Il ruolo della cannabis nei disturbi psichici

31 maggio 2021 ore 10:03 segnala
cannabis terapeutica sta sempre più trovando una propria dignità scientifica: al momento attuale, la più frequente indicazione d’uso dei cannabinoidi sono le malattie che coinvolgono il sistema nervoso centrale, per le quali non esiste ancora un trattamento soddisfacente (come per esempio le situazioni neurologiche simili alla sclerosi multipla, il dolore cronico intrattabile, il vomito da chemioterapia, il Parkinson, gli spasmi e in casi di lesioni midollari e di crisi convulsive in bambini farmacoresistenti).

La ricerca nelle scienze psicologiche-psichiatriche sembra invece rimanere ferma nel considerare la cannabis solo come fattore implicato nella genesi dei disturbi mentali. Ad oggi infatti, le ricerche condotte hanno unicamente messo in relazione l’uso e/o l’abuso di cannabis unicamente con alcuni disturbi della sfera psichica quali depressione, esordio psicotico, ansia, attacchi di panico, schizofrenia, abbassamento del QI e sindrome amotivazionale. Tuttavia le conclusioni a cui i ricercatori sono arrivati non sono uniformi, soprattutto per gli evidenti limiti insiti in tali ricerche. Primo fra tutti l’aver considerato la cannabis come sostanza unica, al massimo considerata nella sua forma di assunzione (hashish, marijuana, olio di cannabis ecc), senza un’accurata analisi biochimica delle sostanze presenti nel fiore o nella resina consumate (i fiori femminili della pianta di cannabis contengono più di 480 principi attivi differenti). Altro importante limite è stato l’aver misconosciuto le modalità di assunzione e l’associazione della sostanza con altre sostanze psicoattive.

Recentemente, la liberalizzazione a scopo ricreativo e terapeutico della Cannabis in alcuni stati degli USA, ha permesso di strutturare modelli di ricerca sempre più precisi, al fine di identificare il potere dei diversi componenti della cannabis anche nella cura di affezioni psichiatriche (ad esempio il lavoro di S. Sisley con pazienti con Disturbo Post-Traumatico da Stress, in Colorado). Un recente studio americano apparso sulla rivista Clinical Psychology Review, ha indagato in particolare gli effetti della cannabis sulla salute mentale. La ricerca è stata effettuata presso la University of British Columbia da un team di studiosi coordinati da Zach Walsh. Lo studio consiste in un’ampia revisione delle ricerche già effettuate sugli effetti della cannabis in ambito terapeutico e non, analizzando 60 articoli scientifici e realizzando la più ampia Systematic Review mai effettuata sul tema. I risultati hanno evidenziato una lunga lista di disturbi psichici per i quali il consumo di cannabis potrebbe risultare utile. La marijuana infatti, sarebbe d’aiuto per superare la dipendenza da oppiacei e oppioidi, risulterebbe efficace nel contrastare i sintomi della depressione, del disturbo d’ansia, e del disturbo da stress post traumatico.

a cosa serve

31 maggio 2021 ore 09:45 segnala
Se riusciremo a creare una comunità di lavoro sana e in grado di nutrire i suoi membri, potremo plasmare il tipo di ambiente che intendiamo realizzare nel mondo. Quando in un ambiente di lavoro si usa la parola consapevole e compassionevole, si offre il meglio di se stessi.Se riusciremo a combinare le nostre visioni profonde e le nostre esperienze, la visione profonda collettiva produrrà le decisioni più sagge. Se non siamo in grado di ascoltare i nostri colleghi con il cuore libero, se consideriamo e sosteniamo solo le idee che già conosciamo e approviamo, danneggiamo il nostro ambiente di lavoro.

capire o comprendere

31 maggio 2021 ore 09:28 segnala
Pochi argomenti nel campo della spiritualità contemporanea suscitano tante difficoltà, controversie e discussioni come il ruolo dell’insegnante spirituale. Grazie a carismatici ciarlatani che scorrazzano nel mondo spirituale, entrando in tutte le case attraverso i periodici a larga tiratura e gli spettacoli televisivi, termini come “guru” e insegnante spirituale sono entrati nel nostro vocabolario di tutti i giorni.

Tuttavia, nonostante le campagne pubblicitarie New Age, restiamo avvolti nella confusione e nell’ignoranza per tutto quello che riguarda il valore e la funzione dell’insegnante spirituale. Mentre prima, giustamente, affrontavamo l’argomento dei maestri spirituali con la dovuta cautela, oggi tutti pensano di sapere che cos’è un guru o un maestro spirituale, e come relazionarsi a lui o lei.

La varietà dei cosiddetti maestri spirituali è grande. A un estremo abbiamo individui capaci di guadagnare 50.000 dollari per un fine settimana in cui insegnano alle coppie pratiche sessuali tantriche vecchie di quattromila anni (Asra Nomani, Naked Ambition, “The Wall Street Journal”, 7 dicembre 1998); dall’altro, grandi maestri e leader spirituali di indiscutibile onestà come il Karmapa, il Dalai Lama e santi orientali e occidentali meno conosciuti.

Ma i ricercatori spirituali alle prime armi etichettano tutti come “guru” e nutrono per essi un’adorazione infantile o un grande scetticismo. Tali giudizi derivano per lo più da informazioni molto superficiali raccolte nell’ambiente sociale, nei media o in chiesa.

Uno dei nostri principali compiti di ricercatori spirituali è imparare l’esercizio della discriminazione. Potremmo pensare che il nostro primo compito sia svuotare la mente, rilassarci nella beatitudine onnipresente e prendere dimora nel Sé autentico, ma se affrontiamo il cammino spirituale con serietà, comprendiamo presto di avere altre priorità. Arrancando nelle paludi dell’ego, una delle qualità più preziose è imparare a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è.

Prima di imparare a discriminare tra un insegnante falso e uno autentico, è necessario sapere cosa vogliamo da un insegnante. Se vogliamo imparare a rilassare la mente o a migliorare la relazione con il coniuge o i figli, probabilmente qualsiasi psicoterapeuta spirituale andrà bene.

Se vogliamo percorrere un cammino tradizionale con un certo grado di rigore e serietà, avremo bisogno di una guida o un insegnante di buona preparazione e onestà. Se quello che vogliamo è realizzare il nostro potenziale più elevato di esseri umani, allora non dobbiamo trovare solo un insegnante: dobbiamo trovare qualcuno che sappiamo (ai limiti delle nostre possibilità) essere capace e disponibile ad aiutarci in questo scopo.

Non c’è dubbio che molte persone si volgono a un maestro spirituale nel tentativo inconscio di risolvere conflitti psicologici rimasti in sospeso con i genitori. Il guru maschile o femminile rappresenta il genitore spirituale assoluto, colui che alla fine ci darà l’amore incondizionato che abbiamo tanto implorato da bambini.

Se però ci volgiamo all’insegnante con l’atteggiamento di un bambino, anche se le nostre motivazioni sono inconsce, lo stiamo implorando di tirare fuori tutti i latenti desideri di potere o di conferma che restano in lui.

Tenderemo anche a dare un’interpretazione molto distorta di lui, osservando ogni cosa che dice e fa dal punto di vista dei desideri infantili insoddisfatti. “Non esiste peccato, esiste solo l’infantilismo”, sostiene il maestro spirituale francese Arnauld Desjardins. Riconoscere di avere una relazione infantile con il cammino e il maestro spirituali è essenziale per riuscire a cogliere fino in fondo l’opportunità che ci viene offerta.

Quando andiamo al mercato spirituale, occorre essere consapevoli della grande differenza di qualità tra i tantissimi insegnanti disponibili. Il settore dei maestri spirituali non è ciò che appare al primo sguardo, e prima di fare un acquisto impulsivo, è necessario un approfondito studio della mercanzia.

Un altro fattore critico è la difficoltà di tradurre dall’oriente all’occidente la funzione dell’insegnante spirituale. Se è vero che nella tradizione occidentale esistono esempi di relazione insegnante-studente (i nativi americani, i rabbini ebrei, i preti cattolici), la cultura contemporanea è per lo più influenzata da una religione dogmatica (o addirittura meccanica) che fornisce pochi precedenti a una relazione con un maestro spirituale. Importare semplicemente le tradizioni orientali nella cultura occidentale, senza considerare le grandi differenze psicologiche e culturali, non funziona.

Da una parte abbiamo i maestri delle tradizioni monastiche asiatiche che sono venuti in occidente e sono crollati di fronte alle lusinghe della ricchezza, del potere e del sesso; da un’altra, i numerosi aspiranti maestri occidentali, dai nomi sanscriti e dalle tuniche stravaganti, che cercano disperatamente di creare monasteri tradizionali in una cultura che non è pronta per essi; da un’altra parte ancora, coloro che cercano di prendere il meglio da tutte le tradizioni per creare la loro personale spiritualità eclettica, dove tutti e tutto – inclusi gli alberi, le montagne e le stelle – fungono da insegnanti.

Come il pittore che mischia tutti i colori in una tavolozza e ottiene il grigio, quando mischiamo le tradizioni a nostro piacimento, il risultato è una spiritualità New Age estremamente confusa.

Abbiamo di fronte a noi il difficile compito di preservare il senso e il contesto del tradizionale rapporto insegnante-studente, ma anche di operare i necessari adattamenti alla nostra psicologia e cultura occidentali. Sebbene il compito è certamente difficile e gli errori sono inevitabili, questo deve restare l’obiettivo.

Una delle principali difficoltà che incontriamo quando abbracciamo la nozione orientale dell’insegnante spirituale, è l’aspettativa che quest’ultimo sia perfetto. Le traduzioni delle scritture orientali definiscono l’insegnante “trascendente”, “essere perfetto”, “angelico” e “al di là dell’al di là”. Il rigido perfezionismo della tradizione occidentale, unito alla nostra ingenuità spirituale, interpreta tutto ciò nel senso che l’insegnante è una sorta di Superman o di Wonder Woman cosmici. Non comprendiamo che per le leggi dell’incarnazione umana tutti gli esseri umani sono semplicemente questo: umani.

Anche se hanno trasceso l’attaccamento alla forma umana, sono ancora incarnati in un corpo soggetto alla malattia, con una mente che può essere libera o meno da disfunzioni o aberrazioni psicologiche.

Molti studenti hanno provato disillusione di fronte a un insegnante che, nella circostanza di un terribile dolore fisico, non è riuscito a “trascendere il corpo”. Desjardins racconta che una volta il suo maestro, Swami Prajnanpad, era gravemente malato. A un certo punto chiamò uno studente, un noto medico, chiedendogli degli antidolorifici.

Tale evento provocò enorme sconcerto in molti studenti di Swami Prajnanpad. “Se è un maestro autentico”, pensarono, “perché non riesce a trascendere il dolore fisico?”; “Se è oltre il corpo, come ha potuto ammalarsi?”. Ma forse questo episodio rivela, in realtà, un fraintendimento su ciò che è un maestro autentico. È possibile che l’idea occidentale di perfezione non sia identica a quella suggerita dalle antiche scritture.

Un argomento ancora più delicato, soprattutto tra gli insegnanti spirituali occidentali, è quello dei difetti psicologici. Per gli occidentali, percorrere un cammino spirituale con insegnanti occidentali è molto vantaggioso. Non solo questi ultimi parlano la stessa lingua, ma (fatto più importante) hanno una comprensione della psicologia occidentale di cui molti insegnanti orientali comprensibilmente non dispongono.

Comunque, data la situazione attuale della cultura occidentale (una cultura in cui quasi nessuno supera l’infanzia senza qualche disfunzione psicologica), è improbabile che anche i migliori insegnanti occidentali siano immuni da nevrosi, nonostante i loro risultati spirituali. Se non riusciamo ad accettare questo fatto (o se nelle nostre iniziali, ingenue proiezioni sull’insegnante non riusciamo a vederlo), al primo segno di comportamento in contrasto con le nostre aspettative (una relazione extraconiugale, una sgridata ai figli, delle vacanze dispendiose), proviamo spesso disillusione non solo verso l’insegnante, ma verso tutti gli insegnanti e gli insegnamenti spirituali.

Abbiamo di fronte a noi una grande responsabilità non solo nella scelta di un maestro spirituale, ma anche nella creazione di un rapporto soddisfacente e produttivo con quest’ultimo/a. Non dobbiamo allontanarci dagli insegnamenti per qualche secondario problema psicologico di un insegnante, ma allo stesso tempo non dobbiamo ignorare evidenti tendenze all’abuso. In modo simile, dobbiamo imparare (spesso dopo molti anni) a distinguere tra la psicologia del nostro insegnante e gli insegnamenti che lui o lei è in grado di trasmettere davvero, nonostante tale psicologia. A prescindere dall’autenticità dell’insegnante, dobbiamo essere onesti con noi stessi riguardo ciò che possiamo imparare vivendo con lui.

Criteri pratici, fissi, per valutare l’autenticità di un dato maestro hanno poco valore, ma possono tornare di qualche utilità. Il limite ovvio è che criteri sviluppati da una consapevolezza terrena non possono essere completamente affidabili per giudicare colui che per definizione è al di là di tale consapevolezza. È come chiedere a un arbitro di baseball che non ha mai visto una partita di calcio di arbitrare i campionati mondiali.

Anche se molte rispettabili istituzioni spirituali hanno cercato di stilare liste di criteri, se dobbiamo attenerci strettamente a una di esse (per quanto raffinata), potremmo farci sfuggire alcuni dei più grandi maestri del nostro tempo, in quanto spesso tali maestri ricadono all’esterno del dominio dei parametri prestabiliti.

Molte persone sostengono che non occorre essere “illuminati” per essere validi insegnanti spirituali, e che un valido studente può imparare anche da un pessimo insegnante.

Un insegnante zen contemporaneo scoprì, mentre stava studiando con il suo maestro in Giappone, che in zona esisteva un “roshi” molto migliore. Quando lasciò l’insegnante più debole per quello più forte, venne molto criticato dal giapponese, secondo il quale era dovere di un valido studente restare con un insegnante debole, per aiutare quest’ultimo a migliorare.

Anche se i criteri per valutare gli insegnanti spirituali possono essere utili, è molto facile – troppo facile, in effetti – criticare insegnanti famosi e far risaltare i loro difetti. Molto più difficile è giudicare se stessi in quanto discepoli. “I guru non sono molto comuni, ma non lo sono nemmeno i discepoli”, afferma Desjardins. Il compianto Swami Muktananda disse che il mercato dei falsi insegnanti era in crescita, perché era in crescita il mercato dei discepoli falsi e ignoranti. Quando cominciamo a considerare i falsi insegnanti dal punto di vista del nostro discepolato incerto, ci sfidiamo ad abbracciare una prospettiva molto più ampia di quella della comune critica spirituale.

Tutte le antiche scritture sostengono che quando il discepolo è pronto, il maestro appare. A molti studenti spirituali piace lamentarsi: “Per me non è vero. Il maestro non è apparso”. Ma è molto probabile che essi non siano pronti per il maestro, e che devono insistere nella loro disciplina spirituale fino a quando il maestro apparirà.

Lo scrittore e insegnante Gilles Farcet suggerisce che, invece di chiederci: “Sarà questo il maestro adatto a me?”, dovremmo piuttosto domandarci: “Quali sono le mie qualità di discepolo?”. Cosa abbiamo da offrire al nostro cammino spirituale e all’insegnante spirituale? Come occidentali, siamo condizionati a credere che tutto ci debba essere offerto su un vassoio a prezzo di saldo. Ma le leggi sul rapporto maestro-discepolo sono comparse molto prima della nostra complicata psiche, e anche se siamo in un nuovo millennio, l’appagamento spirituale e un maestro genuino hanno un “prezzo” non inferiore a quello che avevano nel passato o che avranno nel futuro.

“Hai ciò che meriti”, commenta lo psicologo transpersonale Charles Tart. Questo è un punto di vista impopolare, ma resta il fatto che se ci ritroviamo con un insegnante che compie abusi, un ciarlatano o qualcuno che ci “lava il cervello”, siamo noi stessi a esserci messi in quella situazione. Possiamo incolpare l’insegnante di tutto ciò che vogliamo per i suoi difetti, e le nostre accuse possono anche essere vere, ma siamo sempre noi che abbiamo abboccato all’amo.

Nella nostra ingenuità spirituale è probabile che a volte ci ritroveremo nelle mani di tali ciarlatani, ma non dovremmo giudicarci “cattivi” o “sbagliati” per questo. Il processo naturale per sviluppare la discriminazione spirituale ci farà spesso incontrare falsi insegnanti, mettendoci di fronte alle nostre illusioni sul cammino spirituale.

Nel mondo della spiritualità contemporanea, i falsi insegnanti sono chiaramente in numero maggiore di quelli autentici, e in misura sconfortante. “Ma perché preoccuparsi di un insegnante?”, potremmo chiederci, dal momento che molti testi New Age ci garantiscono spesso e volentieri che il maestro sta dentro di noi ed è il nostro sé autentico, e che quindi non abbiamo bisogno di aiuti esterni.

La risposta è: sì, il guru interiore è vivo e vegeto dentro di noi, ma altrettanto lo è l’ego nella sua infinita varietà di forme, costumi e maschere. Anche se alla fine scopriamo che il maestro è semplicemente il nostro sé autentico, abbiamo bisogno dell’aiuto della guida esterna che ci faccia da specchio per ciò che non vogliamo vedere, ma che è assolutamente necessario conoscere. L’ego non provocherà mai la sua distruzione: per lui è illegittimo e impossibile agire così. Perciò, contrariamente a ogni aspettativa, ci volgiamo – con occhi aperti e facoltà di discriminazione intatta – all’insegnante spirituale qualificato, affinché ci aiuti a scoprire ciò che cerchiamo nella vita spirituale.

il mito che tutte le fiabe hanno un lieto fine.?????

26 dicembre 2019 ore 20:13 segnala
"Una volta viveva una donna che era caduta in una così profonda povertà con le sue due figlie che non avevano nemmeno una crosta di pane da mettere in bocca. Alla fine erano così affamati che la madre era fuori di sé dalla disperazione e disse al figlio maggiore: "Dovrò ucciderti per avere qualcosa da mangiare".
La figlia rispose: "Oh no, cara mamma, risparmiami. Esco e cerco di procurarmi qualcosa da mangiare senza doverlo implorare".
E così uscì, tornò e portò con sé un piccolo pezzo di pane che tutti mangiarono, ma fece poco per alleviare le fitte della fame.
E così la madre disse all'altra figlia: "Adesso tocca a te".
Ma lei rispose: "Oh no, cara mamma, risparmiami. Esco e prendo qualcosa da mangiare senza che nessuno se ne accorga."
E così uscì, tornò e portò con sé due piccoli pezzi di pane. Li mangiavano tutti, ma era troppo poco per alleviare le loro fitte di fame. Dopo alcune ore, la madre disse loro ancora una volta: "Dovrai morire, altrimenti moriremo tutti".
Le ragazze replicarono: "Carissima madre, ci sdraiamo e andiamo a dormire, e non ci rialzeremo più fino al giorno del giudizio". E così si sdraiarono e dormirono così profondamente che nessuno poteva svegliarli. La madre se n'è andata e non un'anima sa dove si trova. "
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"Una volta viveva una donna che era caduta in una così profonda povertà con le sue due figlie che non avevano nemmeno una crosta di pane da mettere in bocca. Alla fine erano così affamati che la madre era fuori di sé dalla disperazione e disse al figlio maggiore: "Dovrò ucciderti per avere qualcosa...
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26/12/2019 20:13:29
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Come alcuni bambini giocavano al massacro: "

26 dicembre 2019 ore 20:06 segnala
"C'era una volta un padre che massacrava un maiale, e i suoi figli lo videro. Nel pomeriggio, quando iniziarono a giocare, un bambino disse all'altro," tu sarai il porcellino e io sarò il macellaio. "Poi prese un coltello lucido e si tagliò la gola al fratellino.

La madre era di sopra in una stanza che faceva il bagno ad un altro bambino e quando sentì le grida di suo figlio, corse subito di sotto. Dopo aver visto quello che era successo, prese il coltello dalla gola di suo figlio ed era così infuriata che pugnalò il cuore dell'altro ragazzo, che stava giocando il macellaio. Quindi corse rapidamente nella stanza per prendersi cura di suo figlio nella vasca da bagno, ma mentre era via, era annegato nella vasca. Ora la donna divenne così spaventata e disperata che non permise ai vicini di confortarla e alla fine si impiccò. Quando suo marito tornò dai campi e vide tutto, divenne così abbattuto che morì poco dopo

Myrtle, la ragazza con quattro gambe

09 dicembre 2019 ore 15:14 segnala

Myrtle era nata nel 1868 nella Contea di Lincoln, Tennessee, affetta da una rara anomalia fetale chiamata “dipigo”: il suo corpo era perfettamente formato dalla testa fino all’ombelico, al di sotto del quale si divideva in due bacini, e quattro arti inferiori.
Le due gambe centrali erano rudimentali, anche se capaci di movimento, e alla nascita si erano presentate appiattite sulla pancia della neonata. Assomigliavano a quelle di un siamese parassita, ma in realtà non c’era alcun gemello: durante lo sviluppo fetale, il bacino si era sdoppiato lungo l’asse mediano (per ogni paio di gambe, una era atrofizzata).

cucinare

09 dicembre 2019 ore 15:04 segnala

Cosa c’è di così strano in queste foto di un tizio che sta preparando dei taco per una cenetta tra amici?
Niente, a parte il fatto che la carne proviene dal suo piede sinistro, amputato a seguito di un incidente.

Il Mistero del C. Ugolino praticò il Cannibalismo sui figli?

06 dicembre 2019 ore 12:27 segnala

Tra i volti sofferenti, Dante ne distingue uno in particolare; un uomo è intento ad addentare il cranio di un altro dannato con ferocia. Dopo aver notato gli sguardi attorno a sé, questi alza la bocca dal macabro pasto, pulendola con i capelli del compagno, suscitando non poco orrore e sdegno.
Mosso da grande curiosità, Dante vuole conoscere i dettagli della storia di quello che fu una volta uomo, ora anima dannata.
Il dannato è dunque Ugolino Della Gherardesca e la sua “vittima” l’arcivescovo Ruggieri. Entrambi fanno parte della storia e della politica di Pisa, che il Poeta ben conosce. In questo soliloquio, immagina però le vicende dei due protagonisti raccontate proprio dal Conte, in maniera inedita.
Ugolino fu Podestà di Pisa e, per storia familiare, alleato ghibellino; mosso però da moventi economici e territoriali, tentò di tenere segreta la sua affiliazione ai guelfi. Azzardando tale mossa, si inimicò fortemente Ruggieri, e con lui tanti altri uomini politici del tempo.Dopo una lunga vita, che vide Ugolino prominente podestà di Pisa e uomo politico e militare più forte della città, in età avanzata si inimicò dapprima il proprio nipote, che fece esiliare, e poi l’arcivescovo Ruggieri, cui fece uccidere il nipote nel 1288. Ciò gli bastò per tessere le fila di un inganno letale, che avrebbe annientato l’odiato Ugolino della Gherardesca.
Nel 1289, con la fittizia promessa di siglare un accordo, il Conte, insieme ai figli e ai nipoti, vennero attirati da Ruggieri alla Torre della Muda (proprietà dei Gualandi, potente famiglia pisana, ostile alla famiglia della Gherardesca), dove vennero però brutalmente imprigionati.
Dante, al posto di narrare della cronaca del fatto, nota ai suoi contemporanei, decide di immaginare invece di ascoltare il racconto delle atroci sofferenze subite da Ugolino e dai suoi familiari. Nell’orario in cui avrebbero dovuto ricevere il pasto giornaliero, Ugolino sente che la porta della torre viene inchiodata, sigillando il conte e i figli all’interno. L’arcivescovo Ruggieri aveva fatto sparire la chiave della torre tra le acque dell’Arno, annullando ogni possibilità di salvezza per gli sciagurati.

Reclusi senza cibo né acqua, gli uomini cominciano lentamente il loro declino; magri in viso e nello spirito, quando un raggio di sole entra nella torre e ne illumina i volti: Ugolino si rende conto della fine ormai imminente.
Ridotti a pelle e ossa, i figli del Conte sono i primi ad abbandonare le loro spoglie mortali, non prima di aver domandato al padre di cibarsi dei propri corpi per salvarsi; in preda alla disperazione e a una lacerante fame, Ugolino esaudisce dunque gli ultimi desideri della sua estinta prole, rendendola amaro nutrimento.
Dopo aver commesso l’orribile gesto, Ugolino chiama per qualche giorno il nome dei figli a gran voce; ormai cieco e senza scampo, il Conte si lascia andare alla morte, che dice essere sopraggiunta non per dolore, ma per fame.

Dopo avere conferito con Dante, Ugolino torna a rosicchiare avidamente il cranio del suo acerrimo nemico Ruggieri, tornando a sembrare una belva, dopo aver mostrato una disperata umanità durante il suo racconto.