Rotte mistiche per passeggiate interstellari.

13 settembre 2012 ore 15:43 segnala
Reduce da una seratina niente male in cui vecchi amici si uniscono ai nuovi, una di quelle spiritate per via della birre e delle anime che si incrociavano, mi ritrovo ad ascoltare.
Un’occhiata distratta, un’imprecazione veloce che ho lasciato nella mia testa perchè stavo troppo bene per concedermelo, il tipo dall’aria maschia che evito di proposito perchè è troppo figo e mi sta sul culo per questione di principio, una sigaretta accesa perchè era come se non fumassi da anni seppur con la sensazione, dopo averla finita, che fosse durata troppo e troppo poco.
Senza che me ne accorgessi, mentre facevo scintillare quel sorriso di facciata che spesso mi appiccico addosso contro parole che non voglio ascoltare e intenta a fissare delle facce che diventavano sempre più confuse, iniziavo a perdermi dentro quelle note.
E mentre mi muovevo, ormai neanche troppo annoiata, pensavo che doveva esserci qualcosa di strano nell’aria perchè avevano tutti un’identica espressione: in estasi.
Il cielo era lì, sopra la mia testa, aperto a squarci di blu misto a nero scintillante; l’aria era rovente ma qualche sbuffo d’aria bianco ghiaccio produceva bagliori alternati a brividi; il pavimento sotto di me era diventato molle e io, nel corso della mia orbita instabile attorno a me stessa, mi muovevo su di una nebulosa priva di consistenza riuscendo quasi ad avvertire il velluto porpora delle pareti.
Tutto questo mentre me ne stavo con gli occhi quasi completamente chiusi, la mano poggiata su un tavolo e i piedi ben piantati per terra, visto che le uniche parti del corpo che avevo mosso, impercettibilmente, erano state le spalle e la testa.
Ero, in effetti, un corpo in equilibrio. Almeno fin quando la tipa, da dietro il bancone, si allunga cercando di poggiare la sua mano sopra la mia spalla e mi chiede se è tutto ok. Avrei voluto dirle che sì, prima che arrivasse era sul serio tutto ok.
Dannazione. Dalle mie parti, se stai male chiedi aiuto, altrimenti vuol dire che è tutto a posto.
-Tutto ok?
Dentro di me deve essersi prodotta una supernova; l’involucro esterno, invece, è rimasto intatto nonostante il reiterato tutto ok di lei. La guardo e le dico che andrebbe meglio con un mojito. In attesa che me lo servisse mi do un’occhiata intorno ma, finita la musica e una volta aperti gli occhi, era scomparso quasi tutto: un soffitto verdastro al posto del cielo, l’aria viziata per via del fumo e della calca, mattonelle e pareti dal colore indistinto. Anche le facce, adesso, erano più inebetite di quello che avevo immaginato io.
Dannazione.

Se un corpo è soggetto ad un sistema di forze a risultante zero, allora esso rimane in quiete o in moto rettilineo uniforme. Tale corpo si dirà in equilibrio.

Cara barista, ricordatelo la prossima volta.


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Reduce da una seratina niente male in cui vecchi amici si uniscono ai nuovi, una di quelle spiritate per via della birre e delle anime che si incrociavano, mi ritrovo ad ascoltare. Un’occhiata distratta, un’imprecazione veloce che ho lasciato nella mia testa perchè stavo troppo bene per...
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Radioattività.

05 marzo 2012 ore 20:20 segnala
Per la seconda volta in vita mia avevo percepito contemporaneamente un nodo alla gola e una stretta alla stomaco, la prima dettata dal cuore, la seconda dalla carne.
Anzi, adesso che ci penso, le avevo percepite in ordine inverso.
Carne-cuore.
Sfumature, queste, che mi facevano rendere conto del pericolo a cui stavo andando in contro.

La verità è che lui era Superman ma io mi nutrivo di kryptonite. Potevamo stare lontani il giusto e anche il troppo a patto che nessuno dei due facesse un passo verso l’altro.
Oggi penso che se mi fossi concessa una scopata le cose sarebbe andate diversamente. Probabilmente mi sarei portata il suo odore addosso per un po’ e poi non ci avrei pensato più.




A VOLTE CI PENSO E MI DICO CHE MI VA BENE COSì.
MA NON E' VERO: ME LO FACCIO ANDARE BENE, CHE E' DIVERSO.
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Per la seconda volta in vita mia avevo percepito contemporaneamente un nodo alla gola e una stretta alla stomaco, la prima dettata dal cuore, la seconda dalla carne. Anzi, adesso che ci penso, le avevo percepite in ordine inverso. Carne-cuore. Sfumature, queste, che mi facevano rendere conto del...
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Le parole sono residui bellici.

16 dicembre 2011 ore 16:03 segnala
Così succede che una frase o anche solo una parola te la porti dietro per un po’, te la tieni in testa e nello stomaco e ci pensi.
E mentre pensi, ti restano due possibilità: su quelle parole, puoi scegliere se costruirci castelli per sognare o fortezze e muraglie per difenderti.

Ecco.
Io, di norma, costruisco fortezze.




Giochi a somma zero.
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Così succede che una frase o anche solo una parola te la porti dietro per un po’, te la tieni in testa e nello stomaco e ci pensi. E mentre pensi, ti restano due possibilità: su quelle parole, puoi...
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28 settembre 2011 ore 17:51 segnala
Ascella alla catalana, ti odio.
Tu che d'estate te ne vai in giro con le ciabattine da mare, ti odio.
Birra analcolica comprata per sbaglio al Monoprix sugli Champs-Elysées, ti odio.
Letto che non ti rifai da solo, ti odio.
Fame chimica, ti odio.
Tu che non usi il congiuntivo, ti odio.
Tu che usi il congiuntivo quando non serve, ti odio.
Sensazione di aver fatto una stronzata, ti odio.
Nomi impronunciabili che certi genitori appiccicano ai loro figli fighi, vi odio.
Anziani che parlano quando ho su gli auricolari, vi odio.
Professoressa isterica perchè non te l’hanno data, ti odio.
Calzino che ami giocare a nascondino, ti odio.
Cesso che ci provi con me, ti odio.
Tu che non hai proprio capito un cazzo, ti odio.
Cose che non si dimenticano, vi odio.
Touch screen, ti odio.
Tu che puzzi e lo sai, ti odio.
Pedone dall’istinto suicida, ti odio.
Quelli che "Te lo avevo detto", vi odio.
Mezze misure, vi odio.
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Ascella alla catalana, ti odio. Tu che d'estate te ne vai in giro con le ciabattine da mare, ti odio. Birra analcolica comprata per sbaglio al Monoprix sugli Champs-Elysées, ti odio. Letto che non ti rifai da solo, ti odio. Fame chimica, ti odio. Tu che non usi il congiuntivo, ti odio. Tu che...
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Hapax esistenziali.

08 agosto 2011 ore 18:23 segnala
Lo sguardo di un pittore cubista. Ecco cosa ci vorrebbe, ecco come si dovrebbe guardare al mondo e alle cose.
Scomporre l’oggetto in porzioni geometriche che si riassembleranno poi in modo casuale.
Sì, casuale. Ma chi ha detto che la conoscenza profonda proviene da ragionamenti logici, lineari e non contraddittori? Questa è semplificazione, è una scorciatoia comoda che appiattisce, toglie, decima.
E benchè non abbia mai nutrito grande simpatia per i numeri nè loro per me, io voglio somme, non sottrazioni.
Guardare e sentire oltre la superficie. Guardare e sentire il dentro e il fuori, l’alto e il basso contemporaneamente e secondo una visione sintetica. Tutto e tutto in una sola volta.
Perchè se vuoi davvero capire non puoi solo avvicinarti alle cose. Devi attraversarle e farti attraversare da loro. Anche se ti senti confuso.

Allora non più guardare ma transguardare.
Ti transguardo. È più leale.

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Lo sguardo di un pittore cubista. Ecco cosa ci vorrebbe, ecco come si dovrebbe guardare al mondo e alle cose. Scomporre l’oggetto in porzioni geometriche che si riassembleranno poi in modo casuale. Sì, casuale. Ma chi ha detto che la conoscenza profonda proviene da ragionamenti logici, lineari e...
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Quant'è profonda la tana del Bianconiglio?

20 luglio 2011 ore 18:14 segnala
Giugno 2011

La domenica era stata davvero ordinaria: mal di testa e nausea post-risveglio, abbuffata a pranzo, pomeriggio noioso sui libri. Non ho acceso internet perchè sapevo che mi sarei persa rimbalzando da una pagina youtube all’altra o inseguendo link su wikipedia alla ricerca dell’epifania verbale dell’ultima ora.
Non lo accendo almeno finchè mi ricordo che devo assolutamente controllare la posta perchè c’è di mezzo la buona riuscita dell’esame. Eccola: Manu mi ha rigirato le indicazioni della prof. Va bene, va bene, si può fare. ‘Na passeggiata.
Cestino le offerte di lavoro infojob e jobplacement senza neanche leggerle, bestemmio contro Almalaurea che mi informa quanti sono i laureati (depressi) in cerca di lavoro (ahahhaah!), segnalo come spammer mymovies.it perchè non entrerò in un cinema al chiuso almeno fino al prossimo ottobre, quando ci sarà bisogno del riscaldamento anzichè dell’aria condizionata. Mi resta una mail da leggere. Ma sì, va, stiamo a vedere.
Clicco, apro, leggo, wow è lunghetta, mi accendo una siga e mi rilasso, do un’occhiata alla mia mail e rido pensando quegli evidenziatori, i miei, continuo a leggere. Devo fare veloce perchè devo studiare. Ok, leggo e..

Hai mai avuto paura di essere felice, P.?
No.


Continuo a leggere. D’istinto e senza ragionarci su mi dico che no, non avevo mai avuto quella paura. Mentre scorro la mail, elaboro quei tre o quattro pensieri che nella mia mente da schizoide dovrebbero viaggiare veloci, tra i cavi elettrici e oltre lo schermo, per raggiungere la testa di chi ancora non mi ha letta: santo dio –penso, come si fa ad avere paura di essere felici? La felicità è, per definizione, lontana dalla paura.
Chiudo la posta, tanto avrei risposto con calma –pessima abitudine, tra l’altro, perchè tra la lettura e la risposta perdo pezzi di sensazioni. Annoiata, riprendo i libri in mano: Según Lázaro Carreter, los nexos entre las variantes diatópicas, diastráticas..
Lazáro Carreter perdonami, ma non è momento, ne riparliamo dopo. La zorra de tu madre. Estoy bastante harta.

Hai mai avuto paura di essere felice, P.?
No.


C’è che sono stanca e che ripenso a quella domanda. Non riapro la posta, anzi chiudo il pc e per scrupolo di coscienza faccio finta di continuare a studiare, ma ci penso.

Hai mai avuto paura di essere felice, P.?


Ecco cosa aveva voluto dire: se paura deve essere, non è nella felicità in sè ma in ciò che bisogna affrontare per essere felici.
Cosa sei disposto a lasciarti alle spalle.
Quanto stretto vuoi tenerti quello che hai.
Oppure fai un salto nel vuoto. E se cadi male, quantomeno avrai provato l’ebbrezza di volare.
Compromessi.
O scelte.
Quella paura l’ho sentita nelle situazioni a metà, in quelle sospese che hanno avuto un inizio ma non una fine, e anche il contrario; l’ho toccata tutte le volte che ho deciso di non ritornare sui miei passi, perchè il mio ego mi fotte; l’ultima volta l’ho intravista e poi soffocata, e la cosa mi ha lasciata abbastanza perplessa..

Hai mai avuto paura di essere felice, P.?
Sì.


Sì. Ho avuto paura centinaia di volte e in cento modi diversi eppure sono ancora qua.
Qualcosa vorrà pur dire, no?


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Giugno 2011 La domenica era stata davvero ordinaria: mal di testa e nausea post-risveglio, abbuffata a pranzo, pomeriggio noioso sui libri. Non ho acceso internet perchè sapevo che mi sarei persa rimbalzando da una pagina youtube all’altra o inseguendo link su wikipedia alla ricerca dell’epifania...
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Sliding doors, II: Geometrie irregolari dal colore sbiadito.

13 luglio 2011 ore 16:10 segnala
(...) Tiro su le ginocchia e le guardo e, complice il sole che stordisce, mi vengono in mente diecimila immagini. Comincio a perdermi in certe considerazioni metafisiche quando un gruppetto di esseri non chiaramente identificati si avvicina; uno di loro sta per prendere posto proprio dietro di noi ma l’amico fa un gesto e gli dice di seguirlo. Sì, grazie gesù, grazie. Si allontanano.

Riprendo a fissare le mie ginocchia. Le guardo mentre sono al sole, umide e scintillanti, sporgenti quasi a voler avvicinare quella sfera infuocata per togliersi di dosso il freddo accumulato durante l’inverno. Le ho sempre avute, certo, ma d’un tratto capii come dovevano sentirsi i bambini quando cominciano ad avere percezione del proprio corpo, quando avvertono di esistere in qualche modo: sgranano gli occhi fissando mani e piedi, quasi glieli avessero assemblati all’improvviso e senza che se ne accorgessero. Io avevo avuto la stessa sensazione con le mie ginocchia: erano lì da sempre ma adesso scrutavo i loro contorni perchè non le avevo mai guardate abbastanza da vederci tutte quelle cicatrici. Un paio di giri in bicicletta, il primo giro in scooter, io-lo scooter-l’asfalto, uno spigolo qualunque di uno scoglio qualunque di quell’estate al mare che non aveva avuto niente di ordinario, il salto dal quel muro troppo alto ma io ci provo lo stesso perchè non mi ferma nessuno, cadute varie ed eventuali nell’arco di tutta una vita.
Belle. Erano belle, quelle cicatrici.
Lì c’erano pezzi di me.
Era come avere un album fotografico sempre dietro, o come il desktop di un pc, con la sola differenza che non sei tu a scegliere come disporre le icone. Erano come un paio di Converse ai piedi, un paio di quelle che tua madre s’incazza quando le hai addosso e le fanno schifo perchè hanno un colore indefinito e sono bucate e a te piacciono proprio per quello, perchè ce le hai solo tu.
Ginocchia e scarpe, ecco come capire chi hai di fronte. Altro che carta di identità e passaporto.
Barattare altezza e colore di occhi o capelli con cicatrici e miglia percorse.

Perchè se ti muovi e ti fai male vuol dire che sei ancora vivo.
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(...) Tiro su le ginocchia e le guardo e, complice il sole che stordisce, mi vengono in mente diecimila immagini. Comincio a perdermi in certe considerazioni metafisiche quando un gruppetto di esseri non chiaramente identificati si avvicina; uno di loro sta per prendere posto proprio dietro di noi...
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Sliding doors, parte I: Coglioncelli al mare..

10 giugno 2011 ore 17:04 segnala
Venerdì, pausa pranzo. Stacco all’una per un paio d’ore; andiamo al mare? Umm.. Lunedì e martedì ho esami, sono stanca, voglio rilassarmi. Ok, si va. Il tempo a disposizione è poco, quindi raggiungiamo il punto più vicino. Cinque minuti e siamo arrivati. Facciamo spiaggia libera? Abbiamo solo due ore. Oppure lido, così prendi l’ombrellone se no ti ustioni, come sempre..
Il tempo di formulare quella domanda e io entro in crisi esistenziale. Ero andata lì per rilassarmi ma nell’arco di quel minuto realizzai che no, non ce l’avrei fatta. Lido o spiaggia libera? Lido o spiaggia libera? Lido o spiaggia libera? Sentivo quelle parole rimbombare pesanti, perchè sapevo cosa m’aspettava..
Lido: pullulare frenetico di addominali, tette e culi al vento già a partire dai primissimi giorni di caldo (sì, perchè dalle mie parti l’abbronzatura è sinonimo di intelligenza) e musica a palla di quella in stile tunz tunz con tanto di dj superapalestratissimo-abbronzatissimo, nella maggior parte dei casi neanche carino. Tra luglio e agosto ci trovi anche certi presentatori di un programma regionale che si aggirano tra gli ombrelloni a porre domande di minchia in cerca di risposte di minchia: il fatto è che ci riescono, perciò risate assicurate.
Questo è il lato pseudo-chic della zona, poi c’è quello trash. Spiaggia libera: nelle nostre spiagge libere il rapporto tra bagnanti e superficie disponibile è terrificante, tipo 215/mq (nei lidi è decisamente più basso, sì.. qualcosa come 212/mq!). Così succede che ti godi –senza che tu lo abbia chiesto– i commenti cattivissimi della signora sull’amica, la grattata di palle del vicino, lei che viviseziona il suo lui (oppure è l’amico?!?) in cerca di brufoli inesistenti, l’odore di pane e frittata che il nonnetto addenterà di lì a poco, il cazziatone di un padre che ha avuto un principio d’infarto perchè il figlio che s’è allontanato senza dire niente.. Il tutto nei minimi dettagli, quasi fosse un primo piano su ognuno di loro (il vero problema, in realtà, si presenta solo quando hai incontri ravvicinati del terzo tipo con un lui intento a ravanare il pacco con nonchalance mentre tu sei a pancia in giù, sbragata al sole come una lucertola).
Questo è ciò a cui ho pensato in quei sessanta secondi.
Ma non potevamo andare da un’altra parte?, ripeto tra me e me. Ah, già, il tempo è poco. Ma non potevo stramene in casa? No, no, in casa no. Respiro, prendo coraggio e lo dico: Sì, hai ragione, meglio prendere l’ombrellone.
Entriamo. Strano, c’è poca gente. Non devo fare slalom tra i teli, nessuna attenzione particolare per evitare di alzare sabbia; anche il signore che di solito ti indica dove andare (le prime file sono riservate agli abitués, le ultime ai coglioni neofiti) resta lì dov’è. Qualche ombrellone aperto, ma poca gente.
Ummm..Vuoi vedere che mi rilasso sul serio? E non ci sbattono nemmeno in ultima fila.
Stendo il mio telo, via gli occhiali e subito in acqua perchè già soffro: mezz’ora abbondante di bracciate per sentirmi meglio (e per fare la figa) e un’altra mezz’ora di stronzate.. sì, come quando non nuoti ma galleggi con il corpo totalmente immerso nell’acqua e solo la testa fuori, imitando il cane soccorritore.
Ho fatto bene a venire.
Brrr. Acqua freddina ma rigenerante. Ahhh. Usciamo dall’acqua e mi metto anch’io in posizione da lucertola, poi tiro su le ginocchia e le guardo. Le guardo e, complice il sole che stordisce, mi vengono in mente diecimila immagini. Comincio a perdermi in certe considerazioni metafisiche quando un gruppetto di esseri non chiaramente identificati prende posto accanto a noi: erano in cinque ma dovevano avere due o tre amici invisibili a testa, perchè il casino che facevano lasciava presupporre che si trattasse di una squadra di calcio. Gridano, ridono, si agitano e mi agitano, fanno la gara del rutto libero (ma quantomeno sono stati onesti nell’assegnare il primo premio al ragazzetto biondo!).
Che due palle.
Mi altero e li fisso con l’occhio indiavolato della vecchietta che vuole pace e niente burdell’ e quasi quasi mi dimentico di quello che combinavo io alla loro età. Vorrei alzarmi e piantargli comunque due dita negli occhi.. ma mi fermo. Altro respiro, altro tentativo di autocontrollo. Ce la faccio. Torno in acqua ma adesso
l’ormone mi costringe a fare faccio solo il cane.
Così, nel giro di appena qualche minuto, quei coglioncelli avevano azzerato la calma e i miei pensieri. Cosa sarebbe successo, invece, se loro e i rispettivi amici invisibili non fossero venuti al mare o se solo non si fossero piazzati proprio dietro di noi?
Nervi. Andiamo? Tanto sono quasi le tre, dico. Così prendo il telo e questa volta faccio attenzione alla sabbia.
Ad alzarla per benino, voglio dire.


E vaffanculo il buonsenso, qui comincia la festa..
http://www.youtube.com/watch?v=NQXHKb6UuPE

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Venerdì, pausa pranzo. Stacco all’una per un paio d’ore; andiamo al mare? Umm.. Lunedì e martedì ho esami, sono stanca, voglio rilassarmi. Ok, si va. Il tempo a disposizione è poco, quindi raggiungiamo il punto più vicino. Cinque minuti e siamo arrivati. Facciamo spiaggia libera? Abbiamo solo due...
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Perchè non importa dove vai ma lo spirito con cui ci vai.

06 aprile 2011 ore 19:40 segnala
L'ho sempre saputo che il viaggio vale cento volte la meta e non parlo solo di lunghe distanze.
L'attesa ha i suoi vantaggi e aspettare un treno per mezz'ora può essere illuminante. Divoro quello che ho intorno con tutti e cinque i sensi: ogni volta è una scoperta di cose che non avevo visto o sentito, forme e colori e odori sconosciuti, in un posto che vedo da anni e che conosco come le mie tasche ma che, a detta di molti, non è cambiato per niente.
E ieri in stazione, complice un libro, è successo di nuovo: quelle su cui sfrecciano i treni non sono solo due assi parallele di legno, ferro e ruggine e io che ho sempre sofferto di fantasia galoppante lo sapevo, è solo che dovevo prima leggere quelle due righe per rendermene conto. Sorrisi, mamma, università, decisioni, luce accesa, luce spenta, notte, occhi erano le cose a cui avevo cominciato a pensare.
Mi vergognai del pensiero infantile che attraversò la mia testa in quel momento, poi mi senti in colpa perchè quello stesso pensiero era diventato osceno.
Eppure un istante dopo era tutto più chiaro e io mi sentivo leggera.
Amen.

La strana intimità di quelle due rotaie.
La certezza di non incontrarsi mai.
L'ostinazione con cui continuano a corrersi di fianco.


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L'ho sempre saputo che il viaggio vale cento volte la meta e non parlo solo di lunghe distanze. L'attesa ha i suoi vantaggi e aspettare un treno per mezz'ora può essere illuminante. Divoro quello che ho intorno con tutti e cinque i sensi: ogni volta è una scoperta di cose che non avevo visto o...
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Lista delle cose da fare e di quelle da rifare.

21 febbraio 2011 ore 19:54 segnala

 

Mangiare gelato la notte.

Pensare.

Smettere di fumare.

Iniziare a fumare. Di nuovo.

Fare a pugni.

Ascoltare il mio stomaco.

Comprare un'arpa.

Perdermi.

Tingermi la faccia di rosso.

Guardare la neve.

Sedermi sul tetto di casa.

Aspettare.

Viaggiare con i piedi fuori dal finestrino.

Costruire un'altalena.

Dormire vestita.

Stupirmi.

Ballare con la luce spenta e la finestra aperta.

Stare ferma sotto la pioggia.

Sentire.

 

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  Mangiare gelato la notte. Pensare. Smettere di fumare. Iniziare a fumare. Di nuovo. Fare a pugni. Ascoltare il mio stomaco. Comprare un'arpa. Perdermi. Tingermi la faccia di rosso. Guardare...
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