ANALITICAMENTE SUPERFLUO

14 novembre 2014 ore 10:31 segnala
Undicesima parte

di

AllegroRagazzo.Morto





Yoshiwara. Ora di computazione mediana. Da qualche parte nel profondo. Approcciare il grande slargo oblungo era questione pericolosa ed oltremodo rischiosa. Yoshiwara pulsava incessantemente e, proprio in codeste parti, la vibrazione si avvicinava molto alla fredda e calda cadenza di un respiro sommesso, persistentemente forzato. Era uno dei luoghi dove fosse possibile accedere ad alcune delle più antiche macchine strutturali, antiche quanto la stessa Yoshiwara, qui, scintille impazzite si incanalarono ordinatamente in flussi articolati prorompendo assieme alla vita, travolgendo e trascendendo l’essenza umana stessa, qui, Maria avvenne. In questi anfratti, circondati da dedali infiniti di cunicoli e accessi, i costruttori impiantarono i primi pistoni, essi cominciarono ordinatamente la loro spinta perpetua, mentre altisonanti colonne incandescenti pompavano ad altissima pressione il vapore vitale alle macchine ed alle vite, incanalandolo in una miriade di augelli e pompe e stabilizzatori valvolari affinché potesse raggiungere ogni elemento ed apparato che lo necessitasse. Qui vennero posti i primi puntelli di contenimento, qui si svilupparono le prime vie del vapore. Benché il cuore pulsante di Yoshiwara fosse lungi dall’essere un motore perfetto, il suo perseverare per Yoshiwara era lo stato dell’arte dell’esistenza possibile. La figura continuò ad avanzare, non provava quelle emozioni necessarie ad affinare il proprio grado di sensibilità, non più, agiva in modo puramente sistematico e non casuale, basandosi su elementi concreti e dati di fatto e, le molteplici possibilità di azione, erano in fondo il solo risultato certo ed ottenibile da moltitudini di calcoli matematici costantemente in corso. Scostò un drappo ormai consumato dal tempo, oltre le paratie consunte, con un cadenzato rimestio il pesante tendaggio cadde a terra in una nuvola di polvere accumulandosi disordinatamente. Avanzò ancora e quindi si fermò al centro della grande area cava, al centro dello strano ambiente, nel suo grezzo apparire, coriacea all’aspetto e ruvida al tatto, giaceva una delle macchine analitiche, una delle prime. Non ebbe esitazioni. Prontamente il misterioso operatore attivò le valvole necessarie e la grande macchina analitica iniziò a scaldarsi.

Yoshiwara. Ora di computazione primaria. La discesa fu lenta ed articolata, Kandra non riprese mai conoscenza. A Juanus, che la portava ben assicurata a sé, sembrò che il tempo giocasse contro di loro, era stanco ma ancor più della stanchezza, la sensazione di fosco presagio lo dilaniava in modo prorompente. Vigilando costantemente su di lei durante la discesa, si muoveva cautamente, una piccola distrazione o una mancanza di coordinazione sarebbero risultate fatali ad entrambi. Finalmente approcciò la prima delle piattaforme intermedie, vi si fermò, adagiò Kandra accanto a sé, regolò l’ennesima valvola di pressione affinché il flusso si mantenesse costante per l’accesso ai servizi accessori di discesa e chiuse gli occhi, doveva… aveva bisogno di riprendere fiato e riposare. Fortunatamente dalla pedana, avrebbero utilizzato esclusivamente le pedane idrauliche per scendere al loro livello, era molto più sicuro e, cosa non meno importante, l’uso delle stesse non avrebbe destato alcun sospetto nei controllori, e nessuna allerta significava un ritorno sicuro. Ogni affioramento all’esterno era caratterizzato da un accesso verticale nella sua parte terminale, intorno però una fitta rete di connessioni idrauliche consentiva, da un certo livello in poi, di sfruttare a pieno le infrastrutture esistenti per la discesa o la risalita. L’eco dei primi gracchianti ritornava a saturare un falso silenzio già fitto di sibili e sbuffi di vapore. Non aveva memoria di come tutto questo fosse stato istituito ed assemblato, sapeva cosa fosse necessario per il proprio lavoro e perché e conosceva lo stato definito di ciò che in molti considerassero semplicemente casa. Non ricordava però la propria infanzia, non ricordava e non riconosceva gli elementi presenti nei propri sogni, spesso era come vivere un’illusione onirica altrui ma, dannatamente, tentava di fare ciò che fosse semplicemente la cosa più sensata, un passo alla volta, un’ora di computazionale alla volta. La discesa divenne da quel punto in poi più agevole, mentre la piattaforma continuava nella discesa, rimase seduto spostando lo sguardo ora su Kandra ora sulle nevrotiche tubature onnipresenti, ora sulla luce affiorante, ora sulla grande volta sovrastante che andava allontanandosi da loro. Più di ogni altra cosa, comprendeva quanto Kandra fosse per lui dannatamente importante. Durante il tragitto a ritroso che li separava dal primo e prossimo suolo del sottomondo, dismise finalmente la tenuta da esterno riponendo tutto in una delle sacche di servizio, Kandra dormiva profondamente, si rincuorò a vederla riposare in modo placido senza alcun sentore di turbamento o ansia. Appena possibile la liberò delicatamente della copertura protettiva. Osservava l’avvicinarsi della grande distesa e, reggendosi alla balaustra laterale, non appena gli fu possibile, recuperò in modo energico il carico delle anime ancora sospeso ma saldamente assicurato. Juanus sapeva contenessero sicuramente delle nuove informazioni che era necessario analizzare non appena possibile. L’animo si manteneva ribelle ma il suo sguardo indugiava intensamente sulla distesa che si avvicinava sempre di più, avvertì l’odore del combusto e, stranamente lungo quel tratto non attraversarono alcun banco di fumi di scarico, questo, era già un piccolo sollievo. Gli sembrò di non aver mai abbandonato quella pulsante massa, finemente interconnessa, brulicante e rimbombante, che era Yoshiwara.

Yoshiwara. Ora di computazione primaria. Deposito Hua Shan. Il turno era stato più massacrante del solito, il lavoro era continuo capace di drenare ogni stilla di proposito e di energia. Nessuno degli operatori aveva ancora idea di come si stessero organizzando i gracchianti ma era facile per Juanus dedurre cosa tutto ciò comportasse, un maggiore impegno da parte sua e di quelli come lui impegnati alle portanti. Seduto da solo all’interno della cabina consultava di tanto in tanto il grande orologio meccanico posto proprio accanto i sedili, trovava alquanto difficile rilassarsi, vuoi per il continuo sobbalzare del modulo e lo stridere dei pignoni contro la cremagliera sospesa che lo portava a destinazione, vuoi per l’avvicinarsi al Deposito Hua Shan o solo per l’ansia da appuntamento. Osservava la gente brulicante per le strade, la bolgia concitata all’esterno di ogni agglomerato abitativo proprio di quell’ambiente, i grandi carri meccanici da trasporto, le macchine volanti che a volte intersecavano pericolosamente i cavi portanti e sospesi lungo i quali il tragitto si articolasse. Vide in una zona adiacente il mercato nero e immediatamente accanto il mercato grigio, il commercio era sempre fervente. Si ritrovò a pensare al fatto che, occasioni come quella, capitassero di rado, era d’uopo mostrarsi più positivo in ogni caso. Si ripeteva fosse un’occasione certo nulla più, eppure… a volte sembrava quasi di poter vivere in modo normale, guastando un buon tè con chi si ha di più caro accanto… proprio lì, al Deposito Hua Shan. Kandra si trovava già lì ad attenderlo. Diede ancora un’occhiata alla struttura esterna mentre la sua cabina giungeva ormai a destinazione, si presentava come una costruzione imponente e monolitica, esteriormente anonima ma paradossalmente ben visibile anche da molto lontano, certamente non era uno dei conglomerati più imponenti di Yoshiwara ma, fumi permettendo, se ne distingueva la sagoma da parecchio lontano. La mole del Deposito richiamava stilisticamente il monte Hua Shan, una delle cinque montagne sacre cinesi, un tempo ultima ed unica meta accessibile per poter gustare del buon Lapsan Souchiong, prima dei tumulti, prima del non essere, prima dell’oscurantismo, prima del sottosuolo. La caratteristica peculiare del monte Hua Shan era quella secondo la quale chi volesse arrivarvi in cima, dovesse scalare letteralmente la montagna poiché, per lungo tempo priva di accessi o strade più sicure ed alternative. La vista, il luogo e il tè tuttavia, si dice valessero l’irto, pericoloso ed impervio cammino necessario a giungervi o la messa in pericolo della propria vita nel tentativo di farlo. In questo caso però l’accesso al Deposito Hua Shan in Yoshiwara avveniva tramite l’uso di un sistema di trasporto sospeso, ogni modulo poteva ospitare anche cinquanta unità, grandi pulegge cigolanti ruotavano mosse da un cuore meccanico stridente, sempre in funzione, tra sbocchi per il vapore e saldi pilastri di controllo. Juanus aveva optato per il percorso ovest a causa di una mera coincidenza logistica. La struttura del Deposito, isolata dall’esterno, vantava un’aria più respirabile, priva degli odiosi scarichi neri e, al suo interno, l’inquinamento acustico esterno si smorzava di molto.

A discapito della scarna e granitica esteriorità, l’interno del Deposito Hua Shan, si rivelava come una magnifica discrepanza percettiva, pura realtà vittoriana, si accedeva quasi ad un’altra dimensione. Per una volta, entrambi, erano liberi da pesanti protezioni in pelle e bronzo o caschi protettivi con filtri per l’aria, guanti di amianto o scarponi isolanti. Juanus chiuse la paratia del modulo adesso fermo e aspettò che il portello di ingresso al Deposito gli si aprisse, era un’attesa breve ma tremendamente pesante da sopportare. Una volta dentro l’animo gli si risollevò e consegnò bombetta e pastrano azzurro alla guardarobiera e, avvicinandosi alla responsabile di una delle sale chiese informazioni indicative alla loro prenotazione ed al tavolo. Indirizzato verso la giusta sezione la vide, proprio accanto ad una delle grandi finestre a specchio, attraverso le quali la luce elettrica filtrava calda e coprente, come il sole delle estati migliori, quel sole color giallo intenso del quale sia difficile stancarsi. Kandra, in piedi, guardava davanti a sé. Indossava un abito bianco, finemente ricamato, aveva i capelli rossi liberamente sciolti che, grazie alla luce così intensa, risaltavano contrastando immediatamente sul bianco del vestito. Un rilevatore di prossimità l’avvertì di Juanus e, per una volta si videro quasi come due persone normali, nel loro migliore completo mondano. Si salutarono senza nemmeno parlare, i turni di lavoro massacranti erano lontani anni luce, gli affanni già dimenticati, la polvere, il rumore, la fatica e la preoccupazione si erano come dissolti.

Juanus la accompagnò al tavolo facendola accomodare mentre un elegante servitore si accostò loro con il necessario per preparar loro il tavolo, da un carrello depose le tazze e tutto quanto richiesto a compendio. Terminata l’operazione questi li ossequiò e si allontanò. Sarebbe tornato a breve con lo Zheng Shan Xiao Zhong da loro ordinato, o come molti lo conoscevano, con del Lapsan Souchiong. Il tè Lapsan Souchong era un tè nero di origine cinese, conosciuto nell’altrove come Zheng Shan Xiao Zhong. A causa della ristretta area di produzione originaria, lo Zheng Shan Xiao Zhong, era già considerato un valore altamente pregiato, era spesso usato come valuta. Questo tè nero dal gusto particolarmente corposo, dato dall’insolita ed esclusiva procedura di affumicatura subita durante la produzione, giungeva in quantità ridottissime in Yoshiwara anche se ad intervalli temporalmente regolari. Le difficoltà di averne grandi quantità era principalmente legata agli esosi dazi sulle merci più che ai trasporti impiegati, in base alla zona di destinazione infatti, questi costi, potevano anche arrivare a costare più delle stesse materie ordinate. Si vociferava di nuove piantagioni da qualche parte, in remotissimi recessi dove le condizioni climatiche ricreate artificialmente permettessero alla pianta di attecchire e proliferare, molti dubitavano si trattasse della stessa pianta conosciuta nei tempi antichi ma inevitabilmente, si era pronti a giurare fosse esattamente come descritto negli antichi testi. Per questo ed altri motivi, la domanda per lo Zheng Shan Xiao Zhong era pressoché infinita al contrario dell’offerta molto ma molto limitata. Juanus era riuscito a collocare per entrambi dei turni che consentissero loro una piccola parentesi temporale molto diversa dal solito. Arrivò il tè e finalmente lo assaporarono.

Yoshiwara. Ora di computazione primaria. Da qualche parte nel profondo. La grande macchina analitica stridette, il ronzio crebbe trasformandosi in un ruggito costante. La superficie iniziò ad incresparsi, la macchina analitica risvegliata si riadattava all’ambiente ed all’atmosfera del profondo conformandosi in uno stridere di metallo e guarnizioni. Come un grande ventaglio dischiuse pieghe e frange in un contorto ansimare, si innestò ancor più profondamente sul piano che la ospitava e si erse assumendo adesso forma più imponente. Divelse ogni bullone di contenimento espandendosi intorno all’attivatore che rimaneva impassibile al suo cospetto. Dopo un tempo indefinito di crescita e di assestamento, la macchina analitica tacque immobile, la figura allora la interrogò. La macchina non rispose immediatamente, rimase sospesa nel proprio computare prima di mutare ulteriormente. Dall’alto, quattro nuove bocche di vapore calarono e si agganciarono magneticamente alla macchina in funzione, i quadranti brillarono di una luce rossastra, per un attimo sembrò che ogni altra cosa intorno si consumasse. La macchina analitica mutò ancora, crepandosi ed espandendosi, lacerando e piegando mentre una nuova struttura affiorava tra sibili assordanti di vapore. L’attivatore, per la prima volta nella sua esistenza, indietreggiò perché al suo cospetto aveva adesso la Macchina delle Differenze. Questo mutava radicalmente l’interazione programmata. Anche i Validanti adesso ne erano a conoscenza. Agire con immediatezza era più che una semplice risultante di un calcolo ponderato, era una necessità vitale. Inserì sul quadrante alcuni dati e quindi mantenendo la pressione costante regolando una delle valvole principali, accettò che la macchina delle differenze computasse per lui.

Yoshiwara. Ora di computazione mediana. Baia dei Ferventi. Juanus adagiò Kandra sul piano di riposo, lei non si accorse di nulla e continuò a dormire. Nascose le attrezzature portate dalla superficie, le due anime centrali andavano messe in carica, avevano bisogno di molte cose soprattutto, aveva bisogno di bere e di dormire ma doveva al contempo assicurarsi di un’altra cosa. Il dolore al petto si fece più intenso, si attivò alla macchina computazionale ed apprese che nessuno avesse segnalato la loro mancanza nei rispettivi turni di lavoro. Nessuna unità di controllo aveva inviato loro notifiche di verifica. Poteva lasciare andare liberi i sogni per un po’, un’altra illusione onirica. Il loro, non era un ambiente che offrisse molte comodità come nessuno delle migliaia di alloggi simili a quello. Si sdraiò accanto a Kandra, il dolore sussisteva ma in modo sempre meno opprimente. Respirò profondamente e le strinse la mano, al suono del respiro di Kandra, si addormentò anche lui.

Yoshiwara. Ora di computazione mediana. Da qualche parte nel profondo. Il validante incedeva deciso, attraversò il corridoio designato. Non era certo di cosa avrebbe trovato al di là della sala di presunzione. La visione era stata chiara e allo stesso tempo incredibile. Poteva ancora trovarsi nell’esistenza una Macchina delle Differenze, proprio lì… dopo tutto il tempo consumato nella ricerca, dopo le grandi epoche della luce e l’eccelsa era dell’oscurantismo, poteva ancora assistervi? Fece scorrere una della paratie bronzee, la grande sala cava si mostrò in tutta la sua desolazione, entrò quindi al cospetto della Macchina. Tentennò nello sfiorarla ma solo per un istante, era ancora la Macchina dunque, ancora una volta. Essa era stata attivata, no, non era corretto asserire a quel modo, la Macchina delle Differenze non poteva essere attivata, essa semplicemente avveniva quando sussistessero i giusti presupposti e le condizioni fossero adeguate. Avvertì la grande energia impegnata nel suo funzionamento, al suo sostentamento. Il validante dedusse anche che qualcun altro fosse stato lì prima di lui. Non vi era bisogno di poteri particolari, per questo, il quadrante della Macchina delle Differenze presentava ancora il messaggio richiesto su uno dei quadranti di interrogazione. Il validante decise di accettare che la Macchina delle Differenze rispondesse anche a lui.



fine undicesima puntata



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14/11/2014 10:31:48
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FUMI DI UN MONDO AL CREPUSCOLO

30 ottobre 2014 ore 09:33 segnala


decima parte

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Crenabog



Un silenzio greve ristagnava sotto la volta del salone delle adunanze. Nell'aria ruotava il formicolio di brandelli di elettricità statica, ultimo lascito del portale svanito nel nulla con il suo mostruoso abitante. Lentamente i confratelli sopravvissuti tornarono a contarsi, ad accentrarsi nel salone, badando ad evitare le macerie e i resti insanguinati sparsi ovunque. Il Primo Validante, dopo aver nuovamente serrato l'ingresso alla camera segreta dei Sognanti, si rivolse a loro spargendo parole calme, rinfrancanti, lavorando sulle loro menti per scacciare il terrore che ancora li faceva fremere. Questo, unito al comandamento principale che prevedeva che qualsiasi cosa accadesse tra quelle mura sarebbe restata celata al mondo, a poco a poco produsse lo stato di silenziosa ubbidienza, di rilassatezza psichica che permetteva al maestro di guidarli. Con l'accordarsi della Creazione avrebbero presto rimesso a posto tutto e forse Yoshiwara avrebbe dimenticato. In fondo, tutto il dramma si era svolto nel tempio e gli orrori cosmici erano morti e precipitati nelle lande esterne, dove quasi nessuno si avventurava. A quelle, se qualcuno le avesse notate, avrebbero potuto dare la giustificazione di mutamenti genetici, di abomini nati dal caos del Dopo Catastrofe. Il Primo Validante, ancora scosso ma intimamente soddisfatto, diede inizio alla grande ricostruzione, incanalando le energie psichiche dei suoi accoliti lungo i binari del pensiero creante: le macerie si dissolsero in un turbinio di polvere scintillante fino a svanire del tutto, le mura spaccate, sgretolate, iniziarono a riformarsi. Nuove colonne screziate di colori micalescenti sorsero svettando sino al soffitto perso nel buio. Lampioni bronzei, becchi a gas, archi voltaici, lampadari in cristalli minuti e rifrangenti, tutto si risvegliò per circondarli di una luce morbida e soffusa, balsamo quietante delle loro tormentate coscienze. E quando il maestro fu convinto che ogni cosa era tornata come doveva essere, concesse ai confratelli il dono del sonno, avvolgente, pesante, obnubilante, che avrebbe cancellato anche gli ultimi sprazzi di ricordo poi, assicuratosi che nessuno fosse più sveglio, lasciò il salone dirigendosi verso le sue stanze personali. Aprì una spessa porta lignea, antica al punto da aver preso una lucida pellatura nera interrotta solo da grandi teste di bulloni argentei, entrò richiudendo i grandi chiavistelli e lasciò scivolare lo sguardo sui folti tappeti importati dall'oriente scomparso, sui tendaggi damascati di velluto porpora. Prese posto nella poltrona dietro il tavolo, un ultracentenario fratino che conservava in ogni scheggia la storia di tempi dimenticati. Nel legno erano stati abilmente incastonati strumenti all'avanguardia che permettevano al maestro di monitorare l'attività del tempio, guidare l'energia prodotta verso Yoshiwara e da essa a tutta Metropolis. Macchinari in ottone, ferro e bronzo, scintillanti, ticchettavano e sibilavano, emettendo strisce di carta con cablogrammi e marconigrammi da tutto Submundia. Il centro stesso del potere dei Validanti si riduceva lì, nel sancta sanctorum del maestro. La forza dell'energia mentale - pensò - non poteva essere usata indiscriminatamente, era diventato imperativo trovare sorgenti alternative. La civiltà del vapore, incentrata sul carbone, era nel pieno del suo fulgore ma, per la stessa natura di Submundia, le emissioni dei gravosi onnipresenti fumi , benchè convogliati e dispersi nel mondo esterno tramite gli immensi, labirintici condotti tubolari, creava uno stato perenne di pericolo. Il Primo Validante rivolse la sua attenzione al grandioso archivio di fascicoli, manoscritti, libri e raccolte cartacee che occupava tutta la parete alle sue spalle: cercava qualcosa che gli ronzava in mente da giorni. Ecco, il dossier sulla Psycoscienza, lì forse avrebbe trovato quel che serviva. Nel 36 d.C. , un oscuro studioso del nord, Stiffelius Van der Eben, aveva improvvisamente messo a rumore il mondo intellettuale diffondendo le basi teoriche e pratiche della Psycoscienza, un caotico amalgama di nozioni puramente scientifiche , illazioni spirituali, poteri mentali e pulsioni ecologiste. Il maestro pensava che non fosse altro che una versione riveduta e corretta della ancestrale "magia simpatica", ma Stiffelius non lo avrebbe mai ammesso, considerata la popolarità, il successo e gli introiti che stava ottenendo con i suoi enunciati. Per un caso tanto misterioso quanto fortuito, Van der Eben si era imbattuto in una piccola pianta proveniente dalle lande che secoli prima avevano ospitato il Messico, una suffrutticosa cactacea che non aveva bisogno quasi di nulla per attecchire, riprodursi e crescere. L'aveva coltivata e aveva notato che, in tutta l'area intorno ad essa, i fumi carboniferi tendevano a svanire. Dopo lunghe osservazioni ed esperimenti, comprese che la pianta li assorbiva e li trasformava in nutrimento, annullandone la carica inquinante. Portando alle estreme conseguenze questa bizzarra funzionalità, Stiffelius iniziò a fare tentativi per realizzare prima dei filtri, ma erano troppo scomodi e difficili a gestirsi, poi - con una geniale intuizione - realizzò delle sigarette con i filamenti estratti dalle foglie e dalle radici della pianta, prontamente battezzata Ebenia Mutantis. I soggetti che si prestarono a provarle, mostrarono che il fumo delle sigarette di Ebenia, depositandosi nei polmoni, assorbiva le emissioni carbonifere e le trasformava, nutrendo le cellule della pianta nei corpi e creando delle barriere organiche interne contro il fortissimo inquinamento di Submundia. La popolarità di Van der Eben fu subito immensa e venne salutato come il salvatore comune di tutte le popolazioni. Misteriosamente, proprio mentre enormi somme di crediti affluivano sui conti suoi personali e della società che gestiva la produzione delle sigarette, Stiffelius scomparve. Le forze dell'ordine lo cercarono ovunque, si pensò a ricatti, a ritorsioni, ad un rapimento, ad un incidente; ma nessuno trovò né lui né la soluzione al caso. Come era comparso sulle scene così si era dissolto nell'aria. La gente iniziò a dimenticarsi di lui, ma non delle sigarette filtranti, sempre richiestissime. Quel che nessuno sapeva, al contrario del maestro al quale nulla sfuggiva, tanto meno cose del genere, che potevano nascondere misteri pericolosi, era il motivo della fuga di Stiffelius. Perchè di fuga si era trattato, appena era apparso chiaro un effetto collaterale: le cellule della pianta avevano bisogno di nutrirsi, ma era un bisogno irrefrenabile, incontrollato, e finito di modificare le particelle di carbone nei polmoni iniziavano a modificare anche il corpo, nutrendosi di esso, come un simbionte aggressivo. Nessuno se ne sarebbe accorto, sulle prime, se una notte, un operaio delle raffinerie non avesse attaccato briga con un collega, entrambi ubriachi, in una bettola della periferia di Metropolis. L'altro operaio aveva sferrato un pugno al petto dell'uomo e lo aveva attraversato. Come fosse burro. Fuggito l'aggressore, il medico accorso aveva fatto subito portare via il corpo, ne aveva curato l'autopsia e aveva scoperto che l'interno era diventato una specie di morbida massa spugnosa, biancastra, pulsante, che si era sostituita agli organi rendendo l'uomo un involucro. Pensante, vivente, ma in finale solo un mezzo di locomozione per le cellule della Ebenia. Terrorizzato, aveva telegrafato la notizia ai centri del potere, subito intercettata dai Validanti. E i politicanti avevano messo tutto a tacere come di consueto: il corpo dell'operaio morto, e il medico - vivo - erano stati rinchiusi in una fornace nelle prigioni sotterranee del Ministero della Giustizia Pubblica e carbonizzati all'istante. Inutilmente i capi del governo centrale avevano cercato una soluzione ma sembrava non essercene alcuna. L'esercito dei Molli, così cinicamente li avevano definiti, gli operai zombie inconsapevoli di esserlo, andava aumentando in ogni opificio, fabbrica, luogo dove potessero esserci emissioni di fumo e vapore. E il Primo Validante iniziò ad intravvedere l'uso che avrebbe potuto farne...



segue



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« immagine » decima parte di Crenabog Un silenzio greve ristagnava sotto la volta del salone delle adunanze. Nell'aria ruotava il formicolio di brandelli di elettricità statica, ultimo lascito del portale svanito nel nulla con il suo mostruoso abitante. Lentamente i confratelli sopravvissuti t...
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30/10/2014 09:33:43
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ARMONIE CARDANICHE

21 ottobre 2014 ore 09:51 segnala


parte nove

di

AllegroRagazzo.Morto


Yoshiwara, ora di computazione primaria, quarto anello. Uno dei recessi più profondi, l’area di ricondizionamento del flusso primario, l’essenza di ogni comunicazione in Yoshiwara dove implacabilmente infinite maestranze in turni alternati ma costanti si occupavano della continua ricalibrazione delle onde e delle antenne necessarie alla diffusione dell’essenza informativa. Da ogni avamposto dedicato, la voce monotona e metallica dei gracchianti informava e indirizzava chiunque, in ogni alloggio, in ogni mensa, in ogni grande sala di ritrovo, attraverso ogni hangar, dalla fucine incandescenti degli anelli più profondi alle aree di manutenzione, dalle officine sempiternamente in funzione al più piccolo boccaporto, dai bordelli alle camere di stasi. Juanus analizzava gli ultimi dati ricalibrando una delle portanti in modo ottimale, era il suo lavoro... lo era da sempre, da quando ne avesse memoria, costantemente, era il suo lavoro e quello di molti altri. Operazioni delicate ma ripetitive, un piccolo errore avrebbe significato il blackout dei gracchianti e le direttive erano adamantine al riguardo. Per nessun motivo, in nessun caso, ci si poteva astenere dal manutenere il servizio in questione. Juanus lavorava e verificava ciclicamente i rapporti relativi alla propagazione del segnale ma la sua mente era sempre più spesso rapita da pensieri diversi, la sua mente indugiava altrove, volando oltre le coltri nebbiose del vapore e dell’argon, oltre le paratie bronzee, oltre il potere direttivo, oltre i tralicci e i grovigli interiori ad ogni apparato. Il gracchiante annunciò finalmente la fine del suo turno. Juanus raccolse i pochi effetti personali e si diresse verso una delle terminazioni antistante la grande matassa di trasporto, innestò una delle valvole di controllo facendo bene attenzione alle risonanze e aprì il portellone. Vi entrò e si sedette, il gracchiante chiese immediatamente la destinazione e lui rispose semplicemente “casa”.

Affioramento, ora di computazione incerta, superficie. Osservarono impietriti, oltre la volta eterea, oltre la sua apparente curvatura, una piaga improvvisamente apertasi ed inghiottire il cielo. Il plasma continuava nel suo crepitare, fasci di energia cominciarono ad abbattersi intorno a loro. Juanus indicò qualcosa appena fuori lo strano fenomeno al quale stessero assistendo. Forme scure, olivastre iniziavano a delinearsi nello spazio cangiante, circondate da un alone rossastro, grandi figure fluttuanti in ordine sparso. Non potevano essere nulla di terrestre, nulla di riconducibile nemmeno agli antichi testi. Kandra indietreggiò, non a causa del pericolo imminente, indietreggiò perché in cuor suo aveva, sapeva di avere, le risposte alle quali Juanus tentava di rispondere. Una delle creature sembrò avvicinarsi rispetto alle altre, erano enormi, indescrivibili nella loro forma sempre in costante mutare. Implacabilmente, queste manifestazioni aberranti ripopolavano la volta celeste con al centro del grande squarcio un turbinio di folle intensità. Non potevano più aspettare, Juanus si diede da fare per l’apertura dell’affioramento, Kandra alla sue spalle cadde come fulminata.

Yoshiwara, ora di computazione mediana, Baia dei Ferventi. Kandra osservava con apparente indifferenza, quasi apatica, i vapori eccitati dalle cariche statiche che si innalzavano al di sopra delle condutture di contenimento, la luce filtrata da essi, proiettava frattali infiniti. Aveva appena terminato di verificare i rendiconti alla macchina computazionale di Regime, era una privilegiata essendo in grado di poterne usare una direttamente da casa ma, riposare adesso, non era un’opzione praticabile, era certamente una possibilità da non prendere nemmeno in considerazione. Da troppo tempo ormai il sonno non le arrecava alcun piacere ristoratore, aveva sempre la sensazione di muoversi su di un sottile strato cristallizzato e fragilissimo al di sotto del quale, l’abisso bramosamente la scrutava e la attendeva... no, nessun riposo ristoratore, nessuna pausa, nessuna tregua. Si scostò i capelli rossi dal viso e si avvicinò alla consolle di comando e confermò le nuove direttive innestando i valori opportuni, staccò lentamente una delle anime centrali in carica e tentò di completare quindi un altro livello di analisi. Lavorava, lavorava ma la mente, sempre più spesso indugiava su pensieri distanti, diversi, quasi ardenti... era pericoloso, era sconveniente, era... ciò di cui avesse realmente ed infinitamente bisogno, lo avvertiva distintamente, disperatamente. Il gracchiante annunciò la prossimità dell’arrivo, Juanus si preparò ad uscire, afferrò la borsa e la mise a tracolla e non appena il segnale lo consentì uscì fuori, si trovava a pochi passi dal lungo corridoio che si diramava in migliaia di alloggi. Camminò senza problemi (n)stante il turno massacrante appena terminato, aveva nostalgia di altri pensieri, di altre sensazioni, di lei. Arrivò davanti il loro alloggio, schiacciò la placca di ingresso, ogni apertura funzionava allo stesso modo, una valvola consentiva l’accumulo di vapore sufficiente da ripartire il movimento del grande pistone verticale collegato ad essa, una volta liberato il vapore il pistone apriva la breccia.

Affioramento, ora di computazione incerta, superficie. Juanus la portò al coperto, chiuse il portellone e lo assicurò, fece schiudere il diaframma, la strada del ritorno, sotto di loro, era lunga e difficile, la avrebbe portata giù di peso se fosse stato necessario. Una volta chiuso l’affioramento, il sordo pulsare di Yoshiwara ricominciò ad echeggiare, stabilizzò la valvola di pressione, agganciò le due anime centrali lungo il cavo di sicurezza e le spinse in fondo, le avrebbe recuperate dopo, iniziò quindi ad assicurare se stesso e Kandra per poter iniziare la discesa.

Yoshiwara, ora di computazione mediana, Baia dei Ferventi. Il portellone di accesso stridette e si aprì, Lei vide Juanus sulla soglia e gli si precipitò contro, avvinghiandovisi senza proferire alcuno, senza difese, protese le braccia a stringerlo ancora, in modo più deciso, serrò le proprie labbra contro le sue per rubargli il respiro, carpirne l’anima, nutrirsi del suo calore, del suo sapore. Lui non si oppose, non frenò la di lei possanza e poi guidò entrambi con rinnovata ed accresciuta irruenza. Aggrovigliati come i suoi capelli ribelli, irruppero oltre le loro remore, seguendo l’istinto rapace ed incontrollabile e, trascinati da esso, in un attimo allontanarono ogni altra percezione esterna. Il cadenzato rimbombare dei martelli della fucina, assordante, ridondante sembrò sparire, affievolire improvvisamente con solo l’ovattata onda di compressione a segnare quasi un ritmo incessante adesso incrementale, un motore percussivo inarrestabile, un totem ancestrale ed ossessivo. Il portellone si richiuse di colpo. Incuranti del rumore, incuranti dell’intero universo, entrambi persi l’uno nell’altra, le loro membra avide di contatto, assetate di calore corporeo, serrate adesso come le loro bocche, esploravano, carpivano, liberavano. Urtarono convulsamente la parete e poi caddero in terra travolgendo ogni cosa nella caduta. Si strinse intorno a lui, vi affondò le dita, respirò profondamente, gravida di passione bruciante come gli altoforni, inevitabile come il destino. Staccò rabbiosamente allora le proprie labbra dalle sue per una frazione di secondo, condividendo lo stesso intimo respiro e prolungando la successiva apnea, quasi rantolante nella sua risonanza, per poi morderlo convulsamente e ricongiungervisi ed insieme, abbandonarsi ancora. Profondamente legati, in un’unione di carne e cuore e ancora cuore e rabbia e sudore e adesso inevitabilmente, alfa e omega, corpo contro corpo, corpo su corpo, corpo dentro corpo, i loro volti persi in un torbido vorticare di umori e percezioni tattili, principio e fine ancora, corpo nel corpo consequenzialmente, violentemente, animalescamente, fusione di forme schiacciate su altre, forme contratte, venate da tendini e muscoli. Kandra inarcò la schiena, tendendosi per un momento che parve infinito in quella pura forma umanamente univoca ancora in nuce, puro istinto femmineo anelante una sola cosa. Trattennero il respiro quasi ad allontanare l’inevitabile cataclismatica profusione pulsante, profondamente e spasmodicamente pulsante. Il tempo si accantonò al loro cospetto, lasciò loro lo spazio dimensionale a colmare e riorganizzare l’essenza stessa della vita sin nella sua forma primaria ed elementale. Oceano dirompente, aura magnetica, marea inarrestabile, ascesero precipitando più e più volte al ritmo dei martelli, della vibrante ed istintiva metallica madre, essenza organica dilatante, ordinale unico, intellegibile integrità presentante. Il tempo, invidioso, ritornò a scandire i loro tormenti, accelerò e spinse oltre la barriera dell’umana resistenza ed entrambi gridarono lasciandosi affondare, occhi negli occhi nell’estasi più completa, consumati dal battito unisono e dalle loro pulsioni, corpo dentro corpo ancora e ancora fino ad abbandonarsi, uniti e vibranti, esausti di piacere.



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« immagine » parte nove di AllegroRagazzo.Morto Yoshiwara, ora di computazione primaria, quarto anello. Uno dei recessi più profondi, l’area di ricondizionamento del flusso primario, l’essenza di ogni comunicazione in Yoshiwara dove implacabilmente infinite maestranze in turni alternati ma costa...
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21/10/2014 09:51:20
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L'ORRORE DAL VUOTO

17 ottobre 2014 ore 10:41 segnala


parte otto

di

Crenabog



Nelle profondità di Yoshiwara, il caos si stava scatenando. Il Primo Validante era riuscito a trovare rifugio in una camera corazzata, nascosta alla vista dall'altare principale, e tentava disperatamente di escogitare un' idea, un' idea qualsiasi, che potesse salvare il suo mondo dalla mostruosità penetrata dal Vuoto cosmico e che stava devastando la sala delle adunanze. Le urla di terrore dei validanti in cerca di salvezza non riuscivano a coprire il disgustoso rumore di fondo, composto dai tonfi dello spostarsi dell'enorme corpo di Cthulhu, dal vischioso sciacquìo dei suoi artigli nelle membra delle vittime e dall'incessante ritmico dipanarsi degli scricchiolii delle macchine che producevano il vapore e l'elettricità. La morte stava suonando la sua demente sinfonia, rendendo quasi impossibile al Primo Validante concentrarsi. Le squadre corazzate dei militi, con le loro inadeguate protezioni e i loro fucili ridicoli davanti alla possanza del dio ancestrale, avevano formato un ultima difesa, un fronte massiccio che cercava di impedire l'avvicinarsi della mostruosità ai giganteschi portali bronzei che davano l'accesso all'esterno, a Yoshiwara e naturalmente a Metropolis. Il Primo Validante sedette sulla poltrona in pesante cuoio cheshire, manovrò le leve per adeguare il suo corpo alla forma mobile, iniziò a collegare tubi e cannule alla sua armatura celata dal mantello. Le induttrici elettriche gli permisero di collegarsi all'elaboratore mentale, una sorta di cristallo mistico potenziato che lanciava il suo pensiero verso gli altri, amplificando al massimo il potere di sincronizzarsi con loro e svellere dalle menti i sogni necessari alla Creazione. La luce bassa, morbida, della camera segreta, era stata calcolata per abbassare ogni stato di tensione e i diffusori di aromi esotici allargavano lo stato cosciente, disponendo l'operatore verso una diffusa quiete mentale. Il leggero aroma dovuto all'olio di lavanda e patchouli influenzò positivamente il sacerdote e il tremore che lo scuoteva iniziò a fermarsi. Fermare il mostro con le armi era chiaramente impossibile e il Portale non sembrava in grado di restare aperto a lungo. La visione delle entità che stavano seguendo il dio raggiunse l'uomo con la forza di un maglio, non se lo aspettava: bisognava fare presto e trovare una soluzione prima che tutto diventasse irreparabile. Lanciò i suoi pensieri in una farneticante ridda esterna, sfiorando, contattando, sbirciando, ogni mente che avvicinava. Cercava la fonte a cui si era abbeverato l'incubo, traendo sostegno e forza per lanciarsi all'attacco del Sottomondo. La percezione, dapprima blanda, vaga, poi sempre più chiara, di una mente disturbata, debole, arrivò al Primo Validante. Non conosceva la ragazza, non sapeva nulla di lei ma percepì in maniera cristallina i germi dell'orrore che giacevano nei suoi recessi intimi. Da quei semi lugubri era germogliato il richiamo verso la spaventosa entità primigenia, si era dipanato nella mente del sacerdote illudendolo e finalmente si era concretizzata nel baratro tra i mondi che era stato solcato in un lampo. Per prima cosa, dunque, il Primo Validante lanciò una scossa mentale violenta, provocando in lei uno shock mentale che la fece crollare a terra svenuta e immemore, di sé stessa e dei suoi pensieri. Se anche non fosse riuscito a cancellare gli incubi dalla sua mente , almeno avrebbe bloccato il flusso di cui l'orrore cosmico si stava nutrendo. Ora, doveva guadagnare tempo e bloccare il mostro. Armeggiò con i pulsanti del quadro di comando, e si preparò a collegarsi simultaneamente con tutti i validanti ancora in vita. Il suo richiamo mentale esplose per tutta la sala e oltre, individuandoli, legandoli in un solo nodo: l'abitudine era talmente radicata in loro che immediatamente si fermarono dove erano, concentrandosi al massimo e sintonizzandosi su una sola lunghezza d'onda. Il sacerdote massimo ordinò il richiamo di stasi che partendo da lui riverberò da loro a tutto il circostante spazio. Come cerchi nell'acqua la vibrazione si allargò a dismisura immobilizzando ogni cosa. L'immenso corpo del mostro tremò,
le ali da pipistrello sbatterono convulsamente, il suo ruggito impotente squarciò l'aria mentre si bloccava sulla montagna di corpi smembrati. Solo i suoi molteplici globi oculari guizzavano, lanciando odio feroce. Non sarebbe rimasto bloccato a lungo e il sacerdote massimo se ne rese conto; restava solo una carta da giocare. Strinse nella destra la leva in ottone ricoperta di sottili fasce di cuoio, la spinse in avanti ed un complesso sistema di ingranaggi aprì il sottofondo della camera segreta, facendo scendere la poltrona su uno sbuffante pilastro istoriato. La luminescenza tenue del lucore verdastro che avvolgeva la sala inferiore avvolse il validante. Nulla raggiungeva quel misterioso antro, nessun rumore, nessun pensiero: la calma, il silenzio lì dentro erano una realtà tangibile, una immersione in una nuvola. Girò la testa guardando con orgoglio la Risorsa Suprema di Metropolis, la cosa di cui era al corrente soltanto lui e chi lo aveva preceduto. Nelle pareti, una lunghissima teoria di piccole cellette, baluginavano di luce pulsante e mostravano al validante il loro contenuto. Centinaia di alvei pieni di liquido amniotico nei quali galleggiavano forme che avrebbero devastato la mente di chiunque le avesse viste. Sin dall'inizio della creazione di Metropolis la casta dei Validanti aveva capito che era necessario disporre di un potere nascosto, qualcosa che avrebbe fatto da diga salvifica nel momento stesso in cui le risorse mentali della popolazione fossero scemate. Il tesoro segreto venne costituito lontano dagli occhi del potere politico: una accurata campagna di sensibilizzazione della popolazione l'aveva convinta che le risorse del Sottomondo non sarebbero mai bastate per tutti. La pianificazione familiare venne dapprima spinta con i media, poi organizzata da leggi. Ogni nuova vita veniva vagliata e, nel caso i medici avessero decretato la sua insufficienza a sopravvivere nel devastato universo che li circondava, l'aborto clinico veniva ordinato. Supporti morali ed economici venivano elargiti alle famiglie ma quel che nessuno sapeva era che i feti non venivano eliminati. Venivano trasportati in segreto nel Tempio e sistemati nelle celle amniotiche dove composti chimici ne impedivano la crescita, lasciando sopravvivere delle creature quasi eterne, immobili nella loro non-formazione, che mai avrebbero visto lo scorrere degli anni come qualsiasi essere umano. Privi della conoscenza della realtà esterna, intoccati da stimoli e pensieri, essi vivevano in un paradiso fuori dal tempo, totalmente vergini dal bene e dal male. Ai loro sogni, al loro sconfinato potere mentale intendeva dunque accedere il Primo Validante. La gigantesca riserva di energia nascosta lì dentro era il fronte decisivo nella lotta contro l'abominio. Il sacerdote massimo si alzò, raccolse il luccicante cavo posato su un unico monolite nero, gelido al tocco, lo fissò, lo soppesò e poi innestò lo spinotto terminale nel centro della propria fronte. Solo i Primi Validanti venivano sottoposti all'apertura della ghiandola pineale, con l'inserimento di un occhiello nascosto perennemente da uno strato sottilissimo di pelle sintetica. Sentì con un brivido il gelo penetrargli direttamente nel cervello, il caleidoscopio di colori e vibrazioni proveniente dai Sognanti si diffuse in tutte le fibre del suo corpo. Concentrò l'ordine e fece esplodere il potere dei Sognanti verso l'immagine mentale del dio prigioniero nel salone superiore. Un vortice turbinante avvolse la pelle grigia e scagliosa del mostro, lo fece ruotare convulsamente mentre in lontananza il Portale prese a lampeggiare: un cupo rumore - come del risucchio di un maelstrom - fece vibrare le pareti della sala delle adunanze. Il gorgo afferrò l'essere e lo risospinse nelle profondità del Portale, risucchiando insieme ad esso i corpi maciullati dei validanti e dei soldati della milizia. Poi, in un bagliore di luce nera, si chiuse scomparendo. Fuori, all'esterno, il rombante grido di pura follia del mostro che tornava nelle profondità cosmiche dei suoi domini, raggiunse i sussurranti mentre volavano in cerchio sulle devastate lande semi deserte e li fece collassare. Come una pioggia di morte, spenti, annullati, precipitarono al suolo, schiantandosi, disintegrandosi. Il Primo Validante deterse con il dorso della mano il sudore che gli bagnava il volto, rimosse lo spinotto dalla fronte e si lasciò cadere sulla poltrona. Ora doveva pensare alla ricostruzione.



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« immagine » parte otto di Crenabog Nelle profondità di Yoshiwara, il caos si stava scatenando. Il Primo Validante era riuscito a trovare rifugio in una camera corazzata, nascosta alla vista dall'altare principale, e tentava disperatamente di escogitare una idea, una idea qualsiasi, che potesse...
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CUORE DI LATTA

16 ottobre 2014 ore 03:31 segnala


settima parte

di

AllegroRagazzo.Morto



Yoshiwara, ora di computazione terminale, Baia dei Ferventi. Juanus assemblò come meglio poté le uniche due anime centrali che fosse riuscito a trovare, in un tempo così ristretto, ed ancora comprensive di una discreta capacità disponibile. Kandra, accanto alla grande macchina computazionale per il controllo del flusso, auscultava i rantoli della grande fucina. Il bronzo veniva raffreddato negli stampi, i contenitori anch'essi incandescenti, scricchiolavano perdendo rapidamente calore. Non aveva dormito molto durante l'ultimo periodo. Il sonno aveva smesso di essere per lei una fonte ristoratrice e, sempre più spesso, un profondo senso di oppressione la dilaniava ed incupiva. Juanus la distolse dai propri pensieri chiamandola a sé. Kandra sapeva egli nutrisse ancora dei dubbi, non era del tutto convinto, poteva leggerglielo in volto... quanto ancora avrebbero dovuto confrontarsi? E se anche fosse esistita una sola quanto remota possibilità di riuscita… cosa andava a pensare... cosa sarebbe accaduto loro una volta fuori? Tentò in tutti i modi di allontanare quell'ansia e vide le uniche due anime che Juanus fosse riuscito a sistemare e le sembrò già un miracolo avendo fatto tutto così all'improvviso. Le disse che l'autonomia, trovando dell'acqua, avrebbe garantito loro anche il volo, questo avrebbe facilitato i loro spostamenti in superficie. Dovevano muoversi e, dopo un tempo infinito trascorso in silenzio, decisero... seguirono uno degli affioramenti, fuori dalla griglia, lontano dagli occhi e dalle orecchie della Casta, dopo la ripida ascesa avrebbero avuto solo da forzare il diaframma e il portellone esterno. Si abbracciarono, la grande fucina martellava, era giunto il momento di andare.

Avamposto, ora di computazione incerta, superficie. Kandra si svegliò in preda a spasmi, era sola, la luce dell'alba screziava già l'apertura dell'avamposto, si guardò in giro più e più volte ma non riconobbe il posto, aveva ancora chiare nella mente le visioni dirompenti che l'avevano imprigionata in un incubo senza fine, provò ad alzarsi, tentò di puntare i piedi contro una delle pareti ma appena allontanatasi dalla stessa, ricadde a terra. Affondò le mani nel terriccio, un odore acre riempiva la pungente aria del mattino. Si convinse a spingersi carponi verso la grande apertura, i primi movimenti le risultarono incerti ma l'adrenalina ancora in circolo le diede nuovo vigore, arrancò fino al varco quindi con ambo le mani si issò sopra l'intercapedine divelta. Incapace ancora di parlare si guardò intorno. Vide poco distante, all'aperto, Juanus che effettuava alcune riparazioni. Provò a raggiungerlo alzandosi e nuovamente svenne crollando a terra. Lui la sentì, si voltò verso di lei e si precipitò a soccorrerla, si sincerò che non avesse nulla di rotto e tentò di farla rinvenire. Kandra, dopo il buio, aprì gli occhi per la seconda volta, adesso finalmente sveglia, raccolse un respiro che parve infinito e quindi urlò sino a che il suo stesso grido mutasse improvvisamente in un rantolo sincopato. Non aveva(no) parlato più molto dal suo risveglio, ella era un fascio di nervi, le informazioni ricevute dalla piccola scatola computazionale avevano confermato l'esistenza di un portale, un primo terminale ad esso collegato era localizzato in Yoshiwara ma la piccola scatola computazionale aveva, sfortunatamente, esaurito la propria energia prima di localizzare il secondo terminale.

Avamposto, ora di computazione incerta, superficie. Si erano incamminati ormai da un pezzo, più e più volte Juanus aveva tentato di richiamare il beacon ma inutilmente, alcune interferenze statiche ne rendevano la guida di ritorno approssimativa. Le loro anime non avevano sufficiente energia per una ricognizione aerea. La luce mutò, Kandra alzò lo sguardo, fasci di plasma turbinavano da un punto all'altro dell'orizzonte, il loro spettro risaltava a tal punto da oscurare il sole. Qualcosa stava alterando la fisica del cielo o almeno questo sembrava stesse accadendo e questo era anche la sola sensazione da loro percepibile. Dovevano comunque mettersi al riparo, uno degli affioramenti di accesso al sottosuolo era poco distante. Nonostante la mancanza di informazioni, Juanus aveva compreso che l'attivazione del portale aprisse un varco. In condizioni normali un evento di questo tipo sarebbe risultato secondario ma temeva che al loro ritorno, i controllori potessero ghermirli. Provò a concentrarsi ma avvertiva distintamente il sentore che dell'altro di ben più grave stesse accadendo da qualche parte. Era giunto alla conclusione che lo stato di Kandra ne fosse diretta conseguenza e anche, su questo non credeva di sbagliarsi, quello di molti altri. Il suo cuore di latta iniziava a fare i capricci, non lo diede a vedere, raddoppiò gli sforzi e tenne il passo per tutti e due. Kandra sembrò tranquillizzarsi alla vista dell'affioramento. Il portellone cigolò ancora una volta, Juanus lo lasciò cadere, il frastuono venne smorzato dalla presenza del diaframma ancora sigillato. Aumentò la pressione affinché il diaframma si schiudesse e appena vi fu lo spazio sufficiente, ci si infilò al fine di attivare la valvola di pressione immediatamente dietro. Erano pronti a rientrare. Udirono un sibilo dirompente e poi uno schianto secco ed un susseguente lento e sommesso crepitare. Ciò che restava del beacon era una poltiglia fumante, Juanus lo identificò subito, le propaggini computazionali erano ciò di cui si occupava per vivere. Avrebbe voluto capire di più ma non ve ne era il tempo. Juanus entrò per primo ma Kandra non lo seguì, provò a richiamarla e la vide ferma con lo sguardo fisso verso la strana tempesta di plasma ormai di una certa intensità, si sporse ad afferrarla e non poté fare a meno di guardare anche lui.

Spazio esterno. Ora di computazione sconosciuta. Ogni singola barriera andava assottigliandosi, ogni distanza fisicamente computabile perdeva importanza. Una prima breccia, nel profondo, era stata aperta, Esso, aveva raggiunto il loro piano. Il non tempo infinitamente trascorso più non era. Comete antiche, gelide vagabonde dei più profondi recessi astrali irruppero mentre occhi, molteplici occhi, scrutarono gli strani corpi attraversare in scie sottilissime e brillanti il vuoto nero. Le videro avvicinarsi alla grande limitatrice dimensionale, perdere massa, potenza, velocità e ammirarono bramosi la loro completa disgregazione nel silenzioso e gelido nulla. Gli occhi, molteplici occhi, si premettero avidamente contro la ormai sottile bolla di contenimento, ogni differenza stava rapidamente venendo meno, lo stesso tessuto dimensionale era ormai un corrotto ibrido e fasci di plasma si contrapponevano all'aberrante protusione di ogni occhio vischioso. La pelle si tese, resistette, quindi si tese ancora conformandosi alle forme arcane avide di spazio, anelanti l'assoluta conquista, lucidamente consumate dall'eterna fame. Un altro sciame di comete intercettò la grande limitatrice, la differenza di massa le attirò vertiginosamente, molte di esse si disintegrarono consumate dall'enorme calore e tuttavia, un impatto venne registrato. La pelle in un crepitio si lacerò, gli occhi liberi puntarono tutti nella stessa direzione, i sussurranti delle tenebre erano adesso liberi.



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« immagine » settima parte di AllegroRagazzo.Morto Yoshiwara, ora di computazione terminale, Baia dei Ferventi. Juanus assemblò come meglio poté le uniche due anime centrali che fosse riuscito a trovare, in un tempo così ristretto, ed ancora comprensive di una discreta capacità disponibile. Kan...
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16/10/2014 03:31:55
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L'ARRIVO

13 ottobre 2014 ore 11:12 segnala


sesta parte

di


Crenabog



Il Primo Validante controllò allo specchio l'atto della vestizione. Teneva sempre particolarmente al degno apparire, soprattutto ora, che l'assemblea sarebbe stata attentissima a qualsiasi cosa potesse succedere. Indossò il cappotto di cuoio nero, lungo fino agli stivali, allacciando gli alamari di stoffa dorata ritorta con i grossi bottoni di bronzo, debitamente lucidati. Strinse le fibbie degli spallacci e delle strisce in cuoio porpora pomellato alle quali teneva appeso i vari recipienti per le pozioni, per gli accessori e quanto altro riteneva adatto alla sua importanza. Appese al gancio destro l'anello d'oro del pesante orologio a carica manuale che da sempre lo accompagnava, stirò sul davanti la catena e infilò il meccanismo nel taschino sinistro, con un sottile piacere nel rilevare quel peso confortante ed antico. Alzò il bavero impellicciato del cappotto che si trasformava in un ampio cappuccio, capace di coprirlo fin quasi al naso, cosa che trovava molto intrigante e utile per nascondere la propria espressione con le ombre che formava sul volto. Aggiunse anche i grandi occhiali rotondi ed avvolgenti, in ottone scurito, dalle lenti affumicate, che impedivano a chiunque di comprendere la direzione del suo sguardo, cosa che metteva sempre in soggezione gli interlocutori. Poi, a passi pesanti e calibrati, si diresse verso la sala delle adunanze. Trovò ad attenderlo l'intero consesso dei Validanti, la convocazione era stata perentoria e nessuno aveva avuto cuore di rendersi indisponibile. Un aria pesante aleggiava su tutti, scossa da tremiti di attesa, da angoscianti percezioni di pericolo e dal dubbio su cosa sarebbe realmente avvenuto. Il rumore di fondo era strisciante, basso, penetrava i cervelli degli astanti: un misto acquoso di ronzii, tonfi, sbuffi, degli immensi macchinari sorgenti dalle profondità di Metropolis, il cui nucleo vibrante aveva l'epicentro sotto la sala. In lontananza, persi tra le ombre a malapena squarciate dai riflessi delle candele e delle lampade ad arco, vaghi bagliori lucenti delle condutture, delle tubazioni e dei comandi, con gli addetti che intorno ad esse continuamente si alternavano. Il Primo Validante alzò la mano comandando il silenzio, che subito scese sui convenuti poi iniziò a spiegare la necessità di fronteggiare le discrepanze che recentemente erano occorse nei sogni della popolazione, livellando nuovamente gli stessi con l'inserzione di un elemento pacificante, corroborante, quietante. Qualcosa che veniva dall'Esterno, una sorta di flusso amniotico che dichiarò di aver percepito nei suoi sogni personali. Un richiamo di pace e serenità universale, rombante ai confini dell'universo, che si era trascinato sino alla mente del Primo Validante, attratto certamente dal valore della sua visione di amore nei confronti degli abitanti del Sottomondo. Avrebbe dunque proceduto ad innescare l'Oculus, aprendolo verso l'immagine esterna, e lasciando che essa penetrasse fino a loro, portando con sè l'annuncio salvifico di una nuova era. Il respiro trattenuto nelle centinaia di gole dei Validanti era perfettamente intuibile: nessuno di loro avrebbe mai avuto il coraggio di rischiare l'uso di quella tecnologia ancestrale e quasi sconosciuta. Mai prima d'ora l'Oculus era stato messo in funzione, vaghi racconti tramandavano di quando veniva usato per controllare lo spazio esterno sulla Terra, ma mai era stato rivolto al cosmo. Il Primo Validante si volse verso l'enorme quadro comandi alle sue spalle, spinse leve, accese minuscoli globi luminosi, schiacciò pulsanti: in alto, tra serpentine di cavi in rame ritorti, colonne bronzee sormontate da lampade ad alta luminescenza, lentamente iniziò a formarsi un cerchio di luce. La luce pulsava, dapprima lenta, al passo con i battiti dei loro cuori, poi veloce, infine frenetica, come se l'urgenza primordiale di ciò che era "fuori" spingesse per entrare. E, inevitabilmente, la cosa entrò. L'immensa mole del dio antico fece scivolare i suoi disgustosi tentacoli, incontrando la resistenza delle forme geometriche terrestri nelle quali avrebbe dovuto incanalarsi. Nello sforzo di varcarle iniziò a mutare e a fondersi con i meccanismi che trovava sul suo cammino, inglobando dentro di sè le torri di espirazioni dei fumi e gli enormi condotti bronzei, svelse le colonne ritorte a spirale della sala, le lunghe scale metalliche si incastrarono negli immensi tentacoli lattiginosi, facendo precipitare al suolo gli addetti urlanti. Mentre il consesso dei Validanti si disperdeva tra grida di terrore, la massa flaccida, gigantesca, pulsante del dio primordiale si agitò follemente sul pavimento le cui lastre di marmo andavano disintegrandosi sotto il suo peso. La mente del Primo Validante vacillò sul baratro della follia mentre dai suoi più profondi recessi si faceva largo un nome, un nome mai pronunciato ad alta voce, un nome ricordato solo in un misterioso testo che si riteneva sepolto dall'oblìo ma che invece egli aveva avuto modo di studiare, nelle sue segrete peregrinazioni nei sottofondi della biblioteca reale. Cthulhu era giunto.



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« immagine » sesta parte di Crenabog Il Primo Validante controllò allo specchio l'atto della vestizione. Teneva sempre particolarmente al degno apparire, soprattutto ora, che l'assemblea sarebbe stata attentissima a qualsiasi cosa potesse succedere. Indossò il cappotto di cuoio nero, lungo fin...
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RIVELAZIONI

10 ottobre 2014 ore 09:06 segnala


quinta parte

di

AllegroRagazzo.Morto


Avamposto. Ora computazionale incerta. Superficie. Poche ore all’alba. La temperatura si manteneva rigida, l’illusione onirica avvolgeva ancora le loro menti, il beacon fletteva le sue antenne e compiva grandi ellissi di poco sfalsate, l’area sembrava sicura ma l’avamposto era abbandonato da tempo e nulla di davvero utile poteva essere utilizzato. Una vecchia scatola computazionale era stata abbandonata da qualcuno. Juanus in un primo momento aveva pensato di utilizzarla, non era così avanzata ma poteva comunque essere collegata ad una delle loro anime principali ancora efficienti. Usarla voleva dire ridurne però drasticamente l’autonomia. Lasciò Kandra riposare e si mise ad ispezionare per quanto possibile la scatola computazionale e su di un lato notò la scanalatura di accesso. Poteva modificare con alcuni attrezzi l’ingresso e renderlo compatibile con la sua anima centrale. Poteva funzionare, poteva non funzionare e in ogni caso avrebbe perso preziosa energia e, non vi aveva ancora pensato, c’era un’ulteriore possibilità, il suo intervento poteva rendere irreparabile il danno eventuale e rendere inutilizzabile anche la sua anima, non era un esperto di macchine, non così vecchie almeno. Guardò Kandra rannicchiata, il respiro condensava, non poteva(no) far altro che attendere e che la temperatura si innalzasse ed era comunque conscio del pericolo nello spostarsi di giorno.

Yoshiwara, terzo anello, ora computazionale media. Una delle macchine analitiche più anziane, mostrò la sua visione al Primo Validante. Dalla griglia elicoidale, sbuffi di vapore precisi vennero eccitati dalla luce rapita alla superficie, condensata nei prismi magnetici. La luce attraverso il vapore formò sagome, produsse suoni, completò un affresco etereo ma abbastanza stabile da poter essere letto. Quale potesse essere il senso del comportamento della macchina analitica restava un mistero, il portale era celato, abilmente celato, esisteva un possibilità seppur remota che potesse essere comunque attivato. Un portale attivo era un varco attraversabile, il Validante era sicuro di cosa potesse andare ma non osava pensare a cosa sarebbe eventualmente giunto dall’altra parte. Poche ore all’alba, poche ore di sonno. Ancora pochi attimi.

Avamposto. Ora computazionale incerta. Superficie. Juanos desistette, lasciò la scatola computazionale in terra, era stanco, era tardi ed era ora di riposare, si sdraiò accanto a lei provando a cadere in un’altra illusione onirica. Sentì l’anima centrale gemere. Sentì qualcosa allentarsi. Mentre Kandra dormiva profondamente lui… non vi riuscì.



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« immagine » quinta parte di AllegroRagazzo.Morto Avamposto. Ora computazionale incerta. Superficie. Poche ore all’alba. La temperatura si manteneva rigida, l’illusione onirica avvolgeva ancora le loro menti, il beacon fletteva le sue antenne e compiva grandi ellissi di poco sfalsate, l’area sem...
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10/10/2014 09:06:10
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OCULUS

06 ottobre 2014 ore 09:34 segnala
quarta parte


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Crenabog





Nell'enorme, e ben poco rischiarato dalle tenui luci ad incandescenza delle lampade a globo fissate ai muri lintani, salone dell'Assorbimento si stavano radunando i Validanti per la ricorrente Opera Creatrice. Nessun suono tranne il sommesso frusciare dei mantelli e delle scarpe, infrangeva il silenzio mistico del luogo. Quando ebbero preso posto, seguendo uno schema consolidato nel tempo, formando una figura geometrica inusuale dagli angoli incomprensibili, apparve il Primo Validante su un alto podio dal quale poteva dirigere e controllare l'assemblea dei partecipanti. Alzò le braccia dando inizio alla cerimonia. Un mormorio indistinto si alzò leggero, fluendo in tonalità e strutture di arcana musicalità, espressamente forgiato per uniformare le menti dei Validanti: il loro potere mentale spinse ogni abitante di Yoshiwara, la capitale del Sottomondo, a sprofondare nel sonno e poi, nei sogni. E dell'energia dei sogni essi si compiacquero, assorbendoli. Automaticamente scelsero quelli più confacenti al bisogno, sviscerandoli, analizzandoli, scrutandone le profondità. Compresero le necessità degli abitanti, le cose che richiedevano inconsciamente. Iniziarono l'Opera: ovunque, nelle case, nei negozi, nei magazzini, apparvero le derrate, le merci, i materiali che poi sarebbero stati usati, comprati, scambiati. Nessuno si rendeva conto della effettiva provenienza. Tutto ciò che importava, alla brulicante massa della popolazione, era avere. E i Validanti davano. Trasformando l'energia fluente delle menti in particelle solide, in elementi concreti. In un mondo privo di risorse, e spinto dalla necessità brutale alla sopravvivenza, le arti mistiche dei Validanti avevano trovato l'unica scappatoia all'estinzione. Esisteva ovviamente il rischio concreto dell'esaurimento della energia psichica della popolazione, e già si erano riscontrati casi di abulia, pazzia, scissione di personalità; i Validanti avevano fatto fronte a questo pericolo con le forze di polizia segrete, che tenevano sotto ferreo controllo la gente e li avvisavano ogni volta che spuntava un caso tale da far sorgere sospetti. Prontamente, nel silenzio generale, i "malati" venivano condotti in una speciale sezione dell'ospedale cittadino per essere sottoposti ad esami. Così veniva riferito: e sempre tali degenze avevano decorsi mortali. Ma non per il fato o per incuria dei medici. Semplicemente perchè la casta non poteva correre il rischio di lasciare che a sognare fossero persone che albergavano in sè il germe della pazzia. Che veleno avrebbero potuto inoculare nella luminescente scia dei sogni? Che contagio crudele avrebbero potuto inoculare nelle menti dei Validanti all'atto della Creazione? No, il gioco non valeva la candela. Meglio, molto meglio eliminare sul nascere ogni scintilla negativa. Quello che però il consesso dei Validanti non sapeva, era che uno di questi anelli deboli era riuscito a sfuggire ai controlli della polizia. Una donna, troppo debole per riuscire a contrastare il vampirismo psichico dei creatori, aveva iniziato ad avere incubi. Sogni di cui non aveva memoria, e se ne avesse avuta non ne avrebbe compreso il senso. Era diventata lei stessa una porta, così fragile, sui Mondi Esterni. E qualcosa, là fuori, aveva annusato la sua traccia. L'aveva inseguita, circuita, aveva evitato di farsi riconoscere, mentre studiava attraverso lei la storia del Sottomondo e comprendeva cosa stessero facendo i Validanti. E quel qualcosa, estremamente più antico di Yoshiwara e persino di tutta l'umanità, vedeva ora avvicinarsi l'opportunità di ritornare a dominare quel mondo da cui era stato cacciato, con tutta la sua progenie, infinite ere prima. Troppo potente per estinguersi, circondato dalla deforme progenie delle altre divinità minori sue succubi, aveva atteso nascosto negli abissi di un mondo acquatico. Sognando, anch'esso, fin che il trascorrere degli eoni aveva fatto morire persino la sua stessa morte. Ora, finalmente, aveva lanciato i neri cristalli delle sue propaggini nelle menti dei Validanti, attraverso i sogni incomprensibili, e perciò subito scartati da loro ma mai troppo presto, della donna ed era riuscito a contagiare i recessi oscuri della mente del Primo Validante instillandogli il desiderio di usare il Portale. Quel Portale - l'Oculus -che giaceva nelle oscurità di Yoshiwara, come la mela tentatrice del giardino dell'eden, mai compreso, mai riconosciuto da alcuno eppure ancora funzionante. Kandra continuò a sognare...





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quarta parte di Crenabog « immagine » Nell'enorme, e ben poco rischiarato dalle tenui luci ad incandescenza delle lampade a globo fissate ai muri lintani, salone dell'Assorbimento si stavano radunando i Validanti per la ricorrente Opera Creatrice. Nessun suono tranne il sommesso frusciare...
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06/10/2014 09:34:24
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OLTRE IL PIANO

02 ottobre 2014 ore 10:06 segnala


di


AllegroRagazzo.Morto


terza parte



Non era stata una decisione ponderata, abbandonare temporaneamente le coltri ed i livelli di Yoshiwara, la sua corazza, il suo amore... più Juanus rifletteva sugli ultimi eventi, più un pensiero si affermava sopra ogni altro, assumendo quasi forma di rivelazione. Era solo una questione di tempo e di spazio? Raggiungere forse il primo avamposto oltre lo Scompenso Mediano? O forse era la possibile presenza, lontano da Yoshiwara, dell’altro permeante evolutivo? Presto la luce li avrebbe abbandonati e si trovavano a riflettere per una volta, senza la protezione del proprio nido artificiale e glielo leggeva negli occhi, Kandra non era stata più la stessa, aveva forse paura, innata paura di incontrare una delle Nemesi? Si misero d’accordo per cercare nelle vicinanze il necessario per un’altra carica ed avrebbero anche effettuato una mappatura planimetrica del terreno. Kandra fu la più fortunata, trovò una piccola sorgente d’acqua della quale fecero subito incetta, ogni zaino infatti, aveva un’autonomia di alcune decine di ore se localizzato in Yoshiwara ma lontano da essa, questo periodo si riduceva drasticamente : Juanus, non poteva definirlo con certezza, occorreva acquisire più dati. Per questo e tanti altri motivi si librarono verticalmente, iniziarono a spostarsi idealmente in senso longitudinale, mappando condotti di accesso. La spinta fornita dagli zaini era discreta, ogni giroscopio risultava essere abbastanza preciso, sorvolarono lentamente in linea d’aria la lunga serie di accessi verticali, simili a quello da loro utilizzato per uscire. L’aria, al calar della notte sembrava ispessirsi, appesantirsi e anche la visibilità si riduceva inevitabilmente. Si alternavano nella conduzione durante il volo. Finalmente intravidero i primi avamposti e, lì giunti, sarebbe stato possibile riposare al riparo. Kandra staccò dell’anima principale uno dei beacon, lo caricò e lo lanciò, il beacon dischiuse le proprie molle rotanti e restò sospeso, in caso di pericolo li avrebbe avvertiti, avevano ancora acqua e comunque sapevano dove trovarne dell’altra adesso. La pulsante Yoshiwara non li abbandonò mai durante la veglia e durante il sonno, nel profondo, sotto uno dei livelli di raffreddamento, Oculus stava per essere attivato.



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« immagine » di AllegroRagazzo.Morto terza parte Non era stata una decisione ponderata, abbandonare temporaneamente le coltri ed i livelli di Yoshiwara, la sua corazza, il suo amore... più Juanus rifletteva sugli ultimi eventi, più un pensiero si affermava sopra ogni altro, assumendo quasi fo...
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02/10/2014 10:06:23
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DAL PROFONDO

30 settembre 2014 ore 09:30 segnala


di

Crenabog


seconda parte


Negli sconfinati, e mai realmente definiti ed accertati, territori del Sottomondo, le luci perennemente pulsanti di Yoshiwara lentamente sfumano dal clamore centrale verso le lontane propaggini della periferia, laddove l'immenso grumo di costruzioni ideate e abitate dai sopravvissuti al Cambio Definitivo si andava diradando e quasi fondendo col buio della notte eterna. Il Sottomondo, inizialmente rifugio precario, si era andato configurando con lo scorrere degli anni come ultima madre per una brulicante umanità. Miriadi di esseri di ogni razza si erano mescolati, fusi, sotto l'egida di una prima spinta anarchica e poi sotto i colpi delle caste che si andavano riformando, per l'innata tendenza degli esseri umani di trovare un nemico in qualsiasi cosa fuori da sé. La violenza, la furbizia, avevano fondato microscopici imperi nei bordi estremi della città sotterranea, mentre - via via che ci si avvicinava al naturale centro - il suo stesso cuore, Yoshiwara, lasciava che nel suo molle ventre si instaurasse una classe dominante, quella dei Validanti. Uomini rigorosamente scelti tra i più sapienti accettarono di sottoporsi ad esperimenti segreti di accrescimento dei poteri mentali e la loro selezione genetica portò alla supercasta che ora, da sin troppo tempo, creava, mutava, decideva ogni cosa. Il raduno mensile era atteso dalla popolazione con una sorta di fremente curiosità, imbelle accettazione, vaga speranza, panico, esaltazione: ogni fremito mentale della moltitudine veniva recepito, identificato, elaborato e guidato dalla supercasta. I Validanti potevano. E facevano, nella superiore convinzione del loro essere al di sopra di qualsiasi controllo.




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di Crenabog seconda parte Negli sconfinati, e mai realmente definiti ed accertati, territori del Sottomondo, le luci perennemente pulsanti di Yoshiwara lentamente sfumano dal clamore centrale verso le lontane propaggini della periferia, laddove l'immenso grumo di costruzioni ideate e abitate dai...
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30/09/2014 09:30:21
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