Undicesima parte
di
AllegroRagazzo.Morto

Yoshiwara. Ora di computazione mediana. Da qualche parte nel profondo. Approcciare il grande slargo oblungo era questione pericolosa ed oltremodo rischiosa. Yoshiwara pulsava incessantemente e, proprio in codeste parti, la vibrazione si avvicinava molto alla fredda e calda cadenza di un respiro sommesso, persistentemente forzato. Era uno dei luoghi dove fosse possibile accedere ad alcune delle più antiche macchine strutturali, antiche quanto la stessa Yoshiwara, qui, scintille impazzite si incanalarono ordinatamente in flussi articolati prorompendo assieme alla vita, travolgendo e trascendendo l’essenza umana stessa, qui, Maria avvenne. In questi anfratti, circondati da dedali infiniti di cunicoli e accessi, i costruttori impiantarono i primi pistoni, essi cominciarono ordinatamente la loro spinta perpetua, mentre altisonanti colonne incandescenti pompavano ad altissima pressione il vapore vitale alle macchine ed alle vite, incanalandolo in una miriade di augelli e pompe e stabilizzatori valvolari affinché potesse raggiungere ogni elemento ed apparato che lo necessitasse. Qui vennero posti i primi puntelli di contenimento, qui si svilupparono le prime vie del vapore. Benché il cuore pulsante di Yoshiwara fosse lungi dall’essere un motore perfetto, il suo perseverare per Yoshiwara era lo stato dell’arte dell’esistenza possibile. La figura continuò ad avanzare, non provava quelle emozioni necessarie ad affinare il proprio grado di sensibilità, non più, agiva in modo puramente sistematico e non casuale, basandosi su elementi concreti e dati di fatto e, le molteplici possibilità di azione, erano in fondo il solo risultato certo ed ottenibile da moltitudini di calcoli matematici costantemente in corso. Scostò un drappo ormai consumato dal tempo, oltre le paratie consunte, con un cadenzato rimestio il pesante tendaggio cadde a terra in una nuvola di polvere accumulandosi disordinatamente. Avanzò ancora e quindi si fermò al centro della grande area cava, al centro dello strano ambiente, nel suo grezzo apparire, coriacea all’aspetto e ruvida al tatto, giaceva una delle macchine analitiche, una delle prime. Non ebbe esitazioni. Prontamente il misterioso operatore attivò le valvole necessarie e la grande macchina analitica iniziò a scaldarsi.
Yoshiwara. Ora di computazione primaria. La discesa fu lenta ed articolata, Kandra non riprese mai conoscenza. A Juanus, che la portava ben assicurata a sé, sembrò che il tempo giocasse contro di loro, era stanco ma ancor più della stanchezza, la sensazione di fosco presagio lo dilaniava in modo prorompente. Vigilando costantemente su di lei durante la discesa, si muoveva cautamente, una piccola distrazione o una mancanza di coordinazione sarebbero risultate fatali ad entrambi. Finalmente approcciò la prima delle piattaforme intermedie, vi si fermò, adagiò Kandra accanto a sé, regolò l’ennesima valvola di pressione affinché il flusso si mantenesse costante per l’accesso ai servizi accessori di discesa e chiuse gli occhi, doveva… aveva bisogno di riprendere fiato e riposare. Fortunatamente dalla pedana, avrebbero utilizzato esclusivamente le pedane idrauliche per scendere al loro livello, era molto più sicuro e, cosa non meno importante, l’uso delle stesse non avrebbe destato alcun sospetto nei controllori, e nessuna allerta significava un ritorno sicuro. Ogni affioramento all’esterno era caratterizzato da un accesso verticale nella sua parte terminale, intorno però una fitta rete di connessioni idrauliche consentiva, da un certo livello in poi, di sfruttare a pieno le infrastrutture esistenti per la discesa o la risalita. L’eco dei primi gracchianti ritornava a saturare un falso silenzio già fitto di sibili e sbuffi di vapore. Non aveva memoria di come tutto questo fosse stato istituito ed assemblato, sapeva cosa fosse necessario per il proprio lavoro e perché e conosceva lo stato definito di ciò che in molti considerassero semplicemente casa. Non ricordava però la propria infanzia, non ricordava e non riconosceva gli elementi presenti nei propri sogni, spesso era come vivere un’illusione onirica altrui ma, dannatamente, tentava di fare ciò che fosse semplicemente la cosa più sensata, un passo alla volta, un’ora di computazionale alla volta. La discesa divenne da quel punto in poi più agevole, mentre la piattaforma continuava nella discesa, rimase seduto spostando lo sguardo ora su Kandra ora sulle nevrotiche tubature onnipresenti, ora sulla luce affiorante, ora sulla grande volta sovrastante che andava allontanandosi da loro. Più di ogni altra cosa, comprendeva quanto Kandra fosse per lui dannatamente importante. Durante il tragitto a ritroso che li separava dal primo e prossimo suolo del sottomondo, dismise finalmente la tenuta da esterno riponendo tutto in una delle sacche di servizio, Kandra dormiva profondamente, si rincuorò a vederla riposare in modo placido senza alcun sentore di turbamento o ansia. Appena possibile la liberò delicatamente della copertura protettiva. Osservava l’avvicinarsi della grande distesa e, reggendosi alla balaustra laterale, non appena gli fu possibile, recuperò in modo energico il carico delle anime ancora sospeso ma saldamente assicurato. Juanus sapeva contenessero sicuramente delle nuove informazioni che era necessario analizzare non appena possibile. L’animo si manteneva ribelle ma il suo sguardo indugiava intensamente sulla distesa che si avvicinava sempre di più, avvertì l’odore del combusto e, stranamente lungo quel tratto non attraversarono alcun banco di fumi di scarico, questo, era già un piccolo sollievo. Gli sembrò di non aver mai abbandonato quella pulsante massa, finemente interconnessa, brulicante e rimbombante, che era Yoshiwara.
Yoshiwara. Ora di computazione primaria. Deposito Hua Shan. Il turno era stato più massacrante del solito, il lavoro era continuo capace di drenare ogni stilla di proposito e di energia. Nessuno degli operatori aveva ancora idea di come si stessero organizzando i gracchianti ma era facile per Juanus dedurre cosa tutto ciò comportasse, un maggiore impegno da parte sua e di quelli come lui impegnati alle portanti. Seduto da solo all’interno della cabina consultava di tanto in tanto il grande orologio meccanico posto proprio accanto i sedili, trovava alquanto difficile rilassarsi, vuoi per il continuo sobbalzare del modulo e lo stridere dei pignoni contro la cremagliera sospesa che lo portava a destinazione, vuoi per l’avvicinarsi al Deposito Hua Shan o solo per l’ansia da appuntamento. Osservava la gente brulicante per le strade, la bolgia concitata all’esterno di ogni agglomerato abitativo proprio di quell’ambiente, i grandi carri meccanici da trasporto, le macchine volanti che a volte intersecavano pericolosamente i cavi portanti e sospesi lungo i quali il tragitto si articolasse. Vide in una zona adiacente il mercato nero e immediatamente accanto il mercato grigio, il commercio era sempre fervente. Si ritrovò a pensare al fatto che, occasioni come quella, capitassero di rado, era d’uopo mostrarsi più positivo in ogni caso. Si ripeteva fosse un’occasione certo nulla più, eppure… a volte sembrava quasi di poter vivere in modo normale, guastando un buon tè con chi si ha di più caro accanto… proprio lì, al Deposito Hua Shan. Kandra si trovava già lì ad attenderlo. Diede ancora un’occhiata alla struttura esterna mentre la sua cabina giungeva ormai a destinazione, si presentava come una costruzione imponente e monolitica, esteriormente anonima ma paradossalmente ben visibile anche da molto lontano, certamente non era uno dei conglomerati più imponenti di Yoshiwara ma, fumi permettendo, se ne distingueva la sagoma da parecchio lontano. La mole del Deposito richiamava stilisticamente il monte Hua Shan, una delle cinque montagne sacre cinesi, un tempo ultima ed unica meta accessibile per poter gustare del buon Lapsan Souchiong, prima dei tumulti, prima del non essere, prima dell’oscurantismo, prima del sottosuolo. La caratteristica peculiare del monte Hua Shan era quella secondo la quale chi volesse arrivarvi in cima, dovesse scalare letteralmente la montagna poiché, per lungo tempo priva di accessi o strade più sicure ed alternative. La vista, il luogo e il tè tuttavia, si dice valessero l’irto, pericoloso ed impervio cammino necessario a giungervi o la messa in pericolo della propria vita nel tentativo di farlo. In questo caso però l’accesso al Deposito Hua Shan in Yoshiwara avveniva tramite l’uso di un sistema di trasporto sospeso, ogni modulo poteva ospitare anche cinquanta unità, grandi pulegge cigolanti ruotavano mosse da un cuore meccanico stridente, sempre in funzione, tra sbocchi per il vapore e saldi pilastri di controllo. Juanus aveva optato per il percorso ovest a causa di una mera coincidenza logistica. La struttura del Deposito, isolata dall’esterno, vantava un’aria più respirabile, priva degli odiosi scarichi neri e, al suo interno, l’inquinamento acustico esterno si smorzava di molto.
A discapito della scarna e granitica esteriorità, l’interno del Deposito Hua Shan, si rivelava come una magnifica discrepanza percettiva, pura realtà vittoriana, si accedeva quasi ad un’altra dimensione. Per una volta, entrambi, erano liberi da pesanti protezioni in pelle e bronzo o caschi protettivi con filtri per l’aria, guanti di amianto o scarponi isolanti. Juanus chiuse la paratia del modulo adesso fermo e aspettò che il portello di ingresso al Deposito gli si aprisse, era un’attesa breve ma tremendamente pesante da sopportare. Una volta dentro l’animo gli si risollevò e consegnò bombetta e pastrano azzurro alla guardarobiera e, avvicinandosi alla responsabile di una delle sale chiese informazioni indicative alla loro prenotazione ed al tavolo. Indirizzato verso la giusta sezione la vide, proprio accanto ad una delle grandi finestre a specchio, attraverso le quali la luce elettrica filtrava calda e coprente, come il sole delle estati migliori, quel sole color giallo intenso del quale sia difficile stancarsi. Kandra, in piedi, guardava davanti a sé. Indossava un abito bianco, finemente ricamato, aveva i capelli rossi liberamente sciolti che, grazie alla luce così intensa, risaltavano contrastando immediatamente sul bianco del vestito. Un rilevatore di prossimità l’avvertì di Juanus e, per una volta si videro quasi come due persone normali, nel loro migliore completo mondano. Si salutarono senza nemmeno parlare, i turni di lavoro massacranti erano lontani anni luce, gli affanni già dimenticati, la polvere, il rumore, la fatica e la preoccupazione si erano come dissolti.
Juanus la accompagnò al tavolo facendola accomodare mentre un elegante servitore si accostò loro con il necessario per preparar loro il tavolo, da un carrello depose le tazze e tutto quanto richiesto a compendio. Terminata l’operazione questi li ossequiò e si allontanò. Sarebbe tornato a breve con lo Zheng Shan Xiao Zhong da loro ordinato, o come molti lo conoscevano, con del Lapsan Souchiong. Il tè Lapsan Souchong era un tè nero di origine cinese, conosciuto nell’altrove come Zheng Shan Xiao Zhong. A causa della ristretta area di produzione originaria, lo Zheng Shan Xiao Zhong, era già considerato un valore altamente pregiato, era spesso usato come valuta. Questo tè nero dal gusto particolarmente corposo, dato dall’insolita ed esclusiva procedura di affumicatura subita durante la produzione, giungeva in quantità ridottissime in Yoshiwara anche se ad intervalli temporalmente regolari. Le difficoltà di averne grandi quantità era principalmente legata agli esosi dazi sulle merci più che ai trasporti impiegati, in base alla zona di destinazione infatti, questi costi, potevano anche arrivare a costare più delle stesse materie ordinate. Si vociferava di nuove piantagioni da qualche parte, in remotissimi recessi dove le condizioni climatiche ricreate artificialmente permettessero alla pianta di attecchire e proliferare, molti dubitavano si trattasse della stessa pianta conosciuta nei tempi antichi ma inevitabilmente, si era pronti a giurare fosse esattamente come descritto negli antichi testi. Per questo ed altri motivi, la domanda per lo Zheng Shan Xiao Zhong era pressoché infinita al contrario dell’offerta molto ma molto limitata. Juanus era riuscito a collocare per entrambi dei turni che consentissero loro una piccola parentesi temporale molto diversa dal solito. Arrivò il tè e finalmente lo assaporarono.
Yoshiwara. Ora di computazione primaria. Da qualche parte nel profondo. La grande macchina analitica stridette, il ronzio crebbe trasformandosi in un ruggito costante. La superficie iniziò ad incresparsi, la macchina analitica risvegliata si riadattava all’ambiente ed all’atmosfera del profondo conformandosi in uno stridere di metallo e guarnizioni. Come un grande ventaglio dischiuse pieghe e frange in un contorto ansimare, si innestò ancor più profondamente sul piano che la ospitava e si erse assumendo adesso forma più imponente. Divelse ogni bullone di contenimento espandendosi intorno all’attivatore che rimaneva impassibile al suo cospetto. Dopo un tempo indefinito di crescita e di assestamento, la macchina analitica tacque immobile, la figura allora la interrogò. La macchina non rispose immediatamente, rimase sospesa nel proprio computare prima di mutare ulteriormente. Dall’alto, quattro nuove bocche di vapore calarono e si agganciarono magneticamente alla macchina in funzione, i quadranti brillarono di una luce rossastra, per un attimo sembrò che ogni altra cosa intorno si consumasse. La macchina analitica mutò ancora, crepandosi ed espandendosi, lacerando e piegando mentre una nuova struttura affiorava tra sibili assordanti di vapore. L’attivatore, per la prima volta nella sua esistenza, indietreggiò perché al suo cospetto aveva adesso la Macchina delle Differenze. Questo mutava radicalmente l’interazione programmata. Anche i Validanti adesso ne erano a conoscenza. Agire con immediatezza era più che una semplice risultante di un calcolo ponderato, era una necessità vitale. Inserì sul quadrante alcuni dati e quindi mantenendo la pressione costante regolando una delle valvole principali, accettò che la macchina delle differenze computasse per lui.
Yoshiwara. Ora di computazione mediana. Baia dei Ferventi. Juanus adagiò Kandra sul piano di riposo, lei non si accorse di nulla e continuò a dormire. Nascose le attrezzature portate dalla superficie, le due anime centrali andavano messe in carica, avevano bisogno di molte cose soprattutto, aveva bisogno di bere e di dormire ma doveva al contempo assicurarsi di un’altra cosa. Il dolore al petto si fece più intenso, si attivò alla macchina computazionale ed apprese che nessuno avesse segnalato la loro mancanza nei rispettivi turni di lavoro. Nessuna unità di controllo aveva inviato loro notifiche di verifica. Poteva lasciare andare liberi i sogni per un po’, un’altra illusione onirica. Il loro, non era un ambiente che offrisse molte comodità come nessuno delle migliaia di alloggi simili a quello. Si sdraiò accanto a Kandra, il dolore sussisteva ma in modo sempre meno opprimente. Respirò profondamente e le strinse la mano, al suono del respiro di Kandra, si addormentò anche lui.
Yoshiwara. Ora di computazione mediana. Da qualche parte nel profondo. Il validante incedeva deciso, attraversò il corridoio designato. Non era certo di cosa avrebbe trovato al di là della sala di presunzione. La visione era stata chiara e allo stesso tempo incredibile. Poteva ancora trovarsi nell’esistenza una Macchina delle Differenze, proprio lì… dopo tutto il tempo consumato nella ricerca, dopo le grandi epoche della luce e l’eccelsa era dell’oscurantismo, poteva ancora assistervi? Fece scorrere una della paratie bronzee, la grande sala cava si mostrò in tutta la sua desolazione, entrò quindi al cospetto della Macchina. Tentennò nello sfiorarla ma solo per un istante, era ancora la Macchina dunque, ancora una volta. Essa era stata attivata, no, non era corretto asserire a quel modo, la Macchina delle Differenze non poteva essere attivata, essa semplicemente avveniva quando sussistessero i giusti presupposti e le condizioni fossero adeguate. Avvertì la grande energia impegnata nel suo funzionamento, al suo sostentamento. Il validante dedusse anche che qualcun altro fosse stato lì prima di lui. Non vi era bisogno di poteri particolari, per questo, il quadrante della Macchina delle Differenze presentava ancora il messaggio richiesto su uno dei quadranti di interrogazione. Il validante decise di accettare che la Macchina delle Differenze rispondesse anche a lui.
fine undicesima puntata
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