Ho notato che nell'anteprima dei post recenti si leggono queste prime tre righe. Se le si riempie del nulla come sto facendo in questo momento, non si saprà di cosa parla il post fino a che non si inizia a leggerlo. E questo appaga la mia innata tendenza a rompere i coglioni.
Ragazzino, non c'è mai stata l'occasione di dirtelo e lo faccio qui anche se non mi leggerai mai. Sappi che io, seppur silenzioso e mai svelato, ero un tuo fedelissimo, convinto ammiratore. Ti vedevo tutte le mattine dopo aver accompagnato a scuola mio figlio. Ma non è che ti vedevo nell'atrio della scuola, no. Ti incrociavo fuori, mentre tu arrivavi a scuola e io tornavo alla mia auto. Almeno cinque minuti dopo il suono della campanella. Perché, caschi il mondo, credo che tu non sia mai entrato puntuale in classe una sola volta. E il bello è che trasmettevi la gioiosa, libera, scazzata sensazione che non ti fregasse assolutamente una mazza di essere perennemente in ritardo. Camminavi serafico sul marciapiede verso quel liceo con lo sguardo perso di chi si è svegliato circa tre minuti prima e non si è mai, dico mai, posto il problema di mettere la sveglia un po' prima. Nella stagione calda, oltre allo sguardo perso, avevi anche la tipica pettinatura di chi è saltato giù dal letto ed è uscito di casa ignorando l'esistenza degli specchi. E credimi, so di cosa parlo. Dovresti chiedere ai miei compagni di liceo. In inverno, invece, sfoggiavi una cuffia di lana bianca con righine, un modello che probabilmente risaliva ai tempi di Zeno Colò e che ricordava vagamente un profilattico.
Ragazzino, non c'è mai stata l'occasione di dirtelo e lo faccio qui anche se non mi leggerai mai. Sappi che io, seppur silenzioso e mai svelato, ero un tuo fedelissimo, convinto ammiratore. Ti vedevo tutte le mattine dopo aver accompagnato a scuola mio figlio. Ma non è che ti vedevo nell'atrio della scuola, no. Ti incrociavo fuori, mentre tu arrivavi a scuola e io tornavo alla mia auto. Almeno cinque minuti dopo il suono della campanella. Perché, caschi il mondo, credo che tu non sia mai entrato puntuale in classe una sola volta. E il bello è che trasmettevi la gioiosa, libera, scazzata sensazione che non ti fregasse assolutamente una mazza di essere perennemente in ritardo. Camminavi serafico sul marciapiede verso quel liceo con lo sguardo perso di chi si è svegliato circa tre minuti prima e non si è mai, dico mai, posto il problema di mettere la sveglia un po' prima. Nella stagione calda, oltre allo sguardo perso, avevi anche la tipica pettinatura di chi è saltato giù dal letto ed è uscito di casa ignorando l'esistenza degli specchi. E credimi, so di cosa parlo. Dovresti chiedere ai miei compagni di liceo. In inverno, invece, sfoggiavi una cuffia di lana bianca con righine, un modello che probabilmente risaliva ai tempi di Zeno Colò e che ricordava vagamente un profilattico.

E qui devo aprire una parentesi sul tuo look, in un cortile liceale di risvoltini e pantaloni sapientemente stracciati, di pizzetti stravaganti e pettinature da fucilazione immediata del barbiere. In quel mondo così fashion, cool e trendy, tu incedevi fiero con i tuoi quattro peli di barba e baffi da adolescente, nei tuoi vestiti già portati, forse da un fratello maggiore, forse dal papà, forse da uno zio, ed emanavi l'aura di chi vive in un'altra dimensione e se ne strafrega altamente di come va vestito. E probabilmente non ti sei mai accorto delle standing ovations silenziose di quell'uomo con la barba e il giubbino verde regalato dagli amici anni e anni fa che noncurante del clima si ostina a portare estate e inverno nonostante le minacce che LSD continua a rivolgermi. Io e te ci siamo sfiorati decine e decine di volte, ragazzino, e ho la netta sensazione che tu non mi abbia mai visto veramente. A dire il vero, una volta più che sfiorarci stavamo per scontrarci, la volta che camminavi a testa bassa con un libro aperto in mano. E tu quel giorno non stavi dando la classica ultima occhiata prima dell'interrogazione. No, tu quel giorno alle 8.04 stavi studiando concentrato mentre camminavi, e resto convinto che tu abbia fatto tutto il tragitto da casa tua, o dalla fermata dell'autobus, o da dove diavolo venivi, senza staccare gli occhi da quel libro. E sarei pronto a scommettere che l'interrogazione sia andata alla grande.
Ancora due cose, ragazzino. La prima è che ti ho sempre visto desolatamente solo. Ancora una volta diverso dagli altri, in quel mondo di coppiette melense mano mano bacio bacio pucci pucci o di branchi chiassosi o starnazzanti. Non ti ho mai visto scambiare due parole con un compagno, meno ancora con una ragazza. E non saprò mai se di questo ne soffrivi o se viceversa stavi infinitamente bene per i cazzi tuoi. La seconda è che, a differenza del resto del mondo, non ti ho mai visto con un telefono in mano. Non oso pensare che tu non l'avessi, sarebbe troppa perfezione. Ma mi piace pensare che invece di uno smartphone ultimo grido tu avessi un antiquato, obsoleto, demodè Nokia del 2007. Come me. E ti dedico una canzone. Eri un ragazzo solo. Spero, davvero tanto, che tu abbia incontrato una ragazza sola.
Ancora due cose, ragazzino. La prima è che ti ho sempre visto desolatamente solo. Ancora una volta diverso dagli altri, in quel mondo di coppiette melense mano mano bacio bacio pucci pucci o di branchi chiassosi o starnazzanti. Non ti ho mai visto scambiare due parole con un compagno, meno ancora con una ragazza. E non saprò mai se di questo ne soffrivi o se viceversa stavi infinitamente bene per i cazzi tuoi. La seconda è che, a differenza del resto del mondo, non ti ho mai visto con un telefono in mano. Non oso pensare che tu non l'avessi, sarebbe troppa perfezione. Ma mi piace pensare che invece di uno smartphone ultimo grido tu avessi un antiquato, obsoleto, demodè Nokia del 2007. Come me. E ti dedico una canzone. Eri un ragazzo solo. Spero, davvero tanto, che tu abbia incontrato una ragazza sola.