
Premessa doverosa, io amo la mia solitudine.
Facendo un passo indietro nella memoria, nel ricordo di quelle che pensavo fossero solo canzonette e col senno di poi, non posso negare che ero stato avvisato:
la faccenda era annunciata, preconizzata, era sotto i miei occhi.
C’era stato Dalla, profeta d’altri tempi, che ci aveva aggiunto un:
“telefonami tra vent’anni, io adesso non so cosa dirti, amore non so risponderti e non ho voglia di capirti.”
E infine, il passaggio chiave, quello definitivo, la cesura tra una società a tradizione orale e una a tradizione scritta, era stato sancito da Nino Buonocore nella strofa esemplare in cui viene annunciato il manifesto dell’epoca che sarebbe seguita:
“Scrivimi quando il vento avrà spogliato gli alberi
gli altri sono andati al cinema, ma tu vuoi restare sola
poca voglia di parlare, e allora scrivimi
e se non avrai da dire niente di particolare
non ti devi preoccupare io saprò capire
A me basta di sapere che mi pensi anche un minuto
perché io so accontentarmi anche di un semplice saluto
ci vuole poco per sentirsi più vicini”.
Ci avevano detto tutto. Lo avevano scritto tra le note, inciso nelle pause.
Ma noi niente, eravamo troppo concentrati sul passaggio dal gettone alla scheda telefonica e ai timidi esordi di telefoni portatili in automobile, per poter leggere tra le righe quanto, nel volgere di un ventennio scarso, sarebbe accaduto, rivoluzionando il nostro modo di comunicare e rendendoci, di fatto, incapaci di comunicare.