di peso verso il centro dell’immenso antro.
All’inizio, un po’ accecato per il passaggio dal buio quasi assoluto alla luce, non vi avevo fatto caso, ma ora si vedeva chiaramente che le pareti della grande caverna erano tappezzate da quelli che a prima vista potevano sembrare dei buchi, ma che ad una osservazione più attenta, risultavano essere le entrate di altrettanti alloggi.
C’erano mamme che stendevano il bucato, che spazzavano o cucinavano, bambini che giocavano, artigiani che intagliavano il legno o modellavano ceramiche… insomma un microcosmo in cui sembrava che ognuno avesse il suo compito ben preciso.
Non smettevo di meravigliarmi e la mia bocca era perennemente spalancata in un moto spontaneo di stupore…
Il tempo scorreva veloce perché mi sentivo sereno e rilassato… ma quanto tempo in realtà era passato? Non saprei. All’improvviso era ora di cena (o pranzo?) e al centro della grande sala già si stava apparecchiando un banchetto in mio onore.
Il folletto più anziano, che indossava una giacca verde, ornata con un bordino dorato, si era seduto a capo tavola ed io alla sua destra, con Memole vicino a me.
Il cibo era buono ed io avevo mangiato e bevuto di gusto, ascoltando i discorsi dei commensali e gli aneddoti che riguardavano la vita dei boschi. A proposito di bere, a dire il vero quella bevanda, che tutti mi avevano assicurato essere il succo di alcune bacche, aveva prodotto in me una strana euforia e leggerezza …
All’improvviso mi ero ritrovato a tu per tu con Memole. Le fiamme di un fuoco leggero crepitavano davanti a noi. I suoi occhi color nocciola fissi nei miei. Quanto era bella! Sentivo che mi stava dicendo qualcosa, qualcosa che mi sembrava importante, ma avevo difficoltà a concentrarmi. ”…scrivi tutto quello che è successo oggi, racconta dei folletti del bosco e della tua amica Memole. Tu sei un ragazzo buono e gentile ed io sono contenta di averti aiutato. Non avrai problemi per un po’. Questo è il mio regalo per te…”
Poi aveva preso un ciondolo di legno a forma di quercia e me lo aveva allacciato intorno al collo, sfiorandomi i capelli con quelle sue manine delicate…
A quel tocco leggero, avevo istintivamente socchiuso gli occhi, solo per un secondo…
Quando li avevo riaperti ero seduto alla mia scrivania, davanti al computer che rimandava la mia immagine sovrapposta ad una pagina scritta fitta fitta…
Ma…avevo sognato? Mi ero immaginato tutto? Allora istintivamente avevo portato la mano al collo e….un piccolo oggetto di legno era legato ad una cordicella…Nell’aria, ancora l’odore del bosco, di resine, di fiori… l’odore di Memole.
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Ieri sera sul tardi, sicuramente ben oltre la mezzanotte, ero seduto davanti alla mia scrivania cercando disperatamente l’ispirazione per un nuovo romanzo. Tenevo la penna tra le dita e la mano...
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'NA MATINA DE' NOVEMBRE

29 aprile 2011 ore 12:00 segnala
Quanno stammatina presto me so svejato,
che la luce der sole ancora nun c’era,
un barlume de proggetto m’ero creato
pe’ scroccà un’oretta de coccole a mojiera.

Stante che annavo a lavora dopo l’una,
che fijo nostro usciva pe’ recasse a scola,
saressimo potuti stà sotto la piuma
tutti nudi e 'ntorcinati a provà quarche capriola.

Mentre pensavo e ripensavo a tutta la tiritera
che già l’amico mio s’era tutto infervorato,
pè tenemme impegnato da mò fino a sera
sposa mia invece un ber piano avea apparecchiato.

“Prima colla moto accompagni me alla metro,
poi, alla scola er fijo nostro perch’è stressato,
che tanto nun te pesa de fa avanti e’ndietro,
visto che de pomeriggio vai a lavorà, sei fortunato!”

Co’ no sguardo alla finestra, solo un secondo,
se capiva che il cielo nero, no perché incazzato,
stava a preparà uno sgrullone a tutto tondo,
che qualunque cosa via avrebbe spazzato.

Potevo obbiettà... fa valè le mie raggioni,
fors’anche, a fatica, alla fine l’avrei spuntata,
ma si sa, la vita dei mariti a vorte è da cojoni
e così la croce mia in silenzio ho abbracciata.

Pe nun tiralla pelle lunghe e falla breve,
ho preso acqua e grandine pè quasi n’ora.
Dire che me so bagnato le mutanne forse è greve,
ma di tutto questo ho dà ringrazià la mia signora.

La morale della storia? E’ presto detta:

Se pè famme ogni tanto co mi moje na trombata,
devo ‘na vita dé soprusi e d’angherie sopportare,
allora tanto vale rinunciare alla scopata
e, come farebbe un milanese, dije: “Ma va a Cagare!”
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Quanno stammatina presto me so svejato, che la luce der sole ancora nun c’era, un barlume de proggetto m’ero creato pe’ scroccà un’oretta de coccole a mojiera. Stante che annavo a lavora dopo...
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VERSAILLES

14 aprile 2011 ore 17:35 segnala
Piove. Stamattina ho rinunciato allo scooter e ho preso l’auto per andare al lavoro. Sono uscito dal garage sotto un diluvio. Ho messo un CD e nell’abitacolo si sono diffuse le note di “Aria sulla 4^ Corda” di J. S. BACH (Quark, tanto per capirci). Dopo pochi secondi, mentre mi districavo nel traffico, il movimento ritmico del tergicristallo unitamente alla melodia mi ha fatto divagare la mente…
…A poco a poco ha smesso di piovere, il cielo si è aperto, le nuvole sono sparite e... mi sono ritrovato a passeggiare nei giardini di Versailles alla corte di Re Luigi XIV. Intorno a me si svolgeva un ricevimento. Era pieno di dame con abiti eleganti, ufficiali nelle loro divise da parata e nobiluomini in velluti e broccati. Mi sono aggirato tra paggi con buffe parrucche e camerieri con vassoi ricolmi di dolci e bevande.
Le damigelle, tutte procaci e con scollature vertiginose, flirtavano allegramente e le loro risate, a volte composte a volge sguaiate, risuonavano ovunque. Gli uomini più giovani si aggiravano tra loro con finta indifferenza, in cerca di una preda, mentre quelli di una certa età parlottavano con passione di caccia e politica.
All’improvviso il vociare si è attenuato fino a cessare del tutto. Tutti i presenti si sono rivolti verso la scalinata del Palazzo, dove ha fatto la sua comparsa il Re. Ma ci pensi, al cospetto di Luigi XIV!!! Ero eccitatissimo. Il codazzo di persone al seguito del monarca era impressionante: militari, cortigiane, dame, lacchè, saranno state cento persone! Tutti hanno applaudito al Monarca, che scendeva tra di loro. Poi mentre il Re Sole si intratteneva con quelli più vicini, così come era cessato, il vociare è ricominciato e tutti hanno ripreso a conversare tranquillamente…
“SCUSI, MI FAVORISCE IL PASSI?” oddio sono arrivato davanti al cancello. Piove ancora e la guardia giurata della sorveglianza mi sorride. Probabilmente pensa sia suonato.
Mi sono ripreso velocemente, ho mostrato i documenti richiesti e ho parcheggiato l'auto…
Sono arrivato in ufficio un po’ confuso, frastornato, negli occhi ancora le immagini della reggia mentre nelle narici persistevano le fragranze di fiori, olii e profumi…
P.S.: A proposito, una delle cortigiane, una tra le più belle, somigliava in modo straordinario ad un’amica mia… Si! Proprio a te che mi leggi in questo momento...
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Piove. Stamattina ho rinunciato allo scooter e ho preso l’auto per andare al lavoro. Sono uscito dal garage sotto un diluvio. Ho messo un CD e nell’abitacolo si sono diffuse le note di “Aria sulla 4^...
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IL TEMPLARE

07 aprile 2011 ore 21:41 segnala
Anno Domini 1145.
Dalle mura della fortezza di Acri, a pochi chilometri da Gerusalemme, Luigi da Sassoferrato scrutava l’orizzonte. Mancava circa un’ora al tramonto.
Un’altra giornata al servizio di Cristo Signore stava per terminare. Una delle tante nei suoi 21 anni nell’Ordine dei Cavalieri Templari.
Nonostante i suoi 45 anni, aveva un portamento imponente, il viso cotto dal sole del deserto lo faceva assomigliare, ironia del destino, proprio a quei nemici della fede che combatteva ormai da troppi anni.
I capelli e la barba, quasi bianchi, tradivano invece le sue origini italiche.
Castità, Povertà ed Obbedienza. Le sue uniche regole, abbracciate con passione sincera ed abnegazione totale. Fino ad oggi.
Quella mattina aveva comandato una pattuglia lungo un itinerario che, diramandosi dalla roccaforte, raggiungeva alcuni villaggi abitati da popolazioni amiche.
Gruppi numerosi di varie tribù e nazioni, tutti uniti sotto le insegne di Allah, recentemente avevano fatto scorrerie e per i locali come per i pellegrini che giungevano in Terra Santa, le strade non erano sicure.
Nonostante l’esiguo numero, si erano spinti abbastanza lontano dalle mura protette della città, sicuri per via della reputazione che i Cavalieri dell’Ordine del Tempio si erano guadagnati sui campi di battaglia di tutto il Medio Oriente.
Si diceva, ed alcuni prigionieri lo avevano confermato, che i musulmani avessero ricevuto l’ordine dai loro comandanti di non accettare battaglia se la loro superiorità non fosse stata almeno di 10 contro 1.
A volte bastava l’apparizione di uno sparuto numero di mantelli bianchi con la croce rossa per far abbandonare qualunque imboscata.
Ma non quella mattina. Erano giunti troppo tardi. Il fumo che avevano avvistato in lontananza non faceva presagire nulla di buono. Avevano spronato i cavalli pur sapendo quanto fosse inutile. Quando erano arrivati al villaggio ormai in rovina, i predoni erano già lontani. Si erano allora aggirati tra le macerie ed i corpi mutilati, in cerca di superstiti.
Luigi era in procinto di dare l’ordine di allontanarsi quando la sua attenzione era stata attratta da un rumore che proveniva da una capanna distrutta. E così l’aveva vista. Una capigliatura bionda che incorniciava il viso di una ragazza di circa diciotto/vent’anni, occhi di un verde cangiante, il corpo sinuoso a stento nascosto da abiti consunti. Era illesa. Unica sopravvissuta. Si era avvicinato lentamente, le aveva teso la mano e l’aveva fatta salire sul suo cavallo. In silenzio avevano fatto ritorno ad Acri.
Nell’infermeria della fortezza l’aveva osservata attentamente. Era bellissima, lo sguardo fiero anche se triste. Non aveva detto una parola e lui l’aveva chiamata Sharadjin (piccola principessa) anche se, a giudicare dalle fattezze, probabilmente doveva essere arrivata in Terra Santa da piccola, insieme ad una delle tante carovane di pellegrini europei che venivano a pregare nei luoghi dove era morto Gesù Cristo. Ne era quasi sicuro, dovevano averla catturata ed allevata come una figlia, o come una schiava, questo adesso non aveva più importanza. Lo sguardo prolungato che Sharadjin gli aveva lanciato lo aveva messo a disagio. Non era uno sguardo di semplice riconoscenza, era qualcosa di molto più profondo. Era la visione della luce dopo l’abisso. La speranza dopo la disperazione. Era una muta promessa d’amore.
Luigi era turbato e confuso. Molte donne, in passato, gli avevano fatto capire, in modo anche troppo esplicito, di essere attratte da lui. Era una cosa a cui aveva fatto l’abitudine e che mai lo aveva fatto vacillare nella Fede. D’altronde il giuramento che aveva prestato lo vincolava né più né meno come qualunque altro frate. Suo fratello Lodovico, Abate presso l’Abbazia Cistercense di Chiaravalle, aveva abbracciato il crocifisso, lui la spada, ma con gli stessi obblighi.
Ma ora era diverso, anche lui aveva provato un’attrazione inaspettata per la ragazza. Sarebbe riuscito a resistere anche stavolta? Erano questi i pensieri che lo agitavano nell’ultima ora prima del tramonto. L’indomani sarebbe partito per Antiochia, per fare ritorno forse dopo diversi mesi. L’alternativa era restare, spogliarsi della divisa di Cristo e fuggire con Sharadjin, perché lei questo gli aveva fatto capire. Gli aveva fatto intravvedere il miraggio di una vita da vivere come una persona comune, lontani dalla politica, dalla guerra, dalle religioni, semplicemente come un uomo ed una donna…
Il Gran Maestro era rimasto interdetto quando l’attendente era ritornato da lui senza Luigi da Sassoferrato. Non era riuscito a trovarlo. Eppure dovevano discutere gli ultimi dettagli della sua missione. Nonostante fosse già l’ora nona, non era nella sua stanza. Nondimeno la sua armatura ed il suo mantello erano al loro posto…
Dopo avere pregato per alcune ore il proprio Signore affinché gli indicasse la giusta via, Luigi da Sassoferrato, Cavaliere Templare, aveva preso la sua decisione. Aveva riposto la sua cotta di maglia, aveva piegato con estrema cura il suo mantello bianco, adagiandolo sul suo umile giaciglio. Dopo avere baciato la croce era uscito. Si era diretto agli alloggi dei servitori. Aveva preso per mano Sharadjin, l’aveva aiutata a salire sul suo cavallo ed era uscito dalla porta est, poco prima che venisse chiusa.
Non si era voltato indietro, quello era il suo passato.
Avrebbe guardato solo avanti, verso il suo futuro, qualunque futuro il Signore avesse riservato loro.
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Anno Domini 1145. Dalle mura della fortezza di Acri, a pochi chilometri da Gerusalemme, Luigi da Sassoferrato scrutava l’orizzonte. Mancava circa un’ora al tramonto. Un’altra giornata al servizio di...
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07/04/2011 21:41:33
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Questo sì che è amore...

04 aprile 2011 ore 18:12 segnala
Un uomo, con due biglietti di tribuna centrale numerata per la finalissima di Coppa del Mondo, entra allo stadio e si accomoda sulla poltrona assegnatagli, lasciando libero il posto a fianco.
Un altro uomo, seduto la fila appena sopra, nota il posto vuoto e, così, per fare due chiacchiere a pochi minuti dall’inizio della partita, esordisce così:
“Il posto a fianco a lei, è occupato?”
“No, è libero!” – risponde l’individuo.
“E’ incredibile! Chi è che ha un posto come questo, per l’appuntamento più importante del mondo e non lo usa?” –
L’uomo si gira e guardandolo risponde:
“Beh, effettivamente il posto è il mio. L’ho comperato un anno fa. Dovevo venire con mia moglie, ma…casi della vita, è mancata! Questo è il primo mondiale che non vediamo insieme da quando ci siamo sposati, nel 1980” –
Sorpreso il suo vicino rispose:
“Mi dispiace molto sia capitato tutto questo, è terribile! Ma non aveva un’altra persona che potesse accompagnarla, un amico, un parente, un vicino di casa…? –
L’uomo, facendo di no con la testa:
“Macchè, sono voluti andare tutti al funerale…”
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Un uomo, con due biglietti di tribuna centrale numerata per la finalissima di Coppa del Mondo, entra allo stadio e si accomoda sulla poltrona assegnatagli, lasciando libero il posto a fianco. Un...
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04/04/2011 18:12:25
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