Nonostante tutto il tempo trascorso su questa terra, ancor oggi i pensieri tormentano le mie notti. L'insonnia mi impedisce un riposo costante.
Quella mattina, approfittando della fresca brezza portata dal temporale della sera precedente, uscii di casa e raggiunsi la caffetteria.
Scelgo da sempre luoghi puliti, sufficientemente curati, con colori vivaci, ma delicati. Osservo molto le persone e quindi, un altro dei motivi che mi spingono ad entrare in un posto piuttosto che in un altro sono anche i modi, i gesti che vedo in chi, quel posto, lo gestisce o semplicemente lo rappresenta.
Mi sistemai sulla sedia di ferro lavorato al di fuori del locale, poggiai le sigarette ed il cellulare sul tavolino di marmo retto da un altrettanto lavorato supporto.
Leggevo il giornale distrattamente, in attesa dell'ordine che avrei fatto alla ragazza che serviva ai tavoli: un caffè macchiato ed un cornetto alla marmellata.
In quell'istante svogliato sentii involontariamente una voce di donna che ordinava esattamente la stessa cosa al bancone. Mi voltai. Nello stesso preciso momento si girò anche lei. Incrociai i due occhi azzurri più belli che io abbia mai visto. Un mare in tempesta, ma profondo ed immenso, un luogo in cui perdersi per non ritrovarsi più.

Mi sorrise, ricambiai quel sorriso continuando a guardarla, come un ebete.
Prese la tazzina ed il piattino con la sua brioche e si sedette al tavolo con me. Strabuzzai gli occhi vedendola arrivare, non potevo crederci. Mi salutò, come se ci conoscessimo da sempre, continuando a sorridermi. Si presentò: "Ciao, mi chiamo Katherine e tu?"
Ma ormai io ero naufragato nel suo profondo e risposi quasi sussurrando, senza per nulla utilizzare la galanteria che m'era propria: "Sono Andrew".
"Non ti ho mai visto qui, è la prima volta?"
"No, vengo spesso, probabilmente ad orari differenti dai tuoi"
"Beh" disse bevendo il caffè e dando un morso al suo cornetto "io ci vengo ogni mattina, prima di andare al lavoro, ma anche quando sono in vacanza, per fare colazione"
"Capisco", sempre più incantato dai suoi occhi.
"Oggi faccio soltanto mezza giornata, tornerò per un caffè dopo pranzo" disse facendomi l'occhiolino. Era un chiaro segnale che anche lei voleva rivedermi. Eppure non avevo proferito quasi parola, l'avevo guardata intensamente per tutto il tempo e null'altro.
Nella mia testa cominciarono a scorrere fiumi interi di pensieri. Uno su tutti era prevalente: dovevo tornare per rivederla. Non aveva però detto l'orario in cui l'avrei trovata. Decisi quindi che sarei uscito anche io prima dal lavoro, dovevo essere lì al rintoccare del mezzogiorno e sarei andato via non prima delle tre del pomeriggio qualora non fosse arrivata.
Così feci. E lei venne.

Passammo l'intero pomeriggio a raccontarci. Il tempo passò senza che noi ce ne rendessimo conto. Complici, vicini, senza conoscerci, ma avendo l'impressione di essere sempre stati magicamente uniti dal fato. Cenammo, continuando a raccontarci di noi, del nostro passato, del nostro presente. Camminammo l'uno a fianco all'altra in una lunga passeggiata e ci ritrovammo a casa mia. Le offrii da bere un vino dolce ed inebriante, come inebriante era la persona che avevo davanti. Mi lasciai scrutare, poco a poco, l'anima. Scrutai la sua attraverso quegli occhi tristi e magnetici. Quella notte ci ritrovammo a fare l'amore. Sapevo esattamente ciò che desiderava, come desiderava essere toccata, amata e lei sapeva come coinvolgermi completamente. Arrivò l'alba e noi eravamo ancora insieme, abbracciati, eccitati e completamente presi dal nostro angolo di mondo. Il turbinio di emozioni che ci aveva travolti ci accompagnò fino al mattino seguente. Mi salutò con la promessa di rivederci, presto. Ma non fu così. Andai in quella caffetteria ogni giorno, attendendo il suo ritorno, chiedendo di lei al personale. Era come svanita. Passò un lasso di tempo relativamente breve, ma a me sembrò un'eternità. E lei ricomparve. Un sabato pomeriggio, appena passate le 14. Seduto al mio solito tavolino la vidi arrivare. Lo sguardo un po' cupo, sembrava preoccupata. Si sedette con me. Litigammo. Volevo delle spiegazioni e lei non voleva darmene. Me ne andai lasciandola lì, arrabbiato tornai a casa. Non molto dopo suonò il campanello. La feci accomodare, ancora imbronciato. Lei mi fissò con quei suoi occhi tempestosi e mi disse: "Voglio fare l'amore con te, te lo volevo dire anche prima". Stupito dalle sue parole rimasi per un attimo attonito, ma la passione per lei prese il sopravvento. La spinsi contro al muro, la baciai intensamente ed in un attimo ci ritrovammo avvinghiati ad ascoltare il nostro respiro che all'unisono crebbe fino all'estasi.
Il cuore sembrava scoppiarmi nel petto per quanto ero felice di averla ancora tra le braccia, di sentirla soltanto mia. Dopo qualche ora si alzò dal letto, si rivestì e, guardandomi come se fosse dispiaciuta si rivolse a me dicendo: "Perdonami, non dovevo farlo, non posso". Cercai di fermarla, le confessai ciò che provavo: l'amavo, così profondamente da esserne spaventato. Di un amore puro. Mai e poi mai avrei voluto perderla, mai e poi mai avrei pensato di provare così in fretta quei sentimenti che, in passato e per via di esso, avevo evitato come la peste. Eppure sentivo di amarla, fortemente. Ciò non bastò a trattenerla, se ne andò e non tornò più da me.
All'improvviso una voce tuonò nelle mie orecchie: "Signore? Signore?". Scossi la testa. Era la cameriera. "Vuole ordinare?". La guardai confuso e mi guardai attorno. Era ancora mattina, era presto, ero seduto al tavolino della caffetteria. "Un caffè macchiato ed un cornetto alla marmellata, grazie". "Arrivano subito".
Al bancone del bar c'era quella donna. Non mi aveva notato mentre gustava la sua colazione. La vidi ogni giorno da quel momento, ma mai ebbi il coraggio di parlarle e mai lei parlò con me. Capii che la mia era stata un'illusione, che avevo soltanto sognato e che, come tutti i sogni, anche questo era giunto alla fine quando l'alba aveva fatto capolino.