Nel cuore di un regno dimenticato, avvolto da nebbie impenetrabili e silenzi assordanti, esisteva una figura enigmatica conosciuta come il Guardiano delle parole. Era un uomo di straordinaria saggezza e profondi segreti, un custode di emozioni e verità che il mondo esterno aveva scelto di ignorare. La sua vita si snodava tra antichi volumi e pergameni polverosi, un ponte tra l’umanità e le sfumature nascoste del linguaggio.
Le parole erano per lui non solo suoni o scritti, ma un potere sacro, capace di evocare sentimenti e scatenare tempestose introspezioni. Ogni parola che pronunciava, ogni frase che scriveva, possedeva un peso e un significato in grado di cambiare le sorti di chi le ascoltava. Ma le sue capacità non erano apprezzate; al contrario, lo avevano reso un obiettivo per coloro che temevano ciò che non potevano comprendere.
A causa della sua audacia nel rivelare verità scomode e emozioni dimenticate, il Guardiano fu condannato a vivere in esilio, lontano dagli occhi del mondo. La sua esistenza si era trasformata in una lotta quotidiana contro un oblio inesorabile, un destino segnato da un silenzio assillante. Eppure, nel profondo del suo animo, ardeva una fiamma di ribellione, un desiderio di riscatto che avrebbe spinto un giorno a lanciarsi in una battaglia contro l’oscurità che minacciava di inghiottirlo.
Il Guardiano parole fissò la scritta "falsità", fresca di sangue e incisa sulla parete che lo separava dalla libertà. Curvo su se stesso, si sforzava di tracciarne altre, desiderando lasciare un segno del suo passaggio, prima che l’oblio, al quale era stato condannato, lo rendesse invisibile al mondo per sempre. Scelse di annotare “ipocrisia” e “menzogna”, prima di crollare stremato davanti a quegli scarabocchi privi di forma e di senso, che aveva cercato di scrivere per rassegnazione. “Basta! Hai vinto!”, urlò, un grido carico della rabbia di chi ha perso ogni speranza, mentre le sue mani, ferite e affaticate, tentavano di cancellare le parole “comprensione” e “pazienza”, ultime vestigia di una dolorosa esperienza ormai sbiadita.
La nemesi di un demone implacabile lo aveva raggiunto, condannandolo al silenzio. Ormai custode ribelle dei suoi segreti più antichi, aveva osato sfidare il potere oscuro rivelando i suoi pensieri. La sua colpa era stata quella di liberare, attraverso parole taglienti e affilate come lame, emozioni proibite, escluse dal regno tenebroso di quello spirito velato. Nulla e nessuno avrebbe potuto restituirgli ciò che considerava la vera libertà. Il suo destino era segnato: costretto a vivere in un perpetuo viaggio di introspezione silenziosa, esplorando i recessi delle sue emozioni. L’unico consolo era un magnifico destriero che chiamò Silenzio, il solo compagno rimasto dopo la perdita del potere di evocare emozioni.
Fu così che, lontano dal conforto e dagli sguardi di un mondo in cui ogni vibrazione e tensione erano state bandite, raccolse le sue forze per lanciare l’ultima provocazione, maledicendo e minacciando colui che l’aveva ingiustamente condannato: “Nessuno potrà mai fermare il mio ritorno. Non tu, né la tua progenie, semidio malvagio. Ti maledico per generazioni, perché costringendomi al silenzio hai scatenato la mia ira, che non avrà tregua fino a quando la mia vendetta non sarà compiuta. Sarai tu a richiamarmi un giorno, consapevole che senza emozione i tuoi sudditi si ribelleranno, lasciandoti unico governatore della tua solitudine. Ed è allora che mi invocherai, restituendomi il potere che mi hai rubato...”.
Riprese così a cavalcare in solitudine il suo Silenzio, attraversando gli ampi spazi di un regno dove l’emozione era stata bandita per sempre.
Le parole erano per lui non solo suoni o scritti, ma un potere sacro, capace di evocare sentimenti e scatenare tempestose introspezioni. Ogni parola che pronunciava, ogni frase che scriveva, possedeva un peso e un significato in grado di cambiare le sorti di chi le ascoltava. Ma le sue capacità non erano apprezzate; al contrario, lo avevano reso un obiettivo per coloro che temevano ciò che non potevano comprendere.
A causa della sua audacia nel rivelare verità scomode e emozioni dimenticate, il Guardiano fu condannato a vivere in esilio, lontano dagli occhi del mondo. La sua esistenza si era trasformata in una lotta quotidiana contro un oblio inesorabile, un destino segnato da un silenzio assillante. Eppure, nel profondo del suo animo, ardeva una fiamma di ribellione, un desiderio di riscatto che avrebbe spinto un giorno a lanciarsi in una battaglia contro l’oscurità che minacciava di inghiottirlo.
Il Guardiano parole fissò la scritta "falsità", fresca di sangue e incisa sulla parete che lo separava dalla libertà. Curvo su se stesso, si sforzava di tracciarne altre, desiderando lasciare un segno del suo passaggio, prima che l’oblio, al quale era stato condannato, lo rendesse invisibile al mondo per sempre. Scelse di annotare “ipocrisia” e “menzogna”, prima di crollare stremato davanti a quegli scarabocchi privi di forma e di senso, che aveva cercato di scrivere per rassegnazione. “Basta! Hai vinto!”, urlò, un grido carico della rabbia di chi ha perso ogni speranza, mentre le sue mani, ferite e affaticate, tentavano di cancellare le parole “comprensione” e “pazienza”, ultime vestigia di una dolorosa esperienza ormai sbiadita.
La nemesi di un demone implacabile lo aveva raggiunto, condannandolo al silenzio. Ormai custode ribelle dei suoi segreti più antichi, aveva osato sfidare il potere oscuro rivelando i suoi pensieri. La sua colpa era stata quella di liberare, attraverso parole taglienti e affilate come lame, emozioni proibite, escluse dal regno tenebroso di quello spirito velato. Nulla e nessuno avrebbe potuto restituirgli ciò che considerava la vera libertà. Il suo destino era segnato: costretto a vivere in un perpetuo viaggio di introspezione silenziosa, esplorando i recessi delle sue emozioni. L’unico consolo era un magnifico destriero che chiamò Silenzio, il solo compagno rimasto dopo la perdita del potere di evocare emozioni.
Fu così che, lontano dal conforto e dagli sguardi di un mondo in cui ogni vibrazione e tensione erano state bandite, raccolse le sue forze per lanciare l’ultima provocazione, maledicendo e minacciando colui che l’aveva ingiustamente condannato: “Nessuno potrà mai fermare il mio ritorno. Non tu, né la tua progenie, semidio malvagio. Ti maledico per generazioni, perché costringendomi al silenzio hai scatenato la mia ira, che non avrà tregua fino a quando la mia vendetta non sarà compiuta. Sarai tu a richiamarmi un giorno, consapevole che senza emozione i tuoi sudditi si ribelleranno, lasciandoti unico governatore della tua solitudine. Ed è allora che mi invocherai, restituendomi il potere che mi hai rubato...”.
Riprese così a cavalcare in solitudine il suo Silenzio, attraversando gli ampi spazi di un regno dove l’emozione era stata bandita per sempre.