Sono profondamente convinto che questo nucleo abbia le sue segrete sinfonie, le sue musiche che ci appartengono come un rumore di fondo: come note lontane in una domenica mattina, malinconiche fisarmoniche, minuscoli pigolii del nostro sentire.
Ecco, nel caso di Salvatore Mannuzzu sono certo che, se non tutta la musica, parte di quella musica siano gli incandescenti violini del Don Giovanni di Mozart.
Il mito di Don Giovanni, nato da leggende medievali e formatosi -almeno nel primo nucleo storico- a Siviglia, ha l’infinità poliedricità dei miti immortali al pari del Faust o di Edipo: chiavi, enigmatiche a loro volta, della cultura occidentale. Don Giovanni col suo mito attraversa la produzione di Mannuzzu, la condensa per poi spezzarla in infinite schegge: conquistatori, uomini melliflui e mentitori, inganni perfetti sono la strana ragnatela che tesse questo scrittore.
Ritengo tuttavia che, oltre ai plurivoci sensi che il mito di Don Giovanni acquista nella sua produzione, quelle musiche siano qualcosa di più, risuonino in lui come struggenti, in un eterno, personale canto del cigno.
Ed ecco che da pigolio del nostro sentire, i rumori di fondo diventano spartito della nostra esistenza.
