Intrallazzi di... Provincia

09 marzo 2010 ore 17:37 segnala

Il fatto non è recentissimo. Buona parte di quanto qui scritto risale però all'epoca dei fatti, uno scambio di mail con un amico che mi aveva contattato sapendo della mia conoscenza personale del Presidente della Provincia di Vercelli, Sig. Masoero.

Allora perché pubblicare oggi?

Semplice.

Le cose sono andate avanti e siamo arrivati alle dimissioni dalla carica di Presidente che il Sig. Masoero occupava, che ha scelto di patteggiare i reati contestatigli dalla magistratura, fatto significativo che implica l'ammissione del reato.

Un po' di storia.

Il Presidente della provincia di Vercelli venne colto in flagranza di reato mentre ritirava una mazzetta da diecimila euri direttamente nel suo ufficio, e sottoposto a misura cautelativa di arresti domiciliari dopo i primi interrogatori. Il fatto avvenne lo stesso giorno nel quale anche a Milano veniva arrestato un funzionario del comune che intascava mazzette all'ingresso di Palazzo Marino, fatto che mise in secondo piano la notizia che riguardava il Sig. Masoero, che però si era guadagnato la ribalta di tutti i Tg nazionali della RAI. Nei giorni successivi la sua vicenda venne seguita quasi esclusivamente dalla RAI Piemonte, che ancora oggi di tanto in tanto aggiorna sugli sviluppi.

In seguito saltarono fuori anche delle intercettazioni telefoniche pubblicate dal quotidiano La Repubblica nelle pagine della cronaca di Torino e che possono essere consultate sul web per farsi un quadro più completo della situazione., delle quali io non ero però a conoscenza quando scrissi le mie impressioni al mio interlocutore.

23-02-2010

... non so perché, ma i miei pensieri non riescono a distogliersi dagli accadimenti che hanno "sconvolto" il piccolo paese di Provincia dal quale provengo, improvvisamente balzato agli onori delle cronache: tutti al capezzale del bravo ragazzo, tutti a manifestare solidarietà, incredulità, rammarico. Ripeto, non so se le accuse che vengono rivolte al mio amico Signor Masoero hanno un fondamento, anche se a quanto pare è stato sorpreso a ricevere diecimila euri da un imprenditore locale, che lui dice pensava fossero un contributo personale a sostegno della sua campagna elettorale in vista delle elezioni regionali dove corre per un assessorato. Non so se quei soldi sia stati richiesti o donati, quello che mi infastidisce sono quei diecimila euri in quanto tali.

Qui pro quo...

e mi riecheggiano nelle orecchie le parole del mio ex compaesano che in un atto di umile devozione subito a dire al giornalista della televisione che il provvedimento di arresto (arresti domiciliari, il che lascia intendere ammissioni...) è eccessivo e che le forze dell'ordine dovrebbero occuparsi di altre cose, come gli spacciatori o i ladri....

Ma se siamo allo sfascio, se nulla più funziona, se non ci sono asili, se per farsi curare occorrono mesi di attesa, se il lavoro è sempre più precario...

Se gli imprenditori ridono sulla morte pensando ai profitti che ne potranno trarre, come le recenti intercettazioni sulla protezione civile testimoniano...

Il bravo ragazzo del piccolo paese di Provincia si era fatto raccomandare per fare il militare nei carabinieri, e ha svolto il servizio a Genova, a un'ora e mezza dalla casuccia paterna, il suo primo impiego fu il frutto di un gioco sporco che gli costò qualche soldino, e ogni suo passo è stato il frutto di qualche amicizia mossa nel momento giusto, e di questo tutti sapevano, e quindi sin troppo facile dire che non c'è più cieco di chi non vuol vedere o sordo di chi non vuol sentire e via con tutto lo scibile umano che si può citare a riguardo di fatti come questi....

In fondo questo è il sistema, e che piaccia o no, sono rarissimi coloro che non cercano di sfruttare le vie più semplici per arrivare a soddisfare le proprie esigenze. Un favore non lo si nega a nessuno, e quando il nessuno non ha santi in paradiso, il favore lo si può sempre comprare. Una volta si comprava un biglietto per il Paradiso, ai giorni nostri nei quali la fede non è un investimento in grado di garantire rendimenti sufficientemente appetibili, si acquistano favori più materiali, quali appalti, scranni parlamentari (o simili) e via dicendo.

Personalmente mi nausea vedere la gente del piccolo paese di provincia stupita, sorpresa, scandalizzata che qualcuno abbia puntato il dito con il loro rappresentante, che si chieda come è possibile, che uno come lui mai e poi mai... ma la gente ha la memoria corta, e soprattutto tende a perdonare negli altri i propri peccati, a maggior ragione quando l'interesse è comune...

Io ne sono spiaciuta, perché, anche se pochi, alcuni, una volta raggiunti certi posti sono stati in grado di fare cose buone... ma ci erano arrivati per altre vie, con un'altra storia sulle spalle. Chi mi conosce sa che non mi aspettavo miracoli in tal senso dal mio amico Signor Masoero, diciamo che sinceramente speravo che togliesse in tempo le dita dal barattolo. Purtroppo le ultime fotografie in cui lo vedevo ritratto lo mostravano decisamente ingrassato....

Rechel72


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Il fatto non è recentissimo. Buona parte di quanto qui scritto risale però all'epoca dei fatti, uno scambio di mail con un amico che mi aveva contattato sapendo della mia conoscenza personale del Presidente della Provincia di Vercelli, Sig. Masoero. Allora perché pubblicare oggi? Semplice. Le cose ... (continua)
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09/03/2010 17:37:59
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Preludio

16 dicembre 2009 ore 22:22 segnala
  Arriva un momento nel quale istintivamente guardo il cielo.


La luce che proveniva dalla finestra è cambiata, attenuandosi vieppiù, facendosi grigia, sino a che non ho dovuto accendere la lampada per continuare a leggere.

Se non fosse per quel grigiore compatto che ora colora il cielo tutto sembrerebbe uguale a un'ora fa, e servono minuti di ascolto e osservazione per capire quello che sta succedendo. Il primo segnale è proprio quel cielo che si è lentamente colorato di grigio. Un grigio intenso, che piano piano smorza la luce. Sono nuvole, tante nuvole, che viaggiano compatte, lente, silenziose, mosse da un vento che a terra non si riesce neppure ad apprezzare. Anche la temperatura è cambiata. Quel freddo pungente che fino a poco fa veniva incontro superando qualsiasi riparo che io cercassi non si sente più. Sono scomparsi dai rami degli alberi i segni della gelata notturna, e anche i radi ciuffi d'erba che ancora resistono ripresentano il loro colore verde brillante, ma quegli steli verdi chinano le loro punto verso il basso, come a cercare riposo.


Arriva un momento nel quale istintivamente guardo il cielo.


Lassù è tutto uniforme, come uno sfondo su una tela sulla quale l'artista sta per disegnare la sua opera. Il grigio è cupo, ma non c'è aria di tristezza. C'è un silenzio rispettoso nell'aria, come in quell'istante a teatro nel quale si spengono le luci di sala e si sta per alzare il sipario, un istante carico di magia, di attesa, di tensione, un istante che precede l'inizio della rappresentazione. Solo il gracchiare dei corvi irrompe nella quiete, come ad invitare gli ultimi ritardatari a prendere posto senza far troppo rumore. Da qualche camino si alzano nuvole di fumo, che pigramente si disperdono nell'aria, senza sapere che direzione prendere, quasi esitanti, quasi consapevoli di essere presenze estranee nel quadro che si sta delineando. Non c'è vento, non c'è direzione verso le quali vengano guidate, e danzano incerte, fino a scomparire nel grigio che le risucchia. Tutta la natura sembra di colpo fermarsi, nell'attesa che qualcosa accada.


Arriva un momento nel quale istintivamente guardo il cielo.


E' una questione di radici. Se sei nata in un paesino dove ti bastavano pochi colpi di pedale per ritrovarti in mezzo alla campagna sai che ci vuole tempo. Che bisogna aspettare. Sai che a volte tutto sembra pronto perché abbia inizio lo spettacolo, ma che all'ultimo istante l'artista intraveda qualche piccolo particolare non perfettamente a posto e rimandi la sua esibizione. Se sei nata in un paesino dove il vento ti porta l'odore dell'erba tagliata lasciata a seccare nei campi sai che a volte l'attesa andrà perduta. Sai che non basta quella temperatura particolare, sospesa tra quel confine che separa il gelarsi di ogni particella di umidità presente nell'aria e il sentirti quell'umidità addosso, sui capelli, sul viso, sui vestiti. Sai che non basta quell'uniforme tono di grigio nel cielo, perché le nuvole di fumo che escono dai camini prendono una direzione precisa, e questo non fa parte del quadro che conosci. Se sei nata in paesino dove i tuoi nonni e i nonni di tutti quelli che conosci erano contadini, sai che la natura ha i suoi tempi, i suoi riti, i suoi “naturali” meccanismi.


Arriva un momento nel quale istintivamente guardo il cielo.


E' il silenzio la cosa che attira di più l'attenzione se sei nata in un paesino dove i tuoi nonni e i nonni di tutti quelli che conosci erano contadini. C'è sempre grande silenzio nella natura prima che l'artista dia inizio alla sua opera. E' il dovuto silenzio che quel pubblico rispettoso rivolge a quell'artista cui tutto deve, e che sta preparando una nuova rappresentazione. Il cielo grigio fitto, l'aria pressoché immobile, la temperatura atmosferica che danza sul confine tra gelo e disgelo, il silenzio rotto solo dal gracchiare evocativo dei corvi. E se sei nata in un posto nel genere sai che dovrai aspettare, forse inutilmente, ma sentirai di far parte di un disegno meraviglioso, che fa di un preludio un attimo così bello che ti fa dimenticare il dispiacere che avrai se la rappresentazione non ci sarà .


Se sei nata in un posto del genere, dove i tuoi nonni e i nonni di tutti quelli che conosci erano contadini, ci sono sono giorni in cui arriva un momento nel quale istintivamente guardi il cielo, e sai che potrebbe essere il preludio di qualcosa di meravigliosamente nuovo.

... c'era una volta...

13 dicembre 2009 ore 00:50 segnala
  (dedicato ai cittadini di Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli)


Se questa fosse una fiaba inizierebbe come tutte le fiabe con “C'era una volta....”


Ma questa non e' una fiaba.


Ma io voglio pensare per un attimo che questa sia come una fiaba, e quindi iniziero' questo racconto proprio come iniziavano quelle storie che da bambino mi venivano lette.


C'era una volta un paese che i suoi abitanti avevano costruito ai piedi di una collina, dove nevicava tutto l'anno.

Dal primo di Gennaio al trentuno di Dicembre su quel paese scendeva sempre la neve. Era strano questo fatto. Non era stato sempre così, anzi per molti secoli dalla sua fondazione in quel paese la neve scendeva solo in inverno, e a volte succedeva che non arrivasse neppure. Ma un giorno accadde qualcosa e la natura di quel paese cambiò.”


Se questa fosse una fiaba, a modificare gli eventi di quel tranquillo paese di contadini sarebbe arrivato un Principe in sella a un cavallo bianco e il suo cuore sarebbe stato rapito dalla piu' bella fanciulla che lui avesse mai visto prima.


Ma questa non e' una fiaba.


Ma io voglio continuare a pensare che questa sia una fiaba, e continuo il racconto proprio come nelle storie fiabesche che mi circondavano nell'infanzia.


Un dì, da un paese lontano, a dorso di un bellissimo cavallo bianco con i finimenti in oro, giunse in quel piccolo paese di contadini un bellissimo Principe, in cerca di un regno per la sua corona. Era molto stanco il Principe quel giorno, e decise di fermarsi in quel piccolo villaggio di contadini per rifocillare il suo cavallo e prendersi un po' di riposo, certo che l'indomani avrebbe ripreso il suo viaggio.

Il Principe si avvicinò a una bella fanciulla che stava tornando al paese portando un cesto di ortaggi che aveva raccolto nel suo orticello. Le chiese se in quel paese ci fosse una locanda dove lui avrebbe potuto trovare ristoro per la sua fame e la sua stanchezza e un riparo per il suo cavallo. La fanciulla gli rispose che non aveva che da seguirla, lei era la padrona dell'unica locanda del paese e quello che vedeva nel suo cesto sarebbe stato quello che avrebbe trovato per dar pace alla sua fame e il cavallo avrebbe trovato riparo nella stalla della locanda, mentre per lui ci sarebbe stato un comodo pagliericcio nella stanza più bella, quella la cui vista dava su quelle colline che adesso poteva ammirare di fronte a lui.”


Se questa fosse una fiaba a questo punto il Principe si sarebbe innamorato della bella locandiera, l'avrebbe chiesta in sposa e avrebbe realizzato il suo sogno di avere un regno per la sua corona.


Ma questa non e' una fiaba.


Ma io a questa storia comincio ad appassionarmi, e voglio continuare a raccontarla cosi', perche' e' bello credere nelle fiabe.


Il Principe rimase colpito dalla bellezza della fanciulla e dalla gentilezza dei suoi modi, e si convinse a passare la notte nella sua locanda. La fece salire sul suo cavallo dai finimenti d'oro ed andarono alla locanda. Al loro passaggio passaggio tutti gli abitanti di quel paese rivolgevano un ossequioso saluto, gli uomini togliendosi il cappello e le donne con cerimoniosi inchini, come se di fronte a loro stesse passando una coppia regale.

Arrivati alla locanda il Principe andò a sistemare il cavallo nella stalla mentre la locandiere si mise a preparare la cena per quello che era l'unico ospite della locanda. Lei aveva capito che si trattava di un nobile che veniva da terre lontane, e quella sera apparecchiò il tavolo per il desco con le posate e le stoviglie più belle che aveva, per onorare nel migliore dei modi quell'ospite inatteso.

Alla fine della cena il Principe si ritirò nella sua stanza, non senza pensare che quella fanciulla l'aveva trattato proprio come un Re, e che a lui non sarebbe dispiaciuto farla diventare la sua Regina.

Il Principe passò la notte insonne, non vedeva l'ora che il gallo svegliasse la bella fanciulla per poterla chiedere in sposa. Finalmente il gallo cantò, e la fanciulla bussò alla porta del Principe per avvisarlo che la colazione lo aspettava.

Ma il Principe non aspettò di consumare quello che la fanciulla aveva preparato per lui, e appena l'ebbe di fronte cadde in ginocchio ai suoi piedi e la chiese in sposa. Le disse che il suo nome era Luis De Cartier De Marchienne, che era un Barone che arrivava dal Belgio, e le portava in dote un ricco commercio che le avrebbe garantito una vita da regina, e che avrebbe reso la vita dei suoi compaesani finalmente libera dalla schiavitù del faticoso lavoro della terra. “


Se questa fossa una fiaba la fanciulla acconsentirebbe alle nozze, il piccolo paese di contadini si trasformerebbe in una citta' all'interno delle cui mura la vita si svolge serena e dorata, e tutti vissero felici e contenti.


Ma questa non e' una fiaba.


E io voglio continuare il racconto, perche' nelle fiabe alle volte succedono cose che non sono previste.


La fanciulla a quelle parole sentì il suo cuore battere forte, e acconsentì alle nozze con il bel Barone che veniva dalle lontane terre del Belgio. Fu gran festa nel piccolo paese di contadini, tutti volevano bene alla bella locandiera, che aveva mani delicate e modi raffinati che non si addicevano al lavoro nei campi e che era rimasta orfana sin da bambina, ma che aveva saputo mandare avanti da sola la locanda ereditata dai genitori. Le nozze ebbero luogo, e il Barone mantenne fede alla sua promessa di strappare al duro lavoro dei campi i contadini di quel piccolo paese, costruendo su quelle terre fertili una grandiosa fabbrica di manufatti, facendosi aiutare in questo da un suo amico banchiere, che aveva conosciuto durante i suoi viaggi, lo svizzero Stephan Schmidhaeny, che nobile non era, ma disponeva del denaro sufficiente per apparirlo.

E fu dal giorno in cui la fabbrica di manufatti entrò in funzione che su quel piccolo paese di contadini iniziò a nevicare, per non smettere mai neppure un giorno soltanto.

Ai viaggiatori che si trovavano a passare per quel paese sembrava di vedere un piccolo villaggio magico, dove era Natale tutto l'anno, con quella neve sottile e leggerissima che lo imbiancava in perpetuo. “


Se questa fosse una fiaba tutti gli abitanti di quel piccolo paese sarebbero vissuti davvero felici e contenti, e quel Barone Belga e il suo amico svizzero verrebbero ricordati come i loro benefattori, e quella neve sarebbe vista come una manna che benediva quel paesello fortunato.


Ma questa non e' una fiaba.


E il lieto fine non c'e', perche' sono sempre i nobili e i ricchi che avvelenano il futuro dei bambini.


Passarono gli anni, e tutto sembrava scorrere felicemente in quel piccolo paese, dove i contadini per la magia del Barone si erano trasformati in operai, e dove il duro lavoro dei campi era ormai un ricordo perduto nelle menti dei più anziani. Man mano che i giorni passavano il viso della bella locandiera perdeva la luce che l'aveva sempre illuminato, cominciò a uscire sempre meno di caso, e la gente cominciò a pensare che si fosse ammalata. Anche il Barone si accorse che la sua bella sposa stava lentamente consumandosi. Chiamò allora tutti i luminari della medicina del tempo a consulto, e tutti quelli che la visitavano lasciavano il suo capezzale scuotendo tristemente la testa. Il verdetto era per tutti uguale. La Bella fanciulla era ammalata di una malattia che in quel piccolo paesino non si era mai vista, e che era stata portata dal quella neve che era cominciata a scendere dal giorno dell'inaugurazione della fabbrica. Il suo nome era mesotelioma pleurico, e suonava esotico come le terre da cui proveniva il Barone, come esotica era quella neve che con lui era arrivata. Ma quella neve portava morte, e ne bastava anche un solo piccolo fiocco per uccidere un uomo.”


Se questa fosse una fiaba il Barone belga avrebbe cercato la fattucchiera piu' potente che si fosse conosciuta, le avrebbe fatto preparare una pozione in grado di salvare la bella locandiera e avrebbe distrutto la sua fabbrica per far cessare quella nevicata mortale.


Ma questa non e' una fiaba.


Il Barone non cerco' la fattucchiera. Disse a tutti i luminari che aveva consultato di non dire nulla a nessuno di quello che stava accadendo in quel piccolo paese di contadini, pagando il loro silenzio a peso d'oro, abbandono' la sua bella moglie al suo destino e torno' da dove era venuto, continuando a gestire da lontano il frutto del suo commercio di morte.

Parole (... non so parlare d'amore...)

13 novembre 2009 ore 09:37 segnala

La serie continua, quattro mani, pensieri sovrapposti. Questa volta però un punto di insanabile discordia. Il video di accompagnamento. Per rispetto reciproco, ciascuno di noi pubblicherà il video dell'altro.

Io non scrivo mai commenti, ne pareri, ne opinioni, ho sempre creduto e continuo a credere che non stia a noi dare giudizi: sono una giornalista, non un giudice e nemmeno un magistrato, io mi limito a narrare i fatti, i fatti come stanno, come sono, sembra la cosa più facile e invece qui è la più difficile. E’ un prezzo altissimo, quale prezzo? Che non fai più un mestiere, tu combatti una guerra, ti senti in lotta, e a 47 anni sono stanca, non impaurita, non scoraggiata, solo stanca, stanca di leggere ogni giorno sui giornali politici che sono una pazza, Politvscaja la schizofrenica, Politkvscaja la paranoica, stanca di spiegare ai miei figli perché chi dice la verità è un pazzo, e chi dice la menzogna fa carriera; stanca di ricevere dalle 10 alle 15 minacce di morte a settimana, compaiono sul mio computer, a volte anche al telefono, stanca di sentirmi una criminale. Ogni 6 giorni quando esce un articolo, vengo convocata in procura, tra i ladri, i delinquenti, chi sta li per rapina, chi per furto chi per stupro, io per giornalismo. Conosco i corridoi, le sale d’aspetto, la scrivania degli uffici, entro e mi siedo; la domanda è sempre la stessa, perché ha scritto cose false e chi le ha passato queste informazioni, segue interrogatorio 2, 3 ore 4, a volte mi hanno trattenuta a volte mi hanno lasciata. Sono stanca di spiegare ai miei figli perché passo la notte in galera, stanca di pensare che l’informazione libera qui non esiste; il 90% dei giornalisti in Russia ha una tessera politica, se hai una tessera politica non sei un giornalista, sei un portavoce. Funziona così, la stampa si divide in chi è per la Russia e chi non è per la Russia; se sei per la Russia dopo 5-6 anni ti fanno deputato, se non sei per la Russia non devi fare il giornalista, punto. La tua è propaganda contro lo stato, punto. La propaganda contro lo stato si punisce con la morte, prima o poi, punto.” (Anna Politkvscaja) 

 

Non so parlare d'amore. 

 

Non sono neppure come Anna Politvscaja, non ho il suo coraggio, non ho figli a cui dover spiegare alcun perché, non ricevo minacce di morte, non passo le mie giornate negli uffici della questura a rispondere a domande sempre uguali. La domanda sorge spontanea: “Ma allora... che c... vuoi?”.

 

Non so parlare d'amore.

 

Non ho una porta da chiudermi alle spalle per chiudere fuori il mondo, fingendo di non sapere che esiste, non ho nessuno tra le cui braccia abbandonarmi e rifuggire le cose che vedo intorno a me, non mi basta chiudere gli occhi per credere che sia sempre buio.

 

Non so parlare d'amore.

 

Eppure sento mia la stanchezza della Politvscaja, e forzando l'interpretazione di una sua frase la ripeto “Io non scrivo mai commenti, ne pareri, ne opinioni, ho sempre creduto e continuo a credere che non stia a noi dare giudizi: … io mi limito a narrare i fatti, i fatti come stanno, come sono, sembra la cosa più facile e invece qui è la più difficile.” Scatta inevitabile la seconda domanda “E allora che c... ci fai qui?”

 

Non so parlare d'amore.

 

Ma mi piacciono le parole. Mi piace il loro suono, la loro forma, il loro significare. Sì, perché le parole hanno un significato, un peso specifico, e per delle parole si può anche morire. Non è il caso mio, le parole che io scrivo sono senza peso, non lasciano traccia, non colpiscono nessuno. I fatti di cui a volte racconto sono sotto gli occhi di tutti, di tanto in tanto mi limito a usarli per riflessioni private, alternativa a quel parlar d'amore di cui non sono capace. Alle volte racconto strambe storie, che servono più a me che ai malcapitati lettori.

 

Non so parlare d'amore.

 

Ho un rispetto profondo per le parole, e il solo sapere che ve ne solo più di 2400 che sono ormai dimenticate mi ferisce, perché anche io ne ho dimenticate molte, perché anche io ho perso qualcosa, e il mio vocabolario personale si sta restringendo sempre più, e allora provo a cercarle, leggendo, ascoltando. Ma le parole scritte hanno ormai assunto forme strane, ridotte a simboli matematici o a strani codici fiscali che rendono il linguaggio scritto ormai simile a un codice cifrato, e quelle dette il più delle volte sono urlate, con gran spregio dei congiuntivi e delle forme grammaticali, e spesso echeggiano vuote.

 

Non so parlare d'amore.

 

 

E allora parlo di quello che vedo, che sento, che leggo. Parlo delle sensazioni che provo di fronte al mondo che mi entra in casa o che a volte vado a cercare. Racconto quello che vedo, cercando di non giudicare, senza pretesa di voler cambiare le cose che non mi garbano, cercando però di evitare di farle mie. Racconto quello che colpisce il mio immaginario, cercando di dare un senso a quello che vedo. Non mi piace la gente che ferma la propria auto per guardare l'incidente appena accaduto con gusto morboso, alla caccia di un cadavere che dia un brivido. Se invece il cadavere è “sparato” lo si scavalca, senza vederlo. Scatta qui la terza domanda “E questo cosa c... c'entra?”

 

Non lo so, ma non so parlar d'amore.

Rechel72

Vecchi muri e nuove canzoni...o viceversa?

09 novembre 2009 ore 22:58 segnala
 

Continua la serie dei pezzi a quattro mani, certi che non si tratta di sinfonie da concerto, ma di un semplice gioco di condivisione e di confronto. A volte per aiutare la memoria, altre per conoscere dettagli di cui non si sapeva. In fondo, anche questo è un modo per non contribuire al proliferare di nuovi muri.



... ne parlano tutti, e in fondo è giusto che sia così. Oggi sono venti anni dalla caduta del muro più celebre al mondo. I conti sono facili a farsi. Avevo diciassette anni, e vedevo in quel muro che cadeva la speranza di un mondo più uguale. Le immagini di quel muro che cadeva fecero rapidamente il giro del mondo, e quegli uomini che superavano quell'assurdo confine avevano negli occhi una luce di gioiosa speranza che non poteva essere dimenticata. A migliaia passarono quel confine, e festeggiarono la loro rinnovata speranza con i loro connazionali a cui erano stati negati per decine di anni. La birra scorse a fiumi quella notte, i canti risuonarono per le strade della città per tutta la notte, la musica echeggiò forte nel cielo sino all'alba. La cosa più incredibile è che gli uomini che venivano dall'Est avevano in tasca solo soldi che dall'alta parte città non avevano alcun valore, non potevano essere cambiati, perché le banche a quell'ora non erano aperte e poi avrebbero schifato quella valuta. Ma quella notte nessuno presento loro il conto, non c'era nulla da pagare. ..

... Vent'anni sono passati...

Quel muro venne fatto a pezzi, e molti ne presero un piccolo frantume per serbarlo a casa come cimelio, per non dimenticare sino a che punto aberrante può arrivare l'uomo, in modo che la memoria consentisse a tutti di far sì che nulla del genere dovesse mai più accadere.

... Vent'anni sono passati...

.. e altri muri, altre barriere sono state costruite, sotto i nostri occhi, con il nostro tacito consenso. Penso alla striscia di Gaza, alla zona "verde" di Bagdad, o al confine Messico Stati Uniti (… ahh i democratici Stati Uniti), ma i muri che più intristiscono i miei pensieri sono quelli che le nostre coscienze fingono di non vedere, quelli che alziamo sui nostri confini, lasciando morire a decine di centinaia poveri cristi in mezzo al mare, o nascosti in improbabili pertugi nei tir, o in chissà quali altre squallide situazioni che ci vengono accuratamente nascoste. Ma il muro più alto e invalicabile è quello che abbiamo in noi, al quale quotidianamente e pervicacemente tutti i giorni aggiungiamo un mattone: quello dell'indifferenza.

Vent'anni son passati...

e quell'album registrato nel 1969 dal titolo “Due anni dopo” conteneva la canzone omonima, il cui “ritornello” vent'anni dopo il Maestro modificò in “vent'anni dopo”, e oggi, un altro ventennio dopo, sembra scritta domani



Visioni e frasi spezzettate si affacciano di nuovo alla mia mente,
l'inverno e il freddo le han portate, o son cattivi sogni solamente.

Mattino verrà e ti porterà
le silouhettes consuete di parvenze;
poi ti sveglierai e ricercherai
di desideri fragili esistenze...

Lo specchio vede un viso noto, ma hai sempre quella solita paura
che un giorno ti rifletta il vuoto oppure che svanisca la figura.

E ancora non sai se vero tu sei
o immagine da specchi raddoppiata;
nei giorni che avrai però cercherai
l'immagine dai sogni seminata...

L'inverno ha steso le sue mani e nelle strade sfugge ciò che sento.
Son trine bianche e neri rami che cambiano contorno ogni momento.

E ancora non sai come potrai
trovare lungo i muri un' esperienza;
sapere vorrai, ma ti troverai
due anni dopo al punto di partenza...

E senti ancora quelle voci di mezzi amori e mezze vite accanto;
non sai però se sono vere o sono dentro all'anima soltanto;

nei sogni che hai, sai che canterai
di fiori che galleggiano sull'acqua.
Nei giorni che avrai ti ritroverai
due anni dopo sempre quella faccia...

La la la la...”

Vent'anni fa cadeva un muro, e tanti guardarono con speranza a quell'evento. A guardar quel che è rimasto dopo che la polvere di quel crollo si è definitivamente posata pare che siano rimaste solo le macerie, oggi nascoste dai luccichii delle luci delle celebrazioni...



Visioni e frasi spezzettate si affacciano di nuovo alla mia mente,
l'inverno e il freddo le han portate, o son cattivi sogni solamente.”

purtroppo non sono cattivi sogni, gli uomini continuano a costruire muri, e se questo può avere in qualche modo una ragione se pur assurda e miserevole, la cosa che più fa male al cuore è che quei muri si finge di non vederli, al punto di celebrare la caduta di quel muro come se fosse stato l'ultimo... chissà tra vent'anni cosa avremo intorno...

Rechel72

Genetliaco...P(am)art two

02 novembre 2009 ore 17:30 segnala
  545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono distanze che non si possono colmare.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono distanze che e' giusto rispettare.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono errori che non si possono commettere.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono errori che si devono commettere.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono suoni che non si possono ascoltare.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono suoni che si devono ricordare.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono muri che non si possono superare.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono muri che devono essere colorati.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono vuoti che non possono essere colmati.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono vuoti che devono essere circoscritti.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono ostacoli che non possono essere superati.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono ostacoli che aiutano a crescere.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono giorni che non si devono vivere.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono giorni in cui vivere è difficile.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono parole che non devono essere scritte.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono parole per scrivere di tutto.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono ricordi che non devono essere presenti.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono ricordi che devono essere accettati.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono sogni che non devono essere vissuti.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono sogni che sono la nostra vita.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono luci che non devo essere accese.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono luci che fanno male agli occhi.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono occhi che non sanno vedere.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono occhi che vedono oltre l'orizzonte.

545 volte “Auguri!”

Perché non ci sono silenzi che non si devono ascoltare.

545 volte “Auguri!”

Perché ci sono silenzi che raccontano vite intere.

................................................


Auguri, e te e alla tua arte.

Auguri, a te e alla tua opera piu' grande, che ogni giorno ti cresce davanti, meraviglia della natura.

Auguri, a te e al tuo mondo, che presto si compia.


Auguri.... 545 volte Auguri.


Rechel72

2 Novembre

02 novembre 2009 ore 11:54 segnala
  SAN MARTINO DEL CARSO
da L'ALLEGRIA - IL PORTO SEPOLTO


Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non m'è rimasto
neppure tanto

Ma nel mio cuore
nessuna croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato



Valloncello dell'Albero Isolato, il 27 agosto 1926

(G. Ungaretti)

Il Manifesto del neurone

02 novembre 2009 ore 11:52 segnala
  Ancora un pezzo a quattro mani, divertimento di serate autunnali che sostituisce il calore di un camino, ma che scalda il cuore come un buon bicchiere di rosso generoso.



Signore della chat mi presento:

Sono il Neurone.

Vivo solitario in un ampio monolocale a equo canone, nel senso che equamente, il canone è a costo zero, in cambio di qualche piccolo intervento nella disordinata e assolutamente disdicevole vita di quell'uomo (e mi scuso con il genere, intendendo l'umanità intera, se utilizzo questo termine) che ha tentato di intrattenersi con Lei per qualche scambio di battuta.

Le scrivo approfittando di uno degli innumerevoli momenti di vuoto della vita in cui quello che chiamerò per decenza il Soggetto spesso cade e nei quali rimane come catatonico di fronte a uno strano oggetto dai colori cangianti e da cui spesso scaturiscono strepitanti vocii emessi da ancor più strani umani bidimensionali. Il motivo di questa mia è per ringraziarLa delle parole gentili che ha avuto nei miei riguardi, riconoscendo una mano estranea al Soggetto nelle parole che Le sono giunte, e che il Soggetto stesso ha incautamente pensato di potermi nascondere. Nonostante la mia naturale riluttanza ai complimenti è inutile nascondere che sono sempre piacevoli, anche perché attenuano la mortificante e malaugurata sorte che mi è toccata capitando in questo monolocale sfitto e abbandonato. Per quel poco che ho potuto fare ho cercato di rendere questo spazio il meno vuoto e buio possibile, ma mi rendo conto che spesso i miei sforzi risultano vanificati dall'agire colloquiale del Soggetto, che spesso parla seguendo logiche di cui non riesco a capire la provenienza, e dalle quali prendo le massime distanze. In lui fenomeni quali la sinapsi sono praticamente impossibili senza la mia presenza, e quel che è peggio è che il suo ego lo porta a credere il contrario, portandolo a rendersi protagonista di situazioni che definire ridicole sarebbe assolutamente riduttivo. Cercherò di essere presente il più possibile durante i vostri colloqui per impedirgli di dire cose che potrebbero indurLa a muovere atti al di fuori dalla legge per liberare il mondo dalla sua insignificante presenza. Nel caso dovesse verificarsi il malaugurato caso che nelle conversazioni non dovesse riconoscere sin dalle prime battute il solito interlocutore, La prego di temporeggiare, e se la situazione non migliora nel volgere di qualche minuto passi oltre con nonchalance. Anche io in quanto Neurone ho diritto a qualche momento di relax e di privacy, e potrei non riprendere immediatamente il mio posto di controllo sulle attività cerebrali del Soggetto, e poi non ho l'animo di Madre Teresa di Calcutta, e se sono immerso in piacevoli sollazzi neuronali nulla mi può distrarre, men che meno le folli dissertazioni fuori controllo del Soggetto. Temporeggi, mia cara Signora della Chat, al limite soprassieda, e poi si metta in contatto con me, insieme troveremo certamente una soluzione. Purtroppo non una cura definitiva, come Lei ben sa che certe malattie possono essere tenuto sotto controllo, alleviate in qualche complicanza, purtroppo non guarite, ma sempre meglio di nulla. In fondo la mia è anche una richiesta di tipo scientifico, cercare di capire l'origine di tanta insipienza potrebbe essere di aiuto all'Umanità (quella reale) intera.

Ancora grazie per le parole di stima, un saluto rispettoso, al limite del servilismo,

il Neurone


E se la ragione....

26 ottobre 2009 ore 14:05 segnala
  Un pezzo scritto a quattro mani, ma con un cuore solo, con un amico con cui condivido qualcosa in più dello stesso giorno giorno di registrazione all'anagrafe. Grazie per le considerazioni e per le sagaci intuizioni che mi hai fornito.



Io, Alfred Bernhard Nobel, dichiaro qui, dopo attenta riflessione, che queste sono le mie Ultime Volontà riguardo al patrimonio che lascerò alla mia morte. […] La totalità del mio residuo patrimonio realizzabile dovrà essere utilizzata nel modo seguente: il capitale, dai miei esecutori testamentari impiegato in sicuri investimenti, dovrà costituire un fondo i cui interessi si distribuiranno annualmente in forma di premio a coloro che, durante l'anno precedente, più abbiano contribuito al benessere dell'umanità. Detto interesse verrà suddiviso in cinque parti uguali da distribuirsi nel modo seguente: una parte alla persona che abbia fatto la scoperta o l'invenzione più importante nel campo della fisica; una a chi abbia fatto la scoperta più importante o apportato il più grosso incremento nell'ambito della chimica; una parte alla persona che abbia fatto la maggior scoperta nel campo della fisiologia o della medicina; una parte ancora a chi, nell'ambito della letteratura, abbia prodotto il lavoro di tendenza idealistica più notevole; una parte infine alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni, per l'abolizione o la riduzione di eserciti permanenti e per la formazione e l'incremento di congressi per la pace. I premi per la fisica e per la chimica saranno assegnati dalla Accademia Svedese delle Scienze; quello per la fisiologia o medicina dal Karolinska Instituet di Stoccolma; quello per la letteratura dall'Accademia di Stoccolma, e quello per i campioni della pace da una commissione di cinque persone eletta dal Parlamento norvegese. È mio espresso desiderio che all'atto della assegnazione dei premi non si tenga nessun conto della nazionalità dei candidati, che a essere premiato sia il migliore, sia questi scandinavo o meno. Quello che mi sono presa la briga di riportare è il testamento di Alfred Bernard Nobel, l'uomo che istituì il premio e che ne regolò con precise volontà testamentali l'assegnazione. Credo che la parte più alta del testamento del Signor Nobel sia quella in cui dice a chiare lettere che nell'assegnazione dei premi non si sarebbe mai dovuto tenere in conto per nessuna ragione della nazionalità dei candidati, semplicemente il premio doveva essere assegnato a colui che si era dimostrato il più meritevole nel suo campo, indipendentemente da razza, religione o colore della pelle. E' di pochi giorni fa l'assegnazione del premio Nobel per la Pace al Presidente degli Stati Uniti d'America Barak Obama. Personalmente non ho nulla da eccepire, per quanto possa valere la mia opinione. Rileggendo le volontà testamentali del Signor Nobel si possono capire le ragioni di coloro che in qualche modo hanno contestato l'assegnazione a questo premio. In effetti il Signor Barak Obama non ha ancora fatto concretamente nulla di quanto servirebbe per meritarsi il premio, anche se certi sui discorsi fatti in terre islamiche o il suo promesso impegno per l'uguaglianza sociale, a partire dalla sua stessa Nazione di appartenenza lasciano sperare in un mondo disegnato secondo criteri più egualitari e di tolleranza. Divago dal tema e dico che spero che per questo disegno sia data alla gente di strada la possibilità di colorarlo con le sfumature che riterranno più opportune, e che questo sogno possa in qualche modo vedere l'alba, troppi bui misteri hanno impedito ad altri di percorrere i passi che il Signor Obama vorrebbe muovere. Per tornare invece al tema di cui all'oggetto, vorrei aggiungere una riflessione. La commissione composta da cinque membri eletta dal parlamento Svedese è una sorta di senato accademico al quale siedono persone sicuramente degnissime ma che generalmente sono un po' in là con gli anni. Siamo così certi che questi rispettabilissimi notabili dell'alta società svedese abbiano voluto assegnare il Nobel per la Pace al Signor Obama come atto di fiducia per i suoi buoni propositi, temendo, data la loro età non più verde, di non vedere realizzato il disegno di un mondo se non pacificato almeno senza più guerre in nome della democrazia e con una giustizia sociale finalmente degna di tale nome? In me il dubbio è forte. E se fosse solo uno sprone al Signor Obama da parte di quegli illustrissimi, prima che il loro tempo su questa terra finisca e di andarsene senza saperlo, signori di rivelare finalmente dopo tanti anni chi ha ucciso Laura Palmer?

genetliaco

26 ottobre 2009 ore 09:53 segnala

Non amo le celebrazioni, ma sono grata a chi ha voluto farmi dono di un pezzo del mio passato.

Rechel72