Lo strano caso delle verità nascoste

29 settembre 2009 ore 09:12 segnala
  Elementare Watson... elementare...”

Ma Signor Holmes... come può sostenere una teoria del genere... tutti gli indizi... le prove raccolte...”

Nequizie Watson... nequizie...”

... vede forse dei cadaveri? Qualcuno ha perso delle ingenti somme di danaro perché tratto ingannevolmente in qualche finto lucroso affare?”

...”

No Watson. Siamo di fronte al più macroscopico nulla cosmico che qualche mente brillante sia mai riuscito ad architettare. Nel nostro beneamato Paese tutti possono dire ciò che vogliono, a patto di non curarsi troppo dei conti della Casa Reale, nessuna legge persegue il reato di deliquio, se non nuoce alla società... e mai come in questo caso siamo di fronte al nulla. Polvere, caro Watson, e la polvere regna ovunque, velando e offuscando le cose che i nostri occhi poi sono portati a confondere.”

Mi permetto di contraddirla Signor Holmes... qui siamo di fronte a un evidente caso di truffa aggravata con l'aggravante della circonvenzione di incapace di intendere e volere. Ci sono tutti gli elementi per una bella denuncia e un bel processo con condanna esemplare,che potrebbe servire come monito ad altri che vorrebbero seguire la stessa strada. Non si può permettere che il primo bellimbusto dotato di un ingegno decisamente sopraffino si possa fare beffe impunemente dei sudditi di Sua Maestà, e mi stupisce che lei dall'alto del suo rigore morale e dotato di un acutissimo senso dell'intuizione non sia intervenuto prima....”

Watson... Watson... anche lei... dopo tanti anni accanto a me... ma cosa diavolo le passa per la testa? Bellimbusto? Ha visto gli occhi di quella Signora? Non ne sente la scia del profumo ogni qual volta una sua lettera viene lasciata alla nostra porta?... e poi.. di cosa stiamo parlando...? Si rende conto che la Signora non ha fatto nulla, ma proprio nulla che possa interessare la giustizia?”

... Ma Signor Holmes.. l'imbroglio... quello è evidente...”

Di quale imbroglio stiamo parlando? Non le pare che i bari a quel tavolo siano stati altri? Tutti hanno dichiarato cose non vere, cercando di arraffare la posta, ma quale era la posta? E poi la Signora non è mica fuggita con il malloppo, sono stati altri che dopo poche mani sono usciti dal gioco, o peggio hanno fatto giocare altri in vece loro, fornendo indicazioni sulle carte che vedevano aggirandosi alle spalle, ma che alla lunga si sono scoperte inesatte e incomplete, abbandonando il tavolo perché non si sono sentiti in grado di reggere il peso della sconfitta.”

Watson... cani latranti aizzano la folla, si alza polvere, si perde il vero senso delle cose... Lei mi racconterebbe che sospetta che qualcuno suggerisce le mosse a quel suo avversario di scacchi con il quale sono anni che si sfida in interminabili partite per posta? Le è mai venuta la curiosità di andare a quell'indirizzo e spiare da una finestra per vedere chi è davvero il suo avversario? Si sognerebbe mai dire che chi le infligge severe lezioni di tattica e disciplina non dovrebbe giocare a scacchi perché è un ragazzino di tredici anni? Lei avrebbe accettato di giocare con lui sapendolo?... e se fossi io il mittente di quelle lettere contenenti le mosse che tanto le danno a pensare?...”

Signor Holmes... gli scacchi... come lei... oh mio Dio... tutte le considerazioni che le ho fatto a riguardo del mio misterioso avversario... ma qui siamo di fronte a accuse circostanziate di imbroglio...”

Watson... ancora... quale imbroglio? Chi ha ingannato chi? E per trarne quale vantaggio?”

... ma tutte quelle accuse, quelle dettagliate descrizioni di fatti e luoghi...”

Non abbiamo nulla Watson, proprio nulla... le uniche informazioni ce la ha fornite la Signora, il resto sono parole, brandelli di verità, parole accennate e poi taciute, fatti raccontati in ordine sparso e spesso non nell'esatto ordine cronologico nel quale si sono succeduti, omissioni per particolari interessi... latrati di cani a ombre che potevano anche essere le loro... Lei hai mai sentito o letto una parola della Signora a riguardo di queste cose?”

... quindi Signor Holmes lei non ha intenzione di mettere a disposizione di nessuno il materiale che abbiamo raccolto?

Dottor J. H. Watson, non abbiamo raccolto niente, e nulla mai raccoglieremo. La Signora ha il diritto di esprimere liberamente i suoi pensieri, di commentare gli eventi che colpiscono il suo sentire... e se un giorno vorrà raccontare la sua parte di verità, lo farà... e stia certo che lo farà... Ora mi perdoni... ma devo raggiungere la Signora per la cena...”.


P.S.: «Quando hai eliminato l'impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile, deve essere la verità.» (A. C. Doyle)

Lettera aperta

24 settembre 2009 ore 18:01 segnala
  Stimatissimo Signor Sindaco,

nella vita si fanno degli errori.

Farli pesare sugli altri, per quanto esercizio tra i più diffusi, mi pare poco simpatico. Certo, le spalle degli altri nel nostro immaginario sono in grado di portare pesi che le proprie non sono in grado di reggere, e quindi capisco il suo scaricare sulle mie il peso delle sue errate valutazioni. In altre occasioni avrei pubblicato la sua missiva recapitatami all'indirizzo di posta elettronica che corrisponde al mio contatto msn. No, non tragga facili conclusioni, non è nel suo dna. I particolari, i piccoli dettagli, non sono cose con cui Lei ha dimestichezza. Le dirò che non lo faccio per la stima che porto per Lei, nonostante certe sue convinzioni e perché nella sua accorata missiva non mancano contraddizioni di pensiero che io capisco dettate dalla confusione del momento ma che non Le renderebbero giustizia. Mi permetta di dirLe che se avesse seguito con più attenzione i consigli che Le davo a riguardo del prestar maggior attenzione ai particolari oggi io non sarei qui a scriverLe e Lei non avrebbe perso del tempo a interrogarsi sulla mia momentanea assenza dalle nostre chiacchiere e a fare congetture di varia natura, anche se mi assale ancora il dubbio che non sia tutta farina del Suo sacco, e questo lo dico con cognizione di causa.

Preferisco pensare questo che non a una meticolosa ricerca dovuta alla mia assenza, coincidente e consequenziale a quel piccolo diverbio legato a un curioso consiglio che mi aveva così gentilmente fornito e di cui, sempre per il rispetto e la stima che Le porto evito di riportare. Sarebbe per altro inutile. Lei non è più ospite di questo sito, anche se a quanto pare ci si intrufola senza palesarsi...

L'unica cosa che mi permetto di fare è una biblica citazione, e mi par buffo pensare che tutta la Sua trafelata ricerca è stata generata da una mia citazione in tal senso, che Le aveva dato il là per sperticarsi in consigli di dubbio gusto.

Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Non voglio giudicarLa, ma mentre leggo certi passaggi della Sua accorata missiva mi tornano alla mente alcuni Suoi racconti sul Suo modo di frequentare questa chat che mi fece all'inizio della nostra conoscenza.

E poi... ripeto... quella pessima abitudine di entrare a casa d'altri di nascosto...

Per quel che mi riguarda, scrissi tutto, anche se sempre più mi rendo conto che commisi un errore, convincendomi che sarebbe stato sufficiente leggere per capire i miei intendimenti, ma leggere non è capire, specie se la mentre è distratta da immagini o pensieri lubrichi, o se gli occhi sono velati dal proprio ego.

Vede, so trascinare un cursore, e se non avessi voluto lasciare tracce l'avrei fatto, il margine lo consentiva ampiamente.

Mi consenta una curiosità. La Sua penna rossa ha tratteggiato due contorni, uno potrebbe avere un senso, ma l'altro... non voglio però insistere, Lei avrà le Sue buone ragioni che non sarò certo io a mettere in discussione.

La ringrazio per le attenzioni che mi ha rivolto, non appena mi sarà ripristinata la linea telefonica tornerò ad essere visibile, questione di pochi giorni, ma sappia, caro Signor Sindaco, che non ho mai fatto o detto una cosa che non mi appartenesse.


Rechel72


P.S. Quell'immagine... non venne mai pubblicata, ma fui io a inviargliela durante una nostra chiacchierata... come vede... mi chiedo che cosa velava i Suoi occhi allora...

DON'T CARE LESS (... l'uomo nuovo)

18 settembre 2009 ore 18:42 segnala

 (pensieri e parole di un Leonberger sospeso tra due affetti)

 

 e infine mancavo io...


Io sono Chico, quello che il Giulliere chiama “fedele destriero” e Michele “il mio miglior amico” o “mio fratello”, a seconda delle circostanze. Ho otto anni e non so quanto potrò stargli ancora accanto, e prometto a me stesso che questa è l'ultima volta che mi prendo la briga di scrivere al posto suo.

Sono venuto a trovarlo in questi giorni ai 2300 mt. del Ristoro Sitten, dove è venuto a prestare (dietro lauto compenso) la suo opera. Era da un po' che non passavamo del tempo insieme. L'ultima volta fu alla fine di Marzo,e credo che questa data in qualche modo possa ricordarti qualcosa. Furono giorni silenti e pieni di vuoti, la delusione in lui era grande.

Già allora mi aveva parlato di te, e confesso che non mi aspettavo di ritrovare le tue tracce in questi giorni. Una volta avrebbe fatto tabula rasa di tutto ciò che in qualche modo poteva ricollegare i suoi pensieri a fatti che lo turbavano, ma qualcosa il lui è cambiato.

Ammetto che ho giocato un po' sporco, perché ho capito, dalle parole che mi rivolgeva mentre con lo sguardo ci perdevamo tra le vette circostanti, che non mi stava dicendo tutto. Così mentre lui stava facendo altro, ho sfruttato la mia amicizia con il signor Computer, e ho dato una sbirciatina alla vostra corrispondenza, in modo da aver davanti un quadro dai contorni meno nebulosi.

Sì, qualcosa è cambiato,ma lui non riesce a esprimerlo, o non se ne è reso completamente conto.

L'avevo lasciato silente e senza pensieri, ora i suoi silenzi sono musica. Adesso lo guardo seduto su un masso a guardare oltre l'orizzonte, con gli occhi che lentamente si muovono, come a seguire un destino e vedere cosa succede.

Io sono solo un cane, e ho avuto la fortuna di vivere in due famiglie che mi hanno voluto bene, e anche quando ho dovuto lasciarlo solo so che mi ha sempre pensato. Perché lui non dimentica chi ama. Il suo amore è a volte difficile da capire, ma nulla di quello che fa è più dettato dall'odio. Credo che abbia cancellato quella parola dal suo vocabolario. Da quel che ho sentito dire, in gioventù si era lanciato al mondo con impeto e furia, cercando di dimostrare a tutti che la via che stava seguendo era quella giusta. Deve aver combattuto molte battaglie, e la percentuale di sconfitte è stata molto alta, ma non si è mai dichiarato vinto. Poi un giorno deve aver capito che il mondo non si cambia prendendolo a pugni, e decise di fermarsi, di non avventarsi più contro tutti i mulini a vento che incontrava sul suo percorso e di prestar attenzione a non scambiar più pecore per lupi.

Anni, cara Mara (mi prendo la confidenza).

Anni.

Anni di silenzio, di osservazioni, per capire che il mondo non si cambia, ma si può essere uomini migliori.

Ma per essere uomini migliori bisogna saper cedere il passo senza chinar la testa.

No, cara Mara. Non porgere l'altra guancia quando si prende uno schiaffo. Questo lo dice chi tira il primo schiaffo.

E a guardarlo seduto su quel masso, con gli occhi che lentamente si muovono, come a seguire un destino a veder cosa succede, vien quasi voglia di andargli vicino e dirgli . Ma lui, che nella testa ha i suoi libri con le loro risposte buone per tutte le stagioni, direbbe che l'uomo migliore una volta salito in cima ad una vetta, se ha capito il senso del del suo salire e l'ha fatto proprio, per andare sulle vetta che vede di fronte a sé non deve più discendere e risalire.

Quel suo guardare oltre l'orizzonte è un voler andare oltre il destino, per scoprire nuovi spazi dove potersene costruire uno. E' il non voler scendere nuovamente, per non ritrovare macerie che ne intralcerebbero il cammino. E quelle risposte che tu sei pronta a dare non sarebbero altro che nuove macerie, sulle quali nulla può essere costruito, e che non troverebbero posto in quello spazio oltre l'orizzonte


Era tempo che non lo vedevo. E intimamente ero anche un po' preoccupato. L'avevo già visto dopo che aveva perso tutto, e temevo in cuor mio di rivederlo silente e vuoto.

L'ho trovato silente, ma la sua anima era felice. Sì, felice. Felice per aver amato, e forse per amare ancora.

Per essere uomini migliori non bisogna essere avari d'amore.

Ma amare non è facile, costa fatica, impegno, anche sofferenza. Ma se il soffrire regala un sorriso a un altro essere umano, allora quella sofferenza è gioia, e veder la luce che compare improvvisa in altri occhi è il miracolo che si poteva fare.

Non chiedere mai nulla per sé, ma prendere quello che gli altri danno, carezze o schiaffi che siano, nulla deve essere perduto.

Per questo non vuole risposte, forse si aspetterebbe delle domande. Sono le domande che fanno di un uomo un uomo migliore, le risposte lasciale a chi le ha e le usa come sentenze. E seduto su quel masso, con gli occhi che lentamente si muovono, come a seguire un destino e vedere cosa succede, sembra cercare domande nuove, che lo spingano a un nuovo sapere, senza tradire quel che già conosce.

Capisco il tuo fastidio di fronte alla sua maniacale ossessione per i dettagli, ma gli piace capire, la curiosità è il suo motore, ma non cadere in equivoci. Non vuole da te risposte, solo garantire la trasparenza, anche a costo di apparire subdolo.


Di quelle risposte, come diceva Tognazzi, “Don't care less”.


Credo sappia quello che deve sapere, e in fondo, sapeva che sarebbe finita così. Vero, pare non abbia reagito, non l'ho mai visto prendere il telefono per fare quel numero che aveva, né riprendere carta e penna per scrivere a quell'indirizzo che conosceva. Ma non è così.

E quegli anni passati in silenzio lo hanno cambiato. Una volta si sarebbe precipitato, avrebbe cercato... ma ora non più, e già l'aveva fatto. Chiamato ha risposto.

Non temere, cara Mara, non cerca in te risposte che non hai, perché in un inganno non ci sono verità ma solo un susseguirsi di patetiche bugie. Forse per questo ha taciuto a lungo. Non cerca una porta di servizio per soddisfare curiosità, si può essere curiosi per cose che possono accrescere, di “piccole storie ignobili” credo ne abbia già collezionate a sufficienza.

Lo guardo seduto su quel masso, e in lui non vedo amarezza, né delusione.

No, non ha domande, forse perché le risposte già le conosce.

Gli è stato detto che non aveva capito niente.

Ho il sospetto che avesse capito tutto e che questo trasparisse dal suo essere, e lui non ha fatto nulla per nasconderlo. Se ad altri quello che vedevano non è piaciuto, l'imputargli colpe è stato solo un j'accuse inconsapevolmente rivolto a se stessi, una fuga da un io che non potevano sopportare di vedere così da vicino.

Quello che io vedo è un uomo sereno, che non ha dovuto rimuovere nulla dalla sua memoria, che può ripercorrere i suoi giorni e le sue azioni con la più assoluta serenità d'animo. Per questo non ha domande, né ha mai pensato di rivolgerle a te. Credo che a volte si senta guardato di nascosto, da sguardi di cui conosce il soffio, ma forse questo è solo il frutto della sua immaginazione, anche se mi pare che qualche intrusione di troppo nelle sue cose ci sia stata.


Io, Chico, sono solo un cane, e di certe cose ne capisco poco, ma so che non tutti quelli che mi fanno una carezza sul testone sono animati da buoni sentimenti. Il mio istinto mi fa riconoscere a metri di distanza le persone di cuore, ma questo non lo posso insegnare, e questo è il mio cruccio più grande nei riguardi di quell'uomo che seduto su un masso ha lo sguardo oltre l'orizzonte. Il mio istinto mi ha fatto capire che il cuore di quell'uomo fatica ad aprirsi, ma quando lo fa è in modo assoluto, senza trucchi e senza inganni. Ti dico questo perché tu non abbia mai a dubitare che dietro a una sua parola, a un suo pensiero, si nasconda altro.

E' seduto, e aspetta... aspetta che il vento gli porti un profumo da seguire, o che faccia attraversare il cielo da una nuvola bianca nella quale naufragare dolcemente. Non aspetta l'eco del passato, ma solo nuovi suoni, dovunque questi provengano. Ecco quello che cerca. Musiche come venti, alle quali spiegare vele logore e consunte ma ancora in grado di seguire una rotta, di condurlo oltre quell'orizzonte, con la stiva piena di speranze, che nessun pirata potrà mai togliergli.

Io, Chico, sono solo un cane, e in quel suo viaggio non lo potrò seguire. I miei otto anni e una sclerosi laterale amiotrofica incipiente mi consentiranno solo di guardarlo da lontano, di fargli arrivare di tanto in tanto i miei solidali guaiti, per farlo voltare verso di me in modo che io possa vedergli gli occhi, che vorrei trasparenti e felici, pieni di quella luce che solo lui ha saputo trasmettermi, e che finalmente qualcun altro avrà trasmesso a lui, regalandogli quel futuro che seduto su un masso a guardare oltre l'orizzonte, con gli occhi che lentamente si muovono, sembra disegnare con i pensieri.


Di tutto il resto, cara Mara, o come direbbe lui, Chèr Mara, don't care less.


Lui bugie non ne ha mai dette, non serba rancore, non conosce odio, ha chiesto perdono anche quando non conosceva le sue colpe. I dettagli, le briciole di una verità da altri gridata li serba per sé, perché ciascuno ha la sua verità, ma quella di alcuni può rivelarsi ingombrante, e lui sa che è per questo che è stato ridotto al silenzio. Ma io sono solo un cane, e di queste cose poco capisco e poco voglio capire, un giorno lui rinunciò a me non perché non mi amava, ma per non tradire sé stesso, perché a questo lui non sa rinunciare, per nessuna cosa al mondo. La sua libertà di pensiero. E per questa credo sia disposto a viaggiare sempre in solitudine, perché non cerca accoliti e proseliti, ma solo sinceri compagni di viaggio.


Già...

per essere un cane mi accorgo di pensar troppo, ed è meglio che ora torni ai miei doveri, prima di venirti a noia.

Un saluto affettuoso, non so se la mia intrusione sia stata gradita, ma queste sono le parole che lui mai direbbe, ma era giusto che da qualche parte venissero scolpite, e non importa se lo scalpello siano state le mie unghie, e se qua e là rimarranno tracce del mio scrivere, del mio essermi sostituito a lui.


Mi ha già perdonato.


Con un paio di umidissimi colpi di lingua

un festoso guaito

Camilo Cienfuegos, detto Chico

Ciao Nanda...

05 settembre 2009 ore 09:36 segnala
... che lieve ti sia la terra...

Dos pasos atràs

29 luglio 2009 ore 18:00 segnala
  Non mi piace tornare sui miei passi, la letteratura gialla insegna che tornare sul luogo dell'omicidio è l'errore più classico che commette il colpevole. C'è da chiedersi perché spesso gli autori di delitti che potrebbero essere perfetti commettano quell'inutile imprudenza, con la quale compromettono la loro posizione di insospettabili. I criminologi spiegano che nella mente del reo scattano dei raptus dovuti in primo luogo al fatto voler essere certi di non aver lasciato tracce, e se al momento dell'evento delittuoso queste erano state accuratamente evitate, la seconda visita risulta fatale; in secondo luogo scatta un morboso autocompiacimento che spinge il reo a presentarsi sul luogo del delitto per pavoneggiarsi della sua bravura, spesso fornendo indizi che potrebbero ricondurre alla sua persona.

Io non ho ucciso nessuno, e l'ultima cosa che mi preme è l'autocompiacimento, dalle mie parti si cresce con l'insegnamento che gli asini di Cavour si lodano da soli (per chi conosce il piemontese la traduzione nel dialetto Torinese renderà anche la gustosa rima nel quale il detto è formulato).

Allora perché l'idea di tornare all'inizio della mia storia su Chatta e ai mie primi tre post?

Semplice, basta leggere quanto segue, e cioè gli ultimi tra i messaggi che mi sono arrivati nella posta e un paio tra i commenti che sono stati inseriti nella mia bacheca, oltre a un simpatico commento al mio post “Strane traiet(s)torie”.:


Marco4phoenix6

Hai un motto davvero assurdo '' voi che entrate'' ma dove??? e poi che blog lungo viene lo scazzo ancora prima di leggerlo. N so se lo fai o sei proprio patetica di tuo cmq lascia stare i poeti e inventati qualcosa di tuo che fai più bella figura.


Commento sulla bacheca:

almeno L'italiano? cavolo sei proprio messa male! Ahh


Io.Confesso

Ciao ...

Ti contatto perchè dai tuoi blog sembri una ragazza interessante, e vorrei parlare un pò con te. Avresti un contatto msn? Su msn ho anche qualche mia foto, così posso ricambiare (non mi sembra giusto che tu veda me e non viceversa).
Fatti viva.
Un bacio, a presto.


Fuimordiefuggi

Salve Madame (o forse Mademoiselle credo), complimenti x il nick..mai accaduto che in msn ti sia capitato qualcosa di intigante? Ovviamente previa dovuta conoscenza, ci mancherebbe...e poi puoi sempre bloccare... Madame vuol provar ad approfondire? Che dici? Avrei una cam.


Letterecolorate

accidenti quanto sei presuntuosa e acida

Utente Anonimo

FAKE DI MERDA METTI LA TUA VERA FACCIA DA CULO NEL PROFILO INVECE DI SPACCIARTI PER QUEL CHE NON SEI

keemax scrive (21.35.35):mi piacerebbe poter fare 2 parole con una persona come te.... ma credo sia uno di quei desideri assolutamente informi, incolori, inodori....

keemax scrive (21.38.48):un linguaggio pseudo-forbito che nasconde concetti demagogici, surrogati di una pseudo-realtà confezionata ad arte da menti sovversive...

keemax scrive (21.39.28):ma tant è.. se ti riduci ad esprimere certe idee così tronfie su "chatta"..... ad ognuno il suo... buona serata


E io di leggere questa roba mi sono rotta le scatole, o se l'utente anonimo preferisce, congiuntamente a Marco4Phoenix6 o al signor Keemax, mi sono rotta il cazzo di trovare questa merda nel mio spazio. Capisco che la vostra vita sia così inutile e vuota da passare il vostro tempo davanti allo schermo di un pc, ma questo non autorizza a importunare chicchessia. Non potete neppure immaginare quanto sia grande la soddisfazione di sapere che il mondo è popolato da gente come voi, sempre in possesso delle parole giuste e di tutte le verità del caso. Bene! Per quel che mi riguarda potete tenervele, visto che non avete neppure la grazia di provare a scrivere un vostro pensiero, anche se mentre scrivo ciò mi rendo conto del fatto che si tratta di un ossimoro... per avere pensieri serve un cervello in grado di articolarli, e quando lo distribuivano voi eravate di certo in cose più serie affaccendati, del tipo leggere senza capire cose scritte da altri prendendovi la libertà di scrivere commenti privati che nessuno vi richiede. Io non so dove ero quando distribuivano il cervello, ma il neurone con l'istruzione “Fatti i cazzi tuoi” l'ho ricevuto, e me lo tengo ben stretto.

Già, caro Letterecolorate, solo perché non ho mai risposto ai tuoi inviti un chat o alle tue missive io sono acida e presuntuosa, e mi chiedo su quali basi esprimevi quel giudizio... adesso ne hai motivo, spero tu ne sia soddisfatto. E che dire del caro Io.Confesso, che di ce di aver letto i miei post e subito dopo mi chiede msn e mi invita a raggiungerlo quanto prima in quell'Eden della lussuria?

Mio caro ammiratore Utente Anonimo che non osi palesarti e mi lasci sempre i tuoi preziosi commenti in bacheca, che dirti? Fottiti, ma credo che l'onanismo sia il tuo hobby preferito anche senza il mio invito a praticarlo.

Un capitolo a parte per il commento sul post.


PAROLE LODEVOLI MA...

Lodevoli le tue parole di denuncia, tuttavia ti dico (senza plolemica alcuna): credi di poter cambiare il mondo?


Signor Iosonoquello, scrivo quello che penso, non voglio cambiare il mondo ma conoscerlo, cercando di approfondire i fatti che ne determinano il quotidiano. Non mi interessa se le mie parole sono belle, brutte o lodevoli, sono quelle che esprimono i miei pensieri, sono come figlie, e i figli si amano a prescindere, anche se in questo paese spesso si tende a farne carne morta piuttosto prematuramente. Non ho denunciato niente, ho solo elencato una serie di avvenimenti, che personalmente mi hanno portato a fare delle riflessioni, null'altro! Se tu o altri ci leggete qualcosa di diverso non è affar mio, né ho intenzione di farlo diventare. Mi piace scrivere, lo faccio per il mio gusto, non per fare rivoluzioni o per attirare calabroni, di tutto il resto ne ho pieni i coglioni.


Non tornerò mai più su questi discorsi...

... forse...

                                                              Rechel72

Strane Traiet(s)torie

16 luglio 2009 ore 17:43 segnala
 

"Non c'è giustizia in questo Paese. Sono i prepotenti, i forti, quelli che sanno parlare bene, sanno raccontarti e rigirarti, ad avere la meglio. Non gli ignoranti morti di fame come me.”

''Piango di gioia … ho fatto bene a credere nella giustizia''.

No, non sono le dichiarazioni di Di Pietro e Berlusconi all'ennesima sentenza dei giudici di Milano.

Sono le parole di Luigi Spaccarotella, prima e dopo il processo che lo ha visto imputato e giudicato per l'omicidio di Gabriele Sandri, come da dichiarazioni riportate sulla stampa nazionale.

Basterebbero queste due dichiarazioni a far capire come (s)funzioni il sistema giustizia in Italia, come se ancora ci fosse bisogno di questi esempi per toglierci qualsiasi illusione dalle nostre menti. Non voglio però fare il solito sproloquio a favore di questo o di quello, ma ancora una volta andare a monte, risalire nel tempo e nei fatti per capire come sia possibile che in una società civile possa accettare fatti come quello che ha visto coinvolto l'agente Spaccarotella e il cittadino Sandri.

Ancora una volta, come nel caso di un altro mio intervento in un post trovato in uno dei migliori blog di questo sito, devo dire che le ragioni partono da lontano, da un sistema Paese e da un sistema Giustizia che di democratico hanno poco, se non la facciata.

Strane traiet(s)torie.

Sì. Da dove vogliamo cominciare?

Se si vuole dare un senso logico a tutto, il viaggio non può che partire dall'America.

No, non sono matta, e neppure la solita anti americana dal facile qualunquismo. Ma la storia è mia e la faccio partire da dove voglio io!!!

22 Novembre 1963. Dallas, Texas.

La macchina presidenziale decapottabile sulla quale viaggia il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d'America si trasforma in una specie di orso da baraccone del tiro al bersaglio di una sagra di paese. Il presidente-orso viene colpito da tre proiettili, di cui uno mortale alla testa.

La figura di quel presidente che avrebbe potuto cambiare i destini del mondo grazie alla sua visione moderna del mondo (sempre restando fermo il punto che si sta parlando del 1963, la guerra fredda, i missili di Cuba, la guerra del Vietnam, vale a dire una bella pentola a pressione con una valvola di sfogo non in perfetta efficienza) era piuttosto ingombrante ed invisa alle lobby che detenevano il potere economico in quel paese, che videro salvati i loro interessi per molti anni a venire grazie alle prodezze balistiche di un tiratore da fiera di paese e alla compiacenza di un paio di pallottole che percorsero delle vie piuttosto tortuose con deviazioni accidentali su ossa, muscoli e quant'altro potesse essere utile a giustificare un percorso anomalo, soprattutto nella determinazione della sua origine.

Da quella prima strana traiet(s)toria, in molte parti del mondo ci si è sentiti in diritto di farne seguire delle altre, tutte avallabili con la controfirma di autorevoli periti pronti a inventarsi le soluzioni più fantasiosamente ardite pur di giustificare l'accidentalità o la malasorte che stavano alla base di certe tragedie.

Ogni qual volta un proiettile veniva utilizzato per fare giustizia sommaria, questo in qualche modo pareva essere animato di vita propria, quasi che una volta fuori dalla canna della pistola o del fucile all'interno del quale era stato imprigionato per tanto tempo decidesse autonomamente il percorso da fare e il bersaglio sul quale terminare la sua corsa, in sfregio al volere e alle capacità balistiche di colui che ne aveva decretato l'espulsione dal caricatore premendo il grilletto. Come se il proiettile fosse un merlo a lungo tenuto in cattività in una gabbia e che l'unica colpa di chi quella gabbia aveva in mano fosse quella di averla aperta, libero dalla responsabilità sul volo-traiettoria che quel merlo avrebbe poi preso.

Gli esempi sono molti, a partire dai funesti anni di piombo, con strane traiet(s)torie sia da una parte che dall'altra.

La mia storia ri-comincia, come molte storie di questo strano Paese, il 12 Dicembre del 1969, con la bomba esplosa all'interno della Banca Dell'Agricoltura di Piazza Fontana a Milano. Per quella bomba venne arrestato e interrogato all'interno della questura di Milano il cittadino Pinelli Giuseppe. La sua è la prima stranissima traiet(s)toria di cui mi piace e mi duole ricordare. Da una sedia di un ufficio di quella questura, pur non essendo un merlo e neppure un proiettile partito accidentalmente, passa per la finestra di quell'ufficio e finisce la sua corsa sul selciato del cortile sottostante.

Nessun colpevole.

Ma purtroppo un colpevole qualcuno lo individuò e si fece giustizia da sé.

La caduta del cittadino Pinelli Giuseppe fece partire la seconda strana traiet(s)toria di cui voglio ricordare, quella che concluse la sua corsa nel corpo del cittadino Giuseppe Calabresi, il 17 Maggio 1972. Su quel cittadino erano cadute le accuse di aver aperto la gabbia del merlo-Pinelli, ma mai nessuno in quella questura si premurò di far sapere che il cittadino Calabresi all'interno di quell'ufficio nel momento in cui il merlo spiccò il volo non c'era.

E quello fu solo l'inizio.

Vennero gli anni della notte della Repubblica, con cittadini che vestiti da poliziotti sparavano a poliziotti vestiti da cittadini, i quali a loro volta sparavano a cittadini vestiti da cittadini.

Due episodi del 1977, il cittadino-agente Settimio Passamonti , 21 Aprile, e dopo pochi giorni la cittadina-cittadina Giorgiana Masi, 12 Maggio. Quest'ultima cittadina uccisa da un proiettile alla schiena che ufficialmente mai nessuna arma sparò...

Non voglio fare della facile dietrologia, gli anni erano difficili, e la vita degli agenti di polizia e dei carabinieri era appesa a un filo, e la minaccia poteva venire da qualsiasi insospettabile cittadino. Ma questo non giustifica l'uso delle pallottole come strumento sostitutivo dei processi.

A me piace ricordare l'episodio dell'irruzione in quello che venne definito il covo genovese delle brigate rosse di via Fracchia 12 del 28 Marzo 1980, dove trovarono la morte 4 terroristi crivellati di colpi da arma da fuoco, perché avevano risposto con il fuoco all'intimazione di arrendersi.

I primi giornalisti accorsi sul luogo e che riuscirono ad entrare per qualche minuto nella palazzina oggetto del blitz prima di essere allontanati per l'effettuazione dei rilievi non trovarono tracce di sparatoria, mentre quando furono riammessi all'interno dell'appartamento trovarono segni di proiettile sia nella scala che portava all'appartamento sia all'interno dell'appartamento stesso.

Poi venne il 13 Maggio 1981.

Quel giorno parve davvero che le pallottole che vennero sparate presero delle strane traiet(s)torie per volontà divina, che stufo di quelle prese per (in)volont(ariet)à umana, decise di intervenire e deviare quelle che furono sparate in piazza S. Pietro, contro un Uomo che quindici anni dopo quella prima strana traiet(s)toria di Dallas era stato chiamato a realizzare il sogno di un mondo in cui gli uomini non avrebbero più dovuto “aver paura”.

Ma gli uomini si accorgono dei segnali divini sol quando ne traggono benefici personali, e che il cittadino polacco Karol Wojtila avesse beneficiato di strane traiet(s)torie favorevoli non interessò a molti...

Le mia storia continua con le strane traiet(s)torie che presero alcune pallottole e alcuni sacchetti di cellophane a metà degli anni novata, quando chiusero la bocca a quelli a cui l'idea di avere delle mani finalmente pulite non dispiaceva, e per averle sarebbero stati disposti financo a raccontare la verità su certi affari non proprio lecitissimi tra politica e mondo dell'imprenditoria.

Come vedi, mia strana e cara Amica tastiera, che dai forma ai miei pensieri, anche nel caso di una sentenza emessa su una strana traiet(s)toria di un proiettile sparato da una piazzola di un autogrill e che per un suo capriccio ha terminato la sua corsa nella testa di un cittadino, occorre avere la forza di fare un salto indietro nel tempo.

Un salto indietro che ci faccia comprendere che a volte le strane traiet(s)torie sono meno casuali di quanto si pensi, perché non è un caso se poi finiscono sempre con il centrare la testa di qualche cittadino-cittadino.

Basta fare un piccolo sforzo di memoria, e vedere che spesso e volentieri cittadini-imputati, o per meglio dire cittadini-sospettati di imputabilità, vedono la loro corsa terminare per sempre a causa di un proiettile dispettoso che contravvenendo al più elementare buon senso civico finisce la sua traiet(s)toria nella scatola cranica dell'ipotetico sospettato.

Il cittadino-ragazzo di Napoli di anni diciassette, 22 Luglio 2000, e come lui tanti altri, che probabilmente a fronte di un regolare processo avrebbero dovuto trascorrere anche più di qualche anno in qualche penitenziario di questo strano paese, ma che almeno avrebbero avuto il lusso di avere una possibilità di riscatto successiva.

Vado a chiudere la mia storia con il ricordo forse più celebre di tutti, quello del cittadino Carlo Giuliani, 20 Luglio 2001. Sono stato la prima a sostenere che al posto del cittadino-carabiniere ventenne Carlo Placanica, di fronte a un cittadino-incappucciato che mi si avventa contro con un estintore con la chiara intenzione di scagliarmelo addosso, quella pistola che tenevo nella fondina l'avrei tirata fuori anche io e ne avrei fatto uso. Ma da qui parte un altro ragionamento, anzi due. Il primo è che se spari e uccidi te ne assumi la responsabilità e siccome la legge deve essere uguale per tutti ti fai gli anni di galera che spetterebbero a qualsiasi altro cittadino-cittadino, senza sconti e senza scusanti.

Il secondo è che sarebbe sufficiente dotare gli agenti che per servizio devono portare la pistola di armi che sparano proiettili di plastica, come quelle che usano i soldati Israeliani nei posti di blocco nei territori occupati, con la differenza che in quei luoghi quando prendono la mira la prendono al bersaglio grosso, per colpire. I proiettili di plastica vengono sostituiti con quelli di “piombo” solo in caso di guerra dichiarata o di attacco missilistico da parte di paesi nemici.

La notizia più incredibile, ma che assicuro vera, perché raccolta dalla mia migliore amica in una conversazione della quale ha la registrazione documentale avuta con un cittadino psicologo-istruttore di tiro della Polizia dello Stato, la richiesta di questo tipo di proiettile è stata più volte avanzata dagli agenti che effettuano servizio di pattuglia per le strade e nei luoghi sensibili, ma è sempre stata respinta dai vertici militari, anche se una scelta di questo tipo comporterebbe un risparmio non indifferente sulle spese militari, oltre che ad evitare situazioni di cui all'oggetto.

Per chiudere questo mio nuovo intervento fiume non mi resta che dire che i giudici con le loro sentenze confermano che la legge è si uguale per tutti, ma sottolineano che la legge non ammette ignoranza. E' infatti risaputo, o dovrebbe esserlo, che un qualsiasi corpo greve (grave?) lanciato in aria per via della forza di gravità farà ritorno verso la terra con una velocità direttamente proporzionale al suo peso e all'accelerazione di gravità (o qualcosa del genere...). Se, nel caso specifico, l'oggetto in questione è un proiettile, e ritornando verso terra questo va invariabilmente a conficcarsi nella testa di qualcuno... almeno non hanno avuto la pessima idea di dire che quella è la volontà di Dio!!!

Rechel72

Match Point

10 luglio 2009 ore 17:17 segnala
  Sono nata il 13 Gennaio del 2009, sotto il segno del Capricorno, ascendente Cancro, alle ore 15.47, registrata sul meridiano di Greenwhich, in un modernissimo edificio dotato di tutta la tecnologia più moderna necessaria per assicurare al mondo una creatura perfetta, senza difetti di origine. L'edificio si trova in un sobborgo di Hannover, e dai suoi piani più alti lo sguardo incontra distese di campi di patate e boschi di conifere fino all'orizzonte.

Tuttavia, pur essendo nata in un'ora in cui il sole, anche se basso sul profilo degli alberi, e ormai prossimo a illuminare l'altra metà del globo terrestre, illuminava ancora le vetrate dell'edificio, io la luce del sole l'ho vista per la prima volta oggi, Domenica 5 Luglio, in un quartiere di Londra, immerso nel verde dei campi curati più della salute dei sudditi della Regina, contornati dai viali alberati più suggestivi al mondo.

Ho trascorso questi lunghi mesi chiusa in un tubo metallico pressurizzato, che mi ha consentito di presentarmi al mio debutto in società nelle migliori condizioni possibili, perfetta, senza difetto alcuno, pronta per essere la protagonista di questa giornata tanto attesa da me a dalle mie sorelle e compagne di avventura.

Io sono stata fortunata, perché con altre abbiamo avuto la buona sorte di essere scelte per essere qui in questo prestigioso club di uno dei quartieri più nobili di Londra, a presenziare e essere le stars dell'avvenimento dell'anno di questo circolo di nobiluomini e gentildonne, per l'appuntamento più importante per chi come me è stata messa al mondo per fare da attrice protagonista in questa prestigiosissima ribalta.

Ma essere qui non è stato semplice e la fortuna ha giocato un ruolo decisivo.

Certo, ho avuto i miei meriti. Sono il frutto di anni di studi scientifici, di prove di laboratorio, di test massacranti, che hanno portato all'esclusione di tante mie colleghe, che si sono viste scartate e messe da parte per dettagli infinitesimali, che a occhio nudo e a un primo semplice approccio non si sarebbero mai potuti notare. Quando sono venuta al mondo ero perfetta tra le perfette e questo mi ha aiutato a sfruttare il vento della fortuna, mentre altre seguivano la strada dell'esclusione irrimediabile.

Ma nessuna di noi si lamenta. Siamo un esercito disciplinato che obbedisce ciecamente agli ordini dei nostri generali-istruttori. Sin dal primo istante del nostro concepimento siamo controllate nei minimi particolari. Minuziose analisi e scrupolosi controlli ci aspettano per scoprire se in noi ci sono imperfezioni nelle giunture, se le nostre misure corrispondono agli standard che sono stati stabiliti per il nostro lavoro di star, così come devono essere perfette le nostre curve geometriche, sino al milionesimo di millimetro, e il nostro peso deve assolutamente rientrare in quello prestabilito, e anche pochi grammi possono determinare la nostra esclusione dalle ribalte più prestigiose.

Ma non solo la nostra struttura morfologica deve essere perfetta. Anche la nostra pelle deve essere priva di imperfezioni, senza smagliature o accenno a qualsiasi tipo di ruga, per offrirci al contatto con i nostri artisti nella maniera più pura possibile. La nostra giovane peluria deve essere uniforme, non troppo lunga, folta, per garantire soffici e sensibili risposte alle sollecitazioni cui veniamo sottoposte.

Veniamo modellate, gonfiate al punto giusto, sottoposte a decine e decine di trattamenti per renderci perfette, e alla fine siamo pronte a fare la nostra parte.

Anche se non dovrei dirlo, io sono stata più fortunata di tante altre mie colleghe.

Alcune di noi sono finite ai bordi di qualche campetto di periferia, luoghi frequentati da occasionali clienti senza alcuna pretesa di gloria, qualche colpo e via, distrattamente, senza alcun rispetto per tutto il lavoro fatto per essere così perfette per loro, spesso maltrattate in malo modo da occasionali fruitori che badano di più ai loro abiti che alle loro prestazioni, come se noi fossimo oggetti che non hanno diritto ad alcun piacevole rituale di rispetto. Utenti distratti, privi di ogni premura, che ci lasciano dove capita, senza capire che in questo modo ci feriscono l'anima, ci fanno invecchiare prematuramente, ci fanno imbruttire, fino a farci finire dimenticate in qualche angolo e sostituite da altre più giovani e sode, che presto faranno la nostra stessa fine. Non sanno costoro che dobbiamo essere curate, coccolate, trattate con riguardo, se al momento giusto non vogliono ritrovarsi traditi, sentirsi abbandonati, perché arriviamo con grande ritardo rispetto alle loro attese per via dell'abbassamento di pressione che abbiamo subito, lasciandoli soli nel momento decisivo, , e facendogli buttare alle ortiche l'intero incontro.

Altre colleghe ancor più sfortunate, appena vista la luce della ribalta sono state colpite violentemente e in modo malvagiamente maldestro, e preferiscono trascorrere i loro giorni nascoste tra i cespugli o tra le fronde degli alberi pur di sfuggire ai quegli approcci duri e maldestri, e finiscono i loro giorni senza aver mai assaporato il piacere di sensibili approcci sulle corde della vita a cui sarebbero destinate.

Altre ancora, dopo brevi attimi di effimera gloria, apparizioni fugaci in momenti non decisivi dell'incontro o protagoniste in dimenticate ribalte di provincie sperdute, finiscono con il far compagnia ai cani, i quali, cercando di studiarne e apprezzarne l'anatomia che par loro così bizzarra, finiscono con il lacerarne per sempre la struttura portante, rendendole meno che ombre di sé stesse, pallido e irriconoscibile ricordo di tanta perfezione che avevano avuto.

Ma la sorte con me è stata benigna.

La dea bendata ha voluto che io entrassi in scena nel momento più importante e sulla ribalta più prestigiosa, contesa dai due migliori cavalieri di tutto il torneo.

I due contendenti si stavano disputando l'ambito premio da più di quattro ore. Molte delle mie colleghe avevano già fatto la loro comparsa su questo che è il palcoscenico su cui ciascuna di noi vorrebbe potersi mostrare.

Ma io entravo in scena nel momento decisivo, ero la star delle stars.

Era l'attimo in cui tutto si decide. Eravamo rimaste in due, e il nobile ed elegante ragazzo ci stava studiando, una ad una, passando dall'una all'altra senza sapersi decidere.

Non nascondo di aver cercato di mettermi in buona luce nei suoi confronti, contravvenendo alle regole che ci vogliono assolutamente imparziali, che ci proibiscono di trasmettere sensazioni, pensieri. E ho pagato quell'atto di vanità, la mia vanesia impudenza.

Il ragazzo nobile ed elegante, dal fisico perfetto ha alla fine fatto la sua scelta, che è ricaduta sulla mia compagna.

Tutto intorno a me si è fatto buio, come strappata dalle luci di quella ribalta e infilata di corsa in una tasca.

In un attimo mi sono riaffiorate alla memoria le tante storie simili che avevo sentito raccontare. La stessa sorte beffarda era toccata anche a molte altre mie colleghe.

Nel momento decisivo la scelta era ricaduta sull'altra candidata rimasta in corsa, e loro, a giochi finiti, si ritrovavano catapultate verso l'infinito del cielo come tributo liberatorio alla fatica dell'impresa compiuta dal cavaliere, oppure dimenticate in quella specie di limbo che era la tasca, sino a che l'eroe del momento non se la ritrovava addosso mentre si cambiava d'abito per celebrare con la collega più fortunata la gloria di quel giorno, per finire abbandonata in un angolo di quell'oscuro camerino a piangere la sua sfortuna.

Io in quel momento mi sono sentita venir meno.

La mia pressione mi è parsa precipitare.

Il sogno era lì, che si stava avverando, e d'improvviso si infrangeva a pochi istanti dalla sua realizzazione. Le luci si erano spente d'improvviso, e la recita veniva chiusa prima che io potessi entrare e fare la mia parte.

In quel buio nel quale ero precipitata potevo sentire tutto ciò che stava accadendo intorno a me.

Il silenzio era calato tutto intorno, e sentivo il fruscio delle mani del giovane sulla pelle della mia collega, il suo rotolare sull'erba di quel prato perfetto. Sentivo la tensione delle sue braccia salire, il respiro farsi profondo.

Poi in un attimo, il mio destino cambiò.

Sentii distintamente il rumore delle corde che sferzavano come una preghiera la pelle della fortunata prescelta. Ma forse la tensione del momento o la stanchezza della lunga contesa fecero commettere al giovane un errore di misura. La mia collega poggiò il suo corpo appena fuori lo spazio che le era stato concesso, ed era fuori gioco.

Adesso toccava di a me.

La mia punizione era finita. Avevo ricevuto dalla sorte l'onore di essere la protagonista dell'ultima battuta dell'ultimo atto di quella giornata epica.

Ripresi immediatamente vigore, mi feci turgida al punto giusto e mi presentai al mio cavaliere al meglio delle mie possibilità

Il silenzio era assoluto, a sottolineare l'importanza del momento, e io già mi gustavo il piacere di quegli istanti. Fremevo sotto le carezze di quelle mani, e il contatto con quel prato mi pareva meraviglioso.

Tutto avvenne in pochi istanti.

Lui mi sollevò verso l'alto, e con le corde tese del suo attrezzo mi spinse in avanti, librandomi nell'aria.

Mi sentivo euforica, la mia pelle a contatto con quell'aria fresca e profumata d'erba, il senso della velocità, il piacere di quella corsa sfrenata verso il premio finale.

D'improvviso, nel mio andare verso il posto assegnatomi dal mio cavaliere, qualcosa sfiorò impercettibilmente la mia pelle soffice e delicata, producendo un sibilo simile a quello di un cobra.

Le ultime cose che sentii furono due voci che per me suonarono come una condanna all'anonimato senza appello.

“Let!”, disse una voce femminile leggermente stridula.

Second service.”, tuonò una stentorea voce maschile.

Il match point toccò ad un'altra.


Rechel72

(im)pasto im-perfetto

05 luglio 2009 ore 16:02 segnala
  -“Lisabè,... me la fai ancora una margherita?”

La voce nasconde un filo di terrore, quello che solo chi ha lavorato in una pizzeria sa cogliere, quando un cliente si presenta verso la mezzanotte chiedendo con tono finto affabile se si può ancora mangiare una pizza. Lui sa benissimo che a quell'ora è una richiesta che manderà su tutte le furie tutto il personale che ormai aveva già la testa e il corpo sotto la doccia, per togliersi di dosso l'odore stagnante di un olio sfruttato al punto di appiccicarti addosso una patente che ti rende riconoscibile a decine di metri di distanza. Ma il cliente è quello che paga gli stipendi... e quindi sorrisi più finti delle promesse di un politico in campagna elettorale, e cortesia tipica di un funzionario di banca di fronte alle richiesta di un mutuo da parte di una giovane coppia senza lavoro fisso e tanto amore negli sguardi.

-“Ti ho mai detto di no?...” la risposta risuona sincera come la promessa d'amore dei giovani innamorati di cui sopra, con lui che guarda oltre il pannello dell'open-space l'impiegata bionda che sta passando diffondendo nell'aria un profumo di tentazione al quale non si può resistere.

Maura, la cameriera fa accomodare il cliente e prima di servirgli la birra si avvicina al banco pizzeria.

-“Questo sai che ha detto?”

-“Non me frega un..”

-“Che è stato qui l'altra sera verso le nove, e che adesso vuole vedere se sei stata fortunata o se sei davvero brava...”.

-“... allora digli che se vuole capire la differenza tra bravura e fortuna deve aspettare un quarto d'ora per la sua cazzo di margherita”.

-“Lisabè...”

-“Vai, non sto scherzando, se vuole mangiare una pizza decente deve aspettare che tirò su il forno...”.

-“...E non butto un pezzo di legna se non torni con una risposta”.

-“Lisabè... ma che figura mi ...”

-“Vaiiiiii!!!!!!”.

Maura va', con la convinzione di chi deve dire al lupo che l'agnello si farà mangiare, ma prima vuole mettersi in ordine per fare bella figura.

-“Ha detto che aspetta....”.

-“Lo sapevo... un saputello... allora dobbiamo metterlo in difficoltà...”.

La legna finisce sul braciere, prima due pezzettini tondi, poi dopo due minuti un ciocco lungo una trentina di centimetri, grosso come una bottiglia da un litro e mezzo.

-“... potevi fargli la pizza al volo che ce andavamo...”.

-Questo è venuto apposta per capire se la mia pizza vale la pena del viaggio... e io non posso deludermi.”.

-“Lo sappiamo che sei brava...”

-“Ma tu la mia pizza non la paghi, lui sì, e ha il diritto di mangiare il meglio che io posso dargli, e soprattutto lui non è convinto che io sia brava...”.

Ufffiiii... hai ragione... ma è mezzanotte, e adesso dobbiamo aspettare che tu decida quando verrà il momento che gli dei degli impasti e dei forni trovino un accordo su quale sia il momento migliore per la cottura”. “Ma quale è il punto critico della pizza?”.

-“Maura, se te lo racconto tu stasera non vai a ballare...”

-“Un bignami per ingannare l'attesa?”.

-“Farine... le farine sono importantissime, c'è in giro un sacco di porcheria, e anche quando hai trovato qualcosa che sembra valido non devi mai essere troppo sicura. Nei mulini le partite di grano cambiano, e quindi anche le farine, quello che per un chimico rientra nella tolleranza accettabile per me può essere l'inizio di un disastro. Poi l'acqua, fresca, mai troppo fredda, se non d'estate nei posti dove la temperatura ambiente supera i venti/ventidue gradi. E che dire sull'olio... come per tutte le cose l'olio è importantissimo, determina buona parte del gusto della pasta. Olio extravergine, ovvio, ma non comperato in economia. Non ci si deve rovinare, ma non si deve comprare una cosa che si approssima all'olio di un tir rigenerato.”

Fuori la pallina dal cassetto, gli occhi di Maura si accendono come il globo stroboscopico di una discoteca... l'operazione pizza perfetta per cliente esigente sta per iniziare... la doccia si avvicina.

Poi il sale... pesare con precisione, in base ai litri d'acqua che si usano per fare l'impasto. Un litro d'acqua due chili di farina, quarantacinque/cinquantacinque grammi di sale... io quasi sessanta, ma è un vizio privato.”

Le mani cominciano a lavorare sulla pallina, allargandola con gesti meccanici ma armoniosi, quasi carezze...

... poi il lievito... nota che si deve inserire alla perfezione nello spartito, ma che quasi sempre va troppo fuori dal rigo musicale. Poco, pochissimo. tre/quattro grammi per litro litro d'acqua”

-“Ma se tutte le ricette che si trovano te ne fanno mettere un cubetto su un chilo di farina...”

-“... fare la pizza a casa e paragonarla a quella di una pizzeria è come dare il bianco nel bagno di casa e poi pensare di tinteggiare la Cappella Sistina!!!”.

Sgomento negli occhi di Maura, la pallina di pasta modellata a disco dalle dimensioni di un piattino da dessert viene abbandonato nella farina...

-“Poi sul come impastare ci sono due teorie, chi mette prima l'acqua con il lievito nell'impastatrice e poi ci aggiunge la farina, l'olio e il sale, e chi, come me, mette prima la farina, il sale, l'olio, poi il lievito sciolto in una parte dell'acqua e infine l'acqua rimanente.” “Questione di abitudine, l'importante è trovare in fretta l'equilibrio tra la farina e i liquidi, in modo da non dover far girare oltre il dovuto l'impasto”.

-“Che succede altrimenti?”

-“Che l'impasto si <brucia>”.

_“...Va a fuoco?”

-“Un impasto <bruciato> non lievita, resta molle come un caco e suda come un Lappone nel deserto”. “E la pizza è peggio di una suola di scarpa che ha camminato su un catrame fresco e bollente.”

Maura torna a riassaporare il piacere dell'acqua calda sulla sua pelle quando vede che il disco di pasta viene riportato al centro delle operazioni, e dopo una nuova schiacciatina con i polpastrelli delle mani viene allargato con movimento centrifugo.

-“Poi serve pazienza, bisogna far lievitare l'impasto, e questo non ha tempi certi.... dipende dalla temperatura ambiente, da quanto l'impasto è stato fatto girare...”

Un cucchiaio da portata di salsa di pomodoro, rapidi gesti circolari per allargarla sulla base di pasta, poi una manciata generosa di mozzarella, il braccio che corre alla pala, ma prima lei si china per cercare nella legnaia un pezzo di legno, ancora un tondino piccolino, “una candela votiva”, come spesso lo definisce. Poi con un movimento veloce carica la pizza sulla pala, si volge verso la bocca del forno, lo scruta sceglie l'angolo migliore per la cottura di quella singola pizza, e poi con un gesto che ricorda il colpo sotto dei giocatori di biliardo scarica la pizza nel suo inferno-paradiso di cottura.

-“Et voilà, anche questa è fatta”... “... dunque... dicevo... sì... far lievitare l'impasto e sperare che nel frattempo le condizioni atmosferiche non cambino repentinamente come i tuoi ormoni al cospetto di alcuni clienti mia cara la Mauretta... perché altrimenti l'equilibrio di umidità raggiunto dall'impasto durante la lavorazione si altera come quello delle tue parti più intime in presenza dell'aiuto cuoco...”

-“Lisabè...!!!!!”

-“... poi si devono preparare le palline, tra i centonovanta e i duecentocinque grammi ciascuna, per ottenere un disco di trenta, trentadue centimetri di diametro...”

-“..Sì..., e tu le pesi tutte....!!!”

-“All'inizio lo facevo, adesso se vuoi una volta ti metti vicino e me e controlli, e vedrai che battono tutte intorno a quella grammatura...”

-“Ha ha ha, hai lo stampo nel DNA...”

-“Qualcosa del genere”... “A quel punto metti le palline nelle vaschette e poi in frigo, in modo da fermare la lievitazione, che dovrà cominciare solo quando verranno utilizzate... il rischio è di doverle usare quando non sono ancora perfettamente lievitate la seconda volta o quando lo sono troppo, anche se la catastrofe maggiore è la mancata seconda lievitazione.”

-“Poi il forno, che viene per ultimo, vuole dire la sua comunque. Fa la voce grossa perché fino a quel punto nessuno lo ha preso in considerazione, e impone le sue volontà. Il forno a legna è affascinante, l'amante ideale per la pizza, un connubio perfetto. Sono fatti uno per l'altra... ma così esigenti, così suscettibili... basta un niente e scatta il litigio e gli effetti sono devastanti...”.

-“Un pezzo di legna in più o in meno all'inizio della serata e la produzione viene contaminata. Non bisogna chiedere al forno prestazioni troppo intense, è un amante virtuoso, ma non deve essere messo sotto pressione, chiedergli troppo significa stressarlo e lui non gratifica più le sue amanti con il giusto calore... si fa freddo di fondo, e genera orgasmi scadenti...”

-“Sembra una novella del Decameron messa così...”

-“Per quanto meno riconosciuta di un quadro di Van Gogh o di Picasso la pizza è arte, e come tale va interpretata, se si vuole razionalizzare l'estro e la fantasia, l'amore per il dettaglio, la devozione per il particolare... il risultato è Pizzarito o Speedy Pizza... vedi tu cosa vuoi... un orgasmo lungo, prolungato, che ti lascia sconquassata in ogni tua cellula ricettiva o una sveltina che non ti fa neppure inumidire?”.

-“Lisabè....” La voce di Maura la cameriera ormone-suscettibile si fa flebile e preoccupata.

-“Lisabè...... la pizza in forno....”

-“... … …” “... … …” “... cazzo... cazzo... !!!!bruciata... spetta che ne faccio un'altra...”.


Rechel72

in-visioni notturne

02 luglio 2009 ore 01:28 segnala

Dormo poco.

Da anni ho rinunciato agli armadi. Ma i miei fantasmi personali albergano sempre in mia compagnia ovunque mi trovi.

Le immagini più belle delle mie notti sono quelle di Cervinia. Avevo la fortuna di avere una finestra che dava su un costone Alpino non violentato dalle luci dell'abitato. Ad ogni calar del sole un nuovo quadro veniva dipinto da un'artista che non firmava mai il suo quadro, consapevole che sarebbe durato lo spazio di una sola notte. Anche i miei fantasmi, rapiti da quell'opera meravigliosa, ne erano distratti.

Dormo poco.

Mi sveglia l'angoscia di giornate incomplete, di gesti non compiuti, di parole non dette. Cerco di dialogare con quei maledetti fantasmi, disposta anche al mai accettato compromesso. Direbbe Pinketts che se il compromesso è accettato e quindi fatto a pezzi non può essere un punto di partenza stabile. Aggiungerebbe inoltre che per suggellare una tregua l'accetta andrebbe sotterrata, e non messa in azione. Azione e reazione. Ho rinuciato agli armadi, e gli scheletri, come scimmie, si assiepano sulle mie spalle, spalti ideali per il loro procurar tormento.

Dormo poco.

Non valgono i tentativi di stancare il corpo per obnubilare la mente. Gli scricchiolii delle danze di quei fantasmi nella mia mente sono come spilloni di un rito woodo al quale non posso sfuggire. Come in un film muto, o, in un audiolibro, immagini senza udio, o voci senza volti, si alternano in un balletto senza fine. Non valgono le lunghe letture per occupare gli spazi ricettivi dei neuroni cerebrali. Parole richiamano parole, visioni si miscelano con il visto. Neppure la rinucia volontaria all'essenzio ne evita l'evocazione.

Mi mancano i pattini a rotelle per correre leggera su strade asfaltate di fresco. Mi manca una musica su cui poter danzare. Sola. O con i miei fantasmi. Finalmente in felice armonia. Mi manca una gomma, per poterli cancellare.

Ma ne sarei capace, cancellando anche una parte di me?

Rechel72

Moderne indulgenze...

04 giugno 2009 ore 10:19 segnala
 Sono passati venti anni. Questa immagine ha fatto il giro del mondo, ed è diventata una delle tante icone della lotta per la libertà. Ma come spesso accade, una volta che si sono spente le luci, e mai come in quel caso questa frase è realista, tutto è tornato come prima. Un anno fa in quella stessa Piazza il mondo rendeva omaggio a quegli stessi che quei carri armati fecero avanzare e che ordinarono di sparare sui figli del loro popolo. A volte mi chiedo perché fatti come quelli di Piazza Tien An Men entrano nei miei pensieri e sento l'irrefrenabile bisogno di parlarne. Del resto sono cose che accadono tutti i giorni, e non influiscono sul mio modus vivendi, e in fondo una cosa del genere era successa venti anni prima a Città del Messico, e anche di quel fatto ci sì è presto dimenticati. Non riesco però a a non pensare che in quelle piazze avrei potuto esserci io, o i miei figli, o persone alle quali volevo bene, e che è solo un caso che io abbia visto la luce in questa parte del mondo. Non so se questo sia stato un privilegio, e spesso penso che premere un grilletto e fingere di non sentire lo sparo che ne consegue siano lo stesso atto criminale, e che si può uccidere anche stando in silenzio, girando la testa dall'altra parte, facendo finta di non ascoltare, di non vedere.

Silvio Pellico dalle sue prigioni diceva che ne uccide più la penna che la spada. Ma esiste un'altra arma di distruzione di massa, e quella l'abbiamo tutti, e la usiamo tutti i giorni.

L'indifferenza.

Ma che ci frega, tanto c'è sempre un numero di telefono che ci consente di donare qualche euro per qualche nobile causa, che ci permette di comprare la moderna indulgenza ai nostri peccati.

Rechel72